AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Contraffazione opere d'arte - Venditori e
commercianti - Rilascio di attestati di autenticità e provenienza delle opere -
Obbligo - Opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni - D.Lgs.22.1.2004 n. 42. La disciplina sui beni culturali,
D.Lgs.22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), prevede
disposizioni che impongono ai venditori e ai commercianti di rilasciare
attestati di autenticità e di provenienza delle opere, e quelle che incriminano
la contraffazione e l'alterazione di opere d'arte se non accompagnate da una
dichiarazione di non autenticità, si applicano anche alle opere di autori
viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Queste
disposizioni, infatti, tutelano non già la integrità delle opere, oggetto
proprio della disciplina dei beni culturali, ma la regolarità e onestà degli
scambi nel mercato artistico. Pres. Grassi Est. Onorato Ric. Volpini (conferma
Corte d'Appello di Milano sentenza resa il 27.2.2006). CORTE DI CASSAZIONE
Penale, Sez. III, 09/07/2007, (Ud. 13/03/2007), Sentenza n. 26072
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato di contraffazione di opere d'arte -
Condotte illecite (di contraffazione, alterazione, commercio etc.) - D.Lgs. n.
42/2004 - Nazionalità dell’autore - Ininfluenza. Il reato di contraffazione
di opere d'arte, riguarda tutte le condotte illecite (di contraffazione,
alterazione, commercio etc.) realizzate nel territorio nazionale,
indipendentemente dalla circostanza che le opere contraffatte, alterate etc.
siano attribuite a un autore nazionale o a un autore straniero. Pres. Grassi
Est. Onorato Ric. Volpini (conferma Corte d'Appello di Milano sentenza resa il
27.2.2006). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 09/07/2007, (Ud.
13/03/2007), Sentenza n. 26072
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Produzione o riproduzione di opere grafiche a
tiratura limitata - Firma stampata - Diritti morali di opere non autentiche -
Riproduzione - Esclusione - Diritti patrimoniali sulle opere originali -
Necessità - L. n. 633/1941, Disciplina sul diritto d'autore e s.m.. La
disciplina sul diritto d'autore, (L. n. 633/1941 e s.m.), prevede che i titolari
possono disporre del diritto patrimoniale alla utilizzazione dell'opera, ma non
possono disporre del diritto morale al riconoscimento della paternità
dell'opera, in modo da consentire la messa in circolazione di opere falsamente
imputabili all'autore medesimo e da pregiudicare cosi la lealtà e la correttezza
del mercato artistico. Inoltre, non trova in specie, alcuna efficacia
scriminante la circostanza, che colui che aveva commissionato all'imputato la
riproduzione delle opere grafiche di Dalì aveva in precedenza acquistato dagli
eredi del pittore i diritti per "realizzare opere grafiche a tiratura limitata e
firmate con una firma stampata di Salvador Dalì egli poteva infatti acquistare
diritti patrimoniali sulle opere originali, ma non diritti morali per la
produzione o riproduzione di opere non autentiche. Pres. Grassi Est. Onorato
Ric. Volpini (conferma Corte d'Appello di Milano sentenza resa il 27.2.2006).
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 09/07/2007, (Ud. 13/03/2007), Sentenza n.
26072
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Opere d'arte - Codice dei beni culturali e del
paesaggio - Passaggio tra nuova e vecchia disciplina - Diritto patrimoniale
d'autore dalla direttiva CEE n. 93/98 - D.Lgs. n. 490/1999 - D.Lgs. n. 42/2004.
Il nuovo D.Lgs.22.1.2004 n. 42 ha sostanzialmente riprodotto l'art. 2 del D. Lgs.
490/1999, ma ha modificato l'ultimo comma inserendo l'inciso "salvo quanto
disposto dagli articoli 64 e 178", che corrispondono rispettivamente all'art. 63
(attestati di autenticità e provenienza) e all'art. 127 (contraffazione di opere
d'arte) del D.Lgs. 490/1999. Sicché, secondo il nuovo codice dei beni culturali,
le opere di autori viventi e quelle la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni sono escluse dalla disciplina generale sui beni culturali del
patrimonio nazionale, ma non dalla disciplina specifica relativa
all'autenticazione e alla contraffazione delle opere d'arte. Infine, non trova
rilievo il fatto che né il testo unico 490/1999 né il successivo codice 42/2004,
per i vincoli imposti dalle rispettive leggi di delega, non abbiano potuto
adeguare il limite temporale di cinquanta anni, previsto rispettivamente
nell'art. 2, comma 6, del D.Lgs. 490/1999 e nell'art. 10, comma 5 del D.Lgs.
42/2004, a quello di settanta anni imposto per la durata del diritto
patrimoniale d'autore dalla direttiva CEE n. 93/98, e ora recepito
nell'ordinamento nazionale con la legge 52/1996. Pres. Grassi Est. Onorato Ric.
Volpini (conferma Corte d'Appello di Milano sentenza resa il 27.2.2006).
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, del 9 luglio 2007, (Ud. 13/03/2007),
Sentenza n. 26072
UDIENZA PUBBLICA DEL 13/03/2007
SENTENZA N.786
REG. GENERALE N.21407/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Aldo GRASSI Presidente
Doti. Pierluigi ONORATO (est.) Consigliere
Doti. Amedeo FRANCO Consigliere
Dott. Antonio IANNIELLO Consigliere
Dott. Santi GAllARA Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da VOLPINI Renato Elio Benito, nato a Napoli il 10.12.1934,
avverso la sentenza resa il 27.2.2006 dalla corte d'appello di Milano.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso,
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Pierluigi Onorato,
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Wladimiro De Nunzio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
Udito il difensore della parte civile, avv. ==
Udito il difensore dell'imputato, avv.==
Osserva:
Svolgimento del processo
I - Con sentenza del 27.2.2006 la corte d'appello di Milano ha integralmente
confermato quella resa il 12.2.2004 dal locale tribunale monocratico, che aveva
condannato Renato Volpini alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e sei
mesi di reclusione ed curo 1.800 di multa, in quanto colpevole del reato di cui
all'art. 127 D.Lgs. 490/1999, perché, al fine di trarne profitto, aveva
contraffatto e detenuto nella sua disponibilità otto acqueforti su carta di
Francisco Goya nonché tre opere grafiche di Salvador Dall denominate "Piano
surrealista", "Lady Godiva con farfalle" e "Tre orologi danzanti" (accertato in
Milano il 14.12.2000).
In sintesi, i giudici di merito hanno accertato e ritenuto quanto segue.
Il Volpini, amministratore della Borromeo Omnia s.r.l., su incarico della
società britannica Inter Art Resources Lmt, rappresentata da Beniamino Levi,
aveva commissionato allo stampatore d'arte Losio la riproduzione di varie opere
d'arte, e deteneva ancora a sua disposizione:
a) otto acqueforti di Goya, su carta artificialmente antichizzata, senza firma e sensa alcuna dichiarazioni di non autenticità;
b) tre opere grafiche recanti la firma di Dalì, denominate "Piano surrealista", "Lady Godiva con farfalle" e "Tre orologi danzanti", e risultanti dall'assemblaggio di figure tratte da opere originali dell'autore, anche queste senza alcuna dichiarazione di non autenticità.
Il Volpini aveva ammesso di essere l'autore delle lastre da cui furono tratte le
acqueforti di Goya, precisando però che, rispetto alle opere originali, le
dimensioni erano diverse e differivano alcuni dettagli. Anche per le opere
grafiche recanti la firma di Dalì, il Volpini aveva realizzato le matrici,
abilmente assemblando alcune figure tratte da opere originali del pittore
spagnolo.
Il fatto integrava il reato di cui all' art.127 D.Lgs. 490/1999, perché le
acqueforti riproducevano, sia pure con qualche lieve differenza, opera
autentiche di Goya, mentre le opere grafiche, pur non riproducendo opere
autentiche di Dalì, recavano la sua firma e assemblavano pezzi di sue opere
autentiche, sicché tutte le opere configuravano una contraffazione dolosa di
opere dei due maestri.
Contrariamente alle tesi difensive, a nulla rilevava, per le opere grafiche
firmate "Dalì", la disposizione dell'art. 2, comma 6, dello stesso decreto
legislativo, che esclude dalla disciplina de qua le opere di autori
viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant'anni.
2 - Il Volpini ha proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendo tre
motivi a sostegno.
In particolare, lamenta:
2.1 - vizio di motivazione, perché la corte territoriale non ha considerato che
il Levi, amico di Salvador Dalì sino alla sua morte, e poi anche amico della
moglie del maestro spagnolo, aveva acquistato i diritti per "realizzare opere
grafiche a tiratura limitata e firmate con una firma stampata di Salvador Dalì;
e che egli, nel commissionare al medesimo Volpini le opere incriminate, aveva
allegato all'ordine di stampa una dichiarazione in proposito rilasciata dagli
eredi Dalì (prodotta in atti).
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata è incorsa in ulteriore vizio di
motivazione laddove ha ravvisato una idoneità ingannatoria in opere non firmate,
come le acqueforti del Goya, o in opere autorizzate dai titolari del diritto
d'autore, come quelle firmate Dalì.
2.2 - erronea applicazione del
D.Lgs. 490/1999. Riprendendo motivi già svolti in appello, sostiene che la
disciplina di cui al testo suddetto ha per oggetto solo il patrimonio storico e
artistico "nazionale", nel quale non rientrano le opere dei pittori spagnoli
Goya e Dalì (art. 1); che tale disciplina non si applica alle opere la cui
esecuzione risalga a oltre cinquant'anni, come quelle del Goya (art. 2); che
infine la tutela accordata dalla legge 633/1941 sul diritto di autore cessa
settanta anni dopo la morte dell'autore (art. 31, recte art. 25).
- eccesso di pena e vizio di motivazione in relazione al diniego delle
attenuanti generiche. Sostiene che i giudici di merito, nel valutare la gravità
del danno ai fini del trattamento sanzionatorio, dovevano far riferimento non al
fatturato delle opere commissionate al Losio dal febbraio 1999 al febbraio 2000
(per un importo complessivo di oltre 67 milioni di lire), ma all'importo del
prezzo pagato dal Livi (per un valore minimo di lire 50.000 cadauna).
Motivi della decisione
3 - La tesi fondamentale del ricorrente è che la norma penale dell'art. 127
D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia
di beni culturali e ambientali), che incrimina la contraffazione di opere
d'arte, non si applica alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non
risalga ad oltre cinquanta anni. E ciò nella considerazione che dalla disciplina
di tutto il Titolo I dello stesso D.Lgs. 490/1999, relativo ai beni culturali
(che include anche l'art. 127), sono espressamente escluse le opere suddette per
effetto del sesto comma dell'art. 2 del ripetuto decreto legislativo.
Una tesi siffatta è sostenuta anche da una pronuncia di questa corte (Sez. III,
n. 37782 del 18.9.2001, Patara, rv. 220352), ma è contrastata da altre decisioni
di legittimità (Sez. III, n. 22038 del 12.2.2003, Pludwinski, rv. 225318; Sez.
II, n. 18041 del 7.4.2004, Cardinale, rv. 228639).
Benché fondata sul tenore letterale della predetta disposizione, è una tesi che
va disattesa in forza di una corretta interpretazione storico-sistematica della
normativa interessata. Com'è noto, il testo unico sui beni culturali e
ambientali è stato emanato sulla base dell'art. 1 della legge 8.10.1997 n. 352,
che delegava il Governo a riunire e coordinare in un decreto legislativo tutte
le disposizioni legislative vigenti in materia alla data di entrata in vigore
della stessa legge di delega, con facoltà di apportare esclusivamente le
modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché
per assicurare il riordino e la semplificazione delle procedure.
Per quanto riguarda i beni culturali, il legislatore delegato ha riunito nel
titolo primo sia le disposizioni della legge 1.6.1939 n. 1089, sia le norme
penali della legge 20.11.1971 n. 1062, che incriminavano la contraffazione delle
opere d'arte e disciplinavano i casi di non punibilità (artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 8
comma 1). Per conseguenza, con l'art. 166, ha abrogato l'intera legge 1089/1939,
nonché tutta la legge 1062/1971, ad eccezione dell'art. 8, comma 2 (relativo
alle vendite all'asta dei corpi di reato) e dell'art. 9 (che impone al giudice
che procede per i reati di contraffazione delle opere d'arte di valersi di
appositi periti e, nel caso di opere d'arte moderna e contemporanea, di assumere
come testimone l'autore a cui l'opera è attribuita).
In relazione all'oggetto della rispettiva disciplina, occorre tener presente che
la legge 1089/1939 aveva come scopo la tutela del patrimonio storico,
archeologico e artistico nazionale, mirando a conservare il valore che ogni bene
rappresenta attraverso i vincoli imposti, e penalmente sanzionati, alla modifica
e alla circolazione giuridica dei beni stessi; mentre la legge 1062/1971,
prescindendo dal valore culturale e artistico delle opere, si proponeva
semplicemente di tutelare l'interesse dell'autore alla salvaguardia della
genuinità delle sue opere artistiche, nonché l'interesse generale alla
correttezza degli scambi nel mercato delle cose d'arte.
La legge 1089/1939, con l'art. 1, dopo aver definito l'ambito di applicazione
della disciplina di tutela, escludeva espressamente da questo ambito "le opere
di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". In
tal modo il legislatore, rispetto all'interesse generale alla conservazione del
patrimonio artistico della nazione, privilegiava l'interesse dell'autore, o dei
suoi eredi, di utilizzare anche economicamente la propria produzione artistica.
Non a caso il suddetto limite temporale corrispondeva a quello previsto dalla
legge 633/1941 sul diritto d'autore, la quale, nell'art. 25, stabiliva che "i
diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e
sino al termine del cinquantesimo anno solare dopo la sua morte".
Solo con legge 6.2.1996 n. 52 il termine è stato portato a 70 anni, per
adeguarlo alla direttiva CEE n. 93/98 del 29.10.1993. Ma il legislatore delegato
del 1999 ha evidentemente ritenuto di non poter adeguare la norma al nuovo
limite temporale, giacché la delega ricevuta (art. 1 della legge 352/1997) lo
facoltizzava soltanto a riunire e coordinare in un testo unico le disposizioni
legislative vigenti in materia di beni culturali (e ambientali), apportando
esclusivamente le modificazioni necessarie per il coordinamento formale e
sostanziale: la nuova norma sul diritto di autore invece esulava dalla materia
dei beni culturali (e ambientali) e come tale non poteva neppure essere oggetto
di cordinamento.
Orbene, il legislatore delegato del 1999, riproducendo nell'art. 2 del testo
unico l'art. 1 della legge 1089/1939, ha trascritto quasi letteralmente anche
l'ultimo comma di questa disposizione, secondo cui "non sono soggette alla
disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione
non risalga ad oltre cinquanta anni", sicché ha formulato l'ultimo comma
dell'art. 2 del testo unico nel modo seguente: "non sono soggette alla
disciplina di questo Titolo (...) le opere di autori viventi o la cui esecuzione
non risalga ad oltre cinquanta anni". Ma in tal modo il legislatore delegato non
ha considerato che la disciplina di cui alla legge 1089/1939 non era
completamente sovrapponibile a quella del Titolo primo del testo unico, dedicato
ai beni culturali, giacché questo riproduceva - tra l'altro - anche le
menzionate disposizioni della legge 1062/1971, relative al commercio,
all'autenticazione e alla contraffazione di opere d'arte, che invece non erano
comprese nella legge 1089/1939.
Per conseguenza non ha considerato che, per rispettare la delega legislativa, la
clausola di esclusione per le opere di autori viventi e assimilati doveva far
riferimento solo alla disciplina sui beni culturali già contenuta nella legge
1089/1939 e non anche alla disciplina sulle contraffazioni di opere d'arte
contenuta nella legge 1062/1971.
3.1 - Si tratta di un difetto di coordinamento letterale, che il giudice può e
deve colmare perché contrasta con una più congrua interpretazione fondata su
criteri storici, teleologici e sistematici.
Sotto il primo profilo, infatti, s'è già visto che il legislatore del 1939
escludeva le opere di autori viventi e assimilati solo dalla disciplina della
stessa legge, che non comprendeva le norme penali sulla autenticazione e sulla
contraffazione delle opere d'arte: sicché il legislatore delegato del 1999, in
forza della legge di delega, non era legittimato ad escludere le stesse opere
anche dalla disciplina relativa all'autenticazione e alla contraffazione.
Sotto il profilo teleologico, l'esclusione delle opere degli autori viventi e
assimilati si giustificava rispetto alla disciplina di tutela del patrimonio
storico culturale della nazione, che in questi casi cedeva il passo alla tutela
dei diritti d'autore; ma non si giustificava rispetto alla disciplina relativa
all'autenticazione e alla contraffazione delle opere d'arte, che era appunto
tesa a tutelare il diritto dell'autore allo sfruttamento economico delle proprie
opere, nonché a salvare la genuinità del commercio delle stesse opere.
Infine, sotto il profilo logico e sistematico, se il legislatore del 1999 avesse
veramente inteso escludere da tutta la disciplina del Titolo primo le opere di
autori viventi e assimilati, non si spiegherebbe logicamente perché non ha
abrogato tutta la legge 1062/1071, ma ha tenuto in vita l'art. 9 della stessa
legge, che fa obbligo al giudice del processo penale relativo ai reati di
contraffazione di opere d'arte moderna e contemporanea di assumere come
testimone l'autore (evidentemente vivente) a cui è attribuita l'opera
contraffatta: ciò infatti presuppone che la norma incriminatrice della
contraffazione artistica si applichi anche per le opere di autori viventi, in
contrasto con il tenore letterale del ripetuto sesto comma dell'art. 2.
La tesi qui accolta è stata affermata anche dalla Corte costituzionale, che ha
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2, comma 6, D.Lgs. 490/1999, nella parte in cui esclude dalla sfera di
applicazione delle norme incriminatrici della contraffazione di opere d'arte le
opere di autori viventi e assimilati, in quanto trattavasi di questione
sollevata sulla base di una erronea interpretazione della norma censurata (cent.
173/2003; ord. 109/2003).
Tutto ciò è tanto vero che il nuovo D.Lgs.22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio), emanato in forza della delega conferita al Governo
con l'art. 10 della legge 6.7.2002 n. 157, nell'art. 10 ha sostanzialmente
riprodotto l'art. 2 del D. Lgs. 490/1999, ma ha modificato l'ultimo comma
inserendo l'inciso "salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178", che
corrispondono rispettivamente all'art. 63 (attestati di autenticità e
provenienza) e all'art. 127 (contraffazione di opere d'arte) del D.Lgs.
490/1999: sicché, secondo il nuovo codice dei beni culturali, le opere di autori
viventi e quelle la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni sono
escluse dalla disciplina generale sui beni culturali del patrimonio nazionale,
ma non dalla disciplina specifica relativa all'autenticazione e alla
contraffazione delle opere d'arte.
Si deve quindi affermare il seguente principio di diritto:
in tema di disciplina sui beni culturali di cui al testo unico approvato col
D.Lgs. 490/1999, contrariamente al senso letterale dell'art. 2, comma 6, le
disposizioni di cui all'art. 63, che impongono ai venditori e ai commercianti di
rilasciare attestati di autenticità e di provenienza delle opere, e quelle di
cui agli artt. 127 e 128, che incriminano la contraffazione e l'alterazione di
opere d'arte se non accompagnate da una dichiarazione di non autenticità, si
applicano anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad
oltre cinquanta anni. Queste disposizioni, infatti, tutelano non già la
integrità delle opere, oggetto proprio della disciplina dei beni culturali, ma
la regolarità e onestà degli scambi nel mercato artistico.
Ne deriva, per il caso di specie, che la predetta norma incriminatrice dell'art.
127 si applica anche per le opere attribuite al pittore Salvador Dalì
(1904-1989), pacificamente risalenti a non più di cinquanta anni dalla data di
commissione del reato (14.12.2000).
4 - La seconda tesi del ricorrente, analoga alla prima, sostiene che la
disciplina di cui al Titolo primo del D.Lgs. 490/1999 ha per oggetto solo il
patrimonio storico e artistico "nazionale", dal quale sono quindi escluse le
opere di pittori spagnoli, quali Goya e Dalì.
Anche questa tesi va disattesa, non solo perché contrasta con la suddetta
interpretazione storico-sistematica delle norme interessate, ma anche perché non
trova propriamente un fondamento nella ermeneutica letterale.
Vero è che secondo l'art. 1 del testo unico "i beni culturali che compongono il
patrimonio storico e artistico nazionale sono tutelati secondo le disposizioni
di questo Titolo, in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione". Al
riguardo, va peraltro osservato che questa disposizione, invero più descrittiva
che normativa, non riproduce alcuna omologa disposizione della legge 1089/1939,
e quindi risulta violare i vincoli della delega legislativa soprattutto laddove
intenda (o la si interpreti come intesa a) limitare la disciplina alle opere di
autori nazionali. Del resto, nessuno potrebbe sostenere, per esempio, che un
quadro di un pittore fiammingo appartenente al museo fiorentino degli Uffizi è
sottratto alla tutela culturale del testo unico e non fa parte del patrimonio
artistico nazionale.
In secondo luogo è altrettanto vero che nella definizione delle cose
appartenenti al patrimonio culturale contenuta nell'art. 2 il riferimento al
carattere "nazionale" scompare; e soprattutto è vero che, nell'incriminare la
contraffazione di opere d'arte, l'art. 127 fa riferimento in genere alle opere
di pittura, scultura o grafica, ovvero agli oggetti di antichità o di interesse
storico o archeologico, senza far alcuna distinzione tra opere "nazionali" o
"straniere" o tra le nazionalità dei loro autori.
Ne deriva che la norma incriminatrice, secondo il generale principio di
territorialità di cui agli artt. 3 e 6 c.p., si applica a tutti coloro che,
cittadini o stranieri, realizzano nel territorio italiano la condotta (di
contraffazione, di alterazione, di commercio, etc.) prevista nella stessa norma,
senza che abbia rilievo l'oggetto materiale della condotta illecita, che può
essere indifferentemente un'opera d'arte di autore nazionale o di autore
straniero.
E' probabilmente per queste ragioni che il nuovo Codice dei beni culturali,
approvato col D.Lgs. 22.1.2004 n. 42, nel definire il patrimonio culturale (art.
2), ha abbandonato l'equivoco riferimento al carattere "nazionale".
Si devono quindi affermare i seguenti principi di diritto:
a) la disciplina dei beni culturali prevista nel testo unico 490/1999 riguarda
tutte le opere di rilevanza culturale appartenenti a soggetti pubblici o privati
residenti nel territorio nazionale, indipendentemente dalla nazionalità
dell'autore delle opere stesse;
b) il reato di contraffazione di opere d'arte previsto dall'art. 127 riguarda
tutte le condotte illecite (di contraffazione, alterazione, commercio etc.)
realizzate nel territorio nazionale, indipendentemente dalla circostanza che le
opere contraffatte, alterate etc. siano attribuite a un autore nazionale o a un
autore straniero.
Ne deriva, per il caso di specie, che la norma incriminatrice di cui all'art.
127 si applica anche per le contraffazioni, le alterazioni, la messa in
commercio etc. realizzate nel territorio nazionale sulle opere di Francisco Goya
(1746-1828) e di Salvador Dalì (1904-1989).
5 - Dalle osservazioni storiche sopra sviluppate in ordine ai rispettivi scopi
delle leggi 1089/1939 e 1062/1971 e alla elaborazione del testo unico approvato
col D.Lgs. 490/1999 risulta evidente che la disciplina sul diritto d'autore di
cui alla legge 633/1941 non ha rilevanza nella regiudicanda.
In particolare, non ha rilievo il fatto che né il testo unico 490/1999 né il
successivo codice 42/2004, per i vincoli imposti dalle rispettive leggi di
delega, non abbiano potuto adeguare il limite temporale di cinquanta anni,
previsto rispettivamente nell'art. 2, comma 6, del D.Lgs. 490/1999 e nell'art.
10, comma 5 del D.Lgs. 42/2004, a quello di settanta anni imposto per la durata
del diritto patrimoniale d'autore dalla direttiva CEE n. 93/98, e ora recepito
nell'ordinamento nazionale con la legge 52/1996.
Sotto altro profilo non rileva che l'autore o i suoi eredi rilascino
autorizzazioni a riprodurre le opere in modo falso o comunque ingannatorio,
giacché non rientra nel potere di questi soggetti facoltizzare terze persone
alla contraffazione o alterazione delle opere originali.
Al riguardo si deve affermare il seguente principio di diritto:
i titolari del diritto d'autore possono disporre del diritto patrimoniale alla
utilizzazione dell'opera, ma non possono disporre del diritto morale al
riconoscimento della paternità dell'opera, in modo da consentire la messa in
circolazione di opere falsamente imputabili all'autore medesimo e da
pregiudicare così la lealtà e la correttezza del mercato artistico.
In tal senso, nel caso di specie, non ha alcuna efficacia scriminante la
circostanza, asserita dal difensore, che colui che aveva commissionato
all'imputato la riproduzione delle opere grafiche di Dalì aveva in precedenza
acquistato dagli eredi del pittore i diritti per "realizzare opere grafiche a
tiratura limitata e firmate con una firma stampata di Salvador Dalì egli poteva
infatti acquistare diritti patrimoniali sulle opere originali, ma non diritti
morali per la produzione o riproduzione di opere non autentiche.
6 - E' quindi legittimo il giudizio di responsabilità emesso a carico del
Volpini per il reato contestatogli, avendo i giudici di merito motivatamente
accertato che egli:
a) procedette alla incisione delle lastre da cui sono state tratte le acqueforti che riproducevano opere originali di Goya;
b) elaborò un abile assemblaggio di alcune figure tratte da opere originali di Dalì;
c) dopo averne commissionato la stampa all'artigiano Losio, aveva detenuto a scopo di commercio le opere anzidette, apparentemente imputabili a Goya (in numero di otto) e Dalì (in numero di tre), senza alcuna annotazione di non autenticità, in tal modo realizzando contraffazioni oggettivamente pericolose per il mercato dell'arte.
Indubbia era la capacità ingannatoria delle opere, aggravata attraverso l'antichizzazione
del supporto cartaceo delle acqueforti attribuibili al Goya e mediante
l'apposizione della firma nelle opere attribuibili al Dalì.
Quanto al trattamento sanzionatorio, le censure del ricorrente sono prive di
fondamento. Infatti, nonostante la contraria affermazione della sentenza
impugnata, le attenuanti generiche erano state già riconosciute dal giudice di
primo grado in considerazione della sostanziale incensuratezza dell'imputato.
La quantificazione della pena è stata legittimamente determinata dal primo
giudice in ragione del contesto organizzato e internazionale in cui era stata
realizzata la condotta di contraffazione, della notorietà degli autori
contraffatti, della natura particolarmente ingannevole delle contraffazioni,
nonché del fatturato derivabile dai manufatti falsificati, evidentemente assunto
come indice della gravità del pericolo cagionato per la regolarità del mercato
dell'arte.
Sotto quest'ultimo profilo, quindi, non è pertinente accertare se detto pericolo
va commisurato sulle fatture emesse dallo stampatore Loiso (come sostiene la
sentenza impugnata) o sulle fatture emesse dall'imputato a carico del
committente britannico Livi (come sostiene il ricorrente): in realtà, del tutto
correttamente, il primo giudice intendeva riferirsi semplicemente al diverso
fatturato ricavabile dalla messa in commercio delle opere contraffatte, assunto
ex art. 133, comma 1, numero 2, come parametro della gravità dell'offesa
arrecata all'interesse protetto,
In conclusione, tutti i motivi di censura sono infondati e il ricorso va
pertanto respinto.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di
irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13.3.2007.
Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it