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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
PROCEDURE E VARIE - Processo civile - Tariffe forensi - Valore della
controversia - Criterio del quid disputatum e criterio del decisum.
Il valore della controversia al fine del rimborso delle spese di lite a
carico della parte soccombente va fissato sulla base del criterio del quid
disputatum (ossia di quanto richiesto dalla parte attrice nell’atto
introduttivo del giudizio), tenendo però presente che, in caso di accoglimento
solo parziale della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo
della sua decisione (criterio del decisum), salvo che la riduzione della
somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel
corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel
qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di
meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell’intera domanda.
Presidente V. Carbone, Relatore G. Amoroso. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite
Civili, dell'11/09/2007 (Ud. 03/07/2007), Sentenza n. 19014
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Sigg.:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Teresa Coppolino, già dipendente di un ente locale, proponeva ricorso al
Pretore di Messina per ottenere dall'INADEL l'adeguamento dell'indennità premio
di fine servizio corrispostale in misura incompleta dall'ente a seguito
dell'errata applicazione del divieto, previsto dall'art. 2 d.l. n. 12 del 1977,
convertito nella 1. n. 91 del 1977, di riconoscere trattamenti retributivi più
favorevoli, per effetto della scala mobile, di quelli previsti dagli accordi
interconfederali del 1957 e del 1975.
L'INADEL resisteva alla domanda di cui chiedeva il rigetto.
Il Pretore, con sentenza n. 1624 del 1986, accoglieva parzialmente la domanda
della ricorrente e condannava l'ente previdenziale al pagamento della somma di
lire 9.217.040, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, nonché spese
di lite.
Tale decisione veniva appellata dall'INADEL che contestava che fossero dovuti la
rivalutazione monetaria e gli interessi legali a partire dall'entrata in vigore
del sopravvenuto d.l. 31 agosto 1987 n. 359, conv. in 1. 29 ottobre 1987 n. 440.
Il giudizio proseguiva quindi, in grado d'appello, solo limitatamente alla
rivalutazione e agli interessi monetari, ossia solo su una parte dell'originario
petitum, avendo l'Istituto prestato acquiescenza quanto alla sorte del
credito azionato dall'originaria ricorrente.
L'appello veniva accolto parzialmente dal Tribunale di Messina che, con sentenza
n. 130 del 1989, dichiarava non dovuta la rivalutazione monetaria ai sensi
dell'art. 23 d.l. n. 359/87, cit..
Proponeva ricorso per cassazione la Coppolino che contestava l'applicazione
retroattiva della norma sopra indicata sicché il giudizio proseguiva
ulteriormente solo quanto alla debenza, o meno, della rivalutazione monetaria.
Nelle more del giudizio di cassazione sopravveniva la sentenza n. 85 del 1994
della Corte costituzionale che dichiarava l'illegittimità costituzionale del
cit. art. 23, quarto comma, d.l. 31 agosto 1987 n. 359, convertito in 1. 29
ottobre 1987 n. 440, nella parte in cui disponeva che le somme dovute a titolo
di riliquidazione della indennità premio di servizio non davano luogo a
rivalutazione monetaria.
Proprio richiamando tale sopravvenuta pronuncia, questa Corte accoglieva il
ricorso della Coppolino con sentenza n. 7765 del 1994, affermando che trovava
piena applicazione per detto credito previdenziale (divenuto esigibile prima
dell'entrata in vigore dell'art. 16, sesto comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412) la
disciplina dell'art. 442 c,p.e. (nel testo risultante dalla sentenza n. 156 del
1991 della Corte costituzionale); talché il credito stesso deve essere quindi'
rivalutato dal momento della sua maturazione. Quindi cassava la sentenza
d'appello con rinvio al Tribunale di Patti.
2. In sede di rinvio - si tratta del primo giudizio di rinvio avente ad oggetto
solo la debenza della rivalutazione monetaria - il Tribunale di Patti con
sentenza del 16-25 ottobre 1995 confermava integralmente la sentenza del pretore
di Messina che, nel riconoscere la sorte del credito azionato dall'originaria
ricorrente, aveva condannato l'Istituto resistente al pagamento anche della
rivalutazione monetaria (in aggiunta alla sorte, agli interessi ed alle spese di
lite); compensava le spese del giudizio di legittimità e condannava l'INPDAP,
subentrato all'INADEL ex art. 4 d.lgs. n. 479 del 1994, al pagamento delle spese
del giudizio di rinvio.
3. Questa pronuncia veniva impugnata con ricorso per cassazione dalla Coppolino
che lamentava la violazione dei minimi tariffari, la mancata motivazione del
rigetto delle richieste relative ai diritti di procuratore e l'omessa pronuncia
in ordine alla richiesta di liquidazione delle spese del giudizio di appello
davanti al Tribunale di Messina. Da questo momento il giudizio proseguiva
ulteriormente solo per le spese di lite.
Con sentenza n. 616 del 22 gennaio 1999 questa Corte di cassazione, nuovamente
investita in questo giudizio, accoglieva il ricorso sotto un duplice profilo:
per difetto di motivazione nella parte in cui il tribunale di Patti aveva
disatteso la dettagliata nota delle spese di giudizio e per omessa pronuncia
nella parte in cui non aveva comunque tenuto conto delle spese del giudizio
d'appello che parimenti avrebbero dovuto essere liquidate. Cassava quindi la
sentenza del tribunale di Patti e rinviava la causa davanti al Tribunale di
Barcellona Pozzo di Gotto.
4. Nel secondo giudizio di rinvio - avente ad oggetto solo l'esatta
determinazione delle spese di lite - l'INPDAP chiedeva la conferma della
liquidazione operata dal Tribunale di Patti e la compensazione delle spese del
nuovo giudizio di rinvio.
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con la sentenza n. 95 del 2002, ha
ritenuto: a) che il valore della causa, al fine della liquidazione dei diritti
di procuratore, fosse da determinarsi in base non già al disputatum,
bensì al decisum e su tale base ha liquidato le spese di lite relative al
primo giudizio di rinvio svoltosi davanti al Tribunale di Patti ed avente ad
oggetto la sola rivalutazione monetaria sul credito azionato con l'originaria
domanda nell'entità maturata dalla decorrenza prevista dalla sentenza del
medesimo tribunale, rivalutazione che l'Istituto contestava essere dovuta; b) ha
invece ritenuto corrispondente a giustizia l'integrale compensazione delle spese
processuali del giudizio d'appello svoltosi davanti al Tribunale di Messina in
considerazione del fatto che la causa era stata decisa sulla base
dell'intervento della Corte Costituzionale successivo alla pronuncia di primo
grado; c) ha poi escluso la spettanza dei diritti di procuratore per il
successivo giudizio di cassazione e ha commisurato gli onorari a carico
dell'Istituto in relazione al valore della controversia rapportato al decisum;
d) con lo stesso criterio (quello del decisum) ha liquidato, sempre a
carico dell'Istituto, le spese del giudizio davanti a sé, avente ad oggetto solo
le spese di lite.
5. Ricorre per cassazione la Coppolino con un unico motivo di impugnazione.
L'INPDAP non ha svolto difesa alcuna.
Fissata la trattazione della causa, all'udienza del 31 gennaio 2006 la Sezione
Lavoro di questa Corte ha emesso ordinanza di trasmissione del ricorso al Primo
Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite su un rilevato
contrasto di giurisprudenza in ordine ai criteri di determinazione del valore
della controversia al fine dell'esatta applicazione delle tariffe forensi..
La causa è quindi stata nuovamente fissata innanzi a questa Corte a Sezioni
Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 10 e 14 c.p.c. e dei criteri per la determinazione del valore della
controversia ai fini della liquidazione delle spese processuali, dolendosi
altresì della violazione degli artt. 91 c.p.c. e 24 legge 13 giugno 1942 n. 794,
nonché del decreto del Ministro della giustizia del 5 ottobre 1994 n. 585,
recante l'approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense del 12
giugno 1993, che stabiliva i criteri per la determinazione degli onorari, dei
diritti e delle indennità spettanti ad avvocati e procuratori legali per le
prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali.
In sostanza la Coppolino lamenta che la determinazione del valore della causa
sia stata di volta in volta effettuata in ragione della sola parte della domanda
contestata in quel grado del giudizio o della somma concretamente attribuita
alla parte vittoriosa in quel grado; ed afferma che tale criterio è in contrasto
in particolare con quanto prescritto dall'art. 14 c.p.c. secondo cui il valore
delle cause relative a somme di denaro si determina in base alla somma indicata
o al valore dichiarato dall'attore al momento iniziale della lite senza che esso
possa subire riduzioni per la successiva delimitazione della materia del
contendere.
La censura riguarda esclusivamente le spese relative al primo giudizio dí
rinvio, avente ad oggetto la debenza della rivalutazione monetaria sul credito
originariamente azionato, nonché al successivo giudizio di cassazione ed al
secondo giudizio di rinvio, aventi entrambi ad oggetto la sola determinazione
delle spese di lite.
2.11 ricorso è infondato.
2.1. Nella citata ordinanza pronunciata all'udienza del 31 gennaio 2006 la
Sezione Lavoro di questa Corte ha rilevato che la questione centrale posta dal
ricorso riguarda la liquidazione delle spese in una causa iniziata dalla
ricorrente, già dipendente di un ente locale, nei confronti dell'INADEL, cui poi
è subentrato l'INPDAP ex art. 4 d.lgs. 30 giugno 1994 n. 479, per il pagamento
della maggior somma richiesta a titolo di indennità premio di fine servizio e
proseguita - dopo che sulla sorte e sugli interessi si era formato il giudicato
favorevole alla ricorrente stessa - in ordine alla debenza della rivalutazione
monetaria e successivamente alle sole spese di lite. Tale questione può quindi
essere ricondotta al tema della liquidazione delle spese di giudizio a carico
della parte soccombente secondo il criterio del decisum ovvero quello del
disputatum.
In particolare l'ordinanza suddetta fa riferimento al contrasto di
giurisprudenza insorto quanto ai criteri di liquidazione delle spese di lite nel
giudizio proseguito solo per la loro quantificazione nei gradi precedenti,
essendosi talora considerato l'autonomo valore della lite residuata (Cass. n.
19839 del 2004), talaltra il valore iniziale (Cass. n. 15874 del 2004) oppure,
talaltra ancora, il primo scaglione in ogni caso (Cass. nn. 9359 del 2005, 20273
del 2004).
L'ordinanza quindi pone essenzialmente due questioni riguardanti rispettivamente
la determinazione del valore di una controversia in base al disputatum o
al decisum ed i criteri di liquidazione delle spese processuali di un
giudizio proseguito per la sola liquidazione delle spese relative alle
precedenti fasi.
2.2. Ancorché nella specie la vicenda processuale sia complessa perché, oltre al
giudizio di primo grado, ci sono già stati un giudizio d'appello, due giudizi di
cassazione e due giudizi di rinvio, il motivo di ricorso è però unico e riguarda
l'esatta determinazione del rimborso delle spese di lite a carico dell'Istituto
soccombente relativamente (non già all'intero processo, bensì) a tre distinte
fasi del giudizio: la ricorrente si duole solo del fatto che il secondo giudice
di rinvio (tribunale di Barcellona P.G.) abbia erroneamente quantificato: a) le
spese di lite relative al primo giudizio di rinvio innanzi al tribunale Palmi
che aveva per il resto confermato integralmente la sentenza del giudice di primo
grado - pretore di Messina - di accoglimento parziale della domanda; b) le spese
del successivo giudizio di legittimità che ha riguardato unicamente la questione
delle spese di lite; c) le spese del giudizio innanzi al medesimo Tribunale,
quale secondo giudice di rinvio, innanzi al quale la causa è parimenti
proseguita solo per le spese di lite.
L'impugnata sentenza ha poi compensato le spese del giudizio d'appello, ma di
ciò la ricorrente non si duole; né si duole del fatto che la medesima sentenza,
che nel resto ha tenuto ferma la precedente sentenza del tribunale di Patti, non
abbia reso un'espressa pronuncia quanto alle spese di lite del primo giudizio di
cassazione che erano state parimenti compensate tra le parti dal tribunale di
Patti.
Secondo la prospettazione difensiva della ricorrente il secondo giudice di
rinvio, la cui sentenza è attualmente impugnata per cassazione, avrebbe errato -
nella sua triplice liquidazione delle spese (primo giudizio di rinvio,
successivo giudizio di cassazione, secondo giudizio di rinvio) - nel considerare
il criterio del decisum in luogo di quello - asseritamene corretto - del
disputatum.
La difesa della ricorrente ed in vero anche l'impugnata sentenza non considerano
invece che - come emerge dalla menzionata ordinanza della Sezione Lavoro - in
giurisprudenza si è affermato anche il criterio di determinazione delle spese di
lite con riferimento al primo scaglione delle tabelle professionali allorché la
controversia prosegua, come nella specie, solo per l'esatta determinazione delle
spese stesse.
3. Giova preliminarmente premettere - al fine di ricostruire il quadro normativo
di riferimento e di verificare l'ammissibilità della censura sotto il profilo
della violazione di legge - che l'articolo unico della legge 7 novembre 1957, n.
1051 (Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli
avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile) ha previsto
che i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità
spettanti agli avvocati e ai procuratori per prestazioni giudiziali in materia
civile sono stabiliti dal Consiglio nazionale forense con le modalità
contemplate dall'art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 536, e relative agli
onorari e alle indennità in materia penale e stragiudiziale. Disposizione questa
che prescrive che i criteri per la determinazione degli onorari e delle
indennità dovute agli avvocati e ai procuratori in materia penale e
stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio
nazionale forense, approvata dal Ministro di grazia e giustizia.
E' stata cosi parificata la regolamentazione delle tariffe forensi nella materia
civile e di quelle nella materia penale adottando per entrambe il criterio della
ricezione della disciplina interna prodotta dal Consiglio nazionale forense.
In precedenza un analogo sistema previsto in generale per le tariffe forensi,
consistente nell'approvazione del Ministro di grazia e giustizia delle
determinazioni dell'associazione categoriale (art. 57 r.d.l. 27 novembre 1933,
n. 1578, recante l'Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore),
era stata derogata, quanto alle tariffe civili, dalla legge 13 giugno 1942, n.
794 (sugli onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in
materia civile), invocata dalla difesa della ricorrente, che in apposite tabelle
fissava - ex lege e quindi direttamente con atto di formazione primaria -
gli onorari dovuti e ne regolamentava la disciplina ponendo tra l'altro,
all'art. 9, i criteri per la "determinazione del valore delle cause", che è il
profilo che interessa in questo giudizio, nonché, all'art. 24, l'inderogabilità
di onorari e diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e degli
onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati.
Il cit. art. 57 r.d.l. n. 1578/33 è stato dapprima espressamente sostituito
dall'art. 3 d.lgs.lgt. 22 febbraio 1946, n. 170, con il richiamo recettizio -
quanto agli onorari e alle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in
materia penale e stragiudiziale - della delibera del Consiglio dell'ordine degli
avvocati e dei procuratori, approvata dal Ministro di grazia e giustizia, e poi
modificato implicitamente dal cit. art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 536, nei
termini sopra indicati.
Invece per le tariffe civili il sistema della legge n. 894/42 vedeva dapprima,
nell'immediato dopoguerra, una regolamentazione provvisoria e contingente con la
previsione di meri aumenti ex lege degli importi delle tabelle (del 70%
ex digs.lgt. 20 luglio 1944, n. 276, e del 200% ex art. 1 d.lgs.lgt. 22 febbraio
1946, n. 170, cit.); poi interveniva la modifica della cit. legge n. 894/42 ad
opera della legge 19 dicembre 1949, n. 957, che stabiliva nuove tabelle per gli
onorari d'avvocato e per gli onorari e diritti di procuratore; e da ultimo è
stata prevista l'uniformazione al sistema delle tariffe forensi in materia
penale e stragiudiziale secondo quanto previsto dal citato articolo unico della
legge 7 novembre 1957, n. 1051.
4. In attuazione di tale ultima legge è stato emanato il d.m. 28 febbraio 1958
dal Ministro di grazia e la giustizia di approvazione della deliberazione in
data 15 febbraio 1958 del Consiglio nazionale forense, che stabiliva i criteri
per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti
agli avvocati e ai procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile.
Successivi analoghi decreti ministeriali hanno provveduto all'approvazione di
ulteriori deliberazioni del Consiglio nazionale forense: D.M. 28 novembre 1960,
D.M. 2 aprile 1965, D.M. 15 ottobre 1966, D.M. 30 maggio 1969, D.M. 25 maggio
1973, D.M. 23 dicembre 1976, D.M. 26 settembre 1979, D.M. 22 giugno 1982, D.M.
31 ottobre 1985, D.M. 24 novembre 1990, n. 392, D.M. 14 febbraio 1992 n. 238,
D.M. 5 ottobre 1994 n. 585 e, da ultimo, D.M. 8 aprile 2004 n. 127.
Di questi decreti ministeriali quelli emessi dopo la legge 23 agosto 1988 n.
400, che all'art. 17 disciplina i regolamenti governativi e ministeriali, recano
anche l'espressa qualificazione come regolamenti ministeriali. Si tratta quindi
di una normativa subprimaria adottata con la tecnica del rinvio materiale
recettizio: il decreto ministeriale si riempie di contenuto recependo una
specifica delibera del Consiglio nazionale forense, così facendola propria ed
elevandola al rango di normativa regolamentare.
Peraltro, già prima della cit. legge n. 400 del 1988, si era riconosciuto che,
pur in mancanza di un'espressa previsione in Costituzione, "una legge o un atto
avente la stessa efficacia della legge formale possa attribuire ad un ministro
[.. .] la potestà di emanare norme regolamentari" (C. cost. n. 79 del 1970);
l'idoneità di questa delega di formazione subprimaria è stata confermata
successivamente dal cit. art. 17 della legge n. 400/88 che prevede la
possibilità di emanare regolamenti ministeriali ove al Ministro la legge
"espressamente conferisca tale potere" (cfr. C. cost. n. 165 del 1989).
Nella fattispecie il citato articolo unico della legge 7 novembre 1957, n. 1051,
con il rinvio all'art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 536, prevede questo
potere di ricezione delle delibere del Consiglio nazionale forense seppur nella
forma dell'approvazione ministeriale di un atto che certamente non ha ex se
valenza normativa generale, qual è la delibera del Consiglio nazionale forense.
Dopo la legge n. 400/88 il decreto ministeriale di approvazione della tariffa
forense ha assunto - come ricordato - la denominazione, per espressa
autoqualificazione, di "regolamento". La tecnica del rinvio materiale recettizio
si è poi affinata perché dall'approvazione" della delibera del Consiglio
nazionale forense, allegata al decreto ministeriale (fino al D.M. 5 ottobre 1994
n. 585), si è passati da ultimo (D.M. 8 aprile 2004 n. 127) alla riproduzione
nel decreto ministeriale, in allegato, del contenuto della delibera senza più
fare menzione di "approvazione" alcuna.
Quindi per questa via la disciplina della tariffa forense in materia civile,
penale e stragiudiziale adottata dal Consiglio nazionale forense assume valore
di normativa non già primaria, bensì subprimaria e segnatamente regolamentare;
cfr. C. cost. n. 339 del 1993 che, con riferimento al cit. d.m. 24 novembre
1990, n. 392, ha affermato che si tratta di "un atto evidentemente privo di
forza di legge", ossia non riconducibile alla normazione primaria; altresì C.
cost. n. 20 del 1960, con riferimento proprio alla legge n. 1051/57 cit., ha
parlato di "potestà regolamentare" da quest'ultima conferita; conf. C. cost. n.
163 del 1971 e, quanto alla giurisprudenza di questa Corte, Cass., sez. II, 28
novembre 1987, n. 8865, che espressamente considera di natura regolamentare il
d.m. 22 giugno 1982, cit., in ragione della "competenza conferitagli dalla n.
1051/57".
In particolare poi C. cost. n. 180 del 1983 ha dichiarato manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale, tra l'altro, dell'articolo
unico della cit. legge 7 novembre 1957, n. 1051, nella parte in cui ha demandato
al Consiglio nazionale forense la determinazione delle tariffe professionali,
con la potestà di stabilire i massimi e i minimi entro i quali l'autorità
giudiziaria deve contenere la liquidazione delle spese di lite a carico della
parte soccombente. Parimenti, sul diverso piano dei vincoli comunitari, la Corte
di giustizia C.E. (C. giust., 19 febbraio 2002, c-35/99 e c-309/99; e più
recentemente C. giust., 5 dicembre 2006, c-94/04 e c-202/04) ha affermato che
gli artt. 5 e 85 del Trattato C.E. (divenuti, in seguito a modifica, artt. 10 e
81) non ostano all'adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa
anche regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un
ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per
gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata
nell'ambito di un procedimento come quello previsto dal r.d.l. 27 novembre 1933
n. 1578 e successive modifiche.
In conclusione, per quanto riguardo questo aspetto preliminare della tematica in
esame, può affermarsi che questa Corte, nell'esercizio del suo sindacato di
legittimità e della sua ordinaria funzione di nomofilachia, può verificare, in
quanto trattasi di normativa subprimaria regolamentare, l'esatta interpretazione
della disciplina posta dalla delibera del Consiglio nazionale forense recepita
con decreto ministeriale - vuoi quando "approvata" (D.M. 5 ottobre 1994 n. 585),
vuoi, a maggior ragione, quando direttamente riprodotta (D.M. 8 aprile 2004 n.
127) - sotto il profilo della violazione di legge, in cui si iscrive l'unico
motivo del ricorso.
5. Venendo al merito della questione posta con il motivo di ricorso, deve
considerarsi che l'art. 91 c.p.c. prevede che il giudice, con la sentenza che
chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso
delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli
onorari di difesa; criterio questo che è mitigato dalla previsione, contenuta
nell'art. 92, primo comma, c.p.c., che stabilisce che il giudice, nel
pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la
ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene
eccessive o superflue.
Inoltre - prevede il secondo comma del medesimo art. 92 - se vi è soccombenza
reciproca o concorrono altri giusti motivi il giudice può compensare,
parzialmente o per intero, le spese tra le parti; motivi questi che devono ora
essere esplicitamente indicati nella motivazione secondo la novella dell'art. 2,
primo comma, lett. a), legge 28 dicembre 2005, n. 263.
Il codice di rito si limita quindi - come principio generale - a prevedere il
diritto della parte vittoriosa al rimborso delle spese da essa sostenute e
contempla alcuni correttivi all'integrale rimborso delle stesse.
Una disciplina più dettagliata era contenuta nell'art. 3 della cit. legge 13
giugno 1942, n. 794, che prevedeva che gli onorari a carico della parte
soccombente erano liquidati tenendo conto della natura e del valore della
controversia, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, del grado
dell'autorità adita, con speciale riguardo all'attività dall'avvocato
personalmente svolta davanti al giudice.
Questa stessa disciplina, ma di diverso rango nel sistema delle fonti come si è
appena detto, è stata poi posta dai citati decreti ministeriali e segnatamente
dall'art. 5, primo comma, della Tariffa per le prestazioni giudiziali in materia
civile, amministrativa e tributaria, contenuta nella delibera del Consiglio
nazionale forense del 12 giugno 1993, approvata con il cit. D.M. 5 ottobre 1994
n. 585 del Ministro di grazia e giustizia (d'ora in poi "Tariffa civile" tout
court), che - considerata l'epoca dei giudizi ai quali si riferiscono le spese
di lite in questione (il primo giudizio di rinvio si è concluso con sentenza del
16 ottobre 1995; la sentenza del successivo giudizio di cassazione è del 22
gennaio 1999; il secondo giudizio di rinvio si è concluso con sentenza del 24
ottobre 2002) - è quello applicabile nella fattispecie; ma - può subito
aggiungersi - la disciplina successivamente posta dalla delibera del Consiglio
nazionale forense del 20 settembre 2002, recepita nel D.M. 8 aprile 2004 n. 127,
cit., è analoga.
Infatti tale disposizione (art. 5, primo comma, cit.), rubricata "criteri
generali per la liquidazione", prevede parimenti che "nella liquidazione degli
onorari a carico del soccombente deve essere tenuto conto della natura e del
valore della controversia, dell'importanza e del numero delle questioni
trattate, del grado dell'autorità adita, con speciale riguardo all'attività
svolta dall'avvocato davanti al giudice."
Quindi, le spese sostenute dalla parte vittoriosa - che possono essere superiori
a quelle rimborsabili come risulta peraltro dallo stesso art. 5, secondo e terzo
comma, della Tariffa civile, che per le cause di particolare importanza prevede
un incremento fino al doppio degli onorari a carico della parte soccombente e,
per le cause di straordinaria importanza, fino al quadruplo quanto agli onorari
dovuti dal cliente - sono liquidate sulla base di plurimi criteri (i.e.: natura
della controversia, importanza e numero delle questioni trattate, grado
dell'autorità adita), tra i quali concorre quello del "valore della
controversia", che però ha una rilevanza particolare perché il regime
dell'inderogabilità dei minimi tariffari - previsto a livello di formazione
primaria dall'art. 24 legge 13 giugno 1942, n. 794, e ribadito a livello di
normazione subprimaria regolamentare dall'art. 4 della Tariffa civile - fa
riferimento alle tabelle e quindi specificamente proprio al criterio del "valore
della controversia". Rilevanza questa che permane anche dopo il recente
intervento del legislatore (decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito, con
modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248) che ha previsto (all'art. 2,
comma 1) l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che, con
riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, stabiliscono
l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime; infatti il secondo comma del
medesimo art. 2 stabilisce che il giudice provvede alla liquidazione delle spese
di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e
di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale, sicché, al fine
del regime del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente,
rimane il limite degli onorari minimi fin quando la tariffa professionale
continuerà a prevederli, ancorché non più con carattere di inderogabilità.
Questa valutazione complessiva sulla base di plurimi parametri concorrenti
comporta un'ampia discrezionalità del giudice nell'applicazione bilanciata di
tutti tali criteri (questa Corte - Cass., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8865 -
ha rimarcato infatti che il convincimento espresso dal giudice di merito circa
l'importanza ed il valore delle cause trattate dal professionista, il pregio
dell'opera da lui svolta, i risultati ed i vantaggi conseguiti dal cliente, ai
fini della determinazione dell'onorario, si sottrae al sindacato di legittimità,
quando la motivazione sia immune da vizi logici o giuridici); discrezionalità
che però trova un limite nel rispetto degli onorari minimi della tariffa
professionale (dapprima ex artt. 24 legge n. 794142 e 4 della Tariffa civile,
cit.; e poi ex art. 2, comma 2, di. n. 223/2006, cit.). Essendo questi onorari
minimi fissati nelle tabelle della Tariffa civile secondo coefficienti di
parametrazione stabiliti in ragione del "valore" della causa, si ha che -
laddove si alleghi (così come nel presente giudizio) il superamento del limite
degli onorari minimi che sono fissati appunto in relazione al "valore" della
causa - diventa rilevante e decisiva la nozione di "valore della controversia"
quale prevista dall'art. 6 della Tariffa civile.
6. Quanto specificamente alla determinazione del "valore della controversia" il
cit. art. 6 della Tariffa civile prevede che nella liquidazione degli onorari a
carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice
di procedura civile, avendo riguardo in particolare nei giudizi per pagamento di
somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice
piuttosto che a quella domandata.
Ed è sul "valore della controversia" che si appunta il contrasto di
giurisprudenza, denunciato con la menzionata ordinanza della Sezione Lavoro di
questa Corte, che segnatamente riguarda la fattispecie, qual è quella oggetto
del giudizio in esame, di una controversia civile che dopo il primo grado è
continuata solo per una parte della domanda (nella specie, la rivalutazione
monetaria, oggetto del primo giudizio di rinvio innanzi al tribunale di Palmi) e
poi è proseguita ulteriormente soltanto per l'esatta determinazione delle spese
di lite (oggetto, nella specie, del successivo giudizio di cassazione e del
secondo giudizio di rinvio innanzi al tribunale di Barcellona P.G.).
La questione che si pone, in riferimento a tale fattispecie, ha un duplice
profilo.
Ci si chiede innanzi tutto se, al fine dell'individuazione dello scaglione
tariffario per la liquidazione delle spese processuali in caso di riduzione
della domanda in un grado del giudizio, occorra fare riferimento al decisum,
ossia alla somma attribuita in concreto alla parte vittoriosa (Cass. nn.
20273/2004, 20274/2004 e 4966/2005); oppure debba considerarsi il disputatum,
ossia l'oggetto della domanda al momento iniziale della lite, atteso che non
rilevano, a tal fine, successive, eventuali riduzioni della domanda (Cass. n.
15874/2004, 7691/2001, 2638/97 e 2518/81).
Il secondo profilo riguarda l'individuazione dello scaglione della tariffa cui
fare riferimento per la liquidazione delle spese processuali relative alla fase
del giudizio proseguito solo in merito alle spese della fase pregressa, atteso
che nella giurisprudenza di questa Corte si è ritenuto che il valore della causa
è quello dello scaglione minimo (Cass. nn. 20273/2004, 20274/2004, 9359/2005);
ovvero che esso coincide con la liquidazione stessa delle spese (Cass. nn. n.
15874/2004, 19839/2004, 4966/2005).
Di questo contrasto di giurisprudenza - che per una singolare evenienza ha
riguardato in buona parte vicende processuali del tutto analoghe a quella
oggetto del _presente giudizio - occorre ora dire esaminando distintamente i due
indicati profili tematici.
7. Quanto alla prima questione, Cass., sez. lav., 8 marzo 2005, n. 4966, nel
confutare la tesi del ricorrente, riproposta ora anche nell'unico motivo del
ricorso in esame, secondo cui che il valore della causa, ai fini della
liquidazione degli onorari spettanti all'avvocato nei confronti del cliente, si
determina avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato nel momento
iniziale della lite, senza che esso possa subire riduzioni per la successiva
delimitazione della materia del contendere ad alcuna soltanto delle questioni
proposte, ha affermato che l'art. 6 della Tariffa civile, nel disporre che,
nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa
è determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo, nei
giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita
alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, va interpretato nel
senso che, in caso di accoglimento totale della domanda in un grado del giudizio
e di impugnazione del convenuto limitatamente ad una parte della somma
attribuita, con conseguente passaggio in giudicato della condanna in relazione
alla somma non contestata, impone di rapportare il valore degli ulteriori gradi
di giudizio alla sola somma ancora in contestazione, risultando illogico, oltre
che iniquo, equiparare, nella determinazione dei diritti e degli onorari a
carico del soccombente, la posizione del convenuto che abbia impugnato la
condanna all'intera somma a quella di colui che si sia limitato a contestare
solo una parte della somma cui sia stato condannato (la fattispecie, in quel
giudizio, era del tutto identica a quella oggetto del presente giudizio: anche
in quel caso il tribunale, pronunciandosi in sede di secondo giudizio di rinvio,
aveva confermato la sentenza di altro tribunale, quale primo giudice di rinvio,
confermativa a sua volta di quella del pretore di parziale accoglimento della
domanda di un ex-dipendente locale al ricalcolo dell'indennità premio di fine
servizio con rivalutazione monetaria ed interessi).
In senso conforme si era già espressa la medesima Sezione Lavoro di questa Corte
con due pronunce (Cass. 14 ottobre 2004, n. 20273, e id., n. 20274, rese in
altre fattispecie del tutto identiche a quella in esame) in cui si è affermato
che l'accoglimento parziale della domanda in un grado del giudizio, con autorità
di giudicato, impone di limitare alla parte ulteriore della domanda stessa - che
venga accolta nel grado successivo - il valore della causa ai fini della
individuazione dello scaglione (art. 6, primo comma, della Tariffa civile) per
la liquidazione di onorari e diritti relativi allo stesso grado.
In altro analogo giudizio questa Corte (Cass., sez. lav., 14 agosto 2004, n.
15874) ha parimenti rigettato il ricorso affermando che ai fini della
liquidazione degli onorari difensivi a carico della parte soccombente, il
riferimento contenuto nell'art. 6 della Tariffa civile, per la determinazione
del valore della causa, alla somma in concreto attribuita alla parte vincitrice,
anzichè a quella domandata - in deroga al principio della determinazione dei
valore in base alla domanda - riguarda l'ipotesi in cui detta parte abbia
maggiorato con la domanda il credito poi riconosciuto come effettivamente
spettante.
8. Questo orientamento giurisprudenziale - in realtà non contrastato da quello
di cui si dirà infra sub 9 (mentre per l'effettivo contrasto di giurisprudenza
v. infra sub 10 ss.) - va confermato e ribadito.
8.1. Il primo comma dell'art. 6 della Tariffa civile per la determinazione del
valore della controversia richiama le norme del codice di procedura civile e
quindi gli artt. 10 ss. c.p.c. che, ai fini della competenza per valore, offrono
vari criteri per _ determinare tale parametro con riferimento alla domanda e
quindi al momento in cui la lite è promossa (in cui si fissa il "disputatum").
In particolare deve considerarsi richiamato anche l'art. 14 c.p.c. che prevede
che nelle cause relative a somme di danaro il valore si determina in base alla
somma indicata dall'attore che costituisce l'oggetto della domanda; in tal caso
è questo il disputatum nel momento iniziale della lite, che è quello in
cui si fissa la competenza.
Analogamente può dirsi, in ragione del richiamo di cui all'art. 6, primo comma,
della Tariffa civile, che nelle cause relative a somme di danaro il "valore
della controversia" si determina in base alla somma indicata dall'attore. Sicché
in generale questa Corte (Cass., sez. II, 27 febbraio1998, n. 2172) ha affermato
che il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti
all'avvocato nei confronti del cliente, si determina, in base alle norme del
codice di procedura civile, avendo riguardo all'oggetto della domanda
considerato nel momento iniziale della lite, aggiungendo peraltro che non
assumono rilievo, al riguardo, gli interessi e l'eventuale rivalutazione
maturati sulla somma capitale nelle more della controversia.
Ma "l'oggetto della domanda considerato nel momento iniziale" svolge un ruolo
diverso al fine dell'individuazione del giudice competente per valore ed al fine
della determinazione degli onorari d'avvocato giacché nel primo caso vale a
fissare un parametro oggettivo per individuare in limine litis il giudice
competente (Le. il giudice naturale), nell'altro si tratta di un riferimento
solo iniziale per determinare un parametro da utilizzare successivamente al
momento della decisione della lite al fine di quantificare il rimborso delle
spese di lite a carico della parte soccombente. Ed infatti il citato art. 6,
primo comma, della Tariffa civile precisa ulteriormente - ripetendo peraltro la
previsione normativa già contenuta nell'art. 9, ultimo comma, legge n. 749 del
1942, cit. - che, nel caso di "giudizi per pagamento di somme o liquidazione di
danni" che si concludono con un accoglimento parziale della domanda, deve
tenersi conto della somma attribuita alla parte vittoriosa. Quindi occorre far
riferimento al criterio del decisum che integra quello del disputatum
senza che tra loro ci sia antinomia. Essi infatti concorrono per esprimere un
più generale principio di adeguatezza e proporzionalità degli onorari
all'effettiva portata della controversia come emerge inequivocabilmente dal
correttivo che lo stesso art. 6 cit. pone al secondo comma: "Nella liquidazione
degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo
della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello
presunto a norma del codice di procedura civile".
Anche l'art. 60 r.d.l. n. 1578 del 1933 - nello stabilire che l'autorità
giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del
minimo fissati a termini dell'art. 58 - precisava poi che "per determinare il
valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera
contestazione". Insomma una lettura coordinata del duplice criterio del primo
comma dell'art. 6 (quello del disputatum e quello del decisum) con quello del
secondo comma (il "valore effettivo della controversia") fa emergere il
principio fondante, sotteso a questa disciplina regolamentare, che è quello
dell'adeguatezza e proporzionalità degli onorari all'attività professionale
svolta (cfr. anche C. cost. n. 36 del 1980 che con riferimento agli onorari di
avvocati e procuratori ha affermato che "ai fini del controllo dell'osservanza
dei principii di cui agli arti. 35 e 36 Cost., deve considerarsi l'attività
complessiva del professionista", così ritenendo mutuatile dagli evocati
parametri tale canone di adeguatezza e proporzionalità previsto per il lavoro
che va tutelato in tutte le sue forme ed applicazioni).
Quindi sulla base di un'interpretazione sistematica dell'art. 6, primo e secondo
comma, della Tariffa civile, il disputatum nel momento iniziale della lite non è
risolutivo, dovendo tenersi conto poi dell'effettiva decisione (il decisum) del
giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa.
Di questo criterio di adeguatezza e proporzionalità ha in realtà già fatto
applicazione questa Corte a Sezioni Unite (Cass., sez. un., 13 luglio 1963, n.
1911) che ha affermato che "nelle cause aventi ad oggetto pagamento di somme si
ha riguardo, per la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente,
alla somma attribuita alla parte vincitrice e non a quella domandata, e ciò per
consentire di moderare la rivalsa delle spese entro i limiti del valore
giudizialmente accertato, evitando che domande eventualmente esagerate
conferiscano alla causa un valore diverso da quello reale".
Insomma il riferimento dell'art. 6 al valore della controversia determinato a
norma del codice di procedura civile riguarda l'ipotesi in cui la domanda sia
accolta integralmente e quindi ci sia corrispondenza tra disputatum e
decisum. Ma se la domanda è accolta solo parzialmente si impone sempre un
adeguamento degli onorari all'effettiva portata della controversia che è quella
espressa dal decisum.
8.2. Questo principio poi trova applicazione anche nel caso in cui il giudizio
prosegua soltanto per una parte dell'originaria domanda.
La regola del decisum vale anche per i gradi successivi; ossia, se in
grado d'appello si controverte solo su una parte della somma originariamente
richiesta, è questo il disputatum del giudizio di impugnazione e sarà il
decisum (ove favorevole all'attore in tutto o in parte soccombente in
primo grado) a fissare il valore della causa in appello. Questa "riduzione" del
valore della causa è coerente sia con il criterio del "decisum", che
esprime una generale esigenza di adeguatezza delle spese di lite all'effettiva
importanza della lite stessa, sia con il criterio generale dell'art. 5 della
Tariffa civile che fa riferimento - oltre che alla "natura" e al "valore" della
controversia, all'importanza" e al "numero" delle questioni trattate - anche
specificamente al "grado" dell'autorità adita. Quindi il fatto che nel giudizio
di impugnazione il thema decidendum si sia ridotto non può non incidere
sulla natura e sull'importanza della questione; pertanto si riduce anche il
disputatum (come regola), che concorre con il decisum (come
eccezione) - al pari del giudizio di primo grado - nel caso di attribuzione solo
parziale del bene della vita oggetto della lite.
8.3. Rimane poi sempre, nel caso di accoglimento parziale della domanda, la
possibilità della compensazione, parziale o totale, ex art. 92, secondo comma,
c.p.c., che concorre - operando su un piano distinto - con l'applicazione del
criterio del decisum in luogo di quello del disputatum.
Il criterio del decisum vale a proporzionare gli onorari all'effettiva
consistenza della lite non potendo essere avvantaggiato chi propone una domanda
eccedente la giusta pretesa (risultante dalla pronuncia che definisce il
giudizio) rispetto a chi propone una domanda contenuta negli effettivi limiti di
quest'ultima. Invece la compensazione parziale o totale, quando concorre con il
riproporzionamento conseguente all'applicazione del criterio del decisum,
tiene conto anche del comportamento processuale delle parti nel senso che il
giudice, che ritenga che la domanda sia stata ingiustificatamente eccedente la
giusta pretesa, potrà operare altresì una compensazione parziale fino anche ad
arrivare alla compensazione totale delle spese di lite; invece, se il giudice
ritiene che l'attore in buona fede abbia chiesto di più di quanto risultato
spettantegli, potrà limitarsi a calcolare il rimborso delle spese di lite
secondo il criterio del decisum.
Nel caso poi di controversia di valore indeterminato che tale rimanga anche dopo
la decisione del giudice (come ad es. il giudizio di opposizione alla sentenza
dichiarativa di fallimento, v. da ultimo Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n.
16300), la compensazione parziale delle spese può assolvere all'una e all'altra
funzione: sia quella di riproporzionamento degli onorari all'effettiva portata
della lite, sia quella di valutazione del comportamento processuale delle parti.
9. Rimanendo ancora al primo profilo tematico, c'è poi da considerare che Cass.,
sez. lav., 14 agosto 2004, n. 15874, cit., ha però aggiunto - come obiter
dictum - che il criterio del decisum non opera nell'ipotesi in cui,
ferma restando l'esattezza dell'entità del credito vantato dalla parte
vincitrice con la domanda, il relativo ammontare sia mutato per fatti
sopravvenuti in corso di causa, come il pagamento totale o parziale del debito.
Questa puntualizzazione risponde a quanto già ritenuto da questa Corte (Cass.,
sez. lav., 25 marzo 1997, n. 2638) che ha affermato che, ai fini della
liquidazione degli onorari difensivi a carico della parte soccombente, il
riferimento contenuto nell'art. 6 della Tariffa civile, per la determinazione
del valore della causa, alla somma in concreto attribuita alla parte vincitrice,
anziché a quella domandata - in deroga al principio della determinazione del
valore in base alla domanda - riguarda l'ipotesi in cui detta parte abbia
maggiorato con la domanda il credito poi riconosciuto come effettivamente
spettante al momento della domanda medesima; tale deroga non opera, pertanto,
nelle ipotesi in cui, ferma restando l'esattezza dell'entità del credito vantato
dalla parte vittoriosa, il relativo ammontare sia mutato per fatti sopravvenuti
in corso di causa, come il pagamento totale o parziale del debito (conf. Cass.,
sez. Il, 27 aprile 1981, n. 2518; Cass. 20 gennaio 1976 n. 160).
Questa puntualizzazione però non radica alcun contrasto di giurisprudenza, né
inficia le affermazioni sub 8 ss., bensì di queste rappresenta un corollario.
Nella fattispecie alla quale fa riferimento la giurisprudenza da ultimo citata
non c'è un accoglimento parziale della domanda né una concentrazione della
controversia negli ulteriori gradi di giudizio solo su alcuni capi della domanda
originaria.
C'è una situazione del tutto diversa che è quella della riduzione della domanda
perché il diritto azionato è stato soddisfatto in parte nel corso del giudizio.
La ratio si raccorda a quella della soccombenza virtuale nel caso in cui
l'intera pretesa azionata sia stata soddisfatta e sia cessata la materia del
contendere. In tal caso - come più volte affermato da questa Corte (ex
plurimis Cass., sez. III, 11 gennaio 2006, n. 271) - il giudice deve
valutare la fondatezza della domanda al solo fine del rimborso delle spese di
lite, senza che possa tenersi conto della estinzione del debito per sopravvenuto
adempimento nelle more del giudizio.
La situazione è analoga nel caso in cui il diritto sia stato soddisfatto solo in
parte: per la determinazione degli onorari occorrerà considerare il
disputatum e non già il decisum allorché il giudice, sollecitato
dalla parte che chieda il rimborso degli onorari sulla base dell'originario
valore della controversia, ritenga la piena fondatezza dell'originaria domanda,
accolta solo in parte per il sopravvenuto parziale adempimento nelle more del
giudizio.
10. Passando ora al secondo profilo tematico, sopra indicato, relativo al
"valore della controversia" nel caso in cui questa prosegua unicamente per le
spese di lite, questa Corte (Cass., sez. lav., 14 agosto 2004, n. 15874) ha
affermato che, ove, a seguito dell'accoglimento della domanda, il giudizio
continui avendo per esclusivo oggetto la determinazione delle spese, si ha lo
spostamento della materia del contendere su un diverso oggetto, costituito dalle
spese pregresse da recuperare, in base alle quali viene fissato il valore della
causa che prosegue, sicché le ulteriori spese - ossia il compenso per l'attività
defensionale svolta per definire le spese pregresse - devono essere determinate
considerando come valore della controversia tali spese pregresse in
contestazione.
Analogamente Cass., sez. lav., 4 ottobre 2004, n. 19839, ha ritenuto che, ove la
controversia abbia trovato la sua soluzione definitiva in statuizioni ormai
passate in giudicato e residui solo una contestazione in ordine alla
liquidazione delle spese di lite, queste acquistono una loro autonomia rispetto
al thema decidendum dell'originaria causa, sicché la liquidazione delle
ulteriori spese della fase processuale in prosecuzione va operata tenendo conto
di tale residua materia del contendere, ossia delle spese pregresse.
Anche Cass., sez. lav., 8 marzo 2005, n. 4966 - nell'affermare che le regole
dettate dal codice di procedura civile per la determinazione del valore della
causa non prendono in considerazione le spese del processo, che non hanno titolo
nella causa petendi, nè sono riconducigli al petitum mediato della
domanda, ma sono anticipate dalla parte, salvo poi essere regolamentate dal
giudice in base all'esito finale della lite - ha parimenti ritenuto che il
valore dei gradi di giudizio in cui sia in contestazione solo la misura dei
diritti e degli onorari liquidati a carico del soccombente va commisurata alla
parte dei diritti e degli onorari ulteriormente richiesti (in caso di rigetto
dell'impugnazione) o di quelli ulteriormente attribuiti (in caso di
accoglimento).
Questo orientamento prevalente è stato contrastato da Cass., sez. lav., 14
ottobre 2004, nn. 20273 e 20274, cui ha successivamente aderito Cass., sez. lav.,
5 maggio 2005, n. 9359, che ha affermato che, ove - una volta che la causa sia
stata, per il resto, 28436/2003 r.g.n. 27 ud. 3 luglio 2007 definitivamente
decisa con autorità. di giudicato - il giudizio prosegua, nei gradi ulteriori,
per la sola liquidazione delle spese relative ai gradi precedenti, tale giudizio
non ha per oggetto, neanche in parte, una qualsiasi domanda ai fini della
individuazione dello scaglione della tariffa professionale, per la liquidazione
di onorari e diritti (art. 6, primo comma, della Tariffa civile, cit.); non
resta, quindi, che fare riferimento al primo scaglione - che è previsto per le
cause di valore meno elevato - al fine della liquidazione di onorari e diritti
relativi allo stesso giudizio.
11. Il contrasto, sotto questo profilo effettivamente sussistente, va risolto
nel senso dell'orientamento prevalente.
Il principio di adeguatezza e proporzionalità, sopra affermato, impone una
costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e
l'entità degli onorari per l'attività professionale svolta. Espressione di
questa concreta adeguatezza si è già visto essere il criterio del decisum
che prevale su quello del disputatum; è il decisum che dà la
misura dell'effettiva portata della controversia e quindi del suo "valore". E da
tale principio si è tratta l'ulteriore inferenza che, ove nei successivi gradi
del giudizio la materia del contendere si concentri solo su una parte della
domanda, mentre per il resto si formi il giudicato, il valore della controversia
nel grado deve tener conto di questa riduzione della materia del contendere e
quindi si concentra nel disputatum, salvo cedere il passo al criterio del
decisum nel caso di accoglimento parziale dell'impugnazione.
Orbene, anche nella fattispecie oggetto del denunciato contrasto di
giurisprudenza opera tale principio di adeguatezza e proporzionalità. Nel caso
in cui - una volta che la pretesa azionata sia stata delibata con sentenza non
impugnata in questa parte e quindi sia passata in giudicato - rimanga però
ancora una residua materia del 28436/2003 r.g.n. 28 ud. 3 luglio 2007 contendere
consistente soltanto nell'ammontare delle spese di lite, il dibattito
processuale si concentra su queste che danno la misura dell'attività difensiva
delle parti e che quindi rappresentano il "valore" della controversia residuale.
Mentre nel giudizio di primo grado le spese di lite non hanno una loro autonomia
al fine della loro liquidazione a carico della parte soccombente, ma conseguono
alla soccombenza e quindi - così come per interessi e rivalutazione secondo
Cass. n. 2172/1998 cit. - non concorrono, a tal fine, a determinare il "valore
della controversia", nei successivi gradi di giudizio il rimborso delle spese di
lite, ove oggetto di contestazione, può assumere una sua autonomia e diventare
oggetto del dibattito processuale connotato da una pretesa avente appunto ad
oggetto una diversa quantificazione del diritto al rimborso delle spese di lite
in favore della parte vittoriosa. Il differenziale tra la somma riconosciuta dal
giudice, la cui sentenza è solo per questo impugnata, e la somma che la parte
impugnante ritiene esatta costituisce il "disputatum", che rappresenta il
"valore della controversia" nel grado. Ove poi il giudice dell'impugnazione
accolga solo in parte il gravame, sarà il "decisum", in ragione della
regola dell'art. 6, primo comma, della Tariffa civile, come sopra interpretato,
a fissare il valore della controversia quale parametro per determinare le
ulteriori spese di lite della fase processuale che abbia avuto ad oggetto
unicamente le spese di lite della fase precedente.
L'opposto criterio accolto dall'indirizzo giurisprudenziale minoritario, sopra
cit., è invece privo di base normativa, nonché ingiustamente penalizzante per le
parti. Lo è per la parte vittoriosa che, avendo ottenuto un rimborso delle spese
in misura inferiore al minimo inderogabile (v. sopra), è costretta ad impugnare
la sentenza chiedendo che il rimborso sia fissato in una somma maggiore; ed in
tal caso il differenziale tra l'importo liquidato nel grado precedente e quello
richiesto con l'impugnazione della decisione potrebbe anche essere di notevole
entità economica, talché la materia del contendere - il disputatum nel
grado - potrebbe essere in concreto ben maggiore del valore minimo della tabella
della Tariffa civile. La stessa considerazione vale anche per la parte
soccombente che, prestando acquiescenza nel resto alla sentenza, si dolga
unicamente della quantificazione dell'obbligo di rimborso delle spese di lite.
La Tariffa civile poi non contiene in realtà una pluralità di importi degli
onorari articolati in scaglioni al primo dei quali assegnare, secondo l'opposto
orientamento giurisprudenziale da ultimo citato, una particolare valenza
residuale. Essa infatti prevede importi base tabellati e "coefficienti di
applicazione" di incremento, ma talora anche di riduzione, dai quali si ricavano
gli scaglioni secondo il valore della controversia. Se invece l'oggetto della
causa è di valore indeterminabile sono previsti parametri di moltiplicazione che
individuano la forbice (in questo caso più ampia) del minimo e del massimo degli
onorari.
Ma al di là delle controversie che hanno un "valore" determinabile - tra le
quali quelle di valore minimo appartenenti al primo scaglione non hanno un
particolare rilievo - e di quelle per le quali non è possibile determinare un
"valore", non c'è un tertium genus dato dalle controversie non riferibili
ad una domanda per essere stata questa interamente e definitivamente delibata
nei precedenti gradi di giudizio salvo che per le spese di lite e tali quindi da
ricadere residualmente tra quelle del primo scaglione della Tariffa civile, di
valore inferiore a tutte le altre. Sarebbe del resto una contraddizione in
termini ipotizzare un giudizio di impugnazione che non abbia un oggetto potendo
questo essere sempre desunto dal petitum, sicché non può condividersi
l'affermazione, fatta dall'opposta menzionata giurisprudenza, secondo cui il
giudizio che prosegue solo per le spese di lite "non ha per oggetto, neanche in
parte, una qualsiasi domanda".
In realtà, ai fini che interessano, un petitum c'è ed è diretto ad una rettifica
della quantificazione della somma che la parte soccombente è tenuta a pagare
alla parte vittoriosa a titolo di rimborso di spese di lite sulla base della
pronuncia impugnata.
Insomma, a parità di importi controversi nel giudizio di impugnazione,
contrasterebbe con l'enunciato principio di adeguatezza e proporzionalità una
valutazione ingiustificatamente differenziata del valore della controversia, ai
fini in esame, secondo che la causa petendi sia un qualsiasi credito
ovvero sia il rimborso delle spese di lite del precedente grado di giudizio.
12. In conclusione in ordine ai due profili della questione finora esaminata ed
alle fattispecie prese in considerazione devono enunciarsi i seguenti principi
di diritto:
a) il valore della controversia al fine del rimborso delle spese di lite a
carico della parte soccombente va fissato - in armonia con il principio generale
di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato all'opera
professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall'interpretazione
sistematica dell'art. 6, primo e secondo comma, della Tariffa per le prestazioni
giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria, contenuta nella
delibera del Consiglio nazionale forense del 12 giugno 1993, approvata con D.M.
5 ottobre 1994 n. 585 del Ministro di grazia e giustizia, avente natura
subprimaria regolamentare e quindi soggetta al sindacato di legittimità di
questa Corte - sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto
richiesto dalla parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio), tenendo però
conto che, in caso di accoglimento solo parziale della domanda, il giudice deve
considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum),
salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un
adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice,
convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte
interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la
fondatezza dell'intera domanda.
b) Analogamente nel caso in cui, ove una parte impugni la decisione resa dal
giudice soltanto in parte, il valore della controversia nel suo successivo
sviluppo nel grado di impugnazione é limitato a quanto richiesto dalla parte
impugnante secondo il criterio del disputatum, integrato dal criterio del
decisum in caso di accoglimento parziale dell'impugnazione.
c) Ove il giudizio prosegua in un grado di impugnazione soltanto per la
determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte
soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e
quella ritenuta corretta secondo l'atto di impugnazione costituisce il
disputatum della controversia nel grado e sulla base di tale criterio,
integrato parimenti dal criterio del decisum, vanno determinate le
ulteriori spese di lite riferite all'attività difensiva svolta nel grado.
13. Nella specie il tribunale di Barcellona P.G. ha correttamente fatto
applicazione di questi principi perché ha considerato il valore della causa
tenendo conto del disputatum e del decisum come evolutisi via via
ed quindi - giustamente pretermettendo il valore iniziale della controversia,
come invece sostenuto dalla ricorrente nel motivo di ricorso - ha considerato
che il secondo giudizio di rinvio ha avuto ad oggetto solo la rivalutazione
monetaria e che il successivo giudizio di cassazione ed il secondo giudizio di
rinvio hanno avuto ad oggetto solo le spese di lite contestate.
Il ricorso va pertanto rigettato senza necessità di pronuncia sulle spese di
questo
giudizio non avendo la parte intimata svolto difesa alcuna.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 3 luglio 2007
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