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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
TAR CALABRIA, Catanzaro,
Sez. I, 1 ottobre 2007, sentenza n. 1420
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - DPR n. 357/1997 e ss.mm. - Inclusione
dei pSIC. Alla stregua delle norme vigenti (D.P.R. n. 357/1997, il cui art.
5, 3° comma, come modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120, quest’ultimo
emanato a seguito della procedura d’infrazione CE 1999/2180) devono essere
sottoposti a valutazione d’incidenza i piani o progetti che possono avere
incidenze significative sul sito, sia che si tratti di siti di importanza
comunitaria, sia che si tratti di proposti siti di importanza comunitaria. Pres.
Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione
Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Autonomia dal titolo giuridico
sottostante alla formazione del progetto. Il provvedimento di valutazione di
incidenza costituisce l’esito di un autonomo procedimento, che prescinde del
tutto dalla considerazione del titolo giuridico in base al quale il proponente,
soggetto pubblico o privato, ha proceduto alla formazione del piano o del
progetto (nella specie, la difesa dell’amministrazione aveva sostenuto
l’applicabilità, negata dal giudice, del dimezzamento dei termini, ai sensi
dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, sul presupposto che il progetto per
la realizzazione di un complesso alberghiero era conseguente ad una procedura di
aggiudicazione del diritto di superficie). Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M.
s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste - Presentazione di esposti
volti all’assoggettamento di un progetto alla valutazione di incidenza -
Configurabilità delle associazioni quali controinteressate nel ricorso avverso
il decreto di valutazione - Esclusione. Le associazioni ambientaliste (che,
nella specie, avevano presentato esposti al fine dell’attivazione della
procedura di incidenza) non possono essere considerate soggetti
controinteressati. Ciò, innanzi tutto, sotto il profilo sostanziale, non
potendosi riconoscere in capo ad esse un interesse giuridicamente rilevante alla
conservazione del provvedimento impugnato. Difetta, d’altra parte, anche il
cosiddetto profilo formale, atteso che la semplice menzione nel provvedimento
non fa di esse soggetti individuati o facilmente individuabili in base allo
stesso ed, in particolare, in base alle statuizioni costituenti il contenuto
tipico di esso. Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e
Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Procedimento amministrativo - AREE PROTETTE -
Valutazione di incidenza - Principio del tempus regit actum - Principio del
tempus regit actionem - Individuazione - Modifiche al D.P.R. n. 357/1997 per
effetto del D.P.R. n. 120/2003 - Applicabilità dello jus superveniens ad un
procedimento avviato nel vigore della disciplina anteriore. L’applicabilità
delle norme nell’ambito del procedimento amministrativo è regolata dal principio
tempus regit actum, con la conseguenza che ogni atto o fase del procedimento
trova disciplina nelle disposizioni di legge o di regolamento vigenti alla data
in cui ha luogo ciascuna sequenza procedimentale (tra le tante, TAR Lazio, Sez.
III, 25 gennaio 2007 n. 563; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 12 gennaio 2006 n. 144;
Consiglio di Stato, Sez. V, 19 ottobre 2006 n. 6211). Il principio del tempus
regit actionem, per effetto del quale il procedimento deve essere governato
dalle norme vigenti nel momento in cui l’azione amministrativa ha avuto inizio,
sviluppato dalla giurisprudenza con riferimento alle procedure concorsuali in
itinere, non è correlato al superamento del tradizionale principio tempus regit
actum, ma risulta, piuttosto, coerente espressione del principio stesso.
L’applicazione di quest’ultimo, infatti , attiene a sequenze procedimentali
composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, mentre trova
applicazione il principio del tempus regit actionem ad attività interamente
disciplinata dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio (in tal senso,
con riferimento all’attività di espletamento di un concorso, C.diSt., Sez. IV, 6
luglio 2004 n. 5018). Lo jus superveniens è pertanto pienamente operativo con
riguardo a procedimenti suddivisi in varie fasi coordinate, dotate di una certa
autonomia, salvo che incida su situazioni giuridiche già consolidatesi (nella
specie, relativa ad un procedimento avviato nel febbraio del 2001, con il
deposito del progetto nell’ambito di una gara indetta dal comune e conclusosi
nel novembre 2003, il Tar, in materia di valutazione di incidenza, ha ritenuto
applicabile il disposto normativo del D.P.R. n. 357/1997, nel testo novellato
dal D.P.R. n. 120 del 12 marzo 2003, che ha esteso alle aree pSIC la necessità
di della valutazione di incidenza).
Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c.
Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1
ottobre 2007, n. 1420
AREE PROTETTE - SIC e pSIC - Valutazione di incidenza - Regione - Mancata o
tardata emanazione delle regole di carattere procedurale e applicativo -
Operatività delle norme in materia - Danno da ritardo. La mancata o
ritardata emanazione da parte della Regione delle regole di carattere
procedurale e/o applicativo concernenti il procedimento di valutazione di
incidenza (nella specie, la Regione Calabria ha adottato il disciplinare del
procedimento di valutazione di incidenza solo il 27 giugno 2005), non incide
sull’operatività delle norme in materia, ma al più, può determinare la
momentanea impossibilità di esercitare una funzione di doverosità e, quindi un
ritardo nell’esercizio della stessa, con ogni conseguente possibile statuizione
in ordine al risarcimento del danno da ritardo (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 15
settembre 2005 n. 7; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 aprile 2006 , n. 2883; TAR
Campania, Salerno, 24 ottobre 2005 n. 1988). Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M.
s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Incidenze significative - Adeguata
istruttoria. La giurisprudenza nazionale, pur affermando che anche la
semplice probabilità di un pregiudizio per l’integrità e la conservazione del
sito è sufficiente a far concludere in senso negativo la valutazione di
incidenza, ha, comunque, rilevato che le incidenze sul sito, per essere
giuridicamente rilevanti, devono essere significative (Consiglio di Stato, Sez.
IV, 22 luglio 2005 n. 3917; cfr. anche, sul piano comunitario, Corte di
Giustizia CE, Sez. II, 10 gennaio 2006 n. 98; id., 29 gennaio 2004 n. 209). Ciò
si traduce nella necessità di accertare, in prima valutazione, il carattere
significativo di siffatta incidenza, in relazione al rischio di compromissione
dell’integrità del sito: tali conseguenze, infatti, non sono quelle
astrattamente ipotizzabili, quanto piuttosto quelle che, considerate la
tipologia e le caratteristiche dell’intervento, l’organo procedente, sulla base
di adeguata ed autonoma istruttoria, reputi di probabile verificazione. Pres.
Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione
Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Misure di mitigazione - Definizione
da parte dell’autorità competente. La procedura di valutazione d’incidenza
è, per sua natura, finalizzata alla verifica e valutazione degli effetti di
attività ed interventi sui siti compresi nella rete Natura 2000 ed
all’individuazione delle idonee misure di mitigazione, volte a prevenire il
deterioramento dei siti. Basare una valutazione negativa anche sull’inidoneità
delle misure di mitigazione individuate dal proponente significa alterare
profondamente quella che è la funzione propria del procedimento di valutazione,
che è indirizzato anche all’individuazione di tali misure, che devono essere,
ove possibile, definite dall’autorità competente ad effettuare la valutazione.
Ciò non vuole dire, naturalmente, che non si possa giungere ad una valutazione
negativa, ma solo che l’ambito di indagine deve comprendere la ricerca, da parte
dell’organo procedente, di eventuali possibili misure di mitigazione, nel caso
in cui esse possano rivelarsi adeguate a scongiurare i rischi a carico del sito
protetto. Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e
Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Obiettivi di conservazione dell’area
tutelata - Salvaguardia dell’equilibrio ambientale complessivo - Estraneità.
L’oggetto proprio della valutazione di incidenza consiste nell’individuazione di
conseguenze significative dell’intervento progettato sul sito della rete Natura
2000, con riferimento agli obiettivi di conservazione dell’area tutelata,
restando ad esso estraneo ogni intento di salvaguardia dell’equilibrio
ambientale complessivo, che andrà invece perseguito mediante altri procedimenti
di valutazione ambientale (nella specie, il parere reso dalla Commissione per la
valutazione di incidenza, menzionava danni a specie ittiche e a fauna stanziale
e volatile, ove l’obiettivo di conservazione dello specifico SIC riguardava le
sole praterie di posidonia.) Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti
Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) -
T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420
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REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 1420 Reg. Dec.
N. 320/2007 Reg- Ric.
ANNO 2007
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria,
Sede di Catanzaro, Sezione Prima
composto dai Signori
Cesare Mastrocola – Presidente
Giovanni Iannini – Consigliere Relatore
Anna Maria Verlengia – Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 320/2007, proposto da MEDITERRANEA S.r.l., in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dal prof. avv. Matteo Benozzo e
dall’avv. Benedetto Carratelli ed elettivamente domiciliata in Catanzaro, via
Schipani n. 110, presso lo studio dell’avv. Maria Gemma Talerico;
CONTRO
la Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica,
rappresentata e difesa dall’avv. Antonella Coscarella ed elettivamente
domiciliata in Catanzaro, viale De Filippis n. 280, presso gli Uffici
dell’Avvocatura Regionale;
E NEI CONFRONTI
del Comune di Praia a Mare, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e
difeso dagli avvocati Paolo Vitali, Agostino Mainente ed Ernesto Procaccini ed
elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Jannoni n. 43, presso lo studio
dell’avv. Francesco Sacchi;
per l’annullamento
del decreto di valutazione d’incidenza del 12 dicembre 2006 del Dirigente del
Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria e dell’allegato
parere della Commissione per la valutazione d’incidenza;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria e del Comune
di Praia a Mare;
Visto il ricorso per motivi aggiunti proposto dalla Società ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 239 del 26 aprile 2007, con la quale è stata accolta
l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 13 luglio 2007 il Cons. Giovanni Iannini ed
uditi, altresì, i difensori delle parti, come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con deliberazione n. 157 del 30 novembre 2000 la Giunta Municipale di Praia a
Mare ha indetto una gara, da svolgere mediante licitazione privata, ai sensi
degli articoli 19 e 21 della legge 11 febbraio 1994 n. 109, avente ad oggetto la
concessione, per la durata di 99 anni, di un diritto di superficie su un terreno
di proprietà comunale, situato in località Fiuzzi, vincolato alla costruzione di
un complesso alberghiero, nonché l’appalto per la realizzazione dello stadio di
calcio ed atletica leggera, in località Santo Stefano, finanziato mediante il
corrispettivo del trasferimento del diritto di superficie.
Il terreno in questione, alla stregua del Piano regolatore generale vigente,
risulta inserito in zona omogenea di completamento “B4” (Zona destinata ad opere
pubbliche e servizi di interesse pubblico finalizzati al turismo).
Il relativo bando ha disposto, riguardo al trasferimento del diritto di
superficie, che l’offerta dovesse indicare, oltre ai dati economici del progetto
della struttura, anche il valore dell’investimento, stante la previsione
dell’acquisizione al patrimonio comunale, al termine della concessione.
La Società Mediterranea, odierna ricorrente, si è aggiudicata la gara relativa
al trasferimento del diritto di superficie.
Gli atti di gara ed il progetto proposto sono stati approvati con provvedimento
del 28 settembre 2001 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Praia
a Mare.
2. La Società Mediterranea ha ottenuto, in relazione al progetto, parere
paesaggistico favorevole, rilasciato con decreto sindacale n. 27 del 5 luglio
2003. Con comunicazione del 22 luglio 2003 la competente Soprintendenza ha fatto
presente di non avere riscontrato motivi di illegittimità nel decreto sindacale
n. 27/2003.
A ciò hanno fatto seguito il rilascio di parere favorevole dell’Azienda
Sanitaria n. 1 di Paola, di attestato di avvenuto deposito del progetto
dell’Ufficio decentrato di Cosenza del Genio Civile e di parere favorevole del
Comando Provinciale di Cosenza dei Vigili del Fuoco.
La Società odierna ricorrente ha, quindi, acquisito permesso di costruire n. 101
del 6 novembre 2003.
I lavori hanno avuto inizio il successivo 11 novembre.
3. Con nota del 9 settembre 2004 il Ministero dell’Ambiente e Tutela del
Territorio, Direzione Generale per la Salvaguardia Ambientale, indirizzata alla
Regione Calabria ed al Comune di Praia a Mare, oltre che all’associazione “Verdi
Ambiente e Società”, ha richiesto notizie in ordine alla procedura di
valutazione di impatto ambientale relativa all’iniziativa in questione.
Ha, così, avuto inizio uno scambio di note, che ha visto il Comune di Praia a
Mare impegnato a dimostrare l’insussistenza dei presupposti per la
sottoposizione dell’iniziativa alla valutazione di impatto ambientale.
Con nota del 31 gennaio 2005 il Ministero dell’Ambiente, Direzione Generale per
la Salvaguardia Ambientale, ha preso atto degli argomenti esposti a favore
dell’esclusione della necessità del procedimento di valutazione d’impatto
ambientale, correlati, essenzialmente, alla localizzazione dell’intervento in un
centro abitato, alla limitatezza della superficie impegnata ed al fatto che esso
non è ricompreso all’interno di un’area protetta.
Lo stesso ha, tuttavia, sottolineato le problematiche evocate da una precedente
nota dello stesso Ministero, Direzione per la Protezione della Natura, inerenti
all’applicazione delle norme del D.P.R. n. 357/1997, in materia di conservazione
degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna
selvatiche. In particolare, è stata richiamata la nota del 20 settembre 2004
della Direzione or ora indicata, in cui è stato evidenziato che la prospiciente
Isola di Dino e l’area a mare ad essa circostante sono state designate come pSIC
(proposto sito di importanza comunitaria) denominato “Fondali Isola di Dino -
Capo Scalea”, con prateria di posidonia climax ad alta biodiversità, importante
per la popolazione ittica e per la salvaguardia delle coste dall’erosione. Nella
stessa nota vengono segnalate le eventuali interferenze negative nei confronti
del pSIC generate nel caso di previsione di costruzioni a mare di dimensioni
tali da raggiungere l’area interessata dalla prateria di posidonia, quali
porticcioli turistici e pontili di attracco. Da qui l’invito, rivolto alla
Regione Calabria, di valutare l’opportunità di sottoporre l’intervento ad uno
screening preliminare, considerato che, in seguito al recepimento della
Direttiva 92/43/CEE, mediante il D.P.R. n. 357/97 ed il D.P.R. n. 120/2005,
occorre osservare il criterio della valutazione di incidenza anche per i
progetti che ricadono esternamente al perimetro di un sito, a causa delle
perturbazioni che si possono generare nel contesto ecologico dinamico della rete
Natura 2000.
L’invito di cui alla nota del 31 gennaio 2005 è stato raccolto dalla Regione
Calabria, giacché nel corso della seduta del 22 febbraio 2005 del Nucleo V.I.A.
regionale è stato deliberato di richiedere all’Amministrazione comunale di Praia
a Mare l’invio del progetto tecnico definitivo e degli atti relativi al permesso
di costruire.
A ciò ha fatto seguito un sopralluogo del Nucleo V.I.A. e l’invio, da parte
della Società Mediterranea, della documentazione completa concernente
l’intervento e di un elaborato tecnico tendente a dimostrare l’estraneità
dell’intervento stesso alla procedura di valutazione d’incidenza.
Ulteriori eventi rilevanti sono stati, da un lato, l’adozione da parte della
Regione Calabria, con deliberazione n. 604 del 27 giugno 2005 della Giunta
Regionale, di disciplinare sulla valutazione di incidenza e, dall’altro,
l’intervento della decisione n. 2006/613 del 19 luglio 2006 della Commissione
delle Comunità Europee, con la quale si è disposta la pubblicazione dei SIC
(Siti di Importanza Comunitaria) della macroregione “biogeografica
mediterranea”, in cui compare l’area IT9310035 “Fondali Isola di Dino - Capo
Scalea” del Comune di Praia a Mare.
Con decreto n. 18928 del 29 dicembre 2006 del Dirigente del Dipartimento
Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria è stata espressa valutazione
d’incidenza negativa per la realizzazione del complesso alberghiero in località
Fiuzzi del Comune di Praia a Mare, sulla base di parere della Commissione per la
valutazione d’incidenza.
4. La Società Mediterranea ha proposto gravame avverso il provvedimento
dirigenziale, nonché avverso il parere dell’organo tecnico, deducendone
l’illegittimità sulla base dei seguenti motivi:
I) e II) Violazione e falsa applicazione della direttiva 92/43 CEE e del DPR
357/1997; eccesso di potere per errore e falsità nei presupposti ed
irragionevolezza.
La Regione, nell’emettere il provvedimento impugnato, avrebbe omesso di
considerare che le norme applicabili alla fattispecie sono solo quelle vigenti
al momento dell’avvio dell’itEr procedimentale, rinvenibili nel D.P.R. n.
357/1997, nel testo non ancora novellato dal D.P.R. n. 120/2003.
Queste norme, da un lato, prevedevano che il procedimento di valutazione
d’incidenza potesse avere logo solo nell’ambito del procedimento di valutazione
d’impatto ambientale, che nella fattispecie in questione è stato escluso, e,
dall’altro, non apprestavano alcuna tutela per i pSIC (proposto sito di
importanza (o interesse) comunitaria), quale era il sito “Fondali Isola di Dino
- Capo Scalea”, fino alla decisione del 19 luglio 2006 della Commissione delle
Comunità Europee, che lo ha inserito nell’elenco dei siti di importanza
comunitaria (SIC).
La stessa Regione, d’altra parte, nel dar corso al procedimento di valutazione
d’incidenza, non avrebbe tenuto conto del fatto che, al momento della
conclusione dell’iter procedurale di autorizzazione del progetto, la
deliberazione n. 604 del 27 giugno 2005 della Giunta Regionale, avente ad
oggetto il disciplinare del procedimento di valutazione d’incidenza, non era
stata ancora adottata, con la conseguenza che mancavano le regole concrete di
funzionamento della procedura. L’applicazione di tali regole nella concreta
fattispecie, adottate a distanza di due anni dal rilascio del permesso di
costruire e ad opera quasi ultimata, sarebbe avvenuto in assoluto spregio
dell’affidamento del privato, in ragione del tempo trascorso e delle risorse
impegnate.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della deliberazione n.
604/2005; eccesso di potere per irragionevolezza, travisamento dei fatti,
violazione del principio di completezza e veridicità dell’istruttoria, errore e
falsità dei presupposti, illogicità manifesta e contraddittorietà della
motivazione.
Se anche si ritenesse applicabile alla fattispecie la procedura disciplinata
dalla deliberazione n. 604/2005, il provvedimento impugnato risulterebbe
comunque illegittimo essendo stato emesso sul presupposto di costruzioni a mare
non previste nel progetto definitivo e non approvate dalle autorità competenti.
D’altra parte, anche a reputare dovuta la valutazione non già per le sole
costruzioni a mare quanto per il complesso turistico alberghiero nella sua
interezza, il decreto gravato risulterebbe illegittimo per violazione del
disposto dell’art. 5 della deliberazione regionale n. 604/2005, che prevede la
sottoposizione a valutazione, oltre che per la realizzazione di stabilimenti
industriali sottoposti a limiti di inquinamento, di cui al D.P.R. 24 maggio 1988
n. 203, nei seguenti casi:
a) quando vi sono piani o progetti da realizzare che interessano in tutto o in
parte un sito Natura 2000 o che, comunque, pur ricadendo all’esterno del
perimetro del sito, possono avere incidenza su di esso (art. 5, 2° comma);
b) quando, pur se esterni ad un sito Natura 2000, i piani o progetti da
realizzare sono sottoposti a VIA.
L’intervento in questione non sarebbe riconducibile all’ipotesi di cui al punto
a), giacché, come chiarito dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria,
l’incidenza di un progetto su un sito di Natura 2000 deve essere significativa,
dovendo essere valutata, non in maniera arbitraria, ma in concreto ed in
relazione agli obiettivi di conservazione del sito stesso.
Il progetto del centro turistico - alberghiero, d’altra parte, per le sue
caratteristiche, per le dimensioni e la collocazione nel tessuto urbanistico,
non sarebbe soggetto a procedura di VIA e, quindi, non rientrerebbe nel novero
delle ipotesi di cui al procedente punto b).
In ogni caso, l’intervento sarebbe suscettibile di esonero dalla valutazione,
previsto della lettera “c”, comma 7 dell’art. 5 della deliberazione n. 604/2005
per i progetti localizzati in aree qualificate come zone omogenee A e B dello
strumento urbanistico vigente, che siano accompagnati da un elaborato tecnico
firmato dal progettista, che dimostri l’esclusione di implicazioni negative per
le aree tutelate.
L’elaborato tecnico a suo tempo presentato dalla Società ricorrente non avrebbe
costituito una richiesta di sottoposizione a valutazione, come ritenuto
dall’organo regionale, sebbene un atto tendente ad escludere la sussistenza di
implicazioni negative dell’intervento.
L’Amministrazione, nel dare senz’altro corso alla valutazione, avrebbe omesso di
applicare l’indicata previsione della deliberazione di Giunta.
IV) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della deliberazione n. 604/2005;
eccesso di potere per travisamento dei fatti; violazione del principio di
completezza e veridicità dell’istruttoria ed errore e falsità dei presupposti.
Risulterebbe dal disposto dell’art. 7 della deliberazione n. 604 del 2005 che
l’autorità competente deve acquisire preventivamente la valutazione di incidenza
e, quindi, prima di ogni concessione, nulla osta o autorizzazione necessari per
la realizzazione del progetto. Nel caso di specie il procedimento è stato
avviato ad oltre due anni dal rilascio del permesso di costruire ed a tre anni
dall’aggiudicazione della gara.
Non potrebbe ritenersi, d’altra parte, che il procedimento sia stato avviato su
base volontaria dalla Società, in quanto l’elaborato tecnico a suo tempo
presentato non costituiva uno studio di incidenza, quanto un studio diretto ad
escludere la sottoposizione a valutazione.
In ogni caso, le norme di diritto amministrativo, per il loro carattere cogente,
non potrebbero che trovare applicazione in maniera indipendente dalle iniziative
degli amministrati.
V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della deliberazione regionale n.
604/2005, degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/90, delle norme sul
giusto procedimento e sulla trasparenza dell’azione amministrativa; eccesso di
potere per travisamento dei fatti; violazione del principio di completezza e
veridicità dell’istruttoria ed errore e falsità dei presupposti.
L’Amministrazione avrebbe omesso di comunicare l’avvio dell’istruttoria e non
avrebbe consentito la partecipazione al procedimento del privato interessato.
Dagli atti, inoltre, risulterebbe che l’Amministrazione aveva inteso avviare una
procedura di screening preliminare, nell’ambito della quale è stato acquisito
l’elaborato tecnico predisposto dalla Società Mediterranea.
La stessa Amministrazione avrebbe, poi, dato corso alla valutazione d’incidenza
senza dare alcuna comunicazione e prescindendo dall’elaborato tecnico
predisposto dal privato interessato.
VI) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 4, della deliberazione
regionale n. 604/2005.
Sarebbe stato violato il disposto della deliberazione regionale n. 604/2005, che
prevede l’emissione del parere della Commissione Valutazione di Incidenza entro
60 giorni successivi alla data di acquisizione agli atti della domanda.
VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 6, della deliberazione
regionale n. 604/2005 e dell’art. 3 della legge n. 241/90.
Il provvedimento impugnato, che non recherebbe un’autonoma motivazione, si
limiterebbe a richiamare i contenuti del parere della Commissione. Tale parere
difetterebbe, però, di adeguata motivazione, non essendo rinvenibile una
sufficiente giustificazione della scelta di valutare negativamente il progetto
della Società odierna ricorrente.
VIII) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2.2 e 2.3 delle premesse della
deliberazione regionale n. 604/2005; eccesso di potere per difetto di procedura,
mancanza di istruttoria, disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta.
Alla stregua delle previsioni degli artt. 2.2 e 2.3 delle premesse della
deliberazione regionale n. 604/2005, nel provvedimento si sarebbero dovute
individuare le misure di mitigazione alle quali il progetto si dovrà adeguare.
IX) Violazione e falsa applicazione della deliberazione regionale n. 604/2005,
del DPR n. 357/1997 e della direttiva habitat; eccesso di potere per sviamento.
Il provvedimento impugnato perseguirebbe un fino diverso dal quello risultante
dalle norme, in quanto verrebbero evocati effetti pregiudizievoli non
riguardanti la prateria di posidonia tutelata nel SIC.
X) Eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, travisamento
dei fatti, mancanza di presupposti.
Una valutazione su un manufatto già esistente e realizzato all’80% sarebbe di
per sé irragionevole ed irrazionale, per le conseguenze che avrebbero le misure
di demolizione e rimessione in pristino del terreno e per i riflessi su una
situazione di affidamento esistente in considerazione del tempo trascorso e
dello stato avanzato delle opere.
L’iniziativa della Società Mediterranea, d’altra parte, contribuirebbe ad
alleviare i disagi derivanti da un sovraffolamento stagionale e darebbe avvio ad
un percorso di riqualificazione.
Sulla base dei motivi di cui sopra, parte ricorrente ha chiesto l’annullamento
degli atti impugnati.
5. Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, eccependo l’inammissibilità
del ricorso, in quanto depositato nella Segreteria del Tribunale oltre il
termine di 15 giorni, ai sensi dell’art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n.
1034.
Ulteriore profilo di inammissibilità del gravame sarebbe connesso alla mancata
notifica ai controinteressati, costituiti dalle associazioni ambientaliste che
hanno, a suo tempo, sollecitato l’avvio della procedura d’incidenza.
Risulterebbero, comunque, inammissibili i motivi di ricorso relativi alla non
sottoponibilità dell’intervento a procedura di valutazione d’incidenza, per
l’omessa impugnazione della nota n. 6842 del 26 settembre 2005 del Dipartimento
Politiche dell’Ambiente, con cui è stato chiesto l’invio dello studio
d’incidenza, rispetto alla quale l’odierna ricorrente avrebbe prestato
acquiescenza, con la presentazione dello studio stesso.
La Regione ha, comunque, dedotto l’infondatezza del gravame.
6. Si è costituito, altresì, il Comune di Praia a Mare, aderendo alle ragioni
della ricorrente e chiedendo l’accoglimento del ricorso.
7. Con ordinanza n. 239 del 26 aprile 2007 è stata accolta l’istanza cautelare
proposta da parte ricorrente.
8. Con atto notificato alle altre parti la Società ricorrente ha proposto
ricorso per motivi aggiunti.
La stessa, premesso di essere venuta a conoscenza, in seguito alla produzione
documentale del Comune di Praia a Mare, dell’esistenza di quattro concessioni
assentite dalla Regione per l’ormeggio di motoscafi, gozzi e barche nello
specchio d’acqua situato sopra la prateria di posidonia, ha dedotto un ulteriore
vizio di eccesso di potere per contraddittorietà di comportamento e disparità di
trattamento. La Regione, infatti, avrebbe, da un lato, considerato incompatibile
con la tutela dei “Fondali Isola di Dino - Capo Scalea” un albergo distante
oltre 450 m. dal limite di confine dell’area e, dall’altro, consentito
l’occupazione dello stesso specchio d’acqua, con installazione di strutture in
grado di compromettere direttamente la biodiversità tutela dal SIC.
9. Le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti.
Alla pubblica udienza del 13 luglio 2007, uditi i difensori delle parti, la
causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il provvedimento impugnato giunge in esito ad una vicenda complessa, che ha
avuto inizio con la decisione del Comune di Praia a Mare di concedere un diritto
di superficie su un terreno di proprietà comunale, per l’edificazione di un
complesso turistico – alberghiero, mediante l’espletamento di un procedimento di
evidenza pubblica. Ciò nel dichiarato intento di utilizzare i proventi
dell’operazione per la costruzione di impianti sportivi al servizio della Città.
Il complesso progettato dall’aggiudicataria della gara, denominato “Borgo di
Fiuzzi”, ha una potenzialità ricettiva di circa 800 posti letto ed interessa una
superficie estesa 27.600 mq, di andamento pianeggiante e collocata
immediatamente a ridosso dell’arenile, ad una quota uniforme di 4 m. s.l.m.
La Società aggiudicataria, odierna ricorrente, ottenute le necessarie
autorizzazioni, l’11 novembre 2003 ha iniziato le opere di costruzione del
complesso, che, secondo quanto riferito dalla stessa, è stato già in gran parte
realizzato, con un investimento di oltre 23.000.000,00 di Euro.
A meno di un anno di distanza dall’avvio dei lavori, e precisamente nel
settembre del 2004, sotto la spinta di pressioni di associazioni ambientaliste e
di interventi in sede parlamentare, ha avuto inizio un scambio di note tra il
Ministero dell’Ambiente, il Comune di Praia a Mare e la Regione Calabria.
Gli aspetti posti in evidenza dal Ministero sono stati, da un lato, la necessità
della verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale e,
dall’altro, l’esigenza di uno screening preliminare alla valutazione di
incidenza, per eventuali interferenze negative sul proposto sito di interesse
comunitario (pSIC) denominato “Fondali Isola di Dino - Capo Scalea”, habitat con
prateria di posidonia climax ad alta biodiversità.
Il Ministero ha preso atto delle argomentazioni del Comune di Praia a Mare
riguardo alla non assoggettabilità dell’intervento a valutazione di impatto
ambientale, rimettendo, in sostanza, alla Regione Calabria ogni decisione al
riguardo.
Quanto alla valutazione d’incidenza, le osservazioni del Ministero sono state
recepite dalla Regione, che ha avviato il relativo procedimento, secondo le
previsioni del disciplinare sulla procedura di valutazione d’incidenza,
approvato con deliberazione n. 604 del 27 giugno 2005 della Giunta Regionale.
Al procedimento ha partecipato, tra gli altri, l’odierna ricorrente, che,
nell’intento di dimostrare l’estraneità dell’intervento alla procedura di
screening preliminare e di valutazione d’incidenza, ha prodotto la
documentazione tecnica ed amministrativa ed uno studio, definito
dall’interessata quale elaborato tecnico, recante le informazioni tecniche
aggiornate sul pSIC.
Il Dirigente del Dipartimento Politiche dell’Ambiente, in esito al procedimento
in questione, con provvedimento del 12 dicembre 2006, ha espresso valutazione
d’incidenza negativa.
Nel frattempo, con decisione n. 2003/813 del 19 luglio 2006 della Commissione
delle Comunità Europee, è stato approvato l’elenco dei SIC della macro regione
“biogeografica mediterranea”, in cui è inclusa l’area IT9310035, “Fondali Isola
di Dino - Capo Scalea”, del Comune di Praia a Mare.
Il provvedimento impugnato, nell’esprimere valutazione d’incidenza negativa in
ordine al progetto del complesso alberghiero in località Fiuzzi del Comune di
Praia a Mare, proposto dalla Società Mediterranea, ha preso atto del parere del
28 novembre 2006 della Commissione di valutazione d’incidenza, istituita presso
il Dipartimento delle Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria,
recependone integralmente i contenuti.
Nel parere in questione viene, tra l’altro, specificato che “… lo studio di
incidenza è stato predisposto con riferimento a parametri rilevati da una
generica e non identificata indagine risalente al 1995 senza riferimenti alle
schede natura e/o a campagne di indagini puntuali effettuate precedentemente
alla progettazione dell’opera”. Si specifica, poi, che “…la stessa relazione
risulta redatta unicamente nello spirito e con l’intento di evidenziare la non
interferenza con le limitrofe aree SIC senza effettuare valutazioni critiche in
merito alle reali possibili interferenze indirette dell’opera sulle predette
aree. alla biodiversità e sugli habitat delle specie per cui il SIC è stato
individuato”.
In esso si rileva, infine che “…le misure di compensazione e/o mitigazione
indicate in progetto, per quanto non ben identificabili in riferimento agli
aspetti normativi, appaiono non escludere la possibilità di effetti impattanti
incidenti sull’ecosistema naturale del sito”.
Sulla base delle considerazioni riportate, nel parere vengono espresse le
seguenti valutazioni:
- dagli elaborati prodotti non si rilevano studi geologici ed indagini sul
sottosuolo tendenti ad evidenziare, trattandosi di intervento praticamente a
ridosso dell’arenile, i tiranti idrici ed i livelli piezometrici dell’acqua di
sottosuolo (dolce e/o salmastra) al fine di escludere interazioni dirette tra
l’area di incidenza del manufatto e delle attività antropiche ad esso connesse e
l’ambiente marino stesso;
- dagli elaborati non si rileva uno studio di compatibilità idraulica in
riferimento alle nuove portate reflue, che andranno ad immettere nella rete di
collettamento comunale, provvedendo alle verifiche idrauliche delle sezioni
speciali che, nel casso di non previsti funzionamenti in pressione, potrebbero
indurre fuoriuscite di liquami apportando sostanze potenzialmente inquinanti a
contatto con le eventuali acque di sottosuolo di cui al precedente comma, che
andrebbero ad incidere, di conseguenza, direttamente all’interno del SIC;
- pur essendo collocato all’esterno del SIC , l’intervento, per effetto delle
sue dimensioni e potenzialità, è logico presupporre un funzionamento del
complesso “Borgo di Fiuzzi” sicuramente esteso ad un periodo temporale maggiore
di quello tipico di utilizzo delle già presenti strutture, con conseguente
apporto di un carico antropico ed una potenziale conseguente attività di
disturbo non abituale ed eccezionale per la tranquillità dei luoghi e che
contrasta con le condizioni di quiete necessarie alle specie ittiche che
utilizza(no) il sito come nursery nel periodo di riproduzione;
- per le stesse motivazioni connesse al più esteso periodo di utilizzo, con
riferimento a quello delle strutture turistiche presenti nell’area, si produrrà
un notevole incremento dell’inquinamento luminoso ed acustico incidente sul
sito, condizione che contribuisce alla alterazione dell’ecosistema necessario
alla fauna stanziale e volatile che utilizza l’isola di Dino quale habitat di
riferimento”.
2. Il provvedimento impugnato è basato sul complesso normativo che ha tratto
origine dalle previsioni delle direttiva 92/43 del 21 maggio 1992 del Consiglio
(c.d. direttiva habitat), adottata sulla scorta delle indicazioni dell’Atto
Unico Europeo del 1987 e del Quarto Programma comunitario in favore
dell’ambiente.
La direttiva ha trovato attuazione, a livello nazionale, mediante le norme di
rango regolamentare di cui al D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357.
Gli obiettivi della direttiva habitat sono, essenzialmente, quelli del
rafforzamento degli interventi volti alla conservazione dell’ambiente, secondo
una linea politica di superamento della semplice lotta all’inquinamento, già
inaugurata con la direttiva 79/409 del 2 aprile 1979 del Consiglio (c.d.
direttiva uccelli).
In particolare, lo scopo dichiarato della direttiva 92/43 è quello del
mantenimento della biodiversità (3° considerando delle premesse della direttiva)
nei luoghi fisici costituenti gli “habitat naturali”, definiti, nell’art. 1
lett. b della stessa direttiva, come “zone terrestri o acquatiche che si
distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche,
interamente naturali o seminaturali”.
La direttiva in discorso prevede una complessa procedura per l’individuazione
dei siti da proteggere, che si articola, grosso modo, in una prima fase di
proposta dei siti da parte degli Stati membri, che trasmettono un elenco alla
Commissione, cui segue l’elaborazione, da parte di quest’ultima, di un progetto
dei siti di importanza comunitaria, nell’ambito del quale vengono anche
individuati alcuni siti in cui sono presenti habitat o specie cui spetta la
qualifica di prioritari.
I passaggi successivi sono costituiti dalla sottoposizione al parere di un
Comitato, composto da rappresentanti degli Stati membri, e dalla decisione
finale della Commissione, che determina l’elenco dei siti di importanza
comunitaria (SIC).
La conservazione dei siti avviene a cura degli Stati, che devono designarli
quali zone speciali di conservazione (ZSC), il cui complesso forma una “rete
ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione denominata «Natura
2000»” (così, l’art. 3 del D.P.R. n. 357/1997), in cui confluiscono anche le
zone speciali di protezione della direttiva uccelli.
Restringendo, a questo punto, il discorso allo specifico tema d’interesse nella
questione oggetto del giudizio, in cui si pongono, fra le altre, problematiche
relative alla successione delle norme attuative delle direttive comunitarie,
possono richiamarsi le previsioni della direttiva habitat relative alla
valutazione di incidenza, che costituisce lo strumento più rilevante previsto
nel complesso del regime di conservazione di cui alla disciplina in questione.
Dispone il par. 3 dell’art. 6 della direttiva: “Qualsiasi piano o progetto non
direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere
incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri
piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che
ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla
luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo
il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale
piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà
l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione
pubblica”.
Si è detto che la direttiva ha trovato attuazione con il D.P.R. n. 357/1997, il
cui art. 5, 3° comma, dedicato alla valutazione di incidenza, nel testo
originario, prevedeva che “I proponenti di progetti riferibili alle tipologie
progettuali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 10 agosto 1988, n. 377 e successive modifiche ed integrazioni ed agli
allegati A e B del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996, nel caso in cui
tali progetti si riferiscono ad interventi ai quali non si applica la procedura
di valutazione di impatto ambientale, presentano all’autorità competente allo
svolgimento di tale procedura una relazione documentata per individuare e
valutare i principali effetti che il progetto può avere sul sito di importanza
comunitaria, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo”. Il 5°
comma dello stesso articolo prevedeva che “Nel caso in cui i progetti si
riferiscono ad interventi ai quali si applica la procedura di valutazione di
impatto ambientale, si procede ai sensi della vigente normativa in materia”.
Erano due gli aspetti critici delle norme ora richiamate, che, a suo tempo,
hanno subito attirato l’attenzione degli interpreti e che, peraltro, almeno
nella prospettazione della ricorrente, acquisiscono rilevanza nella fattispecie
in esame. Da un lato, la correlazione indissolubile istituita tra la procedura
di valutazione di impatto ambientale e la valutazione di incidenza. Dall’altro,
l’esclusione della valutazione di incidenza riguardo ai pSIC (proposto sito di
importanza comunitaria o, se si preferisce, proposta di sito di importanza (o di
interesse) comunitaria).
È stata evidenziata da più parti la sostanziale violazione delle previsioni
comunitarie, a causa dell’eccessivo restringimento dell’ambito di esplicazione
della valutazione d’incidenza.
Da qui l’intervento della Commissione, che ha avviato nei confronti dell’Italia
una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 226 del Trattato.
Si è giunti così all’adozione del D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120, che ha novellato,
tra l’altro, il testo dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997. Il terzo comma
dell’articolo in questione, facendo riferimento ai siti indicati nel primo
comma, tra cui figurano anche i proposti siti di importanza comunitaria, nel
testo ora vigente, dispone che “I proponenti di interventi non direttamente
connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente
delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze
significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri
interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto
ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell’allegato G, i
principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di
importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale
di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi”.
Il successivo quarto comma prevede che, per i progetti assoggettati a procedura
di valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza è ricompresa
nell’ambito della stessa procedura.
Alla stregua delle norme vigenti, pertanto, devono essere sottoposti a
valutazione d’incidenza i piani o progetti che possono avere incidenze
significative sul sito, sia che si tratti di siti di importanza comunitaria, sia
che si tratti di proposti siti di importanza comunitaria.
Rilevante, per quanto interessa in questa sede, anche la previsione di cui al 5°
comma, secondo la quale “Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e
degli interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome,
per quanto di propria competenza, definiscono le modalità di presentazione dei
relativi studi, individuano le autorità competenti alla verifica degli stessi,
da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all’allegato G, i tempi per
l’effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità di partecipazione
alle procedure nel caso di piani interregionali”.
Tale ultima norma ha trovato attuazione nella Regione Calabria con la
deliberazione della Giunta Regionale n. 604 del 27 giugno 2005, avente ad
oggetto l’adozione del “disciplinare sulla procedura di valutazione di
incidenza”.
3.1 Prima di intraprendere l’esame delle censure di cui al ricorso, alla luce
dei brevi richiami di cui sopra, occorre prendere in considerazione le eccezioni
di inammissibilità sollevate dalla difesa della Regione Calabria.
Secondo quest’ultima, il ricorso ha ad oggetto la costruzione di un complesso
alberghiero, che è conseguente ad una procedura di aggiudicazione di un diritto
di superficie. La controversia rientrerebbe, pertanto, nelle previsioni
dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, ed in particolare, di quella che si
riferisce ai provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione,
affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità: Ne
deriverebbe il dimezzamento, tra l’altro, del termine di trenta giorni per il
deposito del ricorso nella Segreteria del Tribunale.
Nel caso di specie, osserva la stessa, il ricorso è stato notificato il 15 marzo
2007, mentre il deposito ha avuto luogo solo il successivo 3 aprile e, pertanto,
oltre il termine di quindici giorni.
L’eccezione è priva di fondamento.
È agevole osservare che oggetto del giudizio è esclusivamente il provvedimento
concernente la valutazione di incidenza, che non ha alcuna diretta correlazione
con la procedura di evidenza pubblica.
Il provvedimento stesso, evidentemente, non attiene alla fase di svolgimento di
quest’ultima, che si è conclusa con l’aggiudicazione e la successiva
approvazione da parte dei competente organi del Comune. Esso, d’altra parte, non
è inserito nella fase esecutiva del contratto, in cui sono dedotti, da un lato,
la costituzione di un diritto reale e, dall’altro, l’obbligo di pagamento di un
corrispettivo in denaro.
Il provvedimento di valutazione di incidenza costituisce l’esito di un autonomo
procedimento, che prescinde del tutto dalla considerazione del titolo giuridico
in base al quale il proponente, soggetto pubblico o privato, ha proceduto alla
formazione del piano o del progetto.
La controversia risulta, pertanto, estranea al novero di quelle cui è
applicabile il disposto dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, con la
conseguenza che, nella fattispecie, trova applicazione l’ordinario termine di
trenta giorni per il deposito del ricorso.
3.2 La difesa ella Regione eccepisce, inoltre, l’inammissibilità del ricorso per
omessa notificazione dello stesso ai soggetti controinteressati, costituiti
dalle associazioni ambientaliste che hanno presentato gli esposti che hanno
condotto all’attivazione della procedura d’incidenza e che sarebbero facilmente
individuabili in base al contenuto degli atti impugnati.
L’eccezione non ha fondamento.
Le associazioni ambientaliste, infatti, non possono essere considerate soggetti
controinteressati. Ciò, innanzi tutto, sotto il profilo sostanziale, non
potendosi riconoscere in capo ad esse un interesse giuridicamente rilevante alla
conservazione del provvedimento impugnato. Difetta, d’altra parte, anche il
cosiddetto profilo formale, atteso che la semplice menzione nel provvedimento
non fa di esse soggetti individuati o facilmente individuabili in base allo
stesso ed, in particolare, in base alle statuizioni costituenti il contenuto
tipico di esso.
3.3 Del tutto priva di consistenza l’ulteriore eccezione con la quale si
rilevano la mancata impugnazione della nota con la quale il Dipartimento
dell’Ambiente della Regione Calabria ha richiesto all’interessata lo studio
d’incidenza e l’acquiescenza prestata alla stessa con la presentazione dello
studio richiesto.
La nota in questione, infatti, non integra una fattispecie provvedimentale, di
talché non sono proprio configurabili né un onere di impugnazione della nota,
né, tanto meno, acquiescenza alla stessa.
4.1 Come premesso nell’esposizione in fatto, un primo ordine di censure, di cui
ai primi due motivi di ricorso, risulta imperniato sulla questione relativa alla
stessa applicabilità, rispetto alla concreta fattispecie, delle norme in materia
di valutazione d’incidenza.
Parte ricorrente osserva che la prima versione del D.P.R. n. 357/1997
configurava la valutazione di incidenza come appendice della valutazione di
impatto ambientale e non prevedeva alcuna tutela per i pSIC.
Solo con la novella del 2003, rileva la ricorrente, è stata operata l’estensione
della procedura di valutazione d’incidenza al di là dei casi in cui è prevista
la valutazione d’impatto ambientale ed agli interventi incidenti su semplici
pSIC, quale era, fino alla recente decisione della Commissione, il sito in
questione.
Le norme, d’altra parte, rimettevano alle regioni l’emanazione delle regole
operative del procedimento di valutazione di incidenza, che sono state emanate
solo con la deliberazione n. 604 del 27 giugno 2005 della Giunta Regionale.
Secondo la ricorrente, prima di tale momento, la procedura di valutazione non
era operativa sul territorio calabrese.
Fatte queste premesse, parte attrice sostiene che le norme che hanno esteso la
procedura di valutazione oltre i limiti già previsti dalle originarie norma del
D.P.R. n. 357/1997 non possono trovare applicazione ad un procedimento avviato
il 27 febbraio 2001 con il deposito del progetto nell’ambito della gara indetta
dal Comune di Praia a Mare e conclusosi il 6 novembre 2003 con il rilascio del
permesso di costruire. Al procedimento in questione, infatti, sarebbe
applicabile il disposto normativo del D.P.R. n. 357/1997 nella prima versione,
giacché la modifica delle previsioni normative ad opera del D.P.R. n. 120/2003,
che ha svincolato la procedura dalla valutazione di impatto ambientale ed esteso
la tutela ai pSIC, è intervenuta in una fase del procedimento in cui erano stati
superati gli steps preclusivi all’applicazione della nuova normativa.
La ricorrente, nell’affrontare il tema della sopravvenienza normativa nel corso
del procedimento amministrativo, richiama il noto principio tempus regit actum e
rileva che la giurisprudenza più recente ha abbandonato in parte la tesi
tradizionale dell’immediata applicabilità al procedimento in corso della norma
sopravvenuta ed affermato il principio secondo cui il procedimento stesso deve
essere governato dalle norme vigenti nel momento in cui l’azione amministrativa
ha avuto inizio.
Tale orientamento, affermato inizialmente solo con riguardo all’impermeabilità
dei bandi di gara rispetto alle sopravvenienze normative, si sarebbe imposto con
riferimento alla generalità dei procedimenti amministrativi ed avrebbe segnato
il passaggio dal principio tempus regit actum al diverso principio tempus regit
actionem.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, d’altra parte, avrebbe precisato
che le previsioni relative ad una valutazione concernente l’ambiente non si
applicano allorché la data di presentazione della domanda di autorizzazione
preceda la data di scadenza del termine di recepimento di una direttiva. Il
principio, infatti, sarebbe quello dell’applicabilità della legge vigente al
momento in cui il cittadino ha dato inizio al procedimento ed esso sarebbe
l’unico conforme al principio più generale della certezza dei rapporti
giuridici.
La conclusione cui giunge la ricorrente, come già accennato, è quella della non
applicabilità alla fattispecie delle norme in materia di valutazione di
incidenza, in quanto la normativa di recepimento, nella sua versione originaria,
avrebbe escluso la valutazione per quei progetti che, come quello in questione,
non fossero sottoposti a valutazione di impatto ambientale ovvero incidessero su
un semplice pSIC.
4.2 La tesi della non assoggettabilità alla fattispecie alla valutazione
d’incidenza si basa, pertanto, sull’assunto dell’inapplicabilità ratione
temporis delle norme che hanno sganciato il procedimento di valutazione
d’incidenza da quello di valutazione d’impatto ambientale, estendendone nel
contempo l’ambito anche ai siti non ancora muniti della qualità di siti di
importanza comunitaria (SIC), ma compresi nell’elenco dei pSIC, come nel caso
dei fondali dell’Isola di Dino, fino alla decisione del 19 luglio 2006 della
Commissione delle Comunità europee.
4.3 Le argomentazioni della Società ricorrente toccano aspetti delicati e
complessi della previgente normativa di attuazione della direttiva comunitaria,
i cui connotati non sono così definiti come la stessa lascia intendere.
Si potrebbero, innanzi tutto, ricordare i tentativi della giurisprudenza,
coerenti alle norme comunitarie, di giungere ad un’estensione del procedimento
di valutazione d’incidenza agli interventi che interessassero pSIC, perlomeno
nei casi in cui essi comprendessero tipi di habitat o specie qualificati come
prioritari (TAR Friuli Venezia Giulia, 13 maggio 2002 n. 365).
Potrebbe, inoltre, sollevarsi qualche dubbio, almeno in astratto, riguardo
all’esattezza dell’affermazione della rigida correlazione tra sottoposizione a
valutazione di impatto ambientale e valutazione di incidenza. La norma di cui
all’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 parlava, infatti, non di progetti, ma di
tipologie progettuali soggette a V.I.A., lasciando trasparire l’intento di non
considerare il dato dimensionale che condiziona la concreta sottoposizione a
valutazione di impatto ambientale.
Può, tuttavia, prescindersi dalla trattazione dei profili segnalati, atteso che
la tesi della ricorrente dell’inapplicabilità delle norme contemplate dal D.P.R.
n. 120/2003, che hanno modificato le previsioni del D.P.R. n. 357/1997, non
appare convincente.
Le argomentazioni della ricorrente, tese ad affermare l’applicabilità della
normativa vigente al momento dell’inizio del procedimento volto alla
realizzazione del complesso turistico, coincidente con la presentazione del
progetto, sono destinate a scontrarsi subito con l’agevole constatazione che,
nel caso di specie, non ci si trova di fronte ad un unico procedimento.
Il fatto che le attività si inquadrino in una vicenda unitaria, risultando
strettamente connesse sotto il profilo teleologico, non implica certamente il
confluire delle attività stesse nell’alveo di un’unica fattispecie
procedimentale.
Questo non è un rilievo meramente formale, ma è frutto della semplice
considerazione che le attività in questione si inquadrano in procedimenti
nettamente distinti sotto il profilo della natura, dei presupposti, della
disciplina e degli effetti. Non si può pretendere di configurare unitariamente,
ad esempio, sequenze procedimentali tese, rispettivamente, all’acquisizione del
titolo edilizio ed alla scelta del contraente in esito al procedimento di gara.
A questa stregua, non si comprende perché lo stesso procedimento di valutazione
di incidenza non possa essere inquadrato nell’unica fattispecie onnicomprensiva.
Sotto questo profilo il richiamo al principio tempus regit actum - o, ancor più,
a quello tempus regit actionem - appare effettuato in una prospettiva non
adeguata. La ricorrente richiama, infatti, principi attinenti all’incidenza
della sopravvenienza normativa all’interno di una singola fattispecie
procedimentale, ma si riferisce, in effetti, a procedimenti distinti.
D’altra parte, se anche fosse esatta la tesi dell’unificazione in un unico
procedimento complesso, gli argomenti esposti non sarebbero sufficienti a
suffragare la tesi dell’inapplicabilità della normativa sopravvenuta.
La ricorrente sembra ammettere che l’applicabilità delle norme nell’ambito del
procedimento amministrativo, almeno secondo l’orientamento tradizionale, è
regolata dal principio tempus regit actum, che, solitamente, viene espresso nel
senso che ciascuna fattispecie deve realizzarsi nell’osservanza della norma
vigente al momento in cui si perfeziona, con la conseguenza che ciascuno degli
atti che si susseguono nella sequenza procedimentale deve essere posto in essere
nel rispetto della norma vigente al momento dell’emissione. Ogni atto o fase del
procedimento trova, pertanto, disciplina nelle disposizioni di legge o di
regolamento vigenti alla data in cui ha luogo ciascuna sequenza procedimentale
(tra le tante, TAR Lazio, Sez. III, 25 gennaio 2007 n. 563; TAR Puglia, Lecce,
Sez. II, 12 gennaio 2006 n. 144; Consiglio di Stato, Sez. V, 19 ottobre 2006 n.
6211).
La ricorrente, traendo argomento dagli orientamenti giurisprudenziali
affermatisi in materia di bandi di gara, vorrebbe avvalorare la tesi di un
superamento o trasfigurazione del principio in questione, che si sarebbe evoluto
nel diverso principio tempus regit actionem, in forza del quale le norme
applicabili sarebbe quelle vigenti all’inizio dell’attività procedimentale. Il
procedimento risulterebbe, quindi, impermeabile ad ogni innovazione normativa.
La giurisprudenza, in effetti, in diverse occasioni ha negato la piena
applicabilità del principio in discorso ai procedimenti concorsuali in itinere,
rilevando l’esigenza di fare riferimento alla normativa vigente al momento della
pubblicazione del bando di gara o di concorso. Tale orientamento, tuttavia, non
appare correlato a tendenze evolutive volte al superamento del tradizionale
principio tempus regit actum, ma risulta, piuttosto, coerente espressione del
principio stesso. La giurisprudenza, infatti, ha precisato che l’applicazione di
quest’ultimo attiene a sequenze procedimentali composte di atti dotati di
propria autonomia funzionale e non anche ad attività (quale quella di
espletamento di un concorso) interamente disciplinate dalle norme vigenti al
momento in cui essa ha inizio (in tal senso, fra le altre, Consiglio di Stato,
Sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5018). In modo del tutto coerente viene, invece,
ammessa la piena operatività dello jus superveniens anche rispetto alle
procedure concorsuali, allorché esse risultino suddivise in varie fasi
coordinate, ma dotate di una certa autonomia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26
maggio 1999 n. 694).
La conclusione è che, anche a voler aderire alla prospettiva di unificazione
della fattispecie procedimentale, le argomentazioni di parte ricorrente non
possono valere a dare coerente soluzione alle problematiche in discorso, non
potendosi negare, perlomeno, l’autonomia delle sequenze che hanno condotto
all’adozione dei provvedimenti intervenuti nella vicenda di cui si tratta (tra
gli altri, nulla osta ambientale, autorizzazione sanitaria, aggiudicazione
definitiva, permesso di costruire ed, infine, la stessa valutazione di
incidenza).
Nessuna valida indicazione può trarsi, d’altra parte, dalla giurisprudenza
comunitaria richiamata dalla ricorrente, che si riferisce al caso, ben diverso,
in cui la domanda di autorizzazione da parte del privato sia stata presentata
allorché non erano ancora scaduti i termini per il recepimento della direttiva.
Nel caso in questione si tratta, infatti, di verificare se debba trovare o meno
applicazione la normativa interna di recepimento ed in proposito non possono che
operare gli ordinari criteri elaborati riguardo alla tematica della successione
di norme nel tempo.
Ed in effetti, le questioni evocate da parte ricorrente trovano agevole
soluzione mediante l’applicazione delle regole elaborate dalla giurisprudenza
amministrativa sempre a proposito del principio tempus regit actum.
Il problema che si pone nel caso concreto, nel quale una serie di procedimenti
di diversa natura tende verso un unico risultato finale, è quello di verificare
se, nel momento in cui è intervenuta la nuova normativa, la vicenda di cui si
tratta dovesse considerarsi definita.
Al riguardo, infatti, è stato affermato che, in aderenza al principio tempus
regit actum, non può riconoscersi alcun effetto precettivo ad una legge
successiva rispetto ad una vicenda sostanzialmente conclusasi sotto la
previgente disciplina (ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. V, 18 dicembre
2003; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2000 n. 1126).
In diversa prospettiva, incentrata sulla considerazione delle situazioni
giuridiche coinvolte dall’azione amministrativa, è stato precisato che, se in
pendenza del procedimento interviene una nuova normativa, l’atto che ne è
l’epilogo deve adeguarsi allo jus superveniens, salvo che incida su situazioni
giuridiche già consolidatesi (TAR Lazio, Sez. III, 25 gennaio 2007 n. 563,
cit.).
È questo un corollario del principio in questione che risponde ad elementari
esigenze logiche, giacché esso tende ad escludere che sopravvenienze normative
possano mettere in discussione la definizione di vicende concluse ed incidere,
così, su assetti di interessi ormai consolidati.
Si tratta, quindi, semplicemente di verificare se, al momento dell’entrata in
vigore del D.P.R. n. 120/2003, la vicenda del “Borgo di Fiuzzi” dovesse
considerarsi orma definita, con il consolidamento di posizione soggettive.
La risposta al quesito non può che essere negativa.
Ciò, innanzi tutto, sotto il profilo procedimentale, atteso che il D.P.R. n. 120
è del 12 marzo 2003 e, quindi, antecedente al nulla osta paesaggistico (luglio
2003), all’autorizzazione sanitaria (settembre 2003), al parere dei Vigili del
Fuoco (ottobre 2003) ed al permesso di costruire (6 novembre 2003).
Ma, anche sotto il profilo, per così dire, fattuale, la vicenda era lungi
dall’essere definita ed, anzi, doveva ancora avere inizio, atteso che i lavori
sono stati intrapresi solo l’11 novembre 2003, ovviamente dopo l’acquisizione
del permesso di costruire.
4.4 Ad avviso della Sezione, pertanto, debbono trovare piena applicazione
rispetto alla fattispecie le norme dell’art. 5 del D.P.R. 357/1997 nel testo
novellato dal D.P.R. n. 120/2003, con conseguente possibilità di sottoporre
l’intervento alla valutazione d’incidenza, laddove ne ricorrano, ovviamente, i
presupposti.
4.5 La ricorrente, come accennato, sostiene che, anche ad ammettere che i pSIC
fossero equiparati ai SIC, resterebbe il fatto che, al momento della conclusione
dell’iter autorizzativo, non era stata ancora adottata la deliberazione n. 604
del 27 giugno 2005 della Giunta Regionale, avente ad oggetto il disciplinare del
procedimento di valutazione d’incidenza.
Secondo la stessa, pertanto, mancavano le regole concrete di funzionamento della
procedura, che sono state adottate a distanza di due anni dal rilascio del
permesso di costruire e ad opera quasi ultimata. Ciò in assoluto spregio
dell’affidamento del privato, in ragione del tempo trascorso e delle risorse
impegnate.
Non sembra proprio che le osservazioni della ricorrete abbiano qualcosa a che
fare con il tema della successione di norme.
La problematica di cui si è trattato finora, infatti, attiene unicamente alle
questioni relative all’applicabilità delle norme, di carattere, per così dire,
sostanziale, che disciplinano i casi in cui deve avere luogo la valutazione
d’incidenza.
La mancata o ritardata emanazione delle regole di carattere procedurale e/o
applicativo concernenti il procedimento di valutazione non incide
sull’operatività delle norme in materia, ma, al più, può determinare la
momentanea impossibilità di esercitare una funzione avente carattere di
doverosità e, quindi, un ritardo nell’esercizio della stessa, con le possibili
conseguenze su cui ci si soffermerà di qui a poco.
5. Si è accennato, a proposito dell’adozione delle regole operative relative
alla valutazione d’incidenza, al problema del ritardo nell’esercizio della
funzione amministrativa.
Si tratta di una tematica in un certo senso connessa a quella di cui si è
trattato finora, traendo pur sempre spunto dall’esistenza di un certo spatium
temporis tra l’inizio della vicenda e la sua conclusione (negativa).
A tale tematica è dedicato il decimo motivo di ricorso, con il quale si deduce
eccesso di potere per illogicità manifesta, irragionevolezza, travisamento dei
fatti, mancanza di presupposti.
Secondo la ricorrente sarebbe di per sé irragionevole ed irrazionale una
valutazione su un manufatto già esistente e realizzato all’80%.
Ciò, innanzi tutto, per le conseguenze che avrebbero le misure di demolizione e
rimessione in pristino del terreno.
La valutazione negativa, d’altra parte, inciderebbe su una situazione di
affidamento consolidatasi, sia per il tempo trascorso, sia per lo stato avanzato
delle opere.
Le argomentazioni della ricorrente, che pure toccano aspetti di notevole
rilevanza, non appaiono condivisibili.
La valutazione d’incidenza costituisce oggetto di un’attività doverosa, in
quanto la relativa funzione, ricorrendone i presupposti, deve essere
necessariamente esercitata. All’amministrazione non è riconosciuto alcuna
possibilità di apprezzamento in ordine all’opportunità o meno di esercitare la
funzione, non disponendo di discrezionalità (amministrativa) nell’an.
Volendo meglio precisare, la discrezionalità rispetto all’esercizio della
funzione è di carattere esclusivamente tecnico ed attiene all’accertamento del
presupposto per l’esercizio stesso, consistente, come detto, nell’accertamento
dell’incidenza significativa dell’intervento sul sito oggetto della tutela
ambientale.
Questa constatazione esclude in radice la possibilità di ravvisare profili di
eccesso di potere in correlazione all’esercizio della funzione, se non in
connessione alla manifesta illogicità o irrazionalità ovvero al travisamento dei
fatti in sede di accertamento del requisito dell’incidenza significativa sul
sito.
In particolare, il vizio di eccesso di potere non può ravvisarsi nella
determinazione di esercitare la funzione a distanza di tempo dall’inizio della
vicenda e ciò anche se essa venga ad incidere su un’opera in buona parte
realizzata e se siano ravvisabili situazioni di affidamento ormai consolidatesi.
Qualora si dovesse ammettere, quindi, che la funzione in discorso, nella
concreta fattispecie, è stata esercitata in uno stadio evolutivo avanzato
dell’operazione tendente alla realizzazione del complesso turistico,
eventualmente a causa della ritardata adozione delle regole operative da parte
della Giunta Regionale, ciò non determinerebbe alcuna conseguenza sul piano
della legittimità degli atti adottati in esito ad un procedimento doverosamente
avviato.
Quanto ora precisato, beninteso, non significa negare ogni tutela al privato nel
caso di ritardato esercizio di una funzione doverosa, giacché, allo stato
attuale dell’evoluzione giurisprudenziale, rimane pur sempre aperta la strada
del risarcimento del danno da ritardo (in materia, tra le tante, Consiglio di
Stato, Ad. Plen. 15 settembre 2005 n. 7; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 aprile
2006 , n. 2883; TAR Campania, Salerno, 24 ottobre 2005 n. 1988).
Per quanto la relativa elaborazione giurisprudenziale sia stata costruita
soprattutto sull’ipotesi della ritardata soddisfazione di interessi pretensivi,
non è da escludere, infatti, che l’utilizzo dello strumento risarcitorio possa
trovare spazio nel caso di ritardato esercizio (legittimo) di potestà incidenti
su interessi di tipo oppositivo.
Ulteriori considerazioni sull’irrazionalità del provvedimento, di cui al decimo
motivo di ricorso. sono correlate alle ricadute positive che avrebbe
l’iniziativa della Società Mediterranea.
Essa, secondo la ricorrente, potrebbe contribuire ad alleviare i disagi
derivanti da un sovraffolamento stagionale e giornaliero, che comporta
congestione delle vie di transito e dei parcheggi, in una località già
fortemente antropizzata ed urbanizzata.
Il complesso alberghiero, inoltre, potrebbe dare l’avvio ad un percorso di
riqualificazione, che porterebbe l’area ad un turismo sostenibile, contemperando
le esigenze di sviluppo turistico del Comune di Praia a Mare con la tutela delle
specie animali e vegetali sensibili.
Si tratta, evidentemente, di doglianze inammissibili, basate più su
considerazioni di carattere soggettivo in ordine alle ricadute dell’operazione
sul piano economico e sociale che sulla deduzione di specifici profili di
irrazionalità ed illogicità delle valutazioni, rilevanti sul piano della
legittimità degli atti impugnati.
6.1 È con il secondo ordine di censure (di cui al motivo rubricato al punto III
del ricorso) che il gravame entra nel vivo delle problematiche relative alla
valutazione d’incidenza, in quanto vengono esaminati profili attinenti alla
sussistenza di quelle conseguenze significative che, secondo la direttiva
habitat, sono alla base della valutazione in discorso.
Parte ricorrente rileva che la valutazione stessa è stata effettuata sul falso
presupposto della previsione di costruzioni a mare, di dimensioni tali da
raggiungere l’area interessata dalla prateria di posidonia.
La ricorrente intende riferirsi al fatto che l’intervento della Regione risulta
esplicitamente basato sulle indicazioni fornite dal Ministero con la nota del 20
settembre 2004, che aveva segnalato l’opportunità di verificare eventuali
interferenze negative sul pSIC, derivanti da costruzioni a mare, quali
porticcioli turistici, pontili di attracco e simili.
Il rilievo non è fondato.
Le indicazioni del Ministero, innanzi tutto, non vincolano le valutazioni della
Regione.
D’altra parte, quest’ultima non ha basato la propria valutazione negativa sulla
presenza di installazioni in mare, di talché non può sussistere alcun
travisamento dei fatti.
È vero, tuttavia, che le indicazioni del Ministero tendevano a rimarcare
l’esigenza di una stretta correlazione tra gli interventi previsti e gli
obiettivi di tutela del sito, inerenti alla posidonia oceanica.
Si tratta di un aspetto che, a parere del Collegio, è legato alla questione di
fondo che caratterizza la vicenda in esame, che è quella dell’effettiva
incidenza del complesso alberghiero sul sito marino, tenendo conto che non è
sufficiente una qualunque influenza sul sito, che può essere correlata a
qualsiasi attività umana, dovendosi, invece, accertare l’esistenza di
conseguenze significative.
Su tale questione si tornerà nel prosieguo del discorso.
6.2 Tra le censure di cui al motivo in esame, che conviene scrutinare in via
preliminare, anche per sgombrare il campo da questioni di contorno, vi è quella
per la quale, secondo le previsioni della lettera “c”, comma 7 dell’art. 5 della
deliberazione n. 604/2005, sarebbero esentati dalla valutazione i progetti
localizzati in aree qualificate come zone omogenee A e B dello strumento
urbanistico vigente, che siano accompagnati da un elaborato tecnico firmato dal
progettista, che dimostri l’esclusione di implicazioni negative per le aree
tutelate.
In realtà non si tratta di un’esenzione.
La norma prevede, infatti, la possibilità che non si faccia luogo a procedura di
valutazione, nei casi sopra indicati, purché sia dimostrata l’esclusione di
conseguenze negative per le aree tutelate.
La dimostrazione, naturalmente, va fornita all’organo competente ad effettuare
la valutazione, che deve accertare l’insussistenza di implicazioni negative.
Il problema, nel caso di specie, è che l’organo competente ha ritenuto la
sussistenza di implicazioni negative ed ha adottato il provvedimento impugnato.
Il richiamo alla previsione in esame non ha, quindi, ragion d’essere, giacché la
fattispecie in esame risulta estranea alla stessa.
6.3. Venendo alla considerazione di quelli che, come detto, appaiono gli aspetti
centrali della questione, ritiene il Collegio che vadano esaminate
congiuntamente le censure di cui al terzo motivo del ricorso, inerenti alla
mancanza dei presupposti individuati all’art. 5 della deliberazione regionale n.
604 del 2005 per la sottoposizione a valutazione d’incidenza, e quelle di cui al
settimo motivo, concernenti il difetto di motivazione del provvedimento
impugnato.
La ricorrente svolge le proprie argomentazioni riguardo ai presupposti della
valutazione d’incidenza facendo riferimento alle previsioni della deliberazione
della Giunta Regionale.
La deliberazione in discorso, con previsioni non sempre agevolmente coordinabili
con le norme comunitarie e con quelle statali di recepimento, prevede la
sottoposizione a valutazione, oltre che per la realizzazione di stabilimenti
industriali sottoposti a limiti di inquinamento di cui al D.P.R. 24 maggio 1988
n. 203, quando vi sono piani o progetti da realizzare che interessano in tutto o
in parte un sito Natura 2000 o che, comunque, pur ricadendo all’esterno del
perimetro del sito, possono avere incidenza su di esso (art. 5, 2° comma),
ovvero quando, pur se esterni ad un sito Natura 2000, i piani o progetti da
realizzare siano sottoposti a VIA e siano, ovviamente, posti in prossimità di un
sito Natura 2000.
Le ipotesi considerate sono, quindi, tre:
1) stabilimenti industriali sottoposti a limiti di inquinamento di cui al D.P.R.
24 maggio 1988 n. 203;
2) piani o progetti sottoposti a V.I.A., posti in prossimità di un sito Natura
2000;
3) piani o progetti da realizzare che interessano in tutto o in parte un sito
Natura 2000, anche esterni al perimetro del sito, ma che abbiano incidenza sullo
stesso.
Essendo da escludere ogni riferimento agli interventi di cui al punto 1), le
osservazioni della ricorrente si appuntano sulle altre due previsioni.
Un vasto apparato argomentativo è dedicato all’insussistenza dei presupposti per
la sottoposizione dell’intervento a procedura V.I.A. (valutazione d’impatto
ambientale).
Il fatto è che gli argomenti esposti appaiono collocati al di fuori dell’ambito
delle questioni rilevanti in questa sede, che non può che essere delineato dai
contenuti specifici del provvedimento impugnato.
In esso, infatti, non si fa proprio cenno della valutazione di impatto
ambientale. Appare, quindi, perfino inutile disquisire di argomenti che non sono
stati affatto presi in considerazione.
Quello delle necessità della valutazione di impatto ambientale è un argomento
che il Ministero ha lasciato aperto e rimesso alle valutazione della Regione,
essendosi sicuramente al di fuori dell’ambito proprio della c.d. V.I.A.
nazionale, e che non ha esplicato alcuna influenza nella fattispecie oggetto del
giudizio.
Del resto, nonostante le carenze che caratterizzano il provvedimento impugnato
ed il parere sul quale esso è basato, è più che evidente che la valutazione, nel
caso di specie, è stata effettuata in vista della possibile incidenza
dell’intervento sul sito tutelato.
E proprio a questo proposito, e venendo, con ciò, ad esaminare le doglianze
formulate con riferimento a quella che è stata indicata come terza ipotesi, la
ricorrente si duole del fatto che, secondo le previsioni della direttiva
habitat, la valutazione di incidenza sulla biodiversità è condizionata alla
verifica di conseguenze significative dell’intervento sul sito. Il concetto di
conseguenza significativa, sottolinea la stessa, non può essere trattato in
maniera arbitraria e deve essere collegato alle particolarità ed alle condizioni
ambientali del sito protetto.
Aggiunge la ricorrente che l’incidenza di un progetto su un sito Natura 2000
deve essere valutata in relazione agli obiettivi di conservazione del sito.
Con il settimo motivo la ricorrente deduce il difetto di motivazione del
provvedimento impugnato. Il parere della Commissione di valutazione, cui lo
stesso fa riferimento, recependone i contenuti, sarebbe, a sua volta, privo di
un’adeguata motivazione, non essendo esplicitate in modo esauriente le ragioni
in base alle quali è stato espresso un giudizio negativo sul progetto.
Le censure ora riportate appaiono fondate.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europea, sulla scorta
di quanto previsto dalla direttiva 92/43, sottolinea che deve essere sottoposto
a valutazione d’incidenza qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e
necessario alla gestione del sito, ma che possa avere incidenze significative
sullo stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, tenendo
conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso. La stessa giurisprudenza
precisa, in proposito, che requisito di base della valutazione è che il piano o
progetto sia idoneo a pregiudicare significativamente il sito interessato e che,
in considerazione del principio di precauzione, tale pregiudizio sussiste in
tutti i casi in cui non può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi,
che il suddetto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito
interessato (Corte di Giustizia CE, Sez. II, 10 gennaio 2006 n. 98; id., 29
gennaio 2004 n. 209).
Su posizioni analoghe si è attestata la giurisprudenza nazionale, che, pur
affermando che anche la semplice probabilità di un pregiudizio per l’integrità e
la conservazione del sito è sufficiente a far concludere in senso negativo la
valutazione di incidenza, ha, comunque, rilevato che le incidenze sul sito, per
essere giuridicamente rilevanti, devono essere significative (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005 n. 3917).
Ciò, sul piano del diritto interno, si traduce nella necessità d accertare, in
prima valutazione, il carattere significativo di siffatta incidenza, in
relazione al rischio di compromissione dell’integrità del sito.
Tali principi hanno trovato attuazione nella predisposizione delle regole
procedurali della valutazione d’incidenza, di cui alla deliberazione n. 604/2005
della Giunta Regionale, essendo previsto un primo livello di screening, diretto
proprio a verificare l’esistenza di effetti significativi sugli obiettivi di
conservazione del sito. La successiva fase di valutazione appropriata, tesa alla
verifica di eventuali incidenze negative ed alla definizione di misure di
mitigazione, segue solo se la fase di screening abbia avuto esito positivo. Sono
previsti, poi, altri due livelli, di carattere eventuale, aventi ad oggetto la
valutazione di soluzioni alternative e l’individuazione di misure compensative
(nel caso di presenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e di
assenza di soluzioni alternative).
Sono stati sopra riportati i contenuti essenziali del parere su cui è basato il
provvedimento impugnato e che ora conviene richiamare in modo sintetico.
Una prima serie di rilievi riguarda i contenuti dello studio presentato dalla
Società proponente, essendo evidenziato che lo studio di incidenza è stato
predisposto con riferimento a parametri rilevati da una generica e non
identificata indagine risalente al 1995 e che la relazione è stata redatta
unicamente nell’intento di escludere interferenze con il sito.
Segue l’osservazione secondo cui le misure di compensazione e/o mitigazione
indicate in progetto non escludono la possibilità di effetti impattanti
incidenti sull’ecosistema naturale del sito.
Sulla base delle considerazioni riportate, nel parere si osserva che dagli
elaborati prodotti non si rilevano studi geologici ed indagini sul sottosuolo
che evidenzino i tiranti idrici ed i livelli piezometrici dell’acqua di
sottosuolo (dolce e/o salmastra), in modo da escludere interazioni dirette tra
l’area di incidenza del manufatto e delle attività antropiche ad esso connesse e
l’ambiente marino.
Secondo la Commissione manca, inoltre, uno studio di compatibilità idraulica in
riferimento alle nuove portate reflue destinate ad immettersi nella rete di
collettamento comunale, anche in considerazione della possibilità di fuoriuscite
di liquami, che andrebbero ad incidere direttamente all’interno del SIC.
Dall’esame dei contenuti del parere finora riportati non è possibile desumere
alcuna analisi in ordine a conseguenze significative sul sito.
Tali conseguenze, infatti, non sono quelle astrattamente ipotizzabili e non
escluse dallo studio di incidenza presentato dall’interessato, quanto piuttosto
quelle che, considerate la tipologia e le caratteristiche dell’intervento,
l’organo procedente, sulla base di adeguata ed autonoma istruttoria, reputi
anche di probabile verificazione.
Il fatto che anche il rischio di conseguenze significative possa portare ad una
valutazione negativa, non significa che si possa prescindere dalla verifica
concreta dell’esistenza dei pericoli prospettati, riversando impropriamente sul
proponente l’onere di dimostrare l’insussistenza di ogni rischio ipotizzabile.
D’altra parte, è difficile sfuggire all’osservazione della ricorrente secondo
cui il concetto di conseguenza significativa non può essere ricostruito in modo
arbitrario. Ciò, in effetti, è quanto viene fatto con il parere in questione,
affastellando una serie di osservazioni non aventi alcun nesso reciproco e senza
una ricostruzione analitica, da effettuare a priori, dei valori ambientali
oggetto di tutela e dei possibili rischi a carico degli stessi.
Queste carenze appaiono comuni alle ulteriori considerazioni di cui al parere,
laddove si rileva che è logico presupporre che il complesso “Borgo di Fiuzzi”
sia destinato a funzionare per periodo maggiore di quello tipico di utilizzo
delle già presenti strutture, con conseguente attività di disturbo che contrasta
con le condizioni di quiete necessarie alle specie ittiche che utilizzano il
sito come nursery nel periodo di riproduzione. Oppure laddove si osserva che si
produrrà un notevole incremento dell’inquinamento luminoso ed acustico incidente
sul sito, con alterazione dell’ecosistema necessario alla fauna stanziale e
volatile che utilizza l’isola di Dino quale habitat di riferimento.
Le osservazioni ed i rilievi esposti appaiono del tutto sganciati da criteri
predeterminati di valutazione, essendo piuttosto affidati a riferimenti generici
ed arbitrari, basati su concetti vaghi ed indeterminati, quali il disturbo della
quiete e l’alterazione dell’ecosistema.
6.4 La lettura del parere, inoltre, rende subito evidente il tenore affatto
generico delle considerazioni e valutazioni in esso esposte, al punto che rimane
totalmente nell’ombra quello che dovrebbe essere l’aspetto centrale, vale a dire
la determinazione delle conseguenze significative degli elementi in esso
evidenziati sulla posidonia oceanica, che è il tipo di habitat prioritario
presente nel sito.
Nel parere, in definitiva, sono rinvenibili solo generiche considerazioni non
supportate da alcuna specifica attività istruttoria, né da alcuna analisi che
valga a dare un minimo di concretezza al giudizio di incidenza sull’ambiente
protetto.
Risultano, pertanto, fondate anche le censure di difetto di motivazione, di cui
al settimo motivo di ricorso.
7. È, altresì, fondata l’ulteriore censura di cui all’ottavo motivo di ricorso,
con cui si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2.2 e 2.3 delle
premesse della deliberazione regionale n. 604/2005, nonché eccesso di potere per
difetto di procedura, mancanza di istruttoria, disparità di trattamento ed
ingiustizia manifesta.
Parte ricorrente rileva che nel parere della Commissione si specifica che le
misure di compensazione e/o mitigazione indicate in progetto non escludono la
possibilità di effetti incidenti negativamente sull’ecosistema naturale del
sito. Osserva, quindi, che spetta all’autorità competente e non al proponente di
individuare le adeguate misure di mitigazione.
L’osservazione è esatta.
La procedura di valutazione d’incidenza è, per sua natura, finalizzata alla
verifica e valutazione degli effetti di attività ed interventi sui siti compresi
nella rete Natura 2000 ed all’individuazione delle idonee misure di mitigazione,
volte a prevenire il deterioramento dei siti.
Basare una valutazione negativa anche sull’inidoneità delle misure di
mitigazione individuate dal proponente significa alterare profondamente quella
che è la funzione propria del procedimento di valutazione, che è indirizzato
anche all’individuazione di tali misure, che devono essere, ove possibile,
definite dall’autorità competente ad effettuare la valutazione.
Ciò non vuole dire, naturalmente, che non si possa giungere ad una valutazione
negativa, ma solo che l’ambito di indagine deve comprendere la ricerca, da parte
dell’organo procedente, di eventuali possibili misure di mitigazione, nel caso
in cui esse possano rivelarsi adeguate a scongiurare i rischi a carico del sito
protetto.
8. Con il nono motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione
della deliberazione regionale n. 604/2005, del D.P.R. n. 357/1997 e della
direttiva habitat, nonché eccesso di potere per sviamento.
Secondo la ricorrente, il provvedimento impugnato appare rivolto ad un fine
diverso rispetto a quello delineato dalla legge, che consiste nella valutazione
della compatibilità di un progetto con la specifica biodiversità tutelata dalla
rete Natura 2000. Nel parere della Commissione per la valutazione di incidenza
sono, invece, menzionati danni a specie ittiche o a fauna stanziale e volatile
che nulla hanno a che vedere con la prateria di posidonia tutelata nel SIC.
Anche tale censura è fondata.
Come desumibile da quanto già rilevato a proposito del difetto di motivazione,
le considerazioni poste a fondamento della valutazione negativa appaiono
muoversi su un piano diverso rispetto a quello su cui si colloca l’oggetto
proprio della valutazione d’incidenza, vale a dire l’individuazione di
conseguenze significative dell’intervento progettato sul sito della rete Natura
2000.
Basti pensare, in proposito, al riferimento alle specie ittiche, non correlato
all’habitat tutelato, ed alla fauna stanziale e volatile dell’Isola di Dino. È
evidente che la valutazione negativa non può essere basata su elementi non
strettamente aderenti agli obiettivi di conservazione, che, nel caso di specie,
riguardano le praterie di posidonia e non anche le specie animali.
Gli stessi rilievi diretti ad evidenziare la mancanza di studi geologici,
concernenti le interazioni con l’ambiente marino, e di uno studio di
compatibilità idraulica appaiono formulati più nell’intento di salvaguardare un
equilibrio ambientale complessivo, che di soddisfare le esigenze di tutela del
sito di importanza comunitaria.
Siffatti obiettivi debbono essere perseguiti, a ben altro livello di
approfondimento, mediante altri procedimenti di valutazione ambientale,
concernenti un più ampio spettro di interessi pubblici coinvolti dalla tutela
dell’ambiente, tra i quali figurano anche gli interessi correlati alla
protezione dei SIC.
9. La fondatezza delle censure esaminate ai precedenti punti 6., 7. e 8. implica
l’illegittimità dell’impugnato decreto di valutazione d’incidenza del 12
dicembre 2006 del Dirigente del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della
Regione Calabria, che deve essere, pertanto, annullato.
La pronuncia di annullamento non coinvolge il parere della Commissione di
valutazione d’incidenza, oggetto di impugnazione, solo in quanto esso non ha
carattere provvedimentale, avendo una valenza esclusivamente endoprocedimentale
e non essendo in grado, di per sé, di incidere sulle posizioni soggettive degli
amministrati.
Il carattere assorbente delle censure vagliate esime dallo scrutinio degli
ulteriori motivi di cui al ricorso introduttivo ed al ricorso per motivi
aggiunti.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sede di Catanzaro, Sezione
Prima, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro, nella Camera di Consiglio del 13 luglio 2007.
L’Estensore
Giovanni Iannini
Il Presidente
Cesare Mastrocola
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