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Rifiuti - Traffico illecito di rifiuti - Continuità normativa tra l'art. 53
bis D.Lgs. 22/1997 e l’art. 260 D.Lgs. 152/2006. L'astratta configurabilità
del reato, già previsto dall'art. 53 bis del D.Lgs. 22/1997 ed è ora ugualmente
previsto in perfetta continuità normativa dall'art. 260 D.Lgs. 152/2006, ricorre
sia nei suoi elementi materiali della condotta (gestione illecita organizzata) e
dell'oggetto (ingente quantità di rifiuti, diesumibile dalla vastità dell'area
interessata, dalla dimensione delle opere gestite in appalto, da cui provenivano
i rifiuti, e dal prolungamento nel tempo della condotta), sia nell'elemento
psicologico del dolo specifico. Sicché, il vigente art. 260 D.Lgs. 152/2006, non
fa altro che riprodurre le disposizioni della norma previgente in tema di
repressione penale dell'attività organizzata per il traffico illecito di
rifiuti. Pres. Papa Est. Onorato Ric. Montigiani. CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud. 29/11/2006), Sentenza n. 9794
Rifiuti - Bonifica dei siti contaminati - Procedura per la bonifica o il
ripristino - Presupposti - Art. 239 D.Lgs. 152/2006 Testo unico sull’Ambiente -
Disciplina applicabile. Ai sensi dell'art. 239 D.Lgs. 152/2006, la
disciplina in tema di bonifica di siti contaminati contenuta nel titolo V della
parte IV dello stesso decreto non si applica all'abbandono dei rifiuti. In tal
caso, qualora a seguito di rimozione, d'avvio al recupero o di smaltimento dei
rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il
superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione
dell'area al fine di verificare la eventuale necessità di effettuare la bonifica
o il ripristino ambientale ai sensi dello stesso titolo V. Quindi, la procedura
per la bonifica o il ripristino deve essere attivata solo dopo che venga
accertato il superamento dei livelli di attenzione. Pres. Papa Est. Onorato Ric.
Montigiani. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud.
29/11/2006), Sentenza n. 9794
Rifiuti - Procedura operativa e amministrativa per la bonifica dei siti -
Rapporto tra gli artt. 17 D.L.vo 22/97, 242 D.Lv. 152/2006 e D.M. n. 471/1999 -
Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) - Concentrazione soglia di rischio
(CSR). Ai sensi dall'art. 242 D.Lgs. 152/2006, la procedura operativa e
amministrativa per la bonifica dei siti è ora disciplinata con regole che non
sono completamente sovrapponibili con quelle stabilite dal previgente art. 17
D.Lgs. 22/1997, in quanto: il presupposto generalmente previsto per l'apertura
della procedura, secondo la normativa previgente, consisteva nel superamento dei
limiti di accettabilità della contaminazione stabiliti con D.M. 25.10.1999 n.
471, ovvero nel pericolo concreto e attuale del superamento dei medesimi limiti
(art. 17 cit., comma 2,); mentre, secondo la normativa vigente, l'anzidetto
presupposto consiste nell'accertamento di più precise concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC) al di sopra delle quali si apre un procedimento di
caratterizzazione e di analisi rischio sito specifica, in esito al quale, se è
accertato il superamento di concentrazione soglia di rischio (CSR), è richiesta
la messa in sicurezza e la bonifica del sito (art. 242 cit., in relazione
all'art. 240). Pres. Papa Est. Onorato Ric. Montigiani. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud. 29/11/2006), Sentenza n. 9794
Rifiuti - Mancata bonifica - Reato di evento a condotta libera o reato
causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di punibilità negativa -
Struttura del reato contravvenzionale - Art. 257 D.Lv. 152/2006 e art. 51 bis
D.Lgs. 22/1997 - D.M. 25.10.1999 n. 471. La struttura del reato
contravvenzionale di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 è stata ora riprodotta
nella fattispecie prevista dall'art. 257 D.Lgs. 156/2006, giacché entrambe le
norme puniscono chiunque cagiona l'inquinamento del sito se non provvede alla
bonifica secondo la relativa procedura prevista. Trattasi, di reato di evento a
condotta libera o reato causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di
punibilità negativa. Tuttavia, l’evento è diversamente configurato nelle due
fattispecie: in quella previgente, desumibile dal combinato disposto degli artt.
17 e 51 bis, l'evento consiste nell'inquinamento, definito come superamento dei
limiti di accettabilità previsti dal D.M. 25.10.1999 n. 471; o nel pericolo
concreto e attuale di inquinamento, in qualche modo definibile come
avvicinamento ai quei limiti di accettabilità; nella fattispecie vigente
prevista dall'art. 257 D.Lgs. 152/2006, invece, l'evento è esclusivamente di
danno, perché consiste solo nell'inquinamento (non nel pericolo di inquinamento)
ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Anche la condizione obiettiva di punibilità (non provvedere alla bonifica) è
configurata nelle due fattispecie a confronto secondo presupposti e regole
procedimentali non perfettamente sovrapponibili. Pres. Papa Est. Onorato Ric.
Montigiani. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud.
29/11/2006), Sentenza n. 9794
Rifiuti - Bonifica - Limiti di accettabilità (CSC) e (CSR) - L'inquinamento
che perfeziona il reato - Trattamento sanzionatorio - Rapporti tra D.Lgs 22/1997
e D.Lgs. 152/2006. Le tabelle allegate al D.M. 471/1999, per definire i
limiti di accettabilità, coincidono con quelle inserite nell'Allegato 5 alla
Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006 per definire le concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC); e che una volta superate le CSC si deve procedere alla
caratterizzazione e alla analisi di rischio sito specifica, in esito alla quale
se si accerta il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) si
deve far luogo alla messa in sicurezza e alla bonifica. Ne deriva che secondo la
fattispecie vigente l'evento del reato è diverso sotto un duplice profilo: a)
perché è previsto solo come evento di danno, ossia come inquinamento; b) perché
l'inquinamento è definito come superamento delle CSR, che è un livello di
rischio superiore ai livelli di attenzione individuati dalle CSC e quindi ai
livelli di accettabilità già definiti dal D.M. 471/1999. In altri termini,
l'inquinamento che perfeziona il reato di cui all'art. 257 D.Lgs. 152/2006 è più
grave dell'inquinamento che perfezionava il reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs.
22/1997. Quanto al trattamento sanzionatorio, l'art. 51 bis D.Lgs 22/1997
prevedeva la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, mentre l'art. 257
D.Lgs. 152/2006 prevede la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda (con
arrotondamento della pena pecuniaria). Solo nel caso in cui l'inquinamento è
provocato da sostanze pericolose, sia la norma previgente che quella vigente
prevedono la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda (sempre con
arrotondamento di quest'ultima nella norma vigente). Sul punto, si deve mettere
in evidenza che la nuova fattispecie penale, pur avendo la stessa struttura di
quella precedente, è meno grave perché riduce l'area dell'illecito
(restringendola alla condotta di chi cagiona inquinamenti più invasivi) e
attenua il trattamento sanzionatorio. Pres. Papa Est. Onorato Ric. Montigiani.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud. 29/11/2006), Sentenza
n. 9794
Rifiuti - Terre e rocce da scavo - Storico normativo - Esclusione dalla
categoria dei rifiuti - Condizioni - Disciplina applicabile. Vero è che le
terre e rocce da scavo sono escluse dalla disciplina dei rifiuti a norma
dell'art.8 lett. f bis) D. Lgs. 22/1997 (aggiunta dall'art. 10, comma 1, legge
23.3.2001 n. 93); che questa disposizione è stata interpretata estensivamente
dall'art. 1, comma 17, legge 21.12.2001 n. 443, poi modificato dall'art. 23
della legge 31.10.2003 n. 306; che infine la esclusione è stata ribadita
dall'art. 186 D.Lgs. 152/2006. Ma è altrettanto vero che, in ognuna delle
versioni della travagliata normativa sulla materia, la esclusione dalla
categoria dei rifiuti è disposta a condizione che le terre e rocce da scavo,
anche se contaminate per effetto del processo di escavazione o perforazione
entro una soglia di inquinamento tollerata, siano destinate all'effettivo
utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati. Pres. Papa Est.
Onorato Ric. Montigiani. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud.
29/11/2006), Sentenza n. 9794
Rifiuti - Disciplina dei rifiuti militari - Disciplina speciale - Norma di
settore - Art. 185 del D.Lgs. 152/2006. In materia di rifiuti militari,
presupposto dell’esenzione alla disciplina generale sui rifiuti, ai sensi
lettera dell'art. 185 del D.Lgs. 152/2006, è che le cose siano destinate
direttamente e attualmente alla difesa e alla sicurezza nazionale (come è
confermato anche dall'ultimo periodo della lettera m), secondo il quale i
magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i
materiali de quibus costituiscono opere destinate alla difesa nazionale). La
ratio evidente dell'art. 185 del D.Lgs. 152/2006 (lettera n) è che i beni e
i materiali con destinazione militare i quali tuttavia non siano inclusi
nell'apposito decreto ministeriale restino ugualmente esclusi dalla disciplina
generale sui rifiuti sino a che non intervenga la c.d. dichiarazione fuori uso
di materiali per vetustà o per usura di cui agli artt. 361 e ss. del citato
D.P.R. 1076/1976, ora peraltro abrogato e sostituito con il D.P.R. 21.2.2006 n.
167 a decorrere dal 1.1.2007. Pres. Papa Est. Onorato Ric. Montigiani. CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 Marzo 2007 (Ud. 29/11/2006), Sentenza n. 9794
Camera di consiglio del 29.11.2006
Registro Generale n. 15572/2006
SENTENZA N. 1216
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Signori:
Dott. Enrico PAPA Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO (est.) Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Margherita MARMO Consigliere
Dott. Antonio IANNIELLO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto per MONTIGIANI Enrico, nato a Reggello (FI) il 24.3.1950,
avverso la ordinanza resa il giorno 8.2.2006 dal tribunale per il riesame di
Firenze.
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso,
Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere Pierluigi
Onorato,
Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale
Guglielmo Passacantando, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
Udito il difensore dell'indagato, avv. Giovanni Aricò, in sostituzione dell'avv.
Mario Baratta, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso,
Osserva:
Svolgimento del procedimento
l - Con ordinanza dell'8.2.2006 il tribunale di Firenze, in sede di riesame, ha
confermato il sequestro preventivo disposto il 9.1.2006 dal g.i.p. dello stesso
tribunale, ed eseguito il 23.1.2006, sull'area denominata ex Caserma
Donati in Sesto Fiorentino (indicata come particella 4 del foglio di mappale 58
del catasto comunale), adoperata abusivamente come centro di raccolta e di
deposito temporaneo di rifiuti vari (in particolare "smarino", cioè materiale
roccioso derivante dallo scavo di gallerie, terre da scavo, e "riciclato", cioè
materiale inerte ricavato dalla frantumazione di rifiuti provenienti da
demolizioni).
Il sequestro era collegato ad altra misura di cautela reale eseguita in
precedenza su altra area sita nel comune di Scarperia, dove la società Belvedere
2000 gestiva un cantiere, in relazione al reato di cui all'art. 51 D.Lgs.
22/1997, essendo risultato che in tale area la ESA s.r.l. aveva trasportato con
camion, senza le debite autorizzazioni, una notevole quantità di terre e rocce
provenienti dal cantiere "Fondazioni barriere fonoassorbenti e
cantierizzazione", sito appunto nell'area dell'ex Caserma Donati di Sesto
Fiorentino, dove la predetta società ESA aveva effettuato opere di demolizione
di alcune palazzine.
L'area di questa Caserma, infatti, era stata ceduta dal Ministero della Difesa e
dall'Agenzia del Demanio alla T.A.V. s.p.a., e per essa al Consorzio CAVET, allo
scopo di destinarla a facilites per la costruzione del sistema di Alta
Velocità ferroviaria, in cambio dell'obbligo della stessa T.A.V. di costruire in
altro loco a proprie spese otto palazzine di alloggi per famiglie del personale
militare, aventi le stesse caratteristiche di quelle esistenti nell'area della
Caserma e destinate alla demolizione.
In seguito, la predetta società ESA, che gestiva in subappalto i lavori della
T.A.V., aveva destinato una larga parte dell'area alla raccolta e al deposito
temporaneo di rifiuti in vista del trasferimento presso altri cantieri, nonché
alla frantumazione di materiali provenienti da demolizioni e da scavi, destinati
ad essere smaltiti altrove.
1.1 - Il pubblico ministero aveva richiesto il sequestro preventivo
dell'anzidetta area di Sesto Fiorentino in relazione a due reati contestati al
legale rappresentante della ESA s.r.l., Enrico Montigiani, e più esattamente in
ordine ai seguenti reati:
b) art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, per avere, in concorso con altri soggetti in
corso di identificazione, cagionato l'inquinamento o il pericolo concreto di
inquinamento del terreno sito all'interno dell'area dell'ex Caserma Donati di
Sesto Fiorentino, in conseguenza della mancata adozione dei necessari interventi
di bonifica, richiesti ai sensi dell'art. 17, comma 13, D.Lgs. 22/1997 in
seguito al mutamento di destinazione del sito da uso industriale a uso
residenziale;
c) art. 53 bis D.Lgs. 22/1997, per avere, in concorso con Natale Faletti e altri
soggetti in corso di identificazione, trasportato verso destinazione ignota
dall'area identificata con foglio di mappa 58 particella 4 del Catasto comunale
di Sesto Fiorentino, ovverosia dalla ex Caserma Donati, al fine di conseguire un
ingiusto profitto, ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da terre e rocce
di scavo (cod. CER 170504), senza la prescritta autorizzazione di cui all'art.
33 del citato decreto legislativo, e inoltre - il solo Montigiani - per avere
gestito gli stessi rifiuti, senza la predetta autorizzazione, con più operazioni
e mediante l'allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate.
1.2 - Il g.i.p. fiorentino, col predetto provvedimento del 9.1.2006, aveva
disposto il sequestro richiesto dal p.m., ravvisando sia il reato di cui
all'art. 53 bis, per illecito trasporto e cessione di ingenti quantitativi di
terre e rocce da scavo, sia il reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, per
la mancata bonifica del sito dopo il mutamento di destinazione da uso
industriale a uso residenziale.
1.3 - Proposta istanza di riesame contro il sequestro, il tribunale fiorentino,
prendendo in considerazione i motivi di censura formulati nella istanza, ha in
sintesi osservato quanto segue.
1.3.1 - Era ultronea la questione del mutamento di destinazione di cui all'art.
17, comma 13, del D.Lgs. 22/1997, giacché in fatto - secondo quanto rilevato nel
decreto di sequestro del g.i.p. - nell'area de qua insisteva una
discarica incontrollata di rifiuti (smarino e riciclato) gestita dalla ESA, e si
effettuavano operazioni sistematiche di frantumazione degli stessi rifiuti,
miscelati assieme ad altri (fra cui pezzi di asfalto), sicché, anche in
conseguenza della pregressa attività militare svolta nell'area, che comportava
l'uso di carburanti, armi esplosive etc., nasceva il pericolo di inquinamento,
con conseguente obbligo di bonifica.
Sotto questo profilo erano ravvisabili il fumus delicti [da intendersi in
relazione all'art. 51 bis] nonché il pericolo attuale e concreto di un
danno ambientale, che rendevano legittima la misura cautelare reale.
1.3.2 - Quanto al "reato di illegale smaltimento dei rifiuti" [da intendersi con
riferimento all'art. 53 bis], esso sussisteva anche per le terre e rocce
da scavo (tra cui è ricompreso lo smarino), giacché questi materiali - secondo
la legislazione vigente - non costituiscono rifiuti solo quando siano utilizzati
previo un processo di "caratterizzazione", cioè senza trasformazioni
preliminari, secondo le modalità previste dal progetto sottoposto a VIA ovvero,
qualora non sottoposto a VIA, da un progetto approvato dall'autorità
amministrativa competente previo parere dell'ARPA. Processo di caratterizzazione
che nel caso di specie mancava del tutto.
Anche l'invocato decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana del
25.2.2004 -secondo il tribunale del riesame - non valeva ad escludere la qualità
di rifiuto dei materiali in questione.
Che poi si trattasse di una gestione di ingenti quantità di rifiuti, come
richiesto dalla norma incriminatrice, poteva desumersi sia dalla mole di
materiali rinvenuti nell'area, vasta più di 5.000 mq, sia dalla notevole durata
dell'attività di smaltimento effettuata con più operazioni e attraverso mezzi
organizzati.
1.3.3 - La s.r.l. ESA era iscritta nel registro provinciale di cui all'art. 33,
comma 3, D.Lgs. 22/1997 solo per alcune tipologie di rifiuti, tra le quali non
rientravano però i rifiuti contraddistinti dal codice CER 170504 (terre da scavo
non pericolose).
1.3.4 - In ordine al periculum in mora, il sequestro consentiva di
impedire l'esercizio della discarica abusiva e la continuazione dell'illecito
smaltimento dei rifiuti.
2 - Il difensore del Montigiani ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo
l'annullamento dell'ordinanza sulla base dei seguenti motivi.
2.1 - Violazione dei limiti giurisdizionali posti dall'ordinamento alla
cognizione del tribunale del riesame, laddove questo ha "spostato" l'asse delle
questioni dal tredicesimo al secondo comma dell'art. 17 e dall'art. 53 bis
all'art. 51, comma 3, D.Lgs. 22/1997, così pregiudicando l'esercizio del diritto
di difesa dell'indagato, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di
legittimità (Cass. 7.5.1996, Cervati).
2.2 - Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale.
In particolare il ricorrente osserva che:
2.2.1 - in ordine al reato di cui all'art. 51 bis, non ricorreva alcun obbligo
di bonifica né ai sensi dell'art. 17, comma 13, giacché non vi era stato alcun
mutamento di destinazione urbanistica dell'area da uso industriale a uso
residenziale, né ai sensi dell'art. 17, comma 2, giacché la ipotizzata discarica
di inerti non poteva oggettivamente comportare un superamento dei limiti
accettabilità della contaminazione del suolo, atteso che gli inerti per
definizione sono tali perché, sottoposti a test di cessione a 16 giorni,
non rilasciano sostanze che possano alterare l'ambiente;
2.2.2 - in ordine al reato di cui all'art. 53 bis, non potevano ravvisarsi gli
elementi essenziali dell'abitualità delle operazioni e dell'ingente quantitativo
di rifiuti, avendo la Guardia di Finanza accertato un solo trasporto di terre.
2.2.3 - in ordine al difetto di autorizzazione della s.r.l. ESA, questa non
aveva bisogno di essere iscritta all'Albo di cui all'art. 30, comma 4, D.Lgs.
22/1997 giacché, in quanto facente parte del "Consorzio Caserma Donati",
raccoglieva e trasportava rifiuti "in conto proprio". Per riutilizzare il c.d.
riciclato doveva soltanto rispettare i requisiti prescritti dal D.M. 5.2.1998
[ai sensi degli artt. 33 e 31 D.Lgs. 22/1997], ovverosia doveva effettuare i
c.d. test di cessione, che in effetti erano stati effettuati con esito positivo;
2.2.4 - in ordine alla nozione di rifiuto, in linea generale l'art. 14 del D.L.
8.7.2002 n. 138, convertito con legge 8.8.2002 n. 178, esclude dalla categoria
dei rifiuti quei residui che possano essere e siano effettivamente riutilizzati
nel medesimo o in diverso ciclo di produzione o di consumo senza che si renda
necessaria alcuna operazione di recupero.
In linea particolare, le terre e le rocce da scavo, dopo una tormentata
evoluzione legislativa, non costituiscono rifiuti solo nel caso in cui, ancorché
inquinate, siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le
modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a
VIA, nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente previo
parere dell'ANPA, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti
una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle
norme vigenti (art. 1, comma 17, legge c.d. obiettivo n. 443 del 21.12.2001,
così come modificato dall'art. 23 legge 31.10.2003 n. 306). Ma secondo il D.L.
24.12.2003 n. 355 convertito in legge 27.2.2004 n. 47, la modifica apportata dal
predetto art. 23 si applica ai lavori in corso alla data del 30.11.2003 a
decorrere dal 31.12.2004. Nel caso di specie il riciclato e lo smarino sono
stati trasportati al cantiere sito in località "La Torre" di Scarperia da luglio
2004 al febbraio 2005; mentre le terre e le rocce da scavo sono rimaste nel
cantiere "Fondazioni, barriere fonoassorbenti e cantierizzazione" dell'ex
Caserma Donati (le terre trovate nel predetto cantiere "La Torre", infatti,
provenivano da altri cantieri).
Anche a nonna dell'art. 34 del D.P.G.R. Toscana del 25.2.2004 n. 14, le rocce e
le terre da scavo, la cui ricollocazione sia a qualsiasi titolo autorizzata
dall'autorità amministrativa competente, non sono rifiuti e non sono
assoggettati alla relativa disciplina. Nel caso di specie l'area di riporto de
qua era prevista nel progetto approvato dal comune di Scarperia, con concessione
n. 24 dell'11.5.2004.
2.3 - Difetto di motivazione in ordine al periculum in mora.
Al riguardo il ricorrente sostiene che il tribunale del riesame non ha
rispettato l'obbligo di motivare in base agli elementi concreti della
fattispecie.
2.4 - Inesistenza o mera apparenza di motivazione in ordine alla natura di
rifiuto dei materiali de quibus.
Al riguardo il ricorrente censura come apodittica l'affermazione della ordinanza
impugnata secondo cui i test analitici di parte erano largamente incompleti
nelle loro modalità.
3 - Con memoria scritta depositata il 22.6.2006 il difensore del ricorrente
insiste per l'annullamento della ordinanza impugnata sulla base dello ius
superveniens, giacché il recente testo unico in materia ambientale approvato
con D.Lgs. n. 152 del 3.4.2006 ha abrogato l'intero D.Lgs. 22/1997, non sempre
sostituendolo con norme di identico contenuto.
In particolare:
3.1 - l'art. 17, comma 13, del D.Lgs. 22/1997 non è stato riprodotto, sicché non
esiste più l'obbligo di procedere alla caratterizzazione e alla bonifica del
sito in caso di mutamento di destinazione d'uso che comporti più restrittivi
limiti di accettabilità di contaminazione ai sensi del D.M. 25.10.1999 n. 471
(che peraltro deve intendersi definitivamente abrogato);
3.2 - l'art. 185 del testo unico esclude dalla disciplina dei rifiuti i
materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare, e
quindi anche tutto il materiale rinvenuto all'interno della Caserma Donati.
L'unico vincolo che sembra restare è quello relativo ai test di cessione sugli
inerti, previsto dal D.M. 5.2.1998, che però è stato regolarmente effettuato con
esiti positivi per l'ambiente (come provato dal certificato allegato relativo a
rifiuti cod. CER 170106, cioè a miscugli o scorie di cemento, mattoni,
mattonelle e ceramiche, contenenti sostanze pericolose);
3.3 - l'art. 260 del testo unico è in continuità normativa con l'abrogato art.
53 [rette 53 bis] del D.Lgs. 22/1997, ma va letto in relazione al nuovo art. 183
n. 1 lett. i), che definisce il luogo di produzione dei rifiuti come uno o più
siti o edifici o stabilimenti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di
un'area delimitata, e al nuovo art. 185 lett. m) ed n), che - come già detto -
esclude dalla disciplina de qua i materiali e siti destinati alla difesa
militare.
Nella fattispecie concreta, quindi - secondo il difensore - viene meno la
sussistenza sia del reato di cui all'art. 51 bis sia del reato di cui all'art.
53 bis del D.Lgs. 22/1997.
Motivi della decisione
4 - Occorre preliminarmente verificare i profili di continuità o di
discontinuità normativa tra il D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, ormai abrogato, e il
sopravvenuto D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, che nella sua parte quarta ha riscritto
completamente le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati.
Perfetta continuità normativa sussiste tra l'art. 53 bis D.Lgs. 22/1997
(introdotto dall'art. 22 della legge 23.3.2001 n. 93) e il vigente art. 260
D.Lgs. 151/2006, il quale non fa altro che riprodurre le disposizioni della
norma previgente in tema di repressione penale dell'attività organizzata per il
traffico illecito di rifiuti.
Più problematico, invece, è il rapporto tra l'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 e
l'art. 257 D.Lgs. 152/2006, che disciplinano la bonifica dei siti.
Al riguardo, va anzitutto osservato che, secondo l'art. 239 D.Lgs. 156/2006, la
disciplina in tema di bonifica di siti contaminati contenuta nel titolo V della
parte IV dello stesso decreto non si applica all'abbandono dei rifiuti: infatti,
in tal caso, qualora a seguito di rimozione, d'avvio al recupero o di
smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si
accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla
caratterizzazione dell'area al fine di verificare la eventuale necessità di
effettuare la bonifica o il ripristino ambientale ai sensi dello stesso titolo
V. In tal caso, quindi, la procedura per la bonifica o il ripristino deve essere
attivata solo dopo che venga accertato il superamento dei livelli di attenzione.
La procedura operativa e
amministrativa per la bonifica dei siti è ora disciplinata dall'art. 242 D.Lgs.
156/2006 con regole che non sono completamente sovrapponibili con quelle stabilite dal previgente art. 17
D.Lgs. 22/1997, sia perché:
a) il presupposto generalmente previsto per l'apertura della procedura, secondo
la normativa previgente, consisteva nel superamento dei limiti di accettabilità
della contaminazione stabiliti con D.M. 25.10.1999 n. 471, ovvero nel pericolo
concreto e attuale del superamento dei medesimi limiti (art. 17 cit., comma 2,);
mentre, secondo la normativa vigente, l'anzidetto presupposto consiste
nell'accertamento di più precise concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)
al di sopra delle quali si apre un procedimento di caratterizzazione e di
analisi rischio sito specifica, in esito al quale, se è accertato il superamento
di concentrazione soglia di rischio (CSR), è richiesta la messa in sicurezza e
la bonifica del sito (art. 242 cit., in relazione all'art. 240);
b) uno specifico presupposto per l'apertura della procedura consisteva nel
mutamento di destinazione d'uso del sito che comportasse l'applicazione di
limiti di accettabilità più restrittivi (art. 17 cit., comma 13); ma un siffatto
presupposto non appare riprodotto negli stessi termini dalla normativa vigente.
Così comparata la procedura amministrativa della bonifica secondo le due diverse
normative, si deve quindi osservare che la struttura del reato contravvenzionale
di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 è stata ora riprodotta nella fattispecie
prevista dall'art. 257 D.Lgs. 156/2006, giacché entrambe le norme puniscono
chiunque cagiona l'inquinamento del sito se non provvede alla bonifica secondo
la relativa procedura prevista. Trattasi, secondo la interpretazione preferibile
sotto il profilo letterale e sistematico, di reato di evento a condotta libera o
reato causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di punibilità negativa.
Solo che l'evento è diversamente configurato nelle due fattispecie: a) in quella
previgente, desumibile dal combinato disposto degli artt. 17 e 51 bis, l'evento
consiste nell'inquinamento, definito come superamento dei limiti di
accettabilità previsti dal D.M. 25.10.1999 n. 471; o nel pericolo concreto e
attuale di inquinamento, in qualche modo definibile come avvicinamento ai quei
limiti di accettabilità; b) nella fattispecie vigente prevista dall'art. 257
D.Lgs. 152/2006, invece, l'evento è esclusivamente di danno, perché consiste
solo nell'inquinamento (non nel pericolo di inquinamento) ed è definito come
superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
E' da notare a questo proposito che le tabelle allegate al D.M. 471/1999, per
definire i limiti di accettabilità, coincidono con quelle inserite nell'Allegato
5 alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006 per definire le concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC); e che una volta superate le CSC si deve procedere alla
caratterizzazione e alla analisi di rischio sito specifica, in esito alla quale
se si accerta il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) si
deve far luogo alla messa in sicurezza e alla bonifica.
Ne deriva che secondo la fattispecie vigente l'evento del reato è diverso sotto
un duplice profilo: a) perché è previsto solo come evento di danno, ossia come
inquinamento; b) perché l'inquinamento è definito come superamento delle CSR,
che è un livello di rischio superiore ai livelli di attenzione individuati dalle
CSC e quindi ai livelli di accettabilità già definiti dal D.M. 471/1999. In
altri termini, l'inquinamento che perfeziona il reato di cui all'art. 257 D.Lgs.
152/2006 è più grave dell'inquinamento che perfezionava il reato di cui all'art.
51 bis D.Lgs. 22/1997.
In secondo luogo, anche la condizione obiettiva di punibilità (non provvedere
alla bonifica) è configurata nelle due fattispecie a confronto secondo
presupposti e regole procedimentali non perfettamente sovrapponibili.
Quanto al trattamento sanzionatorio, l'art. 51 bis D.Lgs 22/1997 prevedeva la
pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, mentre l'art. 257 D.Lgs. 156/2006
prevede la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda (con arrotondamento
della pena pecuniaria). Solo nel caso in cui l'inquinamento è provocato da
sostanze pericolose, sia la norma previgente che quella vigente prevedono la
pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda (sempre con arrotondamento di
quest'ultima nella norma vigente).
Concludendo sul punto, si deve mettere in evidenza che la nuova fattispecie
penale, pur avendo la stessa struttura di quella precedente, è meno grave perché
riduce l'area dell'illecito (restringendola alla condotta di chi cagiona
inquinamenti più invasivi) e attenua il trattamento sanzionatorio.
5 - Tanto premesso, si deve osservare che in ordine all'ipotizzato reato di cui
all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 i provvedimenti cautelari del g.i.p. e del
tribunale del riesame, integrati tra loro, da una parte hanno accertato - nei
limiti della cognizione cautelare - il mutamento di destinazione dell'area della
ex Caserma Donati da uso militare o industriale a uso residenziale (art. 17,
comma 13, D.Lgs. 22/1997); dall'altra hanno ritenuto che il deposito
incontrollato di smarino e riciclato nella stessa area, nonché la frantumazione
sistematica di rifiuti vari miscelati, in una col premesso uso militare
dell'area, che comportava l'impiego di carburanti e armi esplosive, avevano
cagionato un pericolo di inquinamento del sito, con il conseguente obbligo di
procedere alla bonifica (v. sopra n. 1.3.1).
I giudici cautelari non hanno invece verificato - neppure sotto il profilo del
fumus - se erano stati superati i limiti di accettabilità della contaminazione
del sito, richiamati sia dal citato comma 13 sia dal comma 2 dell'art. 17 D.Lgs.
22/1997, e stabiliti dal D.M. 25.10.1999 n. 471. In altri termini, hanno
accertato l'evento di pericolo (cioè il rischio concreto e attuale di
superamento dei predetti limiti di accettabilità) e non quello di danno
(superamento degli stessi limiti di accettabilità) del reato ipotizzato,
ovverosia hanno accertato l'astratta configurabilità del reato di cui all'art.
51 bis solo nella configurazione meno grave del pericolo di inquinamento.
Con l'avvento dello ius novum, quindi, l'accertamento compiuto in sede cautelare
non è più idoneo a far ritenere sussistente il fumus del reato di inquinamento e
di omessa bonifica del sito ai sensi della più favorevole normativa
sopravvenuta, perché manca qualsiasi verifica dell'evento inquinamento richiesto
come elemento essenziale della nuova figura criminosa.
Pertanto, sotto questo profilo il sequestro preventivo della ex Caserma Donati
non può essere confermato.
6 - Appare invece accertato il fumus del secondo reato ipotizzato, che è quello
già previsto dall'art. 53 bis del D.Lgs. 22/1997 ed è ora ugualmente previsto in
perfetta continuità normativa dall'art. 260 D.Lgs. 156/2006.
Sotto questo profilo, quindi, il sequestro preventivo mantiene la sua validità.
Invero, il giudice del riesame, con motivazione adeguata al carattere sommario
del procedimento e quindi incensurabile in questa sede, ha accertato che la
s.r.l. ESA:
a) era iscritta nel registro provinciale di cui all'art. 33, comma 3, D.Lgs.
22/1997 per il recupero di alcune tipologie di rifiuti, che non comprendevano
però le terre e rocce da scavo non pericolose, contraddistinte dal codice CER
170504;
b) tuttavia, senza esserne autorizzata, adoperava l'area della ex Caserma Donati
per raccogliere materiale roccioso proveniente dalla scavo di gallerie (smarino),
terre da scavo e "riciclato", cioè materiale inerte ricavato dalla frantumazione
di rifiuti vari provenienti da demolizioni, anche dalle demolizioni di alcune
palazzine insistenti nell'area; anzi - a quanto sembra - utilizzava la stessa
area per sistematiche operazioni di frantumazione;
c) infine, sempre senza alcuna autorizzazione, con organizzazione di mezzi e con
attività continuativa, al fine evidente di trarne profitto, trasportava ingenti
quantità dei predetti rifiuti presso il cantiere di Scarperia gestito dalla
società Belvedere 2000 e presso altri cantieri non identificati, e comunque
gestiva per lucro e abusivamente ingenti quantità di rifiuti che passavano
attraverso l'ex Caserma Donati.
Ricorre quindi l'astratta configurabilità del reato de quo, sia nei suoi
elementi materiali della condotta (gestione illecita organizzata) e dell'oggetto
(ingente quantità di rifiuti, diesumibile dalla vastità dell'area interessata,
dalla dimensione delle opere gestite in appalto, da cui provenivano i rifiuti, e
dal prolungamento nel tempo della condotta), sia nell'elemento psicologico del
dolo specifico.
7 - E' infondata la tesi difensiva secondo cui i materiali come sopra
abusivamente gestiti dall'ESA esulavano dalla categoria dei rifiuti.
Vero è che le terre e rocce da scavo sono escluse dalla disciplina dei rifiuti a
norma dell'art.8 lett. f bis) D. Lgs. 22/1997 (aggiunta dall'art. 10, comma 1,
legge 23.3.2001 n. 93); che questa disposizione è stata interpretata
estensivamente dall'art. 1, comma 17, legge 21.12.2001 n. 443, poi modificato
dall'art. 23 della legge 31.10.2003 n. 306; che infine la esclusione è stata
ribadita dall'art. 186 D.Lgs. 152/2006. Ma è altrettanto vero che, in ognuna
delle versioni della travagliata normativa sulla materia, la esclusione dalla
categoria dei rifiuti è disposta a condizione che le terre e rocce da scavo,
anche se contaminate per effetto del processo di escavazione o perforazione
entro una soglia di inquinamento tollerata, siano destinate all'effettivo
utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati.
Inoltre, la normativa che ratione temporis è applicabile al caso di
specie prevedeva e prevede un ulteriore presupposto per escludere le terre e le
rocce da scavo dalla categoria dei rifiuti, posto che esse devono essere
utilizzate "senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel
progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le
modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente
previa parere dell'ARPA". Tanto è disposto infatti dall'art. 23 della legge
31.10.2003, modificativo dell'art. 1, comma 17, legge 21.12.2001 n. 443; ed ora
è sostanzialmente confermato dall'art. 186 D.Lgs. 152/2006. (Va precisato che -
contrariamente a quanto opinato nel ricorso - è sole la modifica introdotta dal
predetto art. 23 che si applica ai lavori in corso alla data del 30.11.2003 a
decorrere dal 31.12.2004, per effetto dell'art. 23 octies del D.L. 24.12.2003 n.
355, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 legge 27.2.2004 n. 47.
Tuttavia anche questa modifica appare applicabile ratione temporis al caso
concreto, a nulla rilevando, almeno in questa sede, le mere asserzioni fattuali
del ricorrente, che peraltro ammettono un traffico di "smarino", cioè di
materiale roccioso proveniente dallo scavo di gallerie, anche in periodi
successivi al predetto 31.12.2004).
Va però sottolineato che la predetta esclusione si configura come deroga alla
regola generale che, per effetto dell'art. 7, comma 3, lett. b) D.Lgs. 22/1997,
include le terre e rocce da scavo nella categoria di rifiuti. Ne deriva che
spetta all'imputato che voglia fruire della deroga l'onere di provare il
presupposto della deroga stessa, e cioè che le predette terre e rocce sono
effettivamente destinate al reinterro, al riempimento e alle altre simili
operazioni, e che sono utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le
modalità previste nel progetto approvato dei lavori. Mentre spetta alla pubblica
accusa, che voglia includere nella categoria dei rifiuti anche le terre e rocce
da scavo effettivamente destinate al reinterro e al riempimento, dare la prova
che esse abbiano superato la soglia di inquinamento tollerata.
Ebbene, in relazione al traffico organizzato di terre e rocce da scavo gestito
dalla ESA, non solo: a) manca la dimostrazione che esse erano effettivamente
destinate al riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati; ma
inoltre: b) manca la prova che fossero utilizzate secondo le modalità previste
nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale o comunque approvato
dall'autorità competente; c) sembra esistere la prova positiva che esse, almeno
in parte, subivano trasformazioni preliminari, posto che la ESA procedeva alla
frantumazione sistematica dei rifiuti raccolti nella ex Caserma Donati prima di
trasferirli altrove.
D'altra parte, non si può sostenere che la esenzione delle terre e rocce da
scavo dalla disciplina statale sui rifiuti derivi dall'art. 34 del D.P.G.R.
25.2.2004 n. 14 della Regione Toscana, giacché questa norma (che ha natura
secondaria e regolamentare) non fa che riprodurre sostanzialmente i requisiti
richiesti per l'esenzione come sopra esaminati, e anzi richiede come ulteriore
requisito la condizione che le terre e le rocce non siano frammiste ad altre
frazioni merceologiche identificabili come rifiuti (lett. b) del comma 2), e
infine esclude espressamente dall'esenzione i materiali destinati ad una
qualunque operazione di smaltimento e i materiali inerti abbandonati sul suolo e
nel suolo (lett. a) e b) del comma 3).
A ben vedere, sostanzialmente analoga a quella testè esposta è la motivazione
adottata sul punto dal tribunale del riesame (v. sopra n. 1.3.2), anche se con
un linguaggio spesso impreciso o giuridicamente improprio: per esempio, laddove
si riferisce al reato di "illegale smaltimento dei rifiuti" (ex art. 51) invece
che a quello di traffico illecito organizzato di rifiuti (ex art. 53 bis
D.Lgs. 22/1997); oppure quando ricorre alla nozione di "caratterizzazione" (che
indica le attività tecniche usate per accertare i fenomeni di contaminazione a
carico delle matrici ambientali di un sito al fine di procedere eventualmente
alla messa in sicurezza o alla bonifica del sito medesimo: v. ora la Premessa
dell'Allegato 2 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/2006) per alludere
impropriamente alla utilizzazione senza trasformazioni preliminari delle terre e
rocce da scavo secondo le modalità previste nel progetto dei lavori.
8 - Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che i materiali de quibus
esulavano dalla categoria dei rifiuti per effetto della norma sopravvenuta di
cui all'art. 185 D.Lgs. 152/2006. Ma l'argomento è manifestamente infondato.
Com'è noto, la lettera m) dell'art. 185 esclude dalla disciplina dei rifiuti
contenuta nella parte quarta del decreto legislativo "i sistemi d'arma, i mezzi,
i materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare e
alla sicurezza nazionale, individuati con decreto del ministro della difesa,
nonché la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove
vengono immagazzinati i citati materiali, che rimangono disciplinati dalle
speciali norma di settore".
Orbene, è agevole notare che presupposto della esenzione è che le cose siano
destinate direttamente e attualmente alla difesa e alla sicurezza nazionale
(come è confermato anche dall'ultimo periodo della lettera m), secondo il quale
i magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i
materiali de quibus costituiscono opere destinate alla difesa nazionale).
Nel presente caso, invece, com'è stato già accennato in narrativa, tutto il
complesso immobiliare della Caserma Donati era stato ceduto dal Ministero della
Difesa e dall'Agenzia del Demanio alla s.p.a. TAV, e per essa al Consorzio CAVET,
per essere utilizzato ai fini della costruzione del sistema di Alta Velocità
ferroviaria. Sicché è pacifico che tutto il complesso immobiliare aveva ormai
perduto la sua destinazione militare.
Il ricorrente ha richiamato anche la lettera n) dell'art. 185, secondo la quale
sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti anche "i materiali e le infrastrutture
non ricompresi nel decreto ministeriale di cui alla lettera m), finché non è
emanato il provvedimento di dichiarazione di rifiuto ai sensi del D.P.R.
5.6.1976 n. 1076, recante il regolamento per l'amministrazione e la contabilità
degli organismi dell'esercito, della marina e dell'aeronautica".
La ratio evidente di questa disposizione è che i beni e i materiali con
destinazione militare i quali tuttavia non siano inclusi nell'apposito decreto
ministeriale restino ugualmente esclusi dalla disciplina generale sui rifiuti
sino a che non intervenga la c.d. dichiarazione fuori uso di materiali per
vetustà o per usura di cui agli artt. 361 e ss. del citato D.P.R. 1076/1976, ora
peraltro abrogato e sostituito con il D.P.R. 21.2.2006 n. 167 a decorrere dal
1.1.2007.
Basta osservare al riguardo che implicito presupposto della disposizione è
sempre la destinazione attuale delle cose a fini militari, ovverosia la
persistenza della competenza militare, perché altrimenti sarebbe impossibile per
gli organi dell'amministrazione militare procedere alla dichiarazione fuori uso
delle cose stesse. E, per quanto già rilevato, questo presupposto non è più
esistente per la ex Caserma Donati.
Tutto ciò, senza considerare che non tutti i materiali gestiti dalla ESA
rientravano nelle rocce e terre da scavo di cui al codice CER 170504, posto che
è pacifico che la società frantumava e gestiva anche materiale inerte
proveniente da demolizioni, il c.d. riciclato, che è cosa diversa dal materiale
proveniente da scavo e che ha incontestabilmente e inderogabilmente la natura di
rifiuto.
9 - Il difensore ricorrente ha anche confutato il difetto di abilitazione
rimproverato alla società ESA e al suo rappresentante legale, osservando che la
società raccoglieva e trasportava rifiuti in proprio e non per conto terzi, in
quanto trafficava solo con le altre imprese del Consorzio CAVET: sicché, a tal
fine, non aveva l'obbligo di iscriversi all'Albo nazionale delle imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti, come previsto dal comma 4 dell'art. 30
D.Lgs. 22/1997.
Questa disposizione è ora sostanzialmente riprodotta nell'art. 212 D.Lgs.
152/2006, che disciplina con gli stessi limiti l'Albo nazionale dei gestori
ambientali.
A parte la considerazione che la predetta disposizione, nella parte in cui
richiede l'abilitazione solo per la gestione dei rifiuti prodotti da terzi e la
esclude per i gestori "in conto proprio", è stata sospettata di illegittimità
costituzionale per violazione delle direttive comunitarie in materia, e che la
relativa questione è stata rimessa alla Corte costituzionale da questa stessa
sezione, al riguardo va osservato che la istituzione di un "consorzio" di
imprese, anche se importa una coordinazione organizzativa e quindi una
collaborazione più intensa di quella che si realizza nel semplice "cartello",
tuttavia non basta a vanificare la diversa soggettività giuridica delle imprese
consorziate, che conservano comunque una propria autonomia operativa. Se ne deve
concludere che la s.r.l. ESA, anche se raccoglieva e trasferiva rifiuti solo da
e verso altre imprese del Consorzio CAVET, in quanto gestiva rifiuti prodotti da
terzi, aveva l'obbligo di iscriversi nell'Albo nazionale dei gestori ambientali,
oltre che quello di essere abilitata ex art. 33 D.Lgs. 22/1997 per l'esercizio
della sua attività di recupero.
10 - Le censure formulate per vizio di motivazione non hanno ingresso in questa
sede, a mente dell'art. 325, comma 1, c.p.p..
In particolare, è inammissibile la doglianza per difetto di motivazione sul
periculum in mora. Sul punto, peraltro, il tribunale del riesame ha
sufficientemente motivato, laddove ha osservato in sostanza che esisteva un
rapporto pertinenziale tra l'area sequestrata e i reati ipotizzati e che il
sequestro impediva la prosecuzione dell'attività criminosa (anche se ha
impropriamente parlato di discarica e di smaltimento di rifiuti, che sono
fattispecie previste dall'art. 51 D.Lgs. 22/1997, e non di traffico di rifiuti o
inquinamento del sito, che sono le contestate fattispecie rispettivamente
previste dagli art. 53 bis e 51 bis D.Lgs. 22/1997).
11 - Per le considerazioni sopra svolte il ricorso va respinto nei limiti
precisati, con la conseguenza che il sequestro preventivo dell'area della ex
Caserma Donati va mantenuto. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto
del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria che detta
norma consente.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29.11.2006.
Il consigliere estensore
Il presidente
(Pierluigi Onorato)
(Enrico Papa)
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