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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
URBANISTICA E EDILIZIA - Condominio - Indennità di sopraelevazione - Ultimo
piano dell’edificio - Aumento della superficie e della volumetria - Ius
aedificandi - Esercizio dello ius dominii - Art. 1127 cod. civ..
L’indennità di sopraelevazione, di cui all’art. 1127 cod. civ., è dovuta, quale
conseguenza della realizzazione del nuovo piano, in ogni ipotesi di costruzione
oltre l’ultimo piano, indipendentemente dall’entità dell’innalzamento stesso.
Quel che conta è che vi sta stato un aumento della superficie e della
volumetria, indipendentemente dal fatto che esso dipenda o meno
dall’innalzamento dell’altezza del fabbricato. Presidente V. Carbone, Relatore
G. Settimj, Ric. Lauriola. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Civili del
30/07/2007 (C.C. 16/11/2006), Sentenza n. 16794
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Sigg.:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Pasquale Lauriola impugna per cassazione, con cinque motivi e sotto vari
profili, la sentenza 18.2.02 n. 101 con la quale la corte d'appello di Trenta ne
ha respinto l'appello proposto avverso la sentenza del tribunale del luogo
26.3.01 n. 396 che, accogliendo la domanda d'accertamento e liquidazione del
diritto all'indennità di sopraelevazione di cui all'art. 1127/IV avanzata nei
suoi confronti da Ernesto Imoscopi, Franco Fedel, Giorgio Broseghini ed
Ermelinda Mancini, come lui partecipanti al condominio "Cristina", lo aveva
condannato al pagamento in favore degli stessi della pretesa indennità, quindi
delle somme per ciascuno determinate in base alla norma de qua con interessi e
rivalutazione, per aver trasformato in unità immobiliari abitabili un _locale
sottotetto di sua proprietà.
Resistono gli intimati con controricorso.
Per quanto interessa in questa sede, con il primo ed il secondo motivo il
ricorrente - denunziando violazione degli artt. 1127 CC anche in relazione
all'art. 12 delle disp. pref. CC e vizi di motivazione - censura l'impugnata
sentenza nella parte in cui, recependo l'indirizzo prevalente nella
giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto doversi ricondurre il caso in esame -
id est dell'operata trasformazione dell'originario sottotetto da parte
del proprietario esclusivo di esso, nel 1985, in abitazione mediante lavori
interni e, nel 1996, in due nuove unità abitative, poi alienate a terzi,
mediante demolizione dell'originaria copertura, innalzamento di 50 centimetri
dei muri perimetrali, ricostruzione della copertura - alla fattispecie della
sopraelevazione regolata dall'art. 1127 CC, questa ritenendo ravvisabile ogni
qual volta l'opera realizzata non sia limitata alle sole modificazioni interne
del sottotetto nel rispetto delle strutture originarie del fabbricato, ma
determini anche un ampliamento di queste ultime, nella specie attraverso
l'elevazione dell'originaria altezza dell'edificio ed il proporzionale
spostamento in alto della sua copertura.
Prendendo lo spunto dall'opinione - difforme rispetto alla prevalente cui si è
uniformato il giudice a quo - espressa da Cass. 22.5.00 n. 6643 e da alcune
altre pronunzie nel precedente stesso richiamate, sostiene il ricorrente che il
disposto dell'art. 1127/IV CC possa trovare applicazione nei soli casi di
realizzazione di veri e propri nuovi piani o di nuove fabbriche, non anche nel
caso di semplice trasformazione di locali preesistenti mediante l'innalzamento
dei muri perimetrali e del tetto, ciò che, a suo avviso, non determinerebbe una
maggiore utilizzazione dell'area sulla quale sorge il comune edificio mediante
ulteriore sfruttamento della colonna d'aria sovrastante.
Discussa la causa innanzi alla seconda Sezione civile, questa, con ordinanza
28.1.05, ha rimesso la causa al Primo Presidente, in considerazione della
rilevata difformità d'orientamenti, interna anche alla medesima sezione, sulla
questione dei limiti d'operatività dell' art. 1127 CC.
Della quale difformità d'orientamenti queste SS.UU. sono state, quindi, chiamate
a decidere per la soluzione del contrasto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La questione di diritto da risolvere per decidere la controversia rientra nel
più ampio ambito della disciplina della costruzione sopra l'ultimo piano
dell'edificio condominiale, con particolare riferimento ai presupposti genetici
dell'obbligazione d'indennizzo imposta, ex lege, a carico del condomino
che sopraeleva ed in favore degli altri condomini; il che richiede la previa
puntualizzazione dei principi regolatori del diritto di proprietà sulle
costruzioni rispetto a quello del suolo sul quale sono realizzate, quindi
dell'assetto dei beni ricompresi nell'edificio soggetto al regime del condominio
nonché delle implicazioni della deroga pattizia o legale al principio
dell'accessione.
A tal fine va, preliminarmente considerato come lo ius aedificandi
costituisca, compatibilmente con la disciplina pubblicistica, una delle più
significative tra le facoltà nelle quali si estrinseca l'esercizio del diritto
di proprietà su di un terreno - pur ove non rappresenti una forma diretta ed
immediata dell'esercizio stesso dello ius dominii, come anche ritenuto in
dottrina - donde la previsione normativa, ex art. 934 CC, dell'automatico
acquisto della proprietà della costruzione e parimenti di tutto ciò che venga
comunque stabilmente unito al suolo, salvi i contemperamenti previsti dalle
norme successive, in capo al proprietario di questo, giusta il richiamato
principio onde quidquid inaedificatur solo cedit.
Gli effetti del quale non cambiano nell'ipotesi di comunione pro indiviso del
suolo, nel qual caso a tutti i partecipanti spetta il diritto di edificare ed in
favore di tutti si accresce pro quota l'oggetto dell'attività edificatoria che
viene a far parte della comune proprietà, eppertanto, ove l'un d'essi tale
diritto eserciti, edificando sul suolo comune o sopraelevando l'edificio comune,
non potrebbe impedire che la nuova costruzione diventi anch'essa comune a tutti
i proprietari dell'area e della costruzione preesistente.
Non di meno, l'ordinamento non esclude la possibilità di deroghe pattizie al
principio dell'accessione, consentendo che la proprietà delle costruzioni, o
delle opere comunque stabilmente unite al terreno, si acquisisca da persona
diversa dal dominus soli in virtù di titolo, vale a dire in virtù di un atto
negoziale con il quale quest'ultimo rinunci all'acquisto che si verificherebbe
altrimenti in suo favore sulla base dei principi dell'accessione, od anche,
qualora tale acquisto siasi già verificato, in virtù di un atto con il quale
egli, scindendo in entità distinte le due componenti del complesso immobiliare,
suolo e costruzione ad esso incorporata, trattenga per sé la proprietà dell'uno
e trasferisca a terzi quella dell'altra, ciò che può realizzarsi,
rispettivamente, concedendo al terzo il diritto di costruire sul terreno e,
quindi, di conseguire la proprietà superficiaria per effetto della costruzione
(art. 952 comma 1° CC), od alienando al terzo la costruzione già esistente e
costituendo così la proprietà separata di essa (art. 952 comma 2° CC), con le
diverse conseguenze, rispettivamente, che il diritto di superficie conferisce al
titolare il diritto di soprelevazione e di ricostruzione anche in caso di
perimento dell'edificio, mentre la proprietà su perficiaria separata circoscrive
il diritto all'immobile esistente e si protrae solo sin quando l'immobile stesso
permane.
Lo stesso ordinamento, oltre a consentire l'esaminata possibilità d'una deroga
pattizia e quindi eventuale al principio dell'accessione, espressamente pone,
poi, una deroga - deroga, questa, normativa, ma che non osta a diversa
regolamentazione per volontà delle parti - in materia d'edifici condominiali.
Il che si verifica laddove si abbiano più proprietà sovrapposte, più diritti di
dominio esclusivo aventi ciascuno ad oggetto una porzione immobiliare distinta
ed autonoma nell'ambito dell'edificio ma che tutte insistono sulla medesima
area, la quale area resta, per contro, pro quota, in proprietà indivisa di tutti
i condomini al pari delle altre parti comuni dell'edificio, secondo la
previsione dell'art. 1117 CC; quale conseguenza dell'attività negoziale che dà
origine a più proprietà esclusive sui piani o sulle porzioni di piano,
relativamente al fabbricato insorge il cosiddetto "regime dualista", consistente
nella proprietà esclusiva dei piani o delle porzioni di piano e nella proprietà
comune delle cose, degli impianti e dei servizi destinati all'uso comune.
Tale caratteristica, correlata ai principi regolatori della superficie e
dell'accessione, costituisce, me é stato evidenziato in dottrina, la ragione
giustificativa della disposizione del primo comma dell'art. 1127 CC e della
differente regolamentazione rispetto alla comunione pro indiviso, in quanto
l'attribuzione d'un diritto di proprietà esclusiva su ciascuna delle dette
porzioni immobiliari sovrapposte, di volta in volta, prima al suolo e poi alle
porzioni sottostanti precedentemente realizzate - e, quindi, la costituzione di
una proprietà superficiaria in favore di quella realizzata al di sopra delle
preesistenti, viene necessariamente a spostare verso l'alto il diritto di
superficie e, contestualmente, la connessa accessione di quanto realizzato in
seguito al di sopra di quest'ultima, atteso che, di per sé, la costituzione del
diritto di superficie importa rinunzia all'accessione da parte del concedente il
diritto (proprietario o condomino del suolo) ed acquisto di tale potere (di
acquisto per accessione) nel superficiario.
Come, dunque, le opere e costruzioni fatte all'interno di un piano od autonoma
porzione di esso accedono, in ragione della proprietà individuale e separata
della porzione immobiliare considerata, al proprietario di questa e non a tutti
i partecipanti al condominio, così le costruzioni eseguite sopra l'ultimo piano
accedono, in ragione dell'espresso disposto normativo e salva diversa previsione
del titolo, al proprietario di questo e non ai proprietari dei piani
sottostanti.
Di tal che, man mano che la proprietà superficiaria viene spostata verso l'alto
con la costruzione di nuovi piani, in virtù del diritto di superficie il
proprietario dell'ultimo piano beneficia del dir itto di soprelevazione e
acquista quanto viene costruito sopra.
Nell'ipotesi in cui l'ultimo piano sia diviso in più porzioni immobiliari
ciascuna in proprietà separata di soggetti diversi, ciascuno di questi, in
quanto proprietario d'una singola porzione dell'ultimo piano, ha la facoltà di
soprelevare, con la limitazione, peraltro, derivante dal fatto che il diritto di
ciascun proprietario delle singole porzioni costituenti l'ultimo piano si
estende relativamente alla proiezione verticale della sola porzione
appartenentegli.
Diversamente, ove la proprietà dell'ultimo piano appartenga in comunione a più
soggetti pro indiviso, non possono che applicarsi le regole della comunione in
generale, con la conseguenza che i comproprietari non possono esercitare il
diritto di soprelevazione pro quota ma, salvo diverso accordo, devono
esercitarlo congiuntamente, con l'effetto tipico dell'accessione sulla
superficie, ragion per cui - una volta venuta ad esistenza la nuova costruzione
- la comunione pro indiviso si estende alla costruzione soprelevata.
Le considerazioni che precedono non sono inficiate dalla lettera della legge,
che il diritto di soprelevazione attribuisce al proprietario dell'ultimo piano
dell'edificio, né dalla considerazione che l'art. 1117 n. 1 CC attribuisce la
proprietà comune del lastrico solare a tutti i condomini dell'edificio.
Quanto all'attribuzione del diritto di soprelevazione, l'uso del predicato al
singolare non assume rilevanza alcuna: dacché il diritto di soprelevazione non è
attribuito in considerazione della presenza d'un unico proprietario, ma in
ragione della posizione del piano nel fabbricato, i principi valgono allo stesso
modo quando i partecipanti sono uno o più d'uno; la proprietà comune del
lastrico solare, poi, non influisce sulla soluzione della titolarità del diritto
di soprelevazione, dacché, in seguito alla costruzione sopra l'ultimo piano, il
lastrico solare, che adempie alla funzione di copertura dell'edificio ed in
ragione di essa è bene comune, si sposta in altezza e la proprietà comune ed i
relativi oneri si trasferiscono sul lastrico della nuova costruzione.
Peraltro, il legislatore, nel riconoscere, al primo comma della norma in esame,
il diritto di sopraelevazione al condomino proprietario esclusivo dell'ultimo
piano o del lastrico solare, con ciò attribuendogli la possibilità di far
sorgere nuove costruzioni ciascuna delle quali oggetto d'autonomo dominio
esclusivo, ha anche posto a carico dello stesso, con la disposizione di cui al
successivo quarto comma, l'obbligo di corrispondere agli altri condomini
un'indennità.
Ciò non sulla considerazione dell'avvenuto utilizzo della colonna d'aria
sovrastante l'edificio condominiale intesa come di pertinenza della
collettività, giusta quanto sporadicamente sostenuto da dottrina e
giurisprudenza con tesi adeguatamente disattese da Cass. 22.11.04 n. 22032, che
ha anche puntualizzato il significato da attribuire all'espressione ricorrente
nella prassi contrattuale (cfr. anche Cass. 14.4.04 n. 7051, ma già Cass. 4.5.89
n. 2084, 30.12.77 n. 5754, 19.12.75 n. 4192).
Bensì sulla considerazione, come hanno evidenziato dottrina e giurisprudenza
prevalenti (da ultimo, nelle motivazioni, con richiami, di Cass. 16.6.05 n.
12880 e 21.5.03 n. 7956), della necessità d'una misura compensativa della
riduzione del valore delle quote di pertinenza degli altri condomini sulla
comproprietà del suolo comune conseguente alla sopraelevazione realizzata
dall'un d'essi e dall'acquisto da parte di questi della proprietà relativa;
avendo, infatti, ciascun condomino, ex art. 1118 CC, un diritto di comproprietà,
proporzionato al valore del piano o porzione di piano in proprietà esclusiva,
sulle cose comuni elencate nel precedente art. 1117 CC e, quindi, anche
sull'area sulla quale sorge l'edificio, la realizzazione di nuovi piani
determina automaticamente una modifica degli elementi che concorrono a formare
la proporzione, in quanto il proprietario dell'ultimo piano, costruendo nuovi
piani o nuove fabbriche, aumenta la propria quota nella comunione, tra le altre
cose comuni, anche sull'area medesima e questo aumento, naturalmente, rimanendo
fisso il parametro di base, ha luogo con una proporzionale riduzione delle quote
degli altri partecipanti alla comunione.
Ond'è che l'indennizzo previsto e regolato dal quarto comma dell'art. 1127 CC
trova la sua giustificazione nella partecipazione alla comunione del suolo sul
quale sorge l'edificio condominiale, per una quota maggiore di quella che aveva
prima della sopraelevazione, da parte di chi eleva nuovi piani e nuove fabbriche
valendosi del diritto riconosciutogli dalla stessa norma al primo comma, e nella
corrispondente diminuzione delle quote degli altri partecipanti alla comunione
ai quali, di conseguenza, il legislatore, nell'attribuire il diritto di
sopraelevazione al primo, non poteva non riconoscere il diritto alla
proporzionale corresponsione d'un'indennità idonea a compensarli della
diminuzione patrimoniale loro imposta.
Si è anche giustamente evidenziato, sul punto, come l'avere il legislatore
costituito a parametro per la determinazione dell'entità economica
dell'indennizzo il solo valore dell'area e non anche quello degli altri beni e
servizi comuni, sui quali pure il condomino che abbia esercitato il diritto di
sopraelevazione viene ad aumentare la propria quota di partecipazione con
proporzionale diminuzione di quelle degli altri condomini, trovi, a sua volta,
la propria ragion d'essere su di una duplice considerazione: da una lato, quella
del particolare valore e della maggiore importanza dell'area fabbricabile
rispetto agli altri beni e servizi comuni e della maggiore facilità del calcolo
dell'indennizzo, dato che l'area non subisce variazioni di valore in conseguenza
dell'uso che se ne faccia; dall'altro, quella del compenso che la diminuzione
delle quote degli altri condomini nella comunione dei vari beni e servizi comuni
trova nella correlativa diminuzione degli oneri afferenti alla loro manutenzione
e ricostruzione, in quanto a tali spese il proprietario dell'ultimo piano, a
seguito dell'operata sopraelevazione di nuovi piani o nuove fabbriche, dovrà per
il futuro concorrere, in misura maggiore che per il passato, in proporzione al
valore anche dei nuovi piani o delle nuove fabbriche acquisiti.
Trova, infatti, applicazione, sotto tale ultimo profilo, il combinato disposto
degli artt. 68, primo e secondo comma, e 69, n. 2, disp. att. CC, laddove,
stabilitasi, per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 CC, la
formazione di tabelle millesimali, nelle quali il valore dei piani o delle
singole porzioni di ciascun d'essi sia ragguagliato a quello dell'intero
edificio, è, poi, espressamente prevista l'ipotesi della sopraelevazione tra
quelle, che possono comportare un'alterazione dell'originario rapporto tra i
valori dei singoli piani o porzioni di piano, in considerazione delle quali, ove
di notevole entità, è consentita la modifica delle tabelle stesse.
Peraltro con la precisazione, ripetutamente sottolineata dalla giurisprudenza di
legittimità, che la modifica delle tabelle può aver luogo solo ove l'obiettiva
divergenza tra il valore delle singole unità immobiliari ed il valore,
proporzionale a quello dell'intero edificio, attribuito loro nelle tabelle
medesime, non sia di modesta entità (Cass. 19.2.99 n. 1408, 13.9.91 n. 9579) e
che, in ogni caso, la modifica stessa non costituisce una conseguenza naturale
ed immediata della trasformazione intervenuta a seguito degli eventi
normativamente previsti dal n. 2 dell'art. 69 disp. att. CC, bensì l'effetto
d'un accertamento, negoziale o giudiziale, che ha, a tal fine, natura
costitutiva (non necessaria, in quanto sostitutiva della modificazione
convenzionale) ex art. 2908 CC, quindi effetto esclusivamente exnunc, senza
possibilità d'operatività retroattiva, di tal che, sino alla disposta modifica,
le originarie tabelle continuano ad essere valide ed efficaci ad ogni effetto e
sono valide le maggioranze e le deliberazioni su di esse fondate, oltre che le
consequenziali ripartizioni delle spese (e pluribus, Cass. 22.11.00 n. 15094,
2.6.99 n. 5399, 8.9.94 n. 7696, 31.5.88 n. 3701).
Conseguenza, questa, della necessaria riconduzione della sentenza de qua al
genus delle sentenze che, intese non all'attribuzione d'un bene dovuto ma
alla modificazione di rapporti giuridici preesistenti, non possono avere effetto
se non dal definitivo accertamento del diritto a tale modificazione e, quindi,
dal loro passaggio in giudicato ex artt. 2909 CC e 324 CPC, e di una meditata
scelta del legislatore, che non si è avvalso della possibilità di disporne
espressamente, in deroga a tale regola generale, l'anticipazione degli effetti
alla proposizione della domanda, in quanto non poteva non configurarsi come la
gestione del complesso delle attività condominiali (che non sono solo quelle cui
è connessa una ripartizione di spesa, ma anche quelle inerenti all'utilizzazione
delle parti comuni, alla disposizione dei diritti comuni, alla partecipazione
alle liti, etc.) non potesse rimanere paralizzata per il tempo necessario all'
accertamento giudiziale del valore millesimale delle quote dei singoli
partecipanti né direttamente, per l'impossibilità di deliberare validamente, né
indirettamente, per il rischio dell'invalidazione successiva di tutte le
deliberazioni adottate medio tempore; scelta coerente a quella connotazione di
specialità che, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, è stata
attribuita dal legislatore alla disciplina del condominio in ragione della
necessità d'una distinta considerazione per il settore di vita sociale regolato
dall'istituto e, quindi, d'una particolare tutela di specifici interessi
discrezionalmente ritenuti prevalenti e meritevoli d'una disciplina propter
aliquam utilitatem autonoma rispetto a quella comune.
Tale discrezionalità nella valutazione ponderata delle situazioni tutelande
sottrae la scelta legislativa in esame alla possibile censura d'incompatibilità
con i principi informatori del giusto processo, anche costituzionalizzati con la
riformulazione dell'art. 111 della Carta fondamentale, per i quali la durata del
giudizio non deve ridondare a detrimento della parte vittoriosa; d'altronde,
quest'ultima non rimane priva d'adeguata tutela, dal momento che le conseguenze
economiche della permanente validità, sino al passaggio in giudicato della
sentenza, delle tabelle millesimali oggetto di controversia possono essere
ovviate mediante il ricorso alle azioni d'indebito o d'arricchimento esperibili
a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza modificativa delle tabelle
millesimali, poiché è dal momento del definitivo accertamento della situazione
giuridica presupposta che i diritti consequenziali possono essere fatti valere (actioni
nondum natae non praescribitur) .
Dalle considerazioni che precedono discende l'opportunità d'evidenziare le
differenze tra le previsioni delle norme considerate, dacché, mentre il n. 2
dell'art. 69 disp. att. CC pone quale parametro di valutazione, ai fini della
modifica delle tabelle, quello del rapporto tra il valore dell'edificio e
l'incremento di valore del piano o porzione di piano, condizionando altresì la
modifica alla notevole entità della variazione nel rapporto tra detti valori da
accertarsi in via convenzionale o giudiziale con effetto exnunc,
diversamente il quarto comma dell'art. 1127 CC non solo pone quale parametro di
valutazione, ai fini della determinazione dell'indennità di sopraelevazione, un
diverso rapporto, quello tra il valore del suolo sul quale sorge l'edificio e la
maggiore utilizzazione di esso derivante dall'opera realizzata, nuovo piano o
nuova fabbrica, ed indipendentemente dall'entità di essa, ma a tale
realizzazione ricollega la costituzione del diritto all'indennità quale sua
conseguenza diretta ed immediata con effetti extunc dal momento essa
(Cass. 21.8.03 n. 12292, 15.2.99 n. 1263, 30.7.81 n. 4861, 5.4.77 n. 1300,
23.10.74 n. 3076).
In definitiva, quel che particolarmente rileva, ai fini che ne occupano, è, per
le esaminate ragioni, l'affermazione normativa del principio di proporzionalità,
ai fini della determinazione dell'entità economica dell'indennità, tra
l'incremento della quota di partecipazione alla comproprietà dell'area comune,
quale conseguenza della realizzazione del nuovo piano o della nuova fabbrica, in
capo al condomino che sopraeleva, valutato in funzione dell'entità, qual che ne
sia la consistenza, del nuovo piano o della nuova fabbrica realizzati, ed il
corrispondente consequenziale decremento delle analoghe quote di pertinenza
degli altri condomini.
Tenuto conto, allora, delle considerazioni sin qui effettuate, risulta evidente
l'equivoco nel quale è incorsa la pronunzia di Cass. 22.2.00 n. 6643 - alle cui
affermazioni ed ai richiamativi precedenti fà riferimento l'odierno ricorrente
per sostenere la propria tesi - nell'affermare che il presupposto fattuale del
diritto all'indennità stabilito dal quarto comma dell'art. 1127 CC ricorra «non
in ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre
l'altezza precedente del fabbricato, bensì. solo nel caso di costruzione di uno
o più nuovi piani o di una o più nuove fabbriche sopra l'ultimo piano
dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente» e che,
pertanto, la costruzione oltre l'altezza precedente del fabbricato non può
essere ricondotta, di per se stessa, alla previsione dell' art. 1127 CC ove non
siasi anche accertato che tale innalzamento abbia dato luogo alla realizzazione
di un nuovo piano o di una nuova fabbrica.
Nel pervenire a tale affermazione detta pronunzia sembra non aver correttamente
inteso il senso degli stessi precedenti richiamativi.
In particolare, Cass. 14.11.91 n. 12173 - che, pur riconoscendo nella
realizzazione d'una veranda coperta sulla terrazza adiacente ad un appartamento
al piano attico ed, in quanto tale, svolgente anche funzione di copertura
dell'edificio, l'esercizio, legittimo in astratto ex primo comma dell'art. 1127
CC, del diritto di sopraelevazione soggetto alla corresponsione dell'indennità
di cui al successivo quarto comma, accoglie, tuttavia, nel caso concreto, la
domanda di demolizione proposta dagli altri condomini in ragione non dell'art.
1127 CC ma del divieto esistente nel regolamento di condominio - pervie ne, sl,
alla medesima testuale affermazione, ma questa va interpretata nel contesto
della motivazione, che le attribuisce un senso ben diverso da quello inteso da
Cass. 22.2.00 n. 6643, essendovisi, infatti, evidenziato non che l'innalzamento
della copertura dell'edificio possa non comportare di per se stesso una
sopraelevazione, bensì, al contrario, che qualsiasi costruzione oltre l'ultimo
piano dell'edificio realizza, in ogni caso, un nuovo piano od una nuova fabbrica
indipendentemente dal rapporto con la precedente altezza dell'edificio stesso
(interpretazione che trova conferma nel richiamo effettuatovi a Cass. 30.7.81 n.
n. 4861 ed a Cass. 16.3.82 n. 1697 dalle quali si evince il medesimo evidenziato
principio).
Per quanto in precedenza considerato, infatti, quel che rileva, ai fini
dell'applicazione in un senso (diritto a sopraelevare) e nell'altro (obbligo di
corresponsione dell'indennità) dell'art. 1127 CC è la maggiore utilizzazione
dell'area sulla quale sorge l'edificio, implicante che, rimanendo sempre lo
stesso il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani od,
in ogni caso, dei volumi utilizzabili (divisore) necessariamente diminuisce il
valore di ogni quota relativa a piano o porzione di piano (quoziente), onde l'indennita'
dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha propriamente lo scopo di
ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione
dell'equivalente pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della
sopraelevazione, da ogni singola quota relativa a piano o porzione (Cass.
16.6.05 n. 12880, 16.3.82 n. 1697, citata, che richiama, a sua volta, altri
precedenti conformi).
Ne consegue che, indiscussa l'inapplicabilità della norma in esame nell'ipotesi
di pura e semplice ristrutturazione interna, tale da non comportare alcuna
alterazione nella superficie e nella volumetria degli spazi interessati (e
pluribus, Cass. 20.7.99 n. 7764, 24.10.98 n. 10568, 10.6.97 n. 5164, 24.1.83 n.
680; contra la sola Cass. 24.4.65 n. 725 che, peraltro, non spiega perché la
realizzazione di due piani all'interno dell'ultimo, senza variazioni
volumetriche dell'intero né innalzamento della copertura, dovrebbe sortire
effetti diversi dalla medesima opera realizzata nei piani sottostanti - cfr.
Cass. 17.10.67 n. 2493 - e comportare l'applicazione dell'art. 1127 CC piuttosto
che dell'art. 69 n. 2 disp. att. CC), la fattispecie dalla stessa regolata va
ravvisata in ogni ipotesi d'incremento delle dette superficie e volumetria,
indipendentemente dal fatto ch'esso dipenda o meno dall' innalzamento
dell'altezza del fabbricato (ad esempio, ferma l'altezza del colmo del tetto,
ove l'incremento di superficie effettivamente utilizzabile e di volumetria si
realizzino mediante la trasformazione dello spiovente da rettilineo con pendenza
unica a spezzato con pendenze diverse, o - ma è ipotesi di dubbia legittimità:
cfr. Cass. 12.10.71 n. 2873 - mediante l'ampliamento della base con la
costruzione d'uno sporto e la consequenziale estensione del tetto).
Il criterio distintivo è, in sostanza, analogo a quello cui vien fatto ricorso,
in tema di edilizia, per distinguere le ipotesi della ristrutturazione e della
ricostruzione da quella della nuova costruzione: al qual proposito si è
precisato che può ravvisarsi l'ipotesi della ristrutturazione solo ove gli
interventi abbiano interessato un edificio del quale sussistano ed, all'esito di
essi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali,
le strutture orizzontali, la copertura, eppertanto le opere consistano in
modificazioni solo interne, nel rispetto delle originarie dimensioni
dell'edificio e delle dette sue componenti essenziali; va ravvisata, per contro,
la diversa ipotesi della ricostruzione ove dell'edificio preesistente siano
venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, le componenti de
quibus e l'intervento si traduca, tuttavia, nell'esatto ripristino delle stesse
operato senza variazione alcuna rispetto alle dimensioni dell'edificio stesso,
in particolare senza aumenti né della volumetria né, pur questa rimanendo
immutata, delle superfici occupate in relazione all'originaria sagoma
d'ingombro; diversamente, si verte in ipotesi di nuova costruzione (Cass.
27.4.06 n. 9637, 26.10.00 n. 14128; vedansi anche Cass. 2.2.04 n. 1817, 18.4.03
n. 6317).
Nel caso di specie, pertanto, non può essere revocato in dubbio che
l'innalzamento di 50 cm. delle mura perimetrali ed il corrispondente rifacimento
del tetto al di sopra di esse, con la trasformazione delle preesistenti soffitte
in due nuove unità abitative, costituisca una nuova fabbrica e debba essere
considerato, pertanto, come sopraelevazione ai sensi del primo comma dell'art.
1127 CC e dia, pertanto, luogo all'obbligo di corresponsione dell'indennità di
cui all'ultimo comma della stessa norma.
Ne consegue la reiezione dei motivi di ricorso sottoposti all'esame di queste
Sezioni unite, mentre, per l'esame degli ulteriori motivi di ricorso, la causa
va rimessa al Primo Presidente per la riassegnazione alla Sezione semplice
competente anche sulle spese dell'intero giudizio di legittimità.
P. Q. M.
LA CORTE
respinge il primo ed il secondo motivo del ricorso e dispone trasmettersi gli
atti al Primo Presidente per l'assegnazione della causa alla Sezione semplice
per l'ulteriore corso.
Così deciso in Camera di Consiglio il 16.11.2006.
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