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URBANISTICA E EDILIZIA - Abusivismo edilizio - Disagiate condizioni
economiche e sociali - Scriminante dello stato di necessità - Inammissibilità -
Tutela del paesaggio e dell'ambiente - Prevalenza. In materia di abusivismo
edilizio o ambientale, lo stato di necessità è difficilmente ipotizzabile quando
il pericolo di restare senza abitazione è concretamente evitabile attraverso i
meccanismi del mercato o dell'assistenza sociale (Cass. Sez III 4 dicembre 1987
Iudicello; Cass 17 maggio 1990 n. 7015;22 settembre 2001, Riccobono; 22 febbraio
2001, Bianchi). In tale materia manca, non solo e non tanto il danno grave alla
persona (secondo qualche decisione di legittimità per danno grave alla persona
deve intendersi ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso
quello all'abitazione cfr Cass. 11030 del 1997), ma anche e soprattutto
l'inevitabilità del pericolo: infatti l'attività edificatoria non è vietata in
modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni
di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il paesaggio, che
sono tutelati anche dall’articolo 9 della Costituzione. Di conseguenza, se il
suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al
cittadino di chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è edificabile,
il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere
sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente.
Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini. CORTE DI CASSAZIONE Penale,
Sez. III, 10/07/2007 (Ud. 29/05/2007), Sentenza n. 28499
URBANISTICA E EDILIZIA - Abusivismo edilizio - Applicabilità estensiva del
concetto di danno alla persona - Effettiva sussistenza dei requisiti
dell'esimente - Limiti. In materia di abuso edilizio, l’applicabilità
estensiva del concetto di danno alla persona fino a comprendervi il diritto
all'abitazione si risolvono in mere affermazioni di principio sull'astratta
attuazione di tale esimente anche posto che richiedono comunque un'indagine
rigorosa sull'effettiva sussistenza dei requisiti dell'esimente, i quali
requisiti difficilmente o eccezionalmente sono stati riscontrati in concreto
(cfr ad esempio Cass. 19811/2006). Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini.
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/07/2007 (Ud. 29/05/2007), Sentenza
n. 28499
URBANISTICA E EDILIZIA - Demolizione del fabbricato abusivo - Poteri del Giudice
- Acquisizione del bene al patrimonio comunale - Disciplina. In materia di
abuso edilizio, la potestà attribuita autonomamente al giudice penale di
disporre la demolizione del fabbricato abusivo non trova un limite nell'avvenuta
acquisizione del bene al patrimonio comunale, giacché la stessa acquisizione è
finalizzata alla demolizione. Il contrasto tra i due poteri -giurisdizionale ed
amministrativo-, diretti entrambi al medesimo risultato ossia alla demolizione
del manufatto abusivo, non si verifica quindi al momento dell'acquisizione del
bene al patrimonio comunale, bensì nel momento in cui il Consiglio comunale, per
l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, manifesti la volontà di non
procedere alla demolizione,sempre che l'opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali. Sicché, il potere dovere del giudice penale
di eseguire la demolizione dell'opera edilizia abusiva, disposta ex art. 7 della
legge 28 febbraio 1985 n. 47 con la sentenza di condanna, opera anche nel caso
in cui le opere siano state acquisite al patrimonio del Comune, con la sola
esclusione del caso in cui sia intervenuta la deliberazione del consiglio
comunale che abbia dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici (Cass
sez III n. 3489 del 2000; n.2406 del 2003;37120 del 2003; nn. 26149; 37120;
43294 del 2005). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 31
T.U.) il consiglio comunale può dichiarare legittimamente la prevalenza di
interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni: 1)
assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di
costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in
quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata
dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una
formale deliberazione del Consiglio con cui si dichiari formalmente la
sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della
demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione
del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.. Inoltre, l'incompatibilità
dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare
presuppone che questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non è
consentito fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta
esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti anzidetti, giacché
l'ordinamento non può attendere sine die l'adozione di una eventuale
deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera è preclusa al giudice
la potestà di disporre la demolizione del manufatto o di subordinare il
beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a
partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di demolizione
impartito dall'autorità giudiziaria è giustificata. Pres. Postiglione Est. Petti
Ric. Chiarabini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/07/2007 (Ud.
29/05/2007), Sentenza n. 28499
URBANISTICA E EDILIZIA - Abusivismo edilizio - Ordine di demolizione -
Sospensione condizionale della pena Condotta del condannato - Demolizione
avvenuta dopo il decorso del termine - Effetti. Non può considerarsi
illecita la condotta del condannato, il quale in esecuzione dell'ordine
impartito dal giudice, provveda a demolire il manufatto anche dopo il decorso
del termine fissato nell'ingiunzione dall'autorità amministrativa, giacché con
la demolizione si realizza proprio il fine al quale è diretta l'acquisizione
gratuita al patrimonio comunale. Quindi, quand'anche si fosse già verificata
l'acquisizione del bene al patrimonio comunale, la circostanza non sarebbe
ostativa alla demolizione o alla subordinazione del beneficio della sospensione
condizionale della pena alla demolizione stessa o all'esecuzione dell'ordine di
demolizione contenuto nella sentenza di condanna, giacché entrambe le
ingiunzioni sono dirette a realizzare lo stesso risultato ossia l'eliminazione
dal territorio di un manufatto abusivo. Pres. Postiglione Est. Petti Ric.
Chiarabini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/07/2007 (Ud.
29/05/2007), Sentenza n. 28499
URBANISTICA E EDILIZIA - PROCEDURA E VARIE - Sequestro preventivo -
Acquisizione del bene al patrimonio comunale - Revoca del sequestro del bene -
Avente diritto - Fattispecie: acquisizione del bene al patrimonio comunale.
In materia di abuso edilizio, con la sentenza di condanna la cosa oggetto del
sequestro preventivo, se non deve essere confiscata, va restituita a favore
dell'avente diritto, (nella fattispecie a seguito dell'acquisizione del bene al
patrimonio comunale si identifica nel Comune) (cfr per tutte Cass sez III 9
giugno 2004, Meglio). Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini. CORTE DI
CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/07/2007 (Ud. 29/05/2007), Sentenza n. 28499
PROCEDURA E VARIE - Inammissibilità del ricorso - Manifesta infondatezza
Prescrizione - Interruzione. L'inammissibilità del ricorso per la manifesta
infondatezza dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la
decisione impugnata secondo l'orientamento espresso da Cass. Sez. unite con
decisione n 32/2000, De Luca nonché con dec. del 27/06/2001, Cavalera). Pres.
Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III,
10/07/2007 (Ud. 29/05/2007), Sentenza n. 28499
PROCEDURA E VARIE - C.d. diritto alla controprova - Requisiti - Art. 606 1°
c. lett. d) e s.m. - 495 c. 2° c.p.p. Il mezzo d'annullamento di cui
all'articolo 606 primo comma lett. d), anche a seguito delle modificazioni
apportate con l'articolo 8 della legge n 46 del 2006, presuppone non solo che la
prova sia decisiva, ma anche che sia stata richiesta a norma dell'articolo 495
comma secondo c.p.p.. La norma in esame invero ha la funzione di apprestare
tutela nel caso di eventuale violazione del cosiddetto diritto alla controprova,
quando sia stata compromessa l'effettiva instaurazione del contraddittorio in
ordine ad un elemento decisivo dell'istruzione probatoria. Pres. Postiglione
Est. Petti Ric. Chiarabini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/07/2007
(Ud. 29/05/2007), Sentenza n. 28499
UDIENZA PUBBLICA DEL 29/05/2007
SENTENZA N.1606
REG. GENERALE N.6190/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Amedeo Postiglione presidente
Dott. Agostino Cordova consigliere
Dott. Ciro Petti consigliere
Dott. Margherita Marmo consigliere
Dott. Antonio Ianniello consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore di Chiarabini Angelo, nato a Sant'Angelo in
Vado(PS) il 31 maggio del 1952, avverso la sentenza della corte d'appello di
Bologna del 13 maggio 2003;
udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale in persona del dott. Angelo Di Popolo,
Il quale ha concluso per l'inammissibilità de ricorso;
Udito il difensore avv Brochiaro Magrone Fabrizio,quale sostituto dell'avv.
Vittorino Cagnoni, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva
IN FATTO
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 13.05.2003 (depositata in data
18.08.2003 e notificata al difensore in data 09.10.2003 e all'imputato contumace
in data 13.10.2003),confermava quella pronunciata dal Tribunale di Rimini, con
cui Chiarabini Angelo era stato condannato, in concorso di circostanze
attenuanti generiche, alla pena di mesi uno di arresto ed curo 4000,00 di
ammenda, quale responsabile della contravvenzione p.e p. dall'art. 20 lett. b)
L.47/85, per avere, quale proprietario di un fabbricato allo stato grezzo, sito
in Rimini via Calastra s.n., in assenza della concessione edilizia, eseguito sul
piano seminterrato già realizzato in precedenza, un piano primo avente le
dimensioni di mt. 10,12 x 12,10 (mq. 122,45) con altezza di mt. 2,92, con getto
sui tre lati delle solette per i balconi per un totale di mq. 53,46. Reato
accertato in Rimini il 02.09.1999.
Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del suo difensore sulla base di due
motivi
Con il primo motivo il difensore deduce mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell'art. 606, I comma, lettere. d) ed e), C.p.p., in
ordine alla mancata assunzione della prova testimoniale sulle circostanze
integranti lo stato di necessità chiesta in primo grado a norma dell'articolo
507 c.p.p. e rinnovata con i motivi d'appello.
Con il secondo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione
nella parte relativa alla mancata revoca dell'ordine di demolizione e di revoca
del sequestro.
Assume che la corte ha illegittimamente confermato la pronuncia del Tribunale di
Rimini con cui era stata rigettata la richiesta d'assunzione della prova
testimoniale avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. e diretta a
dimostrare l'esistenza dell'esimente dello stato di necessità ex art. 54 c.p..
Il giudice di secondo grado, infatti, dopo aver riconosciuto che l'appellante
aveva effettivamente allegato le circostanze a sostegno dell'esistenza di uno
stato di necessità (la vana ricerca di altre soluzioni "in affitto ",le proprie
disagiate condizioni economiche; la precarietà/intollerabilità di una forzata
coabitazione con i suoceri nell'appartamento di questi ultimi), aveva
successivamente affermato, in modo del tutto inadeguato, che tali circostanze
erano state "prospettate unicamente nei motivi d'appello in quanto la difesa in
primo grado si era limitata a chiedere l'escussione di un certo Zavatti Nevio,
il quale avrebbe dovuto testimoniare sul fatto che il Chiarabini stesso era
stato il muratore del manufatto edilizio in questione. Con ciò la corte aveva
compiuto un evidente errore nella lettura e nella valutazione degli atti
processuali. Invero le suindicate allegazioni erano state prospettate dalla
difesa del Chiarabini nel corso del dibattimento di primo grado, allorché era
stata illustrata la tesi difensiva fondata sull'esistenza di un grave stato di
necessità, provocato dallo sfratto subito dall'imputato, dall'impossibilità di
rinvenire un altro alloggio idoneo per sé e per la propria famiglia e dalla
difficile e insostenibile coabitazione forzata con i suoceri.
A conferma di quanto dedotto e al fine di dimostrare l'esistenza del predetto
stato di necessità, all'udienza del 12.03.2002, era stata prodotta la copia
dell'atto di sfratto dell'imputato dalla propria abitazione e si era chiesto che
venisse ammessa, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., la prova testimoniale sulle
circostanze allegate e integranti le condizioni richieste per l'esistenza di
tale esimente (lo sfratto subito dall'imputato dal proprio appartamento, i
tentativi di rinvenire un altro alloggio idoneo rivelatisi inutili a causa della
scarsa offerta di appartamenti oltre che degli elevati canoni richiesti, le
precarie condizioni economiche dell'imputato e della sua famiglia e la difficile
coabitazione forzata nell'abitazione dei suoceri, la decisione di costruirsi un
alloggio da solo ricorrendo al proprio lavoro di muratore). A tal fine alla
medesima udienza del 12.03.2002 si era indicato come testimone il Sig. Zavatti
Nevio.
Inoltre la conferma dell'ordine di demolizione era illegittima perché,a seguito
dell'inosservanza dell' ingiunzione a demolire dell'autorità comunale, il bene
non era più di sua proprietà, ma era divenuto di proprietà comunale, per cui non
poteva demolire un bene altrui.
Con memoria dell' 11 maggio del 2007 il ricorrente ribadiva di avere presentato
domanda di condono ed eccepiva altresì la prescrizione maturata dopo la
decisione impugnata.
IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.
Preliminarmente si rileva che la domanda di condono presentata dal ricorrente,
come risulta dalla nota del 15 gennaio del 2007 trasmessa a questa Corte dal
dirigente l'ufficio comunale, è stata ritenuta irricevibile e decaduta perché la
documentazione era incompleta.
Ciò premesso, si rileva che il mezzo d'annullamento di cui all'articolo 606
primo comma lett. d), anche a seguito delle modificazioni apportate con
l'articolo 8 della legge n 46 del 2006, presuppone non solo che la prova sia
decisiva, ma anche che sia stata richiesta a norma dell'articolo 495 comma
secondo c.p.p.. La norma in esame invero ha la funzione di apprestare tutela nel
caso di eventuale violazione del cosiddetto diritto alla controprova, quando sia
stata compromessa l'effettiva instaurazione del contraddittorio in ordine ad un
elemento decisivo dell'istruzione probatoria.
Nella fattispecie la prova non era decisiva perché verteva sulla sussistenza di
un presunto stato di necessità che la corte ha legittimamente ritenuto non
configurabile e comunque la prova non si riferiva ai casi previsti dall'articolo
495 comma secondo c.p.p.. Invero, lo stato di necessità è difficilmente
ipotizzabile in materia di abusivismo edilizio o ambientale, quando il pericolo
di restare senza abitazione è concretamente evitabile attraverso i meccanismi
del mercato o dell'assistenza sociale (Così Cass. Sez III 4 dicembre 1987
Iudicello;Cass 17 maggio 1990 n. 7015;22 settembre 2001, Riccobono; 22 febbraio
2001, Bianchi). In tale materia manca, non solo e non tanto il danno grave alla
persona (secondo qualche decisione di legittimità per danno grave alla persona
deve intendersi ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso
quello all'abitazione -cfr Cass. 11030 del 1997-), ma anche e soprattutto perché
manca l'inevitabilità del pericolo: infatti l'attività edificatoria non è
vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a
tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il
paesaggio, che sono tutelati anche dalla Costituzione -art 9- Di conseguenza, se
il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al
cittadino di chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è edificabile,
il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere
sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. Le
decisioni di questa corte che interpretano in maniera estensiva il concetto di
danno alla persona fino a comprendervi il diritto all'abitazione si risolvono in
mere affermazioni di principio sull'astratta applicabilità di tale esimente
anche in materia di abuso edilizio, posto che richiedono comunque un'indagine
rigorosa sull'effettiva sussistenza dei requisiti dell'esimente, i quali
requisiti difficilmente o eccezionalmente sono stati riscontrati in concreto
(cfr ad esempio Cass 19811 del 2006). In definitiva, pur aderendo in questa
materia ad un'interpretazione ampia del concetto di danno alla persona,
difficilmente nella prassi sarebbe configurabile l'inevitabilità del pericolo e
comunque nella fattispecie certamente lo stato di necessità non è configurabile,
poiché il prevenuto non si è neppure preoccupato di indicare la ragione per la
quale non ha potuto chiedere il permesso di effettuare la sopraelevazione che
abusivamente ha effettuato, anche se ha dovuto necessariamente investire risorse
economiche per realizzare il manufatto. Ed è questa la ragione che rende
manifesta l'infondatezza dell'istanza di concessione dell'esimente dello stato
di necessità.
In relazione al secondo motivo si osserva che la potestà attribuita
autonomamente al giudice penale di disporre la demolizione del fabbricato
abusivo non trova un limite nell'avvenuta acquisizione del bene al patrimonio
comunale, giacché la stessa acquisizione è finalizzata alla demolizione. Il
contrasto tra i due poteri -giurisdizionale ed amministrativo-, diretti entrambi
al medesimo risultato ossia alla demolizione del manufatto abusivo, non si
verifica quindi al momento dell'acquisizione del bene al patrimonio comunale,
bensì nel momento in cui il Consiglio comunale, per l'esistenza di prevalenti
interessi pubblici, manifesti la volontà di non procedere alla demolizione,
sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o
ambientali. Questa stessa sezione ha già statuito che il potere dovere del
giudice penale di eseguire la demolizione dell'opera edilizia abusiva, disposta
ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 con la sentenza di condanna, opera
anche nel caso in cui le opere siano state acquisite al patrimonio del Comune,
con la sola esclusione del caso in cui sia intervenuta la deliberazione del
consiglio comunale che abbia dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi
pubblici (Cass sez III n. 3489 del 2000;n.2406 del 2003; 37120 del 2003; nn
26149; 37120; 43294 del 2005). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985
(ora art. 31 T.U.) il consiglio comunale può dichiarare legittimamente la
prevalenza di interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti
condizioni: 1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e,
nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata,assenza di contrasto con interessi
ambientali: in quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata
dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una
formale deliberazione del Consiglio con cui si dichiari formalmente la
sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della
demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione
del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.. Inoltre, l'incompatibilità
dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare
presuppone che questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non è
consentito fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta
esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti anzidetti, giacché
l'ordinamento non può attendere sine die l'adozione di una eventuale
deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera è preclusa al giudice
la potestà di disporre la demolizione del manufatto o di subordinare il
beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a
partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di demolizione
impartito dall'autorità giudiziaria è giustificata.
Peraltro non può considerarsi illecita la condotta del condannato, il quale in
esecuzione dell'ordine impartito dal giudice, provveda a demolire il manufatto
anche dopo il decorso del termine fissato nell'ingiunzione dall'autorità
amministrativa, giacché con la demolizione si realizza proprio il fine al quale
è diretta l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Quindi, quand'anche si
fosse già verificata l'acquisizione del bene al patrimonio comunale, la
circostanza non sarebbe ostativa alla demolizione o alla subordinazione del
beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione stessa o
all'esecuzione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna,
giacché entrambe le ingiunzioni sono dirette a realizzare lo stesso risultato
ossia l'eliminazione dal territorio di un manufatto abusivo.
Per quanto concerne l'esplicita revoca del sequestro del bene si osserva che,
una volta che il comune è divenuto titolare del bene e nella fattispecie il
ricorrente non contesta l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile del
comune, anzi ha fondato il secondo motivo su tale premessa, l'imputato non ha
interesse alla restituzione e, quindi, non può dolersi della mancata revoca del
provvedimento di sequestro preventivo( Cass n 711/97), salvo il caso, che non
ricorre nella fattispecie, in cui chiede il dissequestro per potere eseguire la
demolizione. Invero con la sentenza di condanna la cosa oggetto del sequestro
preventivo, se non deve essere confiscata, va restituita a favore dell'avente
diritto, che nella fattispecie a seguito dell'acquisizione del bene al
patrimonio comunale si identifica nel Comune (cfr per tutte Cass sez III 9
giugno 2004,Meglio)
L'inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza dei motivi impedisce
di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo
l'orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa corte con la decisione n
32 del 2000, De Luca nonché con la decisione del 27 giugno del 2001, Cavalera)
P.Q.M.
La Corte Letto l'articolo 616 c.p.p.
Dichiara
Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuale ed al versamento della somma di euro 1000 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 maggio del 2007
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