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CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. III, 18/12/2007, C-263/05
RIFIUTI - Nozione di rifiuto - Art. 14 D.L. 138/2002 - Direttive
75/442/CEE e 91/156/CEE - Repubblica italiana - Inadempimento. La
Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 14 del
decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, relativo a interventi urgenti in
materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa
farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate,
divenuto, in seguito a modifica, legge 8 agosto 2002, n. 178, che esclude
dall’ambito di applicazione del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22,
relativo all’attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE
sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di
imballaggio, da un lato, le sostanze, i materiali o i beni, destinati alle
operazioni di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli
allegati B e C a tale decreto e, dall’altro, le sostanze o i materiali
residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano
riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia
effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non
rechino pregiudizio all’ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un
intervento preventivo di trattamento, quando quest’ultimo non configuri
un’operazione di recupero fra quelle individuate all’allegato C al medesimo
decreto, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1,
lett. a), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, sui
rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991,
91/156/CEE, e dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. III, 18/12/2007,
C-263/05
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
18 dicembre 2007
«Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttive 75/442/CEE e
91/156/CEE – Nozione di «rifiuti» – Sostanze o oggetti destinati alle
operazioni di smaltimento o di recupero – Residui di produzione che
possono essere riutilizzati»
Nella causa C 263/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art.
226 CE, proposto il 23 giugno 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M.
Konstantinidis e L. Cimaglia, in qualità di agenti, con domicilio eletto
in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità
di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus,
J.N. Cunha Rodrigues, A. Ó Caoimh (relatore) e dalla sig.ra P. Lindh,
giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione
orale del 7 febbraio 2007,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di
giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il presente ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede
alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e
mantenuto in vigore l’art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138,
relativo a interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni,
di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia
anche nelle aree svantaggiate (GURI n. 158 dell’8 luglio 2002),
divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto 2002, n. 178
(Supplemento ordinario alla GURI n. 187 del 10 agosto 2002), che esclude
dall’ambito di applicazione del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.
22, relativo all’attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti,
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e i
rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15
febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»), da un
lato, le sostanze, i materiali o i beni destinati alle operazioni di
smaltimento o recupero di rifiuti non esplicitamente elencati agli
allegati B e C a detto decreto e, dall’altro, le sostanze o materiali
residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano
riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non
sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli
stessi non rechino pregiudizio all’ambiente, oppure, anche qualora venga
effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest’ultimo
non configuri un’operazione di recupero fra quelle individuate
all’allegato C al medesimo decreto, è venuta meno agli obblighi che le
incombono in forza dell’art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio
15 luglio 1975, 75/442/CEE, sui rifiuti (GU L 194, pag. 39), come
modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L
78, pag. 32), e dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996,
96/350/CE (GU L 135, pag. 32) (in prosieguo: la «direttiva»).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 Ai fini della direttiva, l’art. 1, lett. a), primo comma,
definisce la nozione di «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto
che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I [a tale direttiva]
e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi».
3 La Commissione ha adottato la decisione 20 dicembre 1993, 94/3/CE, che
istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera
a), della direttiva 75/442 (GU 1994, L 5, pag. 15). Tale catalogo (in
prosieguo: il «catalogo europeo dei rifiuti») è stato rinnovato con
decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce
la decisione 94/3 e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce
un elenco di rifiuti, pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4,
della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi
(GU L 226, pag. 3). Il catalogo europeo dei rifiuti istituito con la
decisione 2000/532 è stato più volte modificato, da ultimo con decisione
del Consiglio 23 luglio 2001, 2001/573/CE (GU L 203, pag. 18).
L’allegato alla decisione 2000/532, che contiene il catalogo europeo dei
rifiuti, inizia con un’introduzione il cui punto 1 precisa che si tratta
di un elenco armonizzato che verrà rivisto periodicamente. Il punto 1
chiarisce altresì che «l’inclusione di un determinato materiale nel
[catalogo europeo dei rifiuti] non significa che tale materiale sia un
rifiuto in ogni circostanza. La classificazione del materiale come
rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui
all’articolo 1, lettera a), della direttiva (…)».
4 L’art. 1, lett. e) e f), della direttiva definisce le nozioni di
smaltimento e di recupero dei rifiuti come tutte le operazioni previste,
rispettivamente, nell’allegato II A e II B alla stessa direttiva. Tali
allegati sono stati adattati al progresso scientifico e tecnico con la
decisione 96/350.
La normativa nazionale
5 L’art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 22/97
recita:
«Ai fini del presente decreto si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie
riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso
o abbia l’obbligo di disfarsi;
(…)».
6 L’allegato A al decreto legislativo n. 22/97 riprende l’elenco delle
categorie di rifiuti di cui all’allegato I alla direttiva. Inoltre, gli
allegati B e C allo stesso decreto legislativo elencano rispettivamente
le operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti allo stesso modo
degli allegati II A e II B alla direttiva.
7 L’art. 14 della legge 8 agosto 2002, n. 178 (in prosieguo: la
«disposizione controversa»), che ha sostituito, previa modifica, il
decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, contiene un’«interpretazione
autentica» della definizione di «rifiuto» di cui all’art. 6, comma 1,
lett. a), del decreto legislativo n. 22/97, la quale precisa quanto
segue:
«1. Le parole: “si disfi”, “abbia deciso” o “abbia l’obbligo di
disfarsi” (…) si interpretano come segue:
a) “si disfi”: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo
diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o
sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli
allegati B e C del decreto legislativo n. 22[/97];
b) “abbia deciso”: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento
e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.
22[/97], sostanze, materiali o beni;
c) “abbia l’obbligo di disfarsi”: l’obbligo di avviare un materiale, una
sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito
da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche
autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e
del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’elenco dei
rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto legislativo n.
22[/97].
2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1,
per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove
sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di
consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza
recare pregiudizio all’ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di
consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda
necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate
nell’allegato C del decreto legislativo n. 22[/97]».
Procedimento precontenzioso
8 Ritenendo che le norme interpretative istituite con la disposizione
controversa non fossero conformi alla direttiva, in particolare all’art.
1, lett. a), di questa, la Commissione avviava il procedimento per
inadempimento previsto dall’art. 226 CE.
9 Poiché le autorità italiane non avevano risposto entro il termine
fissato alla lettera di diffida del 18 ottobre 2002, la Commissione, il
3 aprile 2003, emetteva un parere motivato con cui invitava la
Repubblica italiana a conformarsi alla direttiva in un termine di due
mesi a decorrere dalla ricezione dello stesso.
10 Tuttavia, avendo le autorità italiane nel frattempo risposto – seppur
oltre la scadenza del termine impartito – alla lettera di diffida del 18
ottobre 2002, la Commissione riteneva che tale parere motivato fosse, a
questo punto, da considerarsi privo di effetti.
11 Poiché considerava peraltro che questa risposta non fosse
soddisfacente, la Commissione inviava alla Repubblica italiana un parere
motivato complementare mediante lettera dell’11 luglio 2003, invitando
lo Stato membro a conformarvisi entro un nuovo termine di due mesi dal
ricevimento di tale parere.
12 Dopo aver richiesto una proroga di due mesi del termine così
impartito, il governo italiano replicava ai rilievi sollevati dalla
Commissione in merito alla legislazione nazionale con note della
Rappresentanza permanente 12 novembre 2003 e 19 dicembre 2003.
13 Al fine di poter delineare con maggiore precisione le proprie
conclusioni riguardo all’infrazione contestata, in particolare con
riferimento alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott il
10 giugno 2004 nella causa Niselli (sentenza 11 novembre 2004, causa C
457/02, Racc. pag. I 10853), la Commissione emetteva un secondo parere
motivato complementare, mediante lettera 9 luglio 2004, invitando
nuovamente la Repubblica italiana a conformarvisi entro due mesi dal
ricevimento di tale parere.
14 Le autorità italiane rispondevano a tale ultimo parere motivato con
nota 29 settembre 2004.
15 Poiché riteneva che la situazione rimanesse insoddisfacente, la
Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
16 Con le due parti della sua censura, la Commissione sostiene che
l’interpretazione autentica di cui all’art. 6, comma 1, lett. a), del
decreto legislativo n. 22/97, fornita dal legislatore italiano in merito
ai commi 1 e 2 della disposizione controversa, è contraria all’art. 1,
lett. a), della direttiva.
17 Anzitutto, essendo i riferimenti contenuti nel testo delle lett. a) e
b) del comma 1 della disposizione controversa, rispettivamente
all’«attività di smaltimento o di recupero» e alle «operazioni di
smaltimento e di recupero», seguiti in entrambe i casi dalla
precisazione «secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.
22[/97]», essi introdurrebbero una distinzione tra, da un lato, le
operazioni di smaltimento o di recupero generalmente considerate e,
dall’altro, quelle tra esse che sono specificamente previste agli
allegati B e C a tale decreto legislativo. Così, tutti i materiali,
sostanze o beni interessati dall’allegato A al decreto legislativo n.
22/97 che il detentore avvii, sottoponga o intenda destinare ad
operazioni di smaltimento non elencate all’allegato B al decreto
legislativo o ad operazioni di recupero non elencate nel suo allegato C
resterebbero dunque esclusi dalla qualificazione di rifiuti e, di
conseguenza, dall’assoggettabilità alla normativa sulla gestione dei
rifiuti.
18 Di conseguenza, tale disposizione avrebbe come effetto di
circoscrivere illegittimamente la portata della nozione di rifiuto, e
quindi l’ambito di applicazione della normativa italiana sulla gestione
dei rifiuti.
19 La Commissione sostiene, in secondo luogo, che l’esclusione da parte
del comma 2 della disposizione controversa dei criteri interpretativi
della nozione di rifiuto stabiliti al comma 1, lett. b) e c), della
stessa disposizione, e quindi della qualifica di rifiuto, per ciò che
riguarda taluni materiali residuali di produzione o di consumo secondo
le condizioni specificate alle lett. a) e b) di tale comma 2, equivale,
per il legislatore italiano, ad ammettere implicitamente che, nelle
circostanze considerate, tali residui presentano caratteristiche di
rifiuti, escludendo l’applicazione della legislazione sui rifiuti in
funzione delle condizioni relative all’intervento di trattamento su tali
residui.
20 Orbene, secondo la Commissione, non sarebbe lecito escludere
tassativamente dall’ambito di applicazione della direttiva le sostanze o
gli oggetti dei quali il detentore abbia l’intenzione oppure l’obbligo
di disfarsi, anche se riutilizzabili e riutilizzati in un ciclo
produttivo o di consumo, con o senza necessità di effettuare un
trattamento preventivo – alla sola condizione, nel primo caso, che ciò
non faccia intervenire alcuna delle operazioni di recupero espressamente
menzionate nel relativo allegato – e senza recare pregiudizio
all’ambiente, nel caso in cui non venga effettuato alcun trattamento
preventivo.
21 In conclusione, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica
italiana, la disposizione controversa non si limiterebbe semplicemente a
fornire i necessari criteri interpretativi volti ad accertare se
sussistano le condizioni che determinano l’esistenza stessa di un
rifiuto, ma avrebbe un impatto restrittivo per quanto riguarda la
nozione di rifiuto e la sua applicabilità, escludendo in particolare
gran parte dei rifiuti recuperabili dall’ambito di applicazione delle
disposizioni nazionali di recepimento della direttiva.
22 La Repubblica italiana considera che un materiale riutilizzato non
costituisca un rifiuto anche quando il suo detentore intende destinarlo
ad altri processi produttivi. Infatti, la giurisprudenza della Corte
avrebbe esteso l’esclusione della nozione di rifiuti, nel rispetto di
alcune condizioni, ai materiali che vengano effettivamente riutilizzati
anche da parte di terzi.
23 Secondo tale Stato membro, la disposizione controversa indicherebbe
criteri per verificare se il detentore di un materiale se ne sia
disfatto, abbia deciso di disfarsene o abbia l’obbligo di farlo. Tali
criteri, estendendo il test a valle dell’utilizzazione effettiva ed
oggettiva del materiale di cui trattasi, permetterebbero di rispettare
due requisiti stabiliti dalla citata sentenza Niselli, ovvero la
certezza del riutilizzo e l’inserimento dei materiali abbandonati nella
nozione di rifiuto.
24 Tale Stato membro sostiene che l’abbandono costituisce una maniera
indiretta di destinare una sostanza o un oggetto ad un’operazione di
smaltimento o di recupero, di modo che il fatto di abbandonare una
sostanza o un oggetto rientrerebbe in realtà nell’ambito del comma 1,
lett. a), della disposizione controversa.
25 Secondo la Repubblica italiana, il comma 2 della disposizione
controversa, in conformità ai principi sottesi alla giurisprudenza della
Corte, esclude la qualificazione di rifiuto per i residui industriali
che, pur non costituendo lo scopo della produzione principale, non
possono essere considerati come rifiuti, poiché sarebbero riutilizzati
tali e quali, senza alcuna operazione diretta a «disfarsene», vale a
dire senza «trasformazioni preliminari» ovvero con trattamenti
preliminari da non considerarsi recupero completo quali, in particolare,
operazioni di cernita, selezione, separazione, compattamento o
vagliatura.
26 Con la disposizione controversa, la quale va letta nel suo insieme,
il legislatore italiano avrebbe voluto fornire criteri di
interpretazione positivi per l’inclusione tra i rifiuti di materiali di
cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi.
Sarebbe necessario, attraverso criteri interpretativi certi, fornire una
lista positiva dei rifiuti e non partire dal presupposto che tutto è
rifiuto tranne la sostanza o l’oggetto di cui si possa dimostrare che il
detentore non si disfi o non abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi.
27 Secondo la Repubblica italiana, l’argomento della Commissione
implicherebbe che ogni precisazione del termine «disfarsi» avrebbe
inevitabilmente l’effetto di limitare l’ambito di applicazione della
direttiva, il che impedirebbe la facoltà di cui dispongono gli Stati
membri di definire le modalità di applicazione delle direttive.
28 Infine, all’udienza, la Repubblica italiana ha sostenuto che, in
Italia, l’attività di gestione dei rifiuti è a volte esercitata da
persone che operano «al limite della legalità», cosicché tale Stato
membro ha preferito fare affidamento sui produttori di rifiuti per
assicurarne la gestione anziché lasciare che i produttori di rifiuti
affidassero tale gestione ad enti terzi.
Giudizio della Corte
29 Con la prima parte della sua censura, la Commissione sostiene,
nella sostanza, che l’interpretazione imposta al comma 1 della
disposizione controversa ha l’effetto di circoscrivere illegittimamente
la portata della nozione di rifiuto per l’applicazione della normativa
italiana in materia, limitando tale nozione ai materiali che sono
oggetto delle operazioni di smaltimento e di recupero previste agli
allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97 – i quali corrispondono
testualmente, rispettivamente, agli allegati II A e II B alla direttiva
–, ad esclusione di altre operazioni di smaltimento o di recupero, non
elencate negli allegati B e C.
30 Mediante la seconda parte di tale censura, la Commissione sostiene,
in sostanza, che l’esclusione prevista al comma 2 della disposizione
controversa ha anche come effetto di circoscrivere illegittimamente la
citata nozione di rifiuto, nella parte in cui tale esclusione
riguarderebbe i materiali residuali di produzione o di consumo ove gli
stessi possano essere e siano riutilizzati nel medesimo, in analogo o
diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento
preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente
oppure, anche ove venga effettuato un intervento preventivo di
trattamento, senza che per questo si renda necessaria alcuna operazione
di recupero tra quelle individuate nell’allegato C al decreto
legislativo n. 22/97.
31 Vista la posizione adottata dalla Repubblica italiana, che considera,
in sostanza, che la disposizione controversa debba essere letta nel suo
complesso e sia diretta a chiarire il contenuto della nozione di
«rifiuto» come definita all’art. 1, lett. a), della direttiva, occorre,
prima di esaminare insieme le due parti della censura della Commissione,
ricordare la giurisprudenza della Corte relativa a tale nozione.
32 A questo proposito, l’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva
definisce rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle
categorie riportate nell’allegato I [a tale direttiva] e di cui il
detentore si disfi o abbia deciso (...) di disfarsi». L’allegato I
precisa e chiarisce tale definizione proponendo un elenco di sostanze e
di oggetti qualificabili come rifiuti. Tale elenco, tuttavia, ha
soltanto un valore indicativo, posto che la qualifica di rifiuto
discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del
termine «disfarsi» (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, causa C
129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I 7411, punto 26; 7
settembre 2004, causa C 1/03, Van de Walle e a., Racc. pag. I 7613,
punto 42, nonché 10 maggio 2007, causa C 252/05, Thames Water Utilities,
Racc. pag. I-3883, punto 24).
33 Il termine «disfarsi» deve essere interpretato non solo alla luce
della finalità essenziale della direttiva la quale, stando al suo terzo
‘considerando’, è la «protezione della salute umana e dell’ambiente
contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del
trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti», bensì anche
dell’art. 174, n. 2, CE. Quest’ultimo dispone che «[l]a politica della
Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela,
tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della
Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione
preventiva (…)». Ne consegue che il termine «disfarsi», e pertanto la
nozione di «rifiuto» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva,
non possono essere interpretati in senso restrittivo (v., in tal senso,
in particolare, sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C 418/97 e C
419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, punti 36 40,
nonché Thames Water Utilities, cit., punto 27).
34 Alcune circostanze possono costituire indizi del fatto che il
detentore della sostanza od oggetto se ne disfi ovvero abbia deciso o
abbia l’obbligo di «disfarsene» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
direttiva (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 83). Ciò si
verifica in particolare se una sostanza è un residuo di produzione o di
consumo, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v.,
in tal senso, sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 84,
nonché Niselli, punto 43).
35 Del resto, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di
una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un
rifiuto (v. sentenze ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 64, e 1°
marzo 2007, causa C 176/05, KVZ retec, Racc. pag. I 1721, punto 52).
36 La Corte ha infatti precisato, da un lato, che l’esecuzione di una
delle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati II A
o II B alla direttiva non consente di per sé di qualificare come rifiuto
una sostanza o un oggetto trattato in tale operazione (v., in tal senso,
in particolare, sentenza Niselli, cit., punti 36 e 37) e, dall’altro,
che la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti
suscettibili di riutilizzazione economica (v., in tal senso, in
particolare, sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C 304/94, C 330/94,
C 342/94 e C 224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I 3561, punti 47 et 48).
Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva
intende riferirsi infatti a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il
proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono
raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di
riutilizzo (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C 9/00,
Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus,
Racc. pag. I 3533; in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punto 29).
37 Tuttavia, emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che, in
determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima che
deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è
principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo,
quanto un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di «disfarsi»
ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva, ma che intende
sfruttare o commercializzare – altresì eventualmente per il fabbisogno
di operatori economici diversi da quello che l’ha prodotto – a
condizioni ad esso favorevoli, in un processo successivo, a condizione
che tale riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare e
intervenga nel corso del processo di produzione o di utilizzazione (v.,
in tal senso, sentenze Palin Granit, citata, punti 34-36; 11 settembre
2003, causa C 114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I 8725, punti
33-38; Niselli, citata, punto 47, nonché 8 settembre 2005, causa C
416/02, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7487, punti 87 e 90, e causa C
121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7569, punti 58 e 61).
38 Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno di residuo di
produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di
tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un criterio utile ai fini di valutare se tale sostanza sia o
meno un rifiuto ai sensi della direttiva. Se, oltre alla mera
possibilità di riutilizzare la sostanza di cui trattasi, il detentore
consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale
riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere la sostanza in questione non
può più essere considerata un onere di cui il detentore cerchi di
«disfarsi», bensì un autentico prodotto (v. sentenze citate Palin Granit,
punto 37, e Niselli, punto 46).
39 Tuttavia, se per tale riutilizzo occorrono operazioni di deposito che
possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il
detentore nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per
l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso non può
essere considerato certo ed è prevedibile solo a più o meno lungo
termine, cosicché la sostanza di cui trattasi deve essere considerata,
in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso, sentenze citate
Palin Granit, punto 38, e AvestaPolarit Chrome, punto 39).
40 L’effettiva esistenza di un «rifiuto» ai sensi della direttiva va
pertanto accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo
conto della finalità della stessa e in modo da non pregiudicarne
l’efficacia (v. sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 88, e
KVZ retec, punto 63, nonché ordinanza 15 gennaio 2004, causa C 235/02,
Saetti e Frediani, Racc. pag. I 1005, punto 40).
41 Atteso che la direttiva non suggerisce alcun criterio determinante
per individuare la volontà del detentore di disfarsi di una determinata
sostanza o di un determinato materiale, in mancanza di disposizioni
comunitarie gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di
prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi recepite,
purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario (v.
sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 41, nonché Niselli,
punto 34). Infatti, gli Stati membri possono, ad esempio, definire varie
categorie di rifiuti, in particolare per facilitare l’organizzazione e
il controllo della loro gestione, purché gli obblighi risultanti dalla
direttiva o da altre disposizioni di diritto comunitario relative a tali
rifiuti siano rispettati e l’eventuale esclusione di determinate
categorie dall’ambito di applicazione dei testi adottati per dare
attuazione agli obblighi derivanti dalla direttiva si verifichi in
conformità all’art. 2, n. 1, di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza
16 dicembre 2004, causa C-62/03, Commissione/Regno Unito, non pubblicata
nella Raccolta, punto 12).
42 Nella fattispecie, è pacifico, da un lato, che, in virtù del comma 1
della disposizione controversa, viene considerato come manifestazione
dell’atto, della decisione o dell’obbligo di «disfarsi» di una sostanza
o di un oggetto, ai sensi dell’art. 1, lett. a), comma primo, della
direttiva, solo il fatto che tale sostanza o tale oggetto sia destinato,
direttamente o indirettamente, a operazioni di smaltimento o di recupero
menzionate agli allegati B e C al decreto legislativo n. 22/97 e,
dall’altro, che tali allegati B e C corrispondono testualmente agli
allegati II A e II B alla direttiva.
43 Orbene, come è stato ricordato al punto 36 della presente sentenza,
l’esecuzione di una delle operazioni di smaltimento o di recupero di cui
agli allegati, rispettivamente, II A o II B alla direttiva non consente,
di per sé, di qualificare come rifiuto una sostanza o un oggetto
trattato in tale operazione.
44 Infatti, da una parte, allorché definisce l’azione di disfarsi di una
sostanza o di un materiale esclusivamente a partire dall’esecuzione di
un’operazione di smaltimento o di recupero menzionata agli allegati B o
C al decreto legislativo n. 22/97, l’interpretazione imposta dal comma 1
della disposizione controversa subordina la qualifica di rifiuto ad
un’operazione che, a sua volta, può essere qualificata come smaltimento
o recupero solo ove applicata ad un rifiuto, di modo che tale
interpretazione non contribuisce in realtà minimamente a precisare la
nozione di rifiuto. In effetti, secondo l’interpretazione di cui
trattasi, ogni sostanza o materiale oggetto di uno dei tipi di
operazioni menzionati agli allegati II A e II B alla direttiva deve
essere qualificato come rifiuto, di modo che tale interpretazione
condurrebbe a qualificare come tali sostanze e materiali che non lo sono
ai sensi della direttiva (v., in tal senso, sentenza Niselli, citata,
punti 36 e 37).
45 D’altra parte, l’interpretazione esposta al punto 42 della presente
sentenza comporta che una sostanza o un materiale di cui il detentore si
disfi in un modo diverso da quelli menzionati negli allegati II A e II B
alla direttiva non costituisce un rifiuto, e pertanto restringe anche la
nozione di rifiuto quale risulta dall’art. 1, lett. a), della direttiva.
Infatti, conformemente a questa interpretazione, una sostanza o un
materiale non soggetti a obbligo di smaltimento o di recupero e di cui
il detentore si disfi mediante semplice abbandono, senza sottoporre la
sostanza o il materiale ad un’operazione del genere, non verrebbero
qualificati come rifiuto, mentre lo sarebbero ai sensi della direttiva
(v., in tal senso, sentenza Niselli, citata, punto 38).
46 A tale riguardo, l’argomento della Repubblica italiana esposto al
punto 24 della presente sentenza, secondo cui il fatto di abbandonare
una sostanza o un oggetto rientrerebbe in realtà nell’ambito del comma
1, lett. a), della disposizione controversa, non può essere accolto.
Infatti, anche se l’interpretazione di tale punto prevalesse nel diritto
nazionale, la disposizione controversa, a causa della sua mancanza di
chiarezza e di precisione a tale riguardo, non può assicurare la piena
applicazione della direttiva.
47 È anche pacifico che, secondo la precisazione contenuta al comma 2
della disposizione controversa, è sufficiente, affinché un materiale
residuale di produzione o di consumo sfugga alla qualifica di rifiuto,
che esso venga o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di
produzione o di consumo, senza alcun intervento preventivo di
trattamento e senza pregiudizio all’ambiente, o dopo aver subito un
intervento preventivo di trattamento qualora non si tratti di una delle
operazioni di smaltimento elencate all’allegato C al decreto legislativo
n. 22/97, che corrisponde testualmente all’allegato II B alla direttiva.
48 Orbene, tale enunciazione non è conforme ai principi della
giurisprudenza ricordati ai punti 33-39 della presente sentenza.
Infatti, essa conduce a escludere dalla qualifica di rifiuto materiali
residuali di produzione o di consumo che pure corrispondono alla
definizione della nozione di «rifiuto» di cui all’art. 1, lett. a),
primo comma, della direttiva.
49 In particolare, come risulta dai punti 34-36 della presente sentenza,
il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di produzione o di
consumo costituisce un indizio che si tratti di un rifiuto e la sola
circostanza che una sostanza sia destinata a essere riutilizzata, o
possa esserlo, non può essere determinante per la sua qualifica o meno
come rifiuto.
50 Peraltro, l’argomento della Repubblica italiana esposto al punto 25
della presente sentenza non può essere accolto. Infatti, tenuto conto
dell’obbligo, ricordato al punto 33 della presente sentenza, di
interpretare in senso lato la nozione di rifiuto e tenuto conto dei
principi della giurisprudenza della Corte menzionati ai punti 34 39
della presente sentenza, un bene, un materiale o una materia prima
risultante da un processo di fabbricazione che non è destinato a
produrlo può essere considerato come un sottoprodotto di cui il
detentore non desidera disfarsi solo se il suo riutilizzo, incluso
quello per i bisogni di operatori economici diversi da colui che l’ha
prodotto, è non semplicemente eventuale, ma certo, non necessita di
trasformazione preliminare e interviene nel corso del processo di
produzione o di utilizzazione.
51 Infine, per ciò che riguarda le osservazioni espresse dalla
Repubblica italiana all’udienza quanto al fatto che persone connotate
come operanti «al limite della legalità» sarebbero attive nel settore
della gestione dei rifiuti, è sufficiente rilevare che tale circostanza,
anche supponendo che fosse provata, non può giustificare la violazione,
da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in
forza della direttiva.
52 Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso della Commissione dev’essere
accolto.
53 Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, avendo
adottato e mantenuto in vigore l’art. 14 del decreto legge 8 luglio
2002, n. 138, divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto 2002,
n. 178, che esclude dall’ambito di applicazione del decreto legislativo
n. 22/97, da un lato, le sostanze, i materiali o i beni destinati alle
operazioni di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli
allegati B e C a tale decreto e, dall’altro, le sostanze o i materiali
residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano
riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non
sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli
stessi non rechino pregiudizio all’ambiente, oppure, anche qualora venga
effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest’ultimo
non configuri un’operazione di recupero fra quelle individuate
all’allegato C al medesimo decreto, è venuta meno agli obblighi che le
incombono in forza dell’art. 1, lett. a), della direttiva.
Sulle spese
54 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la
parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana,
rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore l’art.
14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, relativo a interventi
urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della
spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree
svantaggiate, divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto 2002,
n. 178, che esclude dall’ambito di applicazione del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22, relativo all’attuazione delle direttive
91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE
sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, da un lato, le sostanze, i
materiali o i beni, destinati alle operazioni di smaltimento o di
recupero non esplicitamente elencati agli allegati B e C a tale decreto
e, dall’altro, le sostanze o i materiali residuali di produzione dei
quali il detentore abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, qualora
gli stessi possano essere e siano riutilizzati in un ciclo produttivo o
di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento
preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio
all’ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un intervento
preventivo di trattamento, quando quest’ultimo non configuri
un’operazione di recupero fra quelle individuate all’allegato C al
medesimo decreto, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza
dell’art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975,
75/442/CEE, sui rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio
18 marzo 1991, 91/156/CEE, e dalla decisione della Commissione 24 maggio
1996, 96/350/CE.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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