Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
URBANISTICA E EDILIZIA - Azione di regolamento dei confini - Rilascio della
porzione di terreno indebitamente occupata - Domanda riconvenzionale - Effetti -
Autonomo giudizio restitutorio. Nell'azione di regolamento di confini,
mentre nella domanda dell’attore è implicita quella di rilascio della porzione
di terreno indebitamente occupata dalla controparte, il convenuto, se intende
non solo resistere alla domanda altrui ma anche ottenere la restituzione del
terreno che assume essere ingiustificatamente occupato in eccedenza, ha l'onere
di proporre tempestivamente apposita domanda riconvenzionale; in mancanza, non
potrebbe ottenere nel medesimo giudizio la restituzione della parte occupata in
eccesso, ma avrebbe l'onere di intraprendere un autonomo giudizio restitutorio.
Presidente M. Spadone, Relatore L. Ficcialli. CORTE DI CASSAZIONE Civile,
Sez. II, 16 gennaio 2007 (C.c. 1/12/2006), Sentenza n. 858
URBANISTICA E EDILIZIA - Azione di regolamento dei confini - Consequenzialità
del rilascio della porzione di suolo - Indebita occupazione - Art. 112 c.p.c -
Domanda riconvenzionale - Assenza - Vizio di extrapetizione. In tema di
consequenzialità del rilascio della porzione di suolo, risultata indebitamente
occupata all'esito dell'accertamento del confine, vanno correttamente intesi nel
senso che chi agisca per l'individuazione del confine, deducendone l'incertezza,
implicitamente chiede anche il rilascio della porzione di suolo eventualmente
posseduta dalla controparte, ma non possono anche comportare deroga alla
fondamentale regola processuale dettata dall'art. 112 c.p.c, secondo la quale la
decisione in concreto adottata deve comunque corrispondere alle richieste
rispettivamente formulate dalle parti e non eccedere i limiti delle stesse
(Cass. n.1089/77, n.12139/97, n.11942/03, n.22745/04). Pertanto, in assenza di
una domanda riconvenzionale deve ritenersi sussistente il vizio di
extrapetizione. Presidente M. Spadone, Relatore L. Ficcialli. CORTE DI
CASSAZIONE Civile, Sez. II, 16 gennaio 2007 (C.c. 1/12/2006), Sentenza n. 858
1.12.2006
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli III. mi Signori
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 31.10.84, riassunto ( a seguito di ordinanza
declinatoria di competenza del Pretore di Sorrento, inizialmente adito) il
27.9.85, 1a s.p.a I.T.I, nei cui confronti il Comune di Meta aveva emesso
un'ordinanza di diffida alla demolizione di un chiosco-bar, ritenuto insistente
su suolo pubblico, citò l'ente territoriale al giudizio del Tribunale di Napoli,
onde sentir accertare e regolare il confine, con conseguente apposizione dei
termini, tra il suolo di sua proprietà e quello pubblico.
Costituitosi il Comune, contestò il fondamento della domanda e la causa,
istruita con produzioni documentali e consulenza tecnica, venne decisa con
sentenza in data 26.10.99 del neo istituito e competente Tribunale di Torre
Annunziata( in persona del G.O.A. della c.d "sezione stralcio"), con la quale
venne regolato il confine tra la proprietà privata e quella pubblica, ordinata
l'apposizione dei termini e condannata l'attrice, per il ritenuto sconfinamento,
al rilascio della porzione di suolo comunale occupata, con compensazione delle
spese di lite.
Proposto appello dalla società ITI, resistito dal Comune di Meta, con sentenza
depositata il 17.5.2002 la Corte di Napoli respingeva il gravame, con il carico
delle spese, motivando:
a) quanto alla dedotta "ultrapetizione", in riferimento alla mancanza di una
domanda del convenuto diretta al rilascio, che la natura di vindicatio
incertae partis dell'azione di regolamento di confini, tanto più nel caso in
cui alla stessa fosse stata associata quella di apposizione dei termini,
implicasse la condanna al rilascio, senza necessità di espressa richiesta, della
parte risultata in possesso di area eccedente i propri confini; peraltro,
tenuto conto che in tema di diritti reali la causa petendi è costituita
dal diritto in sé e non dalla fonte dello stesso, la modifica di tale elemento,
così come del petitum, in prosieguo di causa, tenuto conto dell'evento
sopravvenuto costituito dall'esito della consulenza tecnica, non integrava
domanda nuova; sotto altro preliminare profilo, costituendo tale
richiesta, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, un naturale
sviluppo dell'incarico difensivo conferito al legale del Comune, non era
sostenibile la testi della carenza di mandato in parte qua;
b) nel merito l'operato sconfinamento, sia pur di un solo metro, nella piazza
pubblica, era stato chiaramente accertato dal c.t.u., tenendo conto in
particolare di una planimetria allegata al titolo di acquisto dell'attrice e
delle successive vicende modificative dell'assetto dei luoghi (smottamenti,
lavori pubblici, edificazioni) per effetto delle quali si era, infine,
verificato un modesto sbancamento del suolo comunale, seguito dall' occupazione
della superficie interessata.
Avverso tale sentenza la soc. ITI ha proposto ricorso per cassazione affidato a
due motivi, cui resiste il Comune di Meta con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione degli artt. 112, 83 ed
84 c.p.c., con connessi vizi della motivazione.
Si ribadisce la censura di ultrapetizione, in riferimento alla mancanza di una
espressa rituale domanda di rilascio da parte del Comune, evidenziandosi che il
convenuto, nel costituirsi, si era limitato alla sola contestazione del
fondamento della demanda attrice, senza formulare alcuna richiesta di condanna
della controparte.
Si contesta la validità di siffatta richiesta, ritenuta dalla corte di merito,
in quanto formulata - peraltro solo in termini di condanna alla "demolizione"-
in sede di precisazione delle conclusioni, in assenza di espresso mandato, da
parte del difensore dell'ente territoriale, e non seguita da accettazione del
contraddittorio; si contesta l'argomentazione, posta a base della ritenuta
ammissibilità, secondo la quale la stessa avrebbe costituito un naturale
sviluppo dell'originaria linea difensiva, determinato dallo sviluppo degli
eventi processuali (l'esito della consulenza tecnica, quale prova sopravvenuta),
al riguardo obiettandosi che l'accertamento peritale non costituisce un mezzo di
prova, ma solo uno "strumento per la valutazione della prova già acquisita", e
che già ab initio il Comune aveva sostenuto la legittimità della propria
ordinanza demolitoria, sul presupposto, appunto, del ritenuto sconfinamento.
Il motivo è fondato.
Il Comune, a fronte dell'avversa domanda di regolamento di confini ed
apposizione di termini si era limitato a difendersi, contestando la fondatezza
della domanda, alla quale non si era associato chiedendo a sua volta
l'accertamento del confine ed i provvedimenti consequenziali.
In assenza di una domanda riconvenzionale - che pur avrebbe potuto essere
proposta dal procuratore e difensore dell'ente territoriale in forza
dell'autorizzato mandato, costituendo naturale sviluppo della linea di difesa
resa necessaria dalla resistita pretesa attrice - deve ritenersi sussistente il
vizio di extrapetizione. A tal riguardo va considerato che i richiamati e ben
noti principi giurisprudenziali (v., tra le altre, Cass. n.1089/77, n.12139/97,
n.11942/03, n.22745/04), in tema di consequenzialità del rilascio della porzione
di suolo, risultata indebitamente occupata all'esito dell'accertamento del
confine, vanno correttamente intesi nel senso che chi agisca per
l'individuazione del confine, deducendone l'incertezza, implicitamente chiede
anche il rilascio della porzione di suolo eventualmente posseduta dalla
controparte, ma non possono anche comportare deroga alla fondamentale regola
processuale dettata dall'art. 112 c.p.c, secondo la quale la decisione in
concreto adottata deve comunque corrispondere alle richieste rispettivamente
formulate dalle parti e non eccedere i limiti delle stesse. Nel caso di specie
la domanda restitutoria, formulata solo in sede di precisazione delle
conclusioni, in palese violazione delle regole di cui agli artt. 183, 184 c.p.c.,
nel testo all'epoca vigente, e non seguita da accettazione del contraddittorio,
dalla parte convenuta che si era limitata ad eccepire l'infondatezza della
domanda per mancanza delle relative condizioni, avrebbe dovuto essere dichiarata
inammissibile, non solo nella parte richiedente la demolizione del manufatto
(disattesa dal primo giudice in considerazione della pendenza di un parallelo
contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa), ma anche nella parte
invocante il rilascio, comportando una tardiva ed inammissibile domanda
riconvenzionale: in altri termini, chi è attore ex art. 950 c.c. è dispensato
dal proporre anche un'espressa domanda di rilascio, mentre chi è convenuto e non
abbia, a sua volta, proposto domanda riconvenzionale, sia pure di contenuto
analogo e reciproco, limitandosi a chiedere il rigetto di quella attrice, non
può considerarsi implicitamente portatore di un'istanza restitutoria,
conseguente al regolamento ex adverso richiesto (quand'anche con esito
sostanzialmente sfavorevole alla parte istante), né può proporla in corso di
causa, potendo a tal fine solo successivamente agire, in separato giudizio,
sulla base dell'accertamento compiuto, ove all'apposizione dei termini,
consequenziale al regolamento, non abbia fatto seguito il volontario rilascio da
parte dell'occupante.
Con il secondo motivo viene dedotta violazione degli artt. 822, 823 e 824 c.c.,
nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c , con connessi, ma non esplicitati, vizi di
motivazione.
Il motivo, riproducente le censure esposte nell'atto di appello, contiene una
serie di doglianze in fatto, avverso il giudizio di merito accertante la
demanialità della striscia di suolo occupata e le risultanze della consulenza
tecnica, sulle quali lo stesso si è basato.
Tali censure, pur richiamando atti ed asserite, ma non documentate, vicende dei
luoghi interessati dalla vertenza, non evidenziano alcuna effettiva violazione
delle norme richiamate, carenze o illogicità della motivazione, così
traducendosi nel palese tentativo di accreditare una diversa interpretazione
delle risultanze processuali, rispetto a quella recepita nella decisione.
Evidente, dunque, è l'inammissibilità del mezzo d'impugnazione, considerato che
in sede di giudizio di cassazione non è dato instaurare alcun raffronto tra la
tesi accolta dalla sentenza impugnata e quella diversa, ancorché astrattamente
plausibile, prospettata dalla parte ricorrente, dovendo il vaglio di legittimità
essere limitato alla tenuta logico-giuridica del modulo argomentativo, in sé
considerato, adottato dal giudice di merito, che nella specie risulta sorretto
dall'adeguata motivazione in narrativa menzionata.
Per le considerazioni che precedono, accolto il primo motivo di ricorso e
respinto il secondo, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio e con diretta
pronunzia nel merito ex art. 384 co. l u.p. c.p.c., non essendo necessari altri
accertamenti di fatto, in relazione alla statuizione di rilascio, che in
accoglimento, per quanto di ragioni, dell'appello va eliminata.
Tenuto conto dell'esito finale e complessivo della lite, sussistono giusti
motivi per l'integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa senza
rinvio la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel
merito, in parziale accoglimento dell'appello, dichiara inammissibile la domanda
di rilascio del Comune di Meta.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma il 1 dicembre 2006.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma 1 6 GEN. 2007
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE - Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it