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CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. III, 18/12/2007, C-194/05
RIFIUTI - Terre e rocce da scavo destinate al riutilizzo - Art. 10 L.
93/2001 - Art. 1, cc. 17 e 19, L. 443/2001 - Direttive
75/442/CEE e 91/156/CEE – Nozione di “rifiuti”- Repubblica Italiana -
Inadempimento. Nella misura in cui l’art. 10 della legge 23 marzo 2001,
n. 93, recante disposizioni in campo ambientale, e l’art. 1, commi 17 e 19,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, Delega al Governo in materia di
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per
il rilancio delle attività produttive, hanno escluso dall’ambito di
applicazione della disciplina nazionale sui rifiuti le terre e le rocce da
scavo destinate all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti,
rilevati e macinati, con esclusione di quelli provenienti da siti inquinati
e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di
accettabilità stabiliti dalle norme vigenti, la Repubblica italiana è venuta
meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva del Consiglio
15 luglio 1975, 75/442/CEE, sui rifiuti, come modificata dalla direttiva del
Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CE. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA'
EUROPEE, Sez. III, 18/12/2007, Causa C-194/05
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
18 dicembre 2007
«Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttive 75/442/CEE e
91/156/CEE – Nozione di “rifiuti” – Terre e rocce da scavo destinate ad
essere riutilizzate»
Nella
causa C 194/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE,
proposto il 2 maggio 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. M. Konstantinidis, in
qualità di agente, assistito dall’avv. G. Bambara, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di
agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto
in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, J.N.
Cunha Rodrigues, A. Ó Caoimh (relatore) e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. J. Swedenborg, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del
17 gennaio 2007,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22
marzo 2007,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di
dichiarare che la Repubblica italiana, nella misura in cui l’art. l0 della legge
23 marzo 2001, n. 93, recante disposizioni in campo ambientale (GURI n. 79 del 4
aprile 2001; in prosieguo: la «legge n. 93/2001»), e l’art. 1, commi 17 e 19,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, Delega al Governo in materia di
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive (Supplemento ordinario alla GURI n. 299 del
27 dicembre 2001; in prosieguo: la «legge n. 443/2001»), hanno escluso
dall’ambito di applicazione della disciplina nazionale sui rifiuti le terre e le
rocce da scavo destinate all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti,
rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e
da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di
accettabilità stabiliti dalle norme vigenti, è venuta meno agli obblighi che le
incombono in forza della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, sui
rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18
marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32) in prosieguo: la «direttiva»).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 L’art. 1, lett. a) e c), della direttiva stabilisce che, ai fini di
quest’ultima, si deve intendere per:
«a) “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie
riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi.
La Commissione, conformemente alla procedura di cui all’articolo 18, preparerà,
entro il 1° aprile 1993, un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di
cui all’allegato I. Questo elenco sarà oggetto di un riesame periodico e, se
necessario, sarà riveduto secondo la stessa procedura;
(...)
c) “detentore”: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li
detiene».
3 L’art. 1, lett e) e f), della direttiva definisce le nozioni di smaltimento e
di ricupero dei rifiuti nel senso che si riferiscono a tutte le operazioni
previste, rispettivamente, negli allegati II A e II B a quest’ultima.
4 L’art. 2 della direttiva così dispone:
«1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:
(...)
b) qualora già contemplati da altra normativa:
(…)
ii) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento,
dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
(…)
2. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente
direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti
possono essere fissate da direttive particolari».
5 La Commissione ha adottato la decisione 20 dicembre 1993, 94/3/CE, che
istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della
direttiva 75/442 (GU 1994, L 5, pag. 15). Tale catalogo (in prosieguo: il
«catalogo europeo dei rifiuti») è stato rinnovato con decisione della
Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3 e la
decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi
ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio
relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 226, pag. 3). Il catalogo europeo dei
rifiuti istituito con la decisione 2000/532 è stato più volte modificato, da
ultimo con decisione del Consiglio 23 luglio 2001, 2001/573/CE (GU L 203, pag.
18). Il catalogo contiene un capitolo 17, intitolato «Rifiuti delle operazioni
di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti
contaminati)», il quale contiene in particolare una sezione 17 05, intitolata
«terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di
dragaggio», nell’ambito della quale figurano le rubriche 17 05 03, «terra e
rocce, contenenti sostanze pericolose», e 17 05 04, «terra e rocce, diverse da
quelle di cui alla voce 17 05 03».
La normativa nazionale
6 L’art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22,
recante attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e
sui rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15
febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»), recita:
«Ai fini del presente decreto si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo
di disfarsi;
(…)».
7 L’art. 8, comma 1, del decreto esclude dal suo campo di applicazione
determinati materiali e sostanze in quanto disciplinati da specifiche
disposizioni di legge, in particolare, al punto b), «i rifiuti risultanti dalla
prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali
o dallo sfruttamento delle cave».
8 L’art. 10 della legge n. 93/2001 ha aggiunto all’art. 8, comma 1, del decreto
legislativo n. 22/97 un punto f bis), del seguente tenore:
«Le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri,
riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da
siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai
limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti».
9 L’art. 1, comma 17, della legge n. 443/2001 dispone che l’art. 8, comma 1,
lett. f bis), del decreto legislativo n. 22/97 dev’essere interpretato «nel
senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono
rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto
legislativo, anche quando contaminate durante il ciclo produttivo da sostanze
inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione,
sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una
concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme
vigenti».
10 Inoltre, il comma 19 del medesimo articolo stabilisce che:
«Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti
cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave
coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo
autorizzata dall’autorità amministrativa competente, a condizione che siano
rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata
secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato».
11 Con l’art. 23 della legge 31 ottobre 2003, n. 306, recante disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee (GURI n. 266 del 15 novembre 2003; in prosieguo: la «legge n.
306/2003»), il legislatore italiano ha modificato l’art. 1, commi 17 e 19, della
legge n. 443/2001.
Procedimento precontenzioso
12 La Commissione, ritenendo che il combinato disposto dell’art. 10 della legge
n. 93/2001 e dell’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001 (in prosieguo,
congiuntamente: le «disposizioni controverse») violasse la direttiva, ha avviato
il procedimento per inadempimento ex art. 226 CE.
13 Poiché le autorità italiane non avevano risposto alla lettera di diffida del
27 giugno 2002, il 19 dicembre 2002 la Commissione emetteva un parere motivato,
invitando la Repubblica italiana a prendere i provvedimenti necessari per
conformarsi alla direttiva entro un termine di due mesi dal ricevimento del
suddetto parere, che è avvenuto il giorno stesso.
14 Nella loro risposta del 5 marzo 2003 al parere motivato, le autorità italiane
inviavano alla Commissione un progetto di modifica della normativa nazionale in
materia di terre da scavo.
15 La Commissione faceva presente, nel corso di una riunione congiunta tenutasi
il 25 giugno 2003, che tale progetto di legge continuava a prevedere
un’interpretazione restrittiva del concetto di rifiuto ed era quindi contrario
alla direttiva.
16 Con lettera del 3 febbraio 2004, le autorità italiane presentavano alla
Commissione copia del testo della legge n. 306/2003, integrante le modifiche
annunciate con la menzionata lettera del 5 marzo 2003.
17 La Commissione, ritenendo persistesse una situazione insoddisfacente, ha
deciso di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
Sulla ricevibilità
18 Nel suo controricorso, la Repubblica italiana sostiene innanzi tutto che
il presente ricorso è irricevibile, in quanto la Commissione non avrebbe preso
in considerazione le modifiche introdotte con la legge n. 306/2003, adottata il
31 ottobre 2003 ed entrata in vigore il 30 novembre 2003, ossia prima che
venisse proposto il presente ricorso per inadempimento.
19 A questo proposito va ricordato che, da un lato, la Corte ha più volte
dichiarato che l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione
alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine
stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti
successivi (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C 168/03,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I 8227, punto 24, e 27 ottobre 2005, causa C
23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I 9535, punto 9).
20 Dall’altro lato, l’oggetto di un ricorso per inadempimento proposto ai sensi
dell’art. 226 CE è definito dal procedimento precontenzioso previsto in tale
disposizione e, pertanto, il ricorso non può essere fondato su addebiti diversi
da quelli formulati nel corso del procedimento precontenzioso (v., in tal senso,
sentenze 10 maggio 2001, causa C 152/98, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I
3463, punto 23, e 22 settembre 2005, causa C-221/03, Commissione/Belgio, Racc.
pag. I 8307, punto 38).
21 Orbene, nel caso di specie le modifiche disposte con la legge n. 306/2003
sono state introdotte solo dopo la scadenza del termine fissato nel parere
motivato.
22 Se è vero che la Commissione reputa che tali modifiche non abbiano comportato
l’adeguamento della normativa italiana alla direttiva, essa ha tuttavia
sottolineato, nella sua replica e altresì in sede di udienza, che essa non
intende impugnare tale legge nel contesto del presente ricorso.
23 Pertanto, dal momento che l’oggetto del ricorso ex art. 226 CE non è fondato
su censure diverse da quelle indicate nel corso del procedimento precontenzioso,
l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Repubblica italiana dev’essere
respinta.
Nel merito
Argomenti delle parti
24 La Commissione sostiene che le disposizioni controverse escludono, a
priori ed in via generale, le terre e rocce da scavo destinate a determinate
operazioni di riutilizzo dall’ambito di applicazione della normativa nazionale
sui rifiuti, con il conseguente effetto dell’inapplicabilità a tali materiali
delle disposizioni della direttiva relative alla gestione dei rifiuti.
25 Orbene, la Commissione ritiene che le terre e rocce da scavo, figuranti nel
catalogo europeo dei rifiuti, siano materiali di cui il detentore vuole disfarsi
e che rientrino nella definizione di rifiuto di cui all’art. 1, lett a), della
direttiva. Le disposizioni controverse non limiterebbero l’esclusione
dell’applicazione delle disposizioni dell’ordinamento nazionale derivanti dalla
direttiva ai casi espressamente specificati dalla Corte ma, al contrario,
prevedrebbero un’esclusione più generale.
26 Secondo la Repubblica italiana, la nozione comunitaria di rifiuto è connotata
da ragionevoli eccezioni nel caso di sottoprodotti di cui l’impresa non intenda
«disfarsi» in quanto rifiuti. Infatti, da un’attenta lettura della
giurisprudenza della Corte in materia emergerebbe che i presupposti
indispensabili per la qualificazione di determinati residui in termini di
sottoprodotto, piuttosto che di rifiuto, consistono non già nel reimpiego di
questi materiali nel medesimo processo produttivo da cui sono derivati, bensì
nella certezza del loro riutilizzo in assenza di trasformazioni preliminari. A
questo proposito, la Commissione si fonderebbe su un’interpretazione erronea
della sentenza 11 novembre 2004, causa C 457/02, Niselli (Racc. pag. I 10853,
punto 52), la quale si limiterebbe a negare la legittimità di esclusioni
generali dalla categoria dei rifiuti allorché non sussiste una concreta verifica
dell’effettivo riutilizzo dei materiali di cui si tratta.
27 Tale Stato membro reputa che debbano qualificarsi come sottoprodotti i
residui impiegati con certezza e senza trasformazioni preliminari in un processo
produttivo diverso da quello da cui gli stessi sono derivati, ma comunque
contemporaneo ad esso o almeno idoneo ad assicurarne un tempestivo riutilizzo,
cioè prima che dal deposito dei residui possano derivare danni.
28 La Repubblica italiana sottolinea il nesso esistente tra le disposizioni
controverse e la realizzazione di un vasto progetto di opere pubbliche relativo
alle vie di comunicazione nazionali, per le quali l’impiego di terre e rocce da
scavo è indispensabile, costituendo forse la parte più importante di tale
progetto, cosa che ne garantirebbe l’effettivo riutilizzo. Una siffatta garanzia
discenderebbe parimenti dall’obbligo gravante sulle persone incaricate della
realizzazione dei diversi elementi del progetto, di condurli a termine in tutti
i loro aspetti.
29 La Repubblica italiana sottolinea il rapporto esistente tra le disposizioni
controverse e la realizzazione di un vasto progetto di lavori pubblici relativi
alle vie di comunicazione del paese, per i quali l’utilizzo di terre e di rocce
da scavo è indispensabile, la qual cosa ne garantirebbe l’effettivo riutilizzo.
In tale contesto, lungi dal prevedere un’esclusione generalizzata, le
disposizioni controverse circoscriverebbero, tramite il progetto stesso ed il
controllo sull’esecuzione dei lavori di cui trattasi, le ipotesi nelle quali
alle terre e alle rocce da scavo non è applicabile la normativa sui rifiuti, in
quanto materiali riutilizzabili secondo un disegno organico, che valuta
preventivamente e specificamente gli effetti sull’ambiente e sulla salute.
Giudizio della Corte
30 Con la sua argomentazione, la Commissione rileva sostanzialmente che le
disposizioni controverse sono contrarie alla direttiva e, in particolare, al suo
art. 1, lett. a), in quanto violano la nozione di «rifiuto» applicabile in forza
della direttiva, escludendo infatti dall’ambito di applicazione della normativa
nazionale recante attuazione delle disposizioni di quest’ultima relative alla
gestione dei rifiuti le terre e le rocce da scavo destinate a determinate
operazioni di riutilizzo.
31 Ai sensi dell’art. 1, lett. a), comma 1, si intende per «rifiuto» «qualsiasi
sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I [alla
direttiva] e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi».
32 L’allegato I precisa e chiarisce tale definizione proponendo un elenco di
sostanze e di oggetti qualificabili come rifiuti. Tale elenco, tuttavia, ha
soltanto un valore indicativo, posto che la qualifica di rifiuto deriva
anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine
«disfarsi» (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, causa C 129/96,
Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I 7411, punto 26; 7 settembre 2004,
causa C 1/03, Van de Walle e a., Racc. pag. I 7613, punto 42, nonché 10 maggio
2007, causa C 252/05, Thames Water Utilities, Racc. pag. I-3883, punto 24).
33 Il termine «disfarsi» deve essere interpretato non solo alla luce della
finalità essenziale della direttiva la quale, stando al suo terzo
‘considerando’, è la «protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli
effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e
del deposito dei rifiuti», bensì anche dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo
dispone che «[l]a politica della Comunità in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle
varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e
dell’azione preventiva (…)». Ne consegue che il termine «disfarsi», e pertanto
la nozione di «rifiuto» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva, non
possono essere interpretati in senso restrittivo (v., in tal senso, in
particolare, sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C 418/97 e C 419/97, ARCO
Chemie Nederland e a., Racc. pag. I 4475, punti 36 40, nonché Thames Water
Utilities, cit., punto 27).
34 Alcune circostanze possono costituire indizi del fatto che il detentore della
sostanza od oggetto «se ne disfi» ovvero abbia deciso o abbia l’obbligo di
«disfarsene» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva (sentenza ARCO
Chemie Nederland e a., cit., punto 83). Ciò si verifica in particolare se una
sostanza è un residuo di produzione o di consumo, cioè un prodotto che non è
stato ricercato in quanto tale (v., in tal senso, citate sentenze ARCO Chemie
Nederland e a., punto 84, nonché Niselli, punto 43).
35 Infatti, la Corte ha precisato che i detriti provenienti dall’attività
estrattiva di una cava di granito, che non si configurano come produzione
principale ricercata mediante tale sfruttamento, rientrano, in via di principio,
nella categoria dei rifiuti (v., in tal senso, sentenza 18 aprile 2002, causa C
9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc.
pag. I 3533; in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punti 32 e 33).
36 Del resto, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una
sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto (v.
sentenze ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 64, e 1° marzo 2007, causa C
176/05, KVZ retec, Racc. pag. I 1721, punto 52).
37 La Corte ha infatti precisato, da un lato, che l’esecuzione di una delle
operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati II A o II B alla
direttiva non consente di per sé di qualificare come rifiuto una sostanza o un
oggetto trattato in tale operazione (v. in tal senso, in particolare, sentenza
Niselli, cit., punti 36 e 37) e, dall’altro, che la nozione di rifiuti non
esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica (v.,
in tal senso, in particolare, sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C 304/94, C
330/94, C 342/94 e C 224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I 3561, punti 47 e 48). Il
sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva intende,
infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si
disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo
commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v., in particolare,
sentenza Palin Granit, cit., punto 29).
38 Tuttavia, emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che, in determinate
situazioni, un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo
di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo
può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale il
detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
direttiva, ma che intende sfruttare o commercializzare – altresì eventualmente
per il fabbisogno di operatori economici diversi da quello che l’ha prodotto – a
condizioni ad esso favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale
riutilizzo sia certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga
nel corso del processo di produzione o di utilizzazione (v., in tal senso,
sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 11 settembre 2003, causa C 114/01,
AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I 8725, punti 33-38; Niselli, cit., punto 47,
nonché 8 settembre 2005, causa C 416/02, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7487,
punti 87 e 90, e causa C 121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7569, punti 58
e 61).
39 Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno di residuo di
produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale
sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un
criterio utile ai fini di valutare se tale sostanza sia o meno un rifiuto ai
sensi della direttiva. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la
sostanza di cui trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel
farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere la
sostanza in questione non può più essere considerata un onere di cui il
detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto (v. sentenze citate
Palin Granit, punto 37, e Niselli, punto 46).
40 Tuttavia, se per tale riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono
avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché
essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira
specificamente a limitare, esso non può essere definito certo ed è prevedibile
solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui trattasi deve
essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso,
sentenze citate Palin Granit, punto 38, e AvestaPolarit Chrome, punto 39).
41 L’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva va pertanto
accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della
finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (v. citate
sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 88, e KVZ retec, punto 63, nonché
ordinanza 15 gennaio 2004, causa C 235/02, Saetti e Frediani, Racc. pag. I 1005,
punto 40).
42 Nel caso di specie è assodato che le disposizioni controverse escludono
dall’ambito di applicazione della normativa nazionale di recepimento della
direttiva le terre e rocce da scavo, sempreché tali materiali non siano
contaminati ai sensi delle medesime disposizioni e siano destinati ad effettivo
utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, compresi «il
riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a
qualsiasi titolo autorizzata».
43 A questo proposito si deve ricordare anzitutto che, come emerge dai punti 5 e
31 della presente sentenza, le «terre e rocce» di cui al catalogo europeo dei
rifiuti vanno qualificate come «rifiuti» ai sensi della direttiva se il
detentore se ne disfa ovvero ha l’intenzione o l’obbligo di disfarsene.
44 Atteso che la direttiva non suggerisce alcun criterio determinante per
individuare la volontà del detentore di disfarsi di una determinata sostanza o
di un determinato materiale, in mancanza di disposizioni comunitarie gli Stati
membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi
definiti nelle direttive da essi recepite, purché ciò non pregiudichi
l’efficacia del diritto comunitario (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e
a., punto 41, nonché Niselli, punto 34). Infatti, gli Stati membri possono, ad
esempio, definire varie categorie di rifiuti, in particolare per facilitare
l’organizzazione e il controllo della loro gestione, purché gli obblighi
risultanti dalla direttiva o da altre disposizioni di diritto comunitario
relative ai rifiuti in parola siano rispettati e l’eventuale esclusione di
determinate categorie dall’ambito di applicazione delle misure adottate per
recepire gli obblighi derivanti dalla direttiva si verifichi in conformità
all’art. 2, n. 1, di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 2004,
causa C 62/03, Commissione/Regno Unito, non pubblicata nella Raccolta, punto
12).
45 La Repubblica italiana sostiene essenzialmente che i materiali previsti dalle
disposizioni controverse possono essere considerati, stando alla giurisprudenza
della Corte, non già come residui provenienti da attività estrattive ma come
sottoprodotti di cui il detentore, dato il suo intendimento che siano
riutilizzati, non cerca di «disfarsi», ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
direttiva, sicché le disposizioni in parola non limitano gli obblighi in materia
di gestione dei rifiuti derivanti dalla direttiva.
46 Tuttavia, tenuto conto dell’obbligo, rammentato al punto 33 della presente
sentenza, di interpretare in modo ampio la nozione di rifiuto e dei criteri
della giurisprudenza indicata ai punti 34-40 della presente sentenza, la
possibilità di ricorrere a un’argomentazione come quella formulata dal governo
italiano, relativa ai sottoprodotti di cui il detentore non intende disfarsi,
deve essere limitata alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un
materiale o di una materia prima, altresì per il fabbisogno di operatori
economici diversi da quello che l’ha prodotto, non è semplicemente eventuale
bensì certo, non richiede una trasformazione preliminare e interviene nel corso
del processo di produzione o di utilizzazione.
47 Nel caso di specie, le disposizioni controverse, segnatamente l’art. 1, comma
19, della legge n. 443/2001, prevedono espressamente una grande varietà di
situazioni, ivi compreso il caso di ricollocazione in altro sito delle terre e
rocce da scavo.
48 Inoltre non si può escludere, contrariamente a quanto suggerito, in sostanza,
dalla Repubblica italiana, che l’«effettivo riutilizzo» previsto dalle
disposizioni controverse avvenga solo dopo un periodo di tempo considerevole, se
non addirittura indeterminato, rendendo quindi necessario il deposito a tempo
indeterminato dei materiali in questione. Orbene, come risulta dal punto 40
della presente sentenza, operazioni del genere sono atte a configurare un onere
per il detentore e sono potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la
direttiva mira specificamente a limitare.
49 Come emerge poi in particolare dai punti 36 e 37 della presente sentenza, la
modalità di utilizzo di una sostanza non è determinante per qualificare o meno
quest’ultima come rifiuto. Di conseguenza, non si può desumere solo dalla
circostanza per cui i materiali in questione saranno riutilizzati che essi non
costituiscono «rifiuti» ai sensi della direttiva.
50 Infatti, la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non è di per
sé decisiva per quanto riguarda la sua eventuale natura di rifiuto definita,
conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva, con riferimento al fatto
che il detentore dell’oggetto o della sostanza in questione se ne disfi o abbia
deciso o abbia l’obbligo di disfarsene (v., in tal senso, citate sentenze ARCO
Chemie Nederland e a., punto 64, nonché KVZ retec, punto 52).
51 Appare quindi evidente che le disposizioni controverse fanno sorgere in
realtà la presunzione che, nelle situazioni da esse previste, le terre e rocce
da scavo costituiscono sottoprodotti che presentano per il loro detentore, data
la sua volontà di riutilizzarli, un vantaggio o un valore economico anziché un
onere di cui egli cercherebbe di disfarsi.
52 Orbene, anche se tale ipotesi in determinati casi può corrispondere alla
realtà, non può esistere alcuna presunzione generale in base alla quale un
detentore di terre e rocce da scavo tragga dal loro riutilizzo un vantaggio
maggiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di potersene disfare.
53 Pertanto, anche supponendo che possa essere garantito che i materiali
previsti dalle disposizioni controverse siano effettivamente riutilizzati per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati — e tuttavia la Repubblica italiana
non ha accennato ad alcuna norma specifica a tal fine —, è giocoforza constatare
che tali disposizioni finiscono per sottrarre alla qualifica di rifiuto, ai
sensi dell’ordinamento italiano, taluni residui che invece corrispondono alla
definizione sancita dall’art. 1, lett. a), della direttiva.
54 Quest’ultima disposizione fornisce non solo la definizione della nozione di
«rifiuto» ai sensi della direttiva, ma determina altresì, congiuntamente al suo
art. 2, n. 1, il campo di applicazione della direttiva. Infatti, l’art. 2, n. 1,
indica quali tipi di rifiuti sono o possono essere esclusi dall’ambito di
applicazione della direttiva e a quali condizioni, mentre, in linea di
principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla definizione in
parola. Orbene, ogni norma nazionale che limita in modo generale la portata
degli obblighi derivanti dalla direttiva oltre quanto consentito dall’art. 2, n.
1, di quest’ultima travisa necessariamente l’ambito di applicazione della
direttiva (v., in tal senso, sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punto 11),
pregiudicando in questo modo l’efficacia dell’art. 174 CE (v., in tal senso,
ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 42).
55 Nel presente caso, anche supponendo che, come ha osservato la Repubblica
italiana in sede di udienza, le operazioni previste dalle disposizioni
controverse siano altresì disciplinate dalla normativa nazionale relativa alla
realizzazione dei lavori pubblici, come la costruzione di rilevati e di tunnel,
basta osservare a tale proposito che questo tipo di lavori e i materiali in essi
impiegati non rientrano, in via di principio, nell’eccezione all’ambito di
applicazione della direttiva prevista dall’art. 2, n. 1, di quest’ultima.
56 Infine, quanto all’argomento di tale Stato membro secondo il quale
l’applicazione del regime dei rifiuti significherebbe che le imprese che
garantiscono lo smaltimento dei rifiuti o quelle autorizzate a trasportarli o a
raccoglierli dovrebbero partecipare alle attività in questione, il che potrebbe
incrementarne notevolmente i costi, la Commissione ha sottolineato a buon
diritto che l’origine di tale situazione è da ricercare nella normativa italiana
e non nella direttiva. Nel rispetto degli obblighi relativi alla registrazione
e, se del caso, alle autorizzazioni, il detentore dei rifiuti può semplicemente
provvedere in proprio al recupero o allo smaltimento, in conformità alle
disposizioni della direttiva. A questo proposito si deve aggiungere che la
direttiva si applica non solo allo smaltimento e al ricupero dei rifiuti da
parte delle imprese specializzate nel settore, ma del pari allo smaltimento e al
ricupero di rifiuti ad opera dell’impresa che li ha prodotti, nei luoghi di
produzione (sentenza Inter-Environnement Wallonie, cit., punto 29).
57 Pertanto, il ricorso della Commissione dev’essere accolto.
58 Si deve dunque dichiarare che la Repubblica italiana, nella misura in cui le
disposizioni controverse hanno escluso dall’ambito di applicazione della
disciplina nazionale sui rifiuti le terre e le rocce da scavo destinate
all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con
esclusione di quelli provenienti da siti inquinati e da bonifiche con
concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti
dalle norme vigenti, è venuta meno, in relazione ai summenzionati materiali,
agli obblighi che le incombono in forza della direttiva.
Sulle spese
59 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la
Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente,
deve essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Nella misura in cui l’art. 10 della legge 23 marzo 2001, n. 93, recante
disposizioni in campo ambientale, e l’art. 1, commi 17 e 19, della legge 21
dicembre 2001, n. 443, Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle
attività produttive, hanno escluso dall’ambito di applicazione della disciplina
nazionale sui rifiuti le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo
riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di
quelli provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di
inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza
della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, sui rifiuti, come
modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CE.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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