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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
RIFIUTI - Impianto di termodistruzione di rifiuti speciali destinati
all'incenerimento con produzione in cogenerazione di energia elettrica e calore
- Illegittimità del titolo abilitativo e poteri del giudice penale - Reati in
materia ambientale (Art. 256, c, 1°, n. 1, D.Lgs, 3.4.2006, n. 152 (già art. 51,
1° c,, lett. b, D.Lgs. 5.2.1997, n. 22) - Art. 279, c, 2°, D.Lgs. 3.4.2006, n,
152 (già art. 24, c, 4, D.P.R. 24.5.1988, n. 203) - Art. 260 D.Lgs. 3.4.2006, n.
152 (già art. 53 bis D.Lgs. 5.2.1997, n. 22) - Art. 28 del D.Lgs. n. 22/1997).
La valutazione della configurabilità di reati in materia ambientale non esclude
il giudizio sulla legittimità chi atti amministrativi autorizzatori
eventualmente rilasciati ma anzi comporta necessariamente tale giudizio
(ovviamente non esteso ai profili di discrezionalità) allorché quegli atti
costituiscano presupposto o elemento costitutivo o integrativo del reato. Una
determinata attività incidente sullo stato dell'ambiente, infatti, seppure
formalmente assentita, non può svolgersi in contrasto con la disciplina di
settore risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli
ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti. Pres. Vitalone Est.
Fiale Ric. Lovato ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3 Aprile
2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n. 13676
RIFIUTI - Impianto di termodistruzione di rifiuti speciali destinati
all'incenerimento con produzione in cogenerazione di energia elettrica e calore
- Costruzione e l'esercizio - Procedure semplificate di cui all'art. 31 e segg.
del D.Lgs. n. 22/1997 - Limiti. La costruzione e l'esercizio di un impianto
di termodistruzione di rifiuti speciali destinati all'incenerimento con
produzione in cogenerazione di energia elettrica e calore risulta
illegittimamente autorizzata con le procedure semplificate di cui all'art. 31 e
segg. del D.Lgs. n. 22/1997, alle quali non può farsi ricorso per impianti non
previsti dal piano regionale, tranne che non vengano stipulati appositi accordi
di programma con il coinvolgimento dei Ministeri dell'ambiente e dell'industria
e della Regione (accordi di pianificazione inesistenti nel caso in esame). Pres.
Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez.
III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n. 13676
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - RIFIUTI - Inquinamento ambientale - "Rischio" di
una reiterazione dell'inquinamento atmosferico - Sequestro preventivo -
Legittimità - "Periculum in mora". E’ legittimo il sequestro
preventivo emesso (oltre che per interrompere la prosecuzione dell'attività di
smaltimento e recupero di rifiuti in carenza dei presupposti di legge)
fondamentalmente allo scopo di interrompere l'attività illecita dell'impianto in
questione con riferimento all'emissione di diossine, quanto meno fino al sicuro
accertamento delle cause ed all'adozione dei rimedi occorrenti (nella specie,
anche in ottemperanza alla determinazione dirigenziale della Provincia). Pres.
Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez.
III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n. 13676
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - PROCEDURE E VARIE - Reati in materia ambientale -
Illegittimità sostanziale di un titolo autorizzatorio amministrativo - Poteri
del giudice penale. Il giudice penale, allorquando accerta profili di
illegittimità sostanziale di un titolo autorizzatorio amministrativo, procede ad
un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere
alcuna "disapplicazione" del provvedimento medesimo, né incide, con indebita
ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita
un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione
normativa incriminatrice. Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri.
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007),
Sentenza n. 13676
PROCEDURE E VARIE - Provvedimenti di sequestro - Riesame - Limiti -
Fattispecie: Reati in materia ambientale. L'accertata esistenza di profili
assolutamente eclatanti di illegalità (anche a prescindere da eventuali
collusioni dolose con organi dell'amministrazione) costituisce un significativo
indice di riscontro dell'elemento soggettivo del reato contestato pure riguardo
all'apprezzamento della colpa. Spetta in ogni caso al giudice del merito, e non
certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in
concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
(Fattispecie: sequestro preventivo di un impianto di termodistruzione di rifiuti
speciali destinati all'incenerimento con produzione in cogenerazione di energia
elettrica e calore) - Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri. CORTE
DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n.
13676
PROCEDURE E VARIE - Reati in materia ambientale - Provvedimenti di sequestro
- Condizioni di applicabilità - Fumus boni iuris - Art. 321 c.p.p..
L'art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di
applicabilità del sequestro, né può ritenersi applicabile l'art. 273 dello
stesso codice di rito, dettato per le misure cautelari personali e non
richiamato in materia di misure cautelari reali. Ne consegue che, ai fini
dell'adozione del sequestro, è sufficiente la presenza di un "fumus boni
iuris" e cioè l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato.
Pertanto, il decreto che dispone il sequestro preventivo non deve essere
motivato in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla
fondatezza dell'accusa ed alla probabilità di condanna dell'indagato (vedi
Cass., Sez. I, 31.5.1997, n. 2396). Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed
altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic.
2007), Sentenza n. 13676
PROCEDURE E VARIE - Reati in materia ambientale - Provvedimenti di sequestro
- Configurabilità di un reato a "prima facie” - Necessità. Ai fini
dell'applicazione di un provvedimento di sequestro, è necessario accertare la
configurabilità di un reato nella sua accezione naturalistica e "prima facie",
senza l'esame di questioni attinenti al giudizio di cognizione (vedi Casa., Sez.
III, 16.1.1993, n. 2321). Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri.
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007),
Sentenza n. 13676
PROCEDURE E VARIE - Reati in materia ambientale - Provvedimenti di sequestro
preventivo dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari - Poteri del
P.M. - art. 407, c. 3, c.p.p.. Il pubblico ministero può chiedere al giudice
l'applicazione del sequestro preventivo anche dopo la scadenza del termine delle
indagini preliminari, purché tale richiesta non sia fondata sul risultato di
atti di indagine compiuti dopo la scadenza del medesimo termine, in quanto la
sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 407, comma 3, c.p.p. concerne solo
gli atti di indagine aventi efficacia probatoria, nel cui ambito non sono
compresi i sequestri preventivi, che mirano ad impedire la prosecuzione della,
condotta vietata (Cass.: Sez. III, 21.6.2003, n. 27153, P.M. in proc. Falduto;
Sez. II, 2.12.2003, n. 46278, Marchi). La sanzione di inutilizzabilità prevista
dall'art. 407, 3° comma, c.p.p. non opera in relazione agli atti che siano stati
assunti nell'ambito di indagini diverse volte ad individuare i soggetti
responsabili di altri reati, trattandosi di sanzione geneticamente connessa alle
indagini endoprocessuali (vedi Cass., Sez. 28.5.2004, n. 24564). Pres. Vitalone
Est. Fiale Ric. Lovato ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 3
Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n. 13676
Udienza in Camera di Consiglio del
15.12.2006
SENTENZA N. 1336
REG. GENERALE n. 39698/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill. mi Signori
1. Dott. Claudio Vitalone Presidente
2. Dott. Claudia Squassone Componente
3. Dott. Aldo Fiale Componente
4. Dott. Amedeo Franco Componente
5. Dott. Margherita Marmo Componente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. - LOVATO Roberto, n.a. xxx il xxx;
2. - COZZI Walter, n.a. xxx il xxx;
avverso l'ordinanza 3.10.2006 del Tribunale del riesame di Udine;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del dr. Mario Fraticelli che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, avv.to Giuseppe Capeis, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Udine, in data 12.8.2006, disponeva il sequestro
preventivo di un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali destinati
all'incenerimento con produzione in cogenerazione di energia elettrica e calore,
sito nel Comune di Manzano e gestito dalla s.p.a. "Nuova Romano Bolzicco".
Detto sequestro veniva disposto in relazione ai seguenti reati, ipotizzati nei
confronti di Lovato Roberto e Cozzi Walter, nelle rispettive qualità di
presidente del consiglio di amministrazione della società e di responsabile di
gestione dell'impianto:
- reato di cui all'art. 256, comma 1°, n. 1, D.Lgs, 3.4.2006, n. 152 (già art.
51, 1° comma, lett. b, D.Lgs. 5.2.1997, n. 22), per avere disposto ovvero non
impedito l'effettuazione, in assenza di legittima autorizzazione, di un'attività
di smaltimento di rifiuti non pericolosi propri e di terzi, a mezzo la loro
termodistruzione;
- reato di cui all'art. 256, comma 1°, n. 1, D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (già art.
51, 1° comma, lett. a, D.Lgs. 5.2.1997, n. 22), per avere disposto ovvero non
impedito l'effettuazione, in assenza di legittima autorizzazione, di un'attività
di trattamento termico e di recupero energetico, a mezzo la termovalorizzazione
di rifiuti non pericolosi illegittimamente svolta secondo le procedure
semplificate in assenza dei relativi presupposti;
- reato dì cui all'art. 279, comma 2°, D.Lgs. 3.4.2006, n, 152 (già art. 24,
comma 4, D.P.R. 24.5.1988, n. 203), per avere, nell'esercizio dell'impianto di
termovalorizzazione di rifiuti, omesso di osservare le limitazioni imposte dal
decreto autorizzativo ministeriale in relazione alle emissioni, provvedendo in
particolare alla termodistruzione di tipologie di rifiuti per i quali non era
stata attivata la comunicazione per procedere a recupero energetico;
- reato di cui all'art. 279, comma 2°, D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, per avere (in
data 6.3.2006 e 25.5.2006) superato i valori limite di emissione autorizzati,
con riferimento alle policlorodibenzodiossine (PCDD) ed ai
policlorodibenzofurani (PCDF);
reato di cui all'art. 260 D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (già art. 53 bis D.Lgs.
5.2.1997, n. 22), per avere, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più
operazioni ed attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuative
organizzate, gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti non pericolosi
prodotti da più aziende facenti capo a società diverse, alcune delle quali
riconducibili al Lovato o alla sua famiglia.
Con riferimento ai medesimi reati veniva altresì disposto sequestro probatorio
di documentazione varia in data 11.9.2006.
Il Tribunale di Udine - con ordinanza del 3.10.2006 - rigettava l'istanza di
riesame proposta nell'interesse degli anzidetti indagati.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la difesa del Lovato e del Cozzi,
eccependone la illegittimità:
- per omessa valutazione di documenti difensivi decisivi, dai quali emergeva la
prova della mera occasionalità dei due contestati superamenti dei limiti di
emissione di diossine in atmosfera (che, anche a non considerarli conseguenze di
anomalie di rilevazione, sarebbero dipesi da un cattivo funzionamento
dell'impianto di natura eccezionale), nonché la dimostrazione che,
successivamente al 23.5.2006, nonostante l'impianto avesse continuato ad
operare, episodi di quel tipo non si erano più verificati, avendo la società
posto in essere - anche in ottemperanza ad una determinazione provinciale del
18.8.2006 - significativi interventi di miglioramento del processo di
combustione e di quello di trattamento degli effluenti, considerati dall'ARPA
"idonei a portare ad una riduzione delle concentrazioni di PCDD e PCDF presenti
nei fumi".
Il Tribunale aveva altresì del tutto omesso di valutare, al riguardo, il parere
del professore Carlo Malinconico (ordinario di diritto dell'Unione europea
presso l'Università di Udine), rilasciato su richiesta della Provincia di Udine,
attestante la legittimità della procedura semplificata di rilascio
dell'autorizzazione alla realizzazione dell'impianto di termovalorizzazione;
- per l'insussistenza dell'elemento oggettiva dei reati di cui agli artt. 256 e
260 del D.Lgs. n. 152/2006, essendo stata erroneamente affermata la
"macroscopica illegittimità" dell'autorizzazione all'attività di recupero e
gestione di rifiuti rilasciata alla società (ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/1997)
con provvedimento 27.1.1998 della Provincia dì Udine, successivamente integrato
con determinazioni dirigenziali del 24.3.1998 e del 3(14.2004.
Secondo la prospettazione difensiva, in ogni caso, per il principio si stretta
legalità in diritto penale, "non è ammissibile l'equiparazione dell'assenza di
autorizzazione all'illegittimità della stessa" ed il giudice non deve
trasformare il controllo di legittimità in un sindacato di merito sull'atto
amministrativo;
- per l'insussistenza dell'elemento soggettivo dei medesimi reati di cui agli
artt. 256 e 260 del D.Lgs. n. 152/2006, dovendosi escludere una qualsiasi
collusione criminosa in danno della pubblica Amministrazione e risultando ad
evidenza la buona fede degli indagati a fronte di un provvedimento
autorizzatorio amministrativo che non presenta elementi di illegittimità
macroscopica;
- per la violazione dell'art. 407, comma 3°, c.p.p., in quanto nella specie sono
stati riuniti due procedimenti penali, rispettivamente iscritti negli anni 2001
e 2006. Il secondo di tali procedimenti riguarda esclusivamente le emissioni in
atmosfera eppure risultano effettuate indagini, riferite a tutti i reati
ipotizzati, sino alla data del 4.7.2006, cioè oltre il termine di durata massima
fissato appunto dall'art. 407, 1° comma, c.p.p. per il compimento delle indagini
preliminari;
- per la mancata declaratoria di nullità delle analisi dei fumi conseguenti ai
campionamenti effettuati in data 6.3.2006 e 25.5.2006 con mancato rispetto delle
prescrizioni poste dall'art. 223 disp. att. c.p.p., non essendo stata concessa
alle parti la facoltà di intervenire alla fase delle analisi dei campioni,
poiché non avvisate della data e del luogo di svolgimento delle stesse.
I difensori degli indagati hanno poi depositato tre memorie ad ulteriore
illustrazione e specificazione delle doglianze dianzi compendiate.
**********
Il ricorso deve essere rigettato, poiché le eccezioni in esso svolte non valgono
ad inficiare la legittimità della misura cautelare reale adottata.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:
- l'art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di
applicabilità del sequestro, né può ritenersi applicabile l'art. 273 dello
stesso codice di rito, dettato per le misure cautelari personali e non
richiamato in materia di misure cautelari reali. Ne consegue che, ai fini
dell'adozione del sequestro, è sufficiente la presenza di un "fumus boni
iuris" e cioè l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato.
Pertanto, il decreto che dispone il sequestro preventivo non deve essere
motivato in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla
fondatezza dell'accusa ed alla probabilità di condanna dell'indagato (vedi
Cass., Sez. I, 31.5.1997, n. 2396);
- ai fini dell'applicazione di un provvedimento di sequestro, è necessario
accertare la configurabilità di un reato nella sua accezione naturalistica e
"prima facie", senza l'esame di questioni attinenti al giudizio di cognizione
(vedi Casa., Sez. III, 16.1.1993, n. 2321).
Alla stregua dei principi anzidetti va valutata la legittimità dell'ordinanza impugnata.
2. Quanto ai reati ipotizzati in relazione all'attività di raccolta e gestione
di rifiuti non pericolosi con trattamento termico e di recupero energetico, il
Tribunale ha evidenziato l'effettiva esistenza di un'autorizzazione, rilasciata
alla società "Nuova Romano Bolzicco" (ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/1997) con
provvedimento 27.1.1998 della Provincia di Udine, successivamente integrata con
determinazioni dirigenziali del 24.3.1998 e del 30.4.2004.
Detti provvedimenti sono stati ritenuti: "macroscopicamente illegittimi" per
violazione di legge", in quanto adottati in contrasto con la disposizione di cui
all'art. 43 del Piano provinciale per lo smaltimento dei rifiuti (adottato dalla
Provincia di Udine in data 20.12.1993), che impone per gli impianti di
incenerimento il rispetto della distanza minima di un chilometro dai centri
abitati (distanza minima che, nella specie, pacificamente non risulta osservata,
poiché l'impianto dista circa 530 mt. da una zona abitativa); nonché
"inefficaci", in quanto non preceduti dalla preventiva procedura di V.I.A.
regionale.
Secondo la prospettazione accusatoria, inoltre, la costruzione e l'esercizio
dell'impianto in oggetto risulta illegittimamente autorizzata con le procedure
semplificate di cui all'art. 31 e segg. del D.Lgs. n. 22/1997, alle quali non
può farsi ricorso per impianti non previsti dal piano regionale, tranne che non
vengano stipulati appositi accordi di programma con il coinvolgimento dei
Ministeri dell'ambiente e dell'industria e della Regione (accordi di
pianificazione inesistenti nel caso in esame).
2.1 La Provincia di Udine:
- ha ritenuto che la prescrizione della distanza minima di un chilometro dal
centro abitato, quale vincolo territoriale di localizzazione posto dal Piano di
smaltimento dei rifiuti, dovesse applicarsi esclusivamente agli impianti
(diversi da quello in esame) "aventi valenza comprensoriale", a quelli cioè
posti "a servizio di uno o più bacini e, quindi, necessariamente, operanti in
conto terzi";
- ha considerato che la s.p.a. "Nuova Romano Bolzicco" non soggiacerebbe a tale
vincolo, perché avrebbe smaltito nell'impianto in oggetto soltanto i rifiuti
derivanti dalla produzione delle proprie sedi operative nonché da quelle di
altre società nelle quali la "Nuova Romano Bolzicco" aveva partecipazioni
azionarie o che partecipavano alle azioni di essa;
- ha ritenuto che nella specie, dunque, si fosse in presenza di un impianto di
smaltimento di rifiuti "per conto proprio", la cui localizzazione non deve
essere effettuata dal piano provinciale di smaltimento dei rifiuti ai sensi
dell'art. 23 bis della legge regionale n. 30 del 1987, realizzandosi la finalità
di consentire lo smaltimento dei rifiuti in loco, senza la loro movimentazione;
- ha considerato valida la comunicazione di inizio dell'attività, prevista dal
regime semplificato di cui agli arti 31 e 33 del D.Lgs. 22/1997, anche con
riferimento a rifiuti non indicati dall'autorizzazione originaria, purché
contemplati nel D.M. previsto dallo stesso art. 31, pure se provenienti da
"società azioniste della Nuova Romano Bolzicco e, come tali, comproprietarie
dell'impianto di termodistruzione": tali società - anche secondo il parere reso
dal prof. Malinconico - farebbero comunque parte di un unico "gruppo", "in
quanto concorrono al medesimo obiettivo comune di produzione".
2.2 La illegittimità delle determinazioni provinciali, invece, nell'impugnata
ordinanza, è stata razionalmente configurata secondo i seguenti essenziali
profili:
- esse si fondano su una pretesa "interpretazione" del piano di smaltimento dei
rifugi, che sostanzialmente ne restringe l'ambito di applicabilità pur in
assenza dell'adozione del necessario procedimento di modifica dello strumento
pianificatorio;
- la distanza di 1 km. dai centri abitati, prescritta perentoriamente dal piano,
si giustifica per motivi igienico-sanitari, che rimangono invariati sia che
l'impianto smaltisca rifiuti dalla stessa società o dalle società facenti parte
di un "gruppo" sia che smaltisca rifiuti prodotti da terzi;
- nella specie non si rientra nella nozione di "gruppo", posta dall'ari
2359 cod. civ., né è
ravvisabile alcuna situazione di "controllo" o "collegamento
societario" da cui possano scaturire effetti rilevanti sotto i profili
civilistici od amministrativi. Alcune società (una delle quali avente sede anche
filali del territorio regionale) - addirittura - erano state ricondotte alla
nozione di "gruppo", e quindi autorizzate a conferire i propri rifiuti presso
l'impianto in oggetto, sul presupposto che esse "avevano acquistato ciascuna una
sola azione per l'importo di 0,52 curo" [eclatantemente erroneo appare, al
riguardo, l'assunto secondo il quale anche il legittimo titolare di un'unica
azione societaria sarebbe "comproprietario" delle strutture aziendali della
stessa società].
2.3 A fronte dei profili di illegittimità dianzi compendiati, ritiene questo
Collegio [pure a fronte delle argomentazioni svolte nella memoria presentata dal
difensore avv.to Padovani] di dover affermare e ribadire i principi secondo i
quali:
a) la valutazione della configurabilità di reati in materia ambientale non
esclude il giudizio sulla legittimità chi atti amministrativi autorizzatori
eventualmente rilasciati ma anzi comporta necessariamente tale giudizio
(ovviamente non esteso ai profili di discrezionalità) allorché quegli atti
costituiscano presupposto o elemento costitutivo o integrativo del reato. Una
determinata attività incidente sullo stato dell'ambiente, infatti, seppure
formalmente assentita, non può svolgersi in contrasto con la disciplina di
settore risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli
ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti;
b) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale
di un titolo autorizzatorio amministrativo, procede ad un'identificazione in
concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna
"disapplicazione" del provvedimento medesimo, né incide, con indebita ingerenza,
sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere
che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa
incriminatrice;
c) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità (anche
a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione)
costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo del
reato contestato pure riguardo all'apprezzamento della colpa;
d) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame
di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali
situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il pubblico ministero può
chiedere al giudice l'applicazione del sequestro preventivo anche dopo la
scadenza del termine delle indagini preliminari, purché tale richiesta non sia
fondata sul risultato di atti di indagine compiuti dopo la scadenza del medesimo
termine, in quanto la sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 407, comma 3,
c.p.p. concerne solo gli atti di indagine aventi efficacia probatoria, nel cui
ambito non sono compresi i sequestri preventivi, che mirano ad impedire la
prosecuzione della, condotta vietata (Cass.: Sez. III, 21.6.2003, n. 27153, P.M.
in proc. Falduto; Sez. II, 2.12.2003, n. 46278, Marchi).
Nella specie il Tribunale ha rilevato che non si configura l'invocata ipotesi di
intervenuta scadenza del termine delle indagini preliminari, avendo la (seconda)
notizia di reato trasmessa in data 15.5.2006 (relativa all'inquinamento
atmosferico cagionato dall'impianto) determinato la decorrenza di nuovi termini
a norma dell'art. 407 c.p.p.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è orientata, al riguardo, nel senso
che la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 407, 3° comma, c.p.p. non
opera in relazione agli atti che siano stati assunti nell'ambito di indagini
diverse volte ad individuare i soggetti responsabili di altri reati, trattandosi
di sanzione geneticamente connessa alle indagini endoprocessuali (vedi Cass.,
Sez. 28.5.2004, n. 24564).
In ogni caso, per quanto qui interessa, la misura di cautela reale risulta
essenzialmente correlata al pericolo di inquinamento atmosferico (individuato
sulla base di investigazioni sicuramente tempestive), sicché in questa fase è
irrilevante effettuare un accertamento precipuo degli atti di indagine,
singolarmente considerati, utilizzabili in concreto ai fini della valutazione
della legittimità dell'installazione e della gestione dell'impianto.
4. In relazione alla denunciata irregolarità dei due campionamenti, il Tribunale
ha rilevato che effettivamente il primo di essi venne eseguito senza il rispetto
delle formalità di cui all'art. 223 disp. att. c.p.p., in quanto pertinente ad
attività di controllo di natura amministrativa. Il secondo prelievo, invece (che
non risulta disposto dal P.M.), venne effettuato alla presenza del Lovato e di
un consulente della società e le parti vennero messe in condizione di
interloquire e di formulare eventuali richieste ed osservazioni anche di
carattere tecnico e procedurale.
5. Quanto al "periculum in mora", infine, con argomentazioni logiche e
coerenti il Tribunale ha ritenuto che il sequestro preventivo è stato
legittimamente emesso (oltre che per interrompere la prosecuzione dell'attività
di smaltimento e recupero di rifiuti in carenza dei presupposti di legge)
fondamentalmente allo scopo di interrompere l'attività illecita dell'impianto in
questione con riferimento all'emissione di diossine, quanto meno fino al sicuro
accertamento delle cause ed all'adozione dei rimedi occorrenti anche in
ottemperanza alla determinazione dirigenziale della Provincia emessa in data
18.8.2006.
La suddetta determinazione provinciale del 18.8.2006 ha fatto seguito ad una
nota dell'ARPA, con la quale quell'Agenzia aveva comunicato che la società
"Nuova Romano Bolzicco" aveva già posto in essere interventi che "possono
risultare significativi per quanto riguarda il miglioramento del processo di
combustione e di trattamento degli effluenti e possano, quindi, portare ad una
riduzione delle concentrazioni di PCDD e PCDF presenti nei fumi".
Trattasi, pertanto, di una valutazione espressa in termini di mera
"possibilità", che deve trovare riscontri e conferme alla stregua delle misure
successivamente prescritte dalla Provincia ed in particolare dopo la
presentazione e l'attuazione di "un organico progetto di adeguamento/revisione
dell'impianto al fine di garantire il rispetto dei limiti imposti dalla
normativa vigente in qualunque situazione operativa".
Razionalmente perciò il Tribunale ha ritenuto sussistente, all'epoca della
propria delibazione, il "rischio" di una reiterazione dell'inquinamento
atmosferico già constatato e ciò vale anche in seguito alla constatazione, da
parte della stessa ARPA (vedi nota del 29.11.2006, depositata con la memoria del
4.12.2006), della conformità alla determinazione provinciale delle soluzioni
tecniche proposte fina non ancora attuate né sperimentate].
Giova ricordare da ultimo, in proposito, che la società è stata autorizzata dal
Tribunale di Udine, "fermo restando per il rimanente il sequestro preventivo,
alle operazioni necessarie a dare attuazione alla Determinazione dirigenziale
della Provincia di Udine in data 18.8.2006, a condizione che tanto possa
avvenire in assenza di qualsiasi pericolo di inquinamento ambientale
che sarà oggetto di costante verifica a cura dell'ARPA" (vedi l'ordinanza del
7.11.2006, allegata alla memoria difensiva depositata il 24 novembre).
6. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del
merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza
in sede di cautela non può dubitarsi, le contrarie argomentazioni svolte dai
ricorrenti non valgono certo ad escludere la legittimità della misura adottata.
Al rigetto del ricorso segue l'onere solidale delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 15.12.2006.
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