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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

T.A.R. CAMPANIA - Napoli Sez. V, 12 Settembre 2007, (C.c. 05/07/2007) n. 7553

 

ESPROPRIAZIONE - Dichiarazione di pubblica utilità - Data ultimazione lavori - Mancata previsione - Omissione - Conseguenze - Tesi della “carenza di potere in concreto” - Giurisdizione del G.A. La mancata previsione, nel primo atto della procedura ablatoria, dei termini dei lavori e della procedura medesima, deve ritenersi costituire, un caso di cattivo esercizio del potere e non di carenza di potere (in concreto), sicché l’immissione in possesso e la trasformazione del suolo, sulla base di una siffatta, asseritamente invalida (ma efficace) dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, concreta un comportamento “amministrativo” (e non “mero”) dell’amministrazione, comunque riconducibile, almeno mediatamente, all’esercizio di pubblici poteri autoritativi, sì da restare ascritto, quanto alla tutela giurisdizionale, anche risarcitoria, alla cognizione del G.A. e non a quella del G.O. (Corte cost. n. 191 del 2006). La tesi della “carenza di potere in concreto” è smentita, tra l’altro, dall’articolo 21-septies della legge n. 241 del 1990 (aggiunto dall’articolo 14 della legge n. 15 del 2005), che menziona, tra i casi (tassativi) di nullità dell’atto amministrativo, la sola ipotesi di difetto assoluto di attribuzione (Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 febbraio 2006, n. 2137), dall’articolo 13, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che ha reso facoltativa la previsione del termine del decreto di esproprio, il che vale a dimostrare, sul piano interpretativo, la debolezza della tesi pretoria della essenzialità dei termini, intesi come conformativi dello stesso potere ablatorio, nonché dalla stessa (più recente) giurisprudenza della Cassazione (Cass., ss.uu., 2688 del 2007, cit., 19 febbraio 2007, n. 3724), che ha (giustamente) affermato la giurisdizione amministrativa nel caso di successivo annullamento (ancorché retroattivo) della stessa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. (cfr., contra, Cass., ss.uu., ord. 15 giugno 2006 n. 13911; 7 febbraio 2007, n. 2688; 19 aprile 2007, n. 9323). Pres. Onorato, Est. Carpentieri - Conte ed altri (avv. Romano) c. Comune di Villa di Briano (avv. D‘Angiolella). T.A.R. CAMPANIA - Napoli, Sez. V, 12 Settembre 2007, (05/07/2007) n. 7553

ESPROPRIAZIONE - Dichiarazione di pubblica utilità - Termini dei lavori e delle espropriazioni - Indefettibilità della fissazione - Previsione in atti successivi della procedura - Insufficienza. Pacifica, ormai, in giurisprudenza è l’acquisizione della indefettibilità della fissazione, sin dal primo atto della procedura espropriativa, ossia sin dall’approvazione del progetto definitivo dell’opera, che comporta la sua dichiarazione di pubblica utilità, dei termini dei lavori e delle espropriazioni (da ultimo, Tar Campania Napoli, sez. V, 1 febbraio 2007, n. 828). In punto di fatto tale omissione, nella fattispecie, è incontestata (oltre che documentata in atti), sicché non può che dedursene l’illegittimità, sotto questo profilo, degli atti impugnati. La giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7898; id., 16 maggio 2006, n. 2773) ha altresì definitivamente chiarito l’insufficienza di tale previsione in atti successivi della procedura. Pres. Onorato, Est. Carpentieri - Conte ed altri (avv. Romano) c. Comune di Villa di Briano (avv. D‘Angiolella). T.A.R. CAMPANIA - Napoli, Sez. V, 12 Settembre 2007, (05/07/2007) n. 7553

ESPROPRIAZIONE - Apposizione del vincolo espropriativo - Indennizzo espropriativo - Classificazione urbanistica e c.d. edificabilità "di fatto". Nel sistema di disciplina della stima dell'indennizzo espropriativo introdotto dall'art. 5-bis, legge n. 359 del 1992, un'area va ritenuta edificabile quando come tale essa risulti classificata dagli strumenti urbanistici al momento dell'apposizione del vincolo espropriativo, mentre la cosiddetta edificabilità "di fatto", correlata alle peculiari circostanze del caso che rafforzano o comprimono l' edificabilità, rileva esclusivamente in via complementare od integrativa, nella fase dell'apprezzamento del valore venale, con la conseguenza che sulla parte che invoca dette circostanze, al fine di sostenere una variazione in positivo o in negativo del valore dell'area derivante dall'attitudine edificatoria fissata dagli strumenti urbanistici, grava l'onere di allegarle e di dimostrarle (Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 2005, n. 2871). Pres. Onorato, Est. Carpentieri - Conte ed altri (avv. Romano) c. Comune di Villa di Briano (avv. D‘Angiolella). T.A.R. CAMPANIA - Napoli, Sez. V, 12/09/ 2007, (05/07/2007) n. 7553

ESPROPRIAZIONE - PROCEDURE E VARIE - Dichiarazione di pubblica utilità - Immissione in possesso - Lavori ultimati a termine ampiamente decorso - Giurisdizione del g.a.. Sussiste la giurisdizione del g.a. nel caso in cui i lavori siano iniziati con l’immissione in possesso nel termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ma siano stati ultimati quando detto termine è ampiamente decorso e il decreto di esproprio non risulti essere stato mai adottato. (C.d.S. A.P. dec. 30 luglio 2007, n. 9; n. 4/2005, nonché nn. 9/2005 e 2/2006). Pres. Onorato, Est. Carpentieri - Conte ed altri (avv. Romano) c. Comune di Villa di Briano (avv. D‘Angiolella). T.A.R. CAMPANIA - Napoli, Sez. V, 12 Settembre 2007, (05/07/2007) n. 7553


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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA
Napoli (sezione Vª)


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione V^ - composto dai Signori:

1) Antonio Onorato - Presidente
2) Andrea Pannone - Consigliere
3) Paolo Carpentieri - Consigliere - relatore

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel ricorso n. 1865/2003 Reg. Gen., proposto da Conte Raffaella, Conte Assunta, Conte Antonietta e Conte Concetta, rappresentate e difese dagli avv.ti Antonio Romano ed Eduardo Romano, con domicilio eletto in Napoli, alla piazza Trieste e Trento, n. 48,

contro

il Comune di Villa di Briano, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Luigi Maria D‘Angiolella, con domicilio eletto in Napoli, viale Gramsci n. 16;

per l’annullamento

a) della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Villa di Briano, n. 32 del 05.04.2002, con la quale è stato approvato il progetto dei lavori di realizzazione della Piazza Comunale in Rione Vanacore ed è stata individuata l’area da espropriare, di proprietà delle ricorrenti;

b) dei decreti di occupazione temporanea ed in via d’urgenza, di identico contenuto, prot. n. 6853 del 16.12.2002 e prot. n. 218 del 13.01.2003;

c) di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenziali, tra i quali, precipuamente, i verbali di immissione nel possesso.

nonché per il riconoscimento e la declaratoria

del diritto al risarcimento del danno ingiusto, pari al valore venale del fondo, considerata la carenza di valida dichiarazione di pubblica utilità, nonché l’inapplicabilità al caso di specie del regime risarcitorio di cui alla Legge nr. 662/1996, relativo solo alle occupazioni intervenute anteriormente al 20.09.1996>>.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;

VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Villa di Briano con le annesse produzioni;

VISTI gli atti tutti di causa;

UDITI alla pubblica udienza del 5 luglio 2007 - relatore il Magistrato Dr. Carpentieri - gli avv.ti indicati nel verbale;

CONSIDERATO in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con il ricorso in esame - ritualmente notificato il 12 febbraio 2003 e depositato nella Segreteria del Tribunale il successivo giorno 19 - le ricorrenti, proprietarie di fondi contigui siti nel territorio del comune di Villa di Briano, individuati in catasto al fl. 7, p.lle n. 28, 29, 565, 566, 567 e 568, hanno impugnato gli atti elencati in epigrafe con i quali il Comune di Villa di Briano ha avviato la procedura espropriativa ed ha disposto l’occupazione temporanea e d’urgenza dei fondi di loro proprietà (per mq. 1.306) per la realizzazione della nuova piazza comunale nel Rione Vanacore del medesimo Comune.

A sostegno dell’azione hanno dedotto diversi motivi di incompetenza, violazione di legge e di eccesso di potere, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati e il risarcimento del danno.

In particolare hanno denunciato la omessa indicazione, nella delibera di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, dei termini della procedura espropriativa e dei lavori, in violazione dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, seguita agli atti approvativi del progetto, la violazione (per omissione) della procedura di legge (ex lege n. 167 del 1962) prevista per la necessaria approvazione della variante al p.r.g. adottata (ma non perfezionata) in virtù della delibera di approvazione del progetto.

Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di Villa di Briano con deposito di memoria ed atti in data 26 marzo 2003, deducendo l’inammissibilità, improcedibilità ed infondatezza del ricorso.

Con istanza di “prelievo” depositata il 15 gennaio 2007 la parte ricorrente ha sollecitato la decisione del merito facendo presente che “l’opera è stata nelle more realizzata, ma le ricorrenti, pur avendo definitivamente perso la disponibilità del suolo di loro proprietà da oltre tre anni, non hanno ancora il risarcimento del danno loro dovuto a causa della denunciata illegittimità degli atti della procedura espropriativa”.

In data 25 giugno 2007 parte ricorrente ha depositato memoria di costituzione di Basile Francesco e Basile Vincenzo, nella qualità di eredi legittimi di Conte Concetta, con allegati i connessi certificati, nonché una perizia stragiudiziale di stima del fondo per cui è causa.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2007 la causa è stata dunque chiamata e introitata in decisione.


DIRITTO

 
Il ricorso è ammissibile e fondato e merita come tale accoglimento, sia per la parte impugnatoria che per la domanda risarcitoria.

Deve in primo luogo darsi atto della sussistenza, nella fattispecie dedotta, della giurisdizione di questo adito G.A. In linea con la consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo in subiecta materia, e in contrario avviso rispetto alla posizione della Cassazione (cfr., più di recente, Cass., ss.uu., ord. 15 giugno 2006 n. 13911; 7 febbraio 2007, n. 2688; 19 aprile 2007, n. 9323), la mancata previsione, nel primo atto della procedura ablatoria, dei termini dei lavori e della procedura medesima, deve ritenersi costituire, infatti, un caso di cattivo esercizio del potere e non di carenza di potere (in concreto), sicché l’immissione in possesso e la trasformazione del suolo, sulla base di una siffatta, asseritamente invalida (ma efficace) dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, concreta un comportamento “amministrativo” (e non “mero”) dell’amministrazione, comunque riconducibile, almeno mediatamente, all’esercizio di pubblici poteri autoritativi, sì da restare ascritto, quanto alla tutela giurisdizionale, anche risarcitoria, alla cognizione del G.A. e non a quella del G.O. (Corte cost. n. 191 del 2006).

La tesi della “carenza di potere in concreto” è smentita, tra l’altro, dall’articolo 21-septies della legge n. 241 del 1990 (aggiunto dall’articolo 14 della legge n. 15 del 2005), che menziona, tra i casi (tassativi) di nullità dell’atto amministrativo, la sola ipotesi di difetto assoluto di attribuzione (Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 febbraio 2006, n. 2137), dall’articolo 13, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che ha reso facoltativa la previsione del termine del decreto di esproprio, il che vale a dimostrare, sul piano interpretativo, la debolezza della tesi pretoria della essenzialità dei termini, intesi come conformativi dello stesso potere ablatorio, nonché dalla stessa (più recente) giurisprudenza della Cassazione (Cass., ss.uu., 2688 del 2007, cit., 19 febbraio 2007, n. 3724), che ha (giustamente) affermato la giurisdizione amministrativa nel caso di successivo annullamento (ancorché retroattivo) della stessa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

In punto di fatto deve osservarsi che non è dato sapere, alla data della pubblica udienza del 5 luglio 2007 di assunzione a sentenza della presente controversia, se la procedura espropriativa si sia mai conclusa con l’adozione di formale decreto di esproprio, né il tempo e l’entità della (eventuale) intervenuta irreversibile trasformazione del fondo occupato. Ma questa circostanza - peraltro probatoriamente superabile ex art. 116, cpv., c.p.c., a fronte dell’inerzia processuale del Comune intimato che, ancorché costituitosi in giudizio, non ha ritenuto di dover replicare alle prospettazioni sul punto avanzate dalle ricorrenti, così implicitamente ammettendone la veridicità - si rivela in realtà irrilevante sul piano del riparto di giurisdizione, atteso che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo, sicché la decisione sul riparto va assunta alla stregua della situazione di fatto (oltre che di diritto) esistente al tempo della proposizione della domanda.

Peraltro, anche a voler ammettere in linea puramente ipotetica la rilevanza nel caso in esame, ai fini del riparto della giurisdizione, della circostanza della successiva mancata conclusione della procedura con adozione del prescritto, formale provvedimento espropriativo (e, quindi, della irreversibile trasformazione del fondo plausibilmente intervenuta successivamente alla disposta occupazione d’urgenza, in una data non precisata), soccorre, nel senso dell’affermazione comunque - in un caso del genere - della cognizione del g..a. sulla controversia, la recente, ulteriore presa di posizione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (dec. 30 luglio 2007, n. 9) che ha ribadito le conclusioni in tal senso già acquisite con le note pronunce (sempre in sede plenaria) del 2005 e del 2006 (n. 4 del 2005, nonché nn. 9 del 2005 e 2 del 2006). Con l’ultima pronuncia del 2007, infatti, il massimo Consesso amministrativo ha affermato la giurisdizione del g.a. in un caso in cui i lavori erano iniziati con l’immissione in possesso nel termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ma erano stati ultimati quando detto termine era ampiamente decorso, mentre il decreto di esproprio non risultava essere stato mai adottato.

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in particolare, giudicando di una controversia in cui la domanda risarcitoria era fondata sulla sopravvenuta perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e sulla mancata emanazione del decreto di esproprio, ha affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a liti che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento. Queste conclusioni sono state da ultimo riconfermate dalla citata decisione dell’ad. plen. n. 9 del 2007 “in quanto il diritto vigente, per come delimitato dalle sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006 del Giudice delle leggi, depone per la rimeditazione dell’insegnamento sin qui impartito dalla Corte regolatrice”.

Aderendo a questo autorevole indirizzo, il Collegio ritiene dunque senz’altro di dover riaffermare la cognizione in subiecta materia di questo adito g.a.

Nel merito il ricorso è fondato sotto diversi dei profili dedotti.

Pacifica, ormai, in giurisprudenza è l’acquisizione (ante t.u. espropriazioni, qui non applicabile, trattandosi di atti del 2002-2003) della indefettibilità della fissazione, sin dal primo atto della procedura espropriativa, ossia sin dall’approvazione del progetto definitivo dell’opera, che comporta la sua dichiarazione di pubblica utilità, dei termini dei lavori e delle espropriazioni (da ultimo, Tar Campania Napoli, sez. V, 1 febbraio 2007, n. 828). In punto di fatto tale omissione, nella fattispecie, è incontestata (oltre che documentata in atti), sicché non può che dedursene l’illegittimità, sotto questo profilo, degli atti impugnati. La giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7898; id., 16 maggio 2006, n. 2773) ha altresì definitivamente chiarito l’insufficienza di tale previsione in atti successivi della procedura.

Ugualmente pacifica, oltre che rispondente ad evidenti canoni di logica, è l’acquisizione della necessità che la comunicazione di avvio del procedimento ablatorio, affinché possa utilmente avere un senso e servire al suo scopo, deve precedere l’atto centrale ed essenziale del procedimento medesimo, vale a dire la predetta delibera di dichiarazione di pubblica utilità e di localizzazione dell’opera, di modo che una comunicazione successiva si rivela del tutto inutile, sì da viziare il relativo procedimento. Nel caso in esame è incontestato e provato in atti che le ricorrenti sono state rese edotte dell’iter intrapreso dall’Amministrazione resistente solo a mezzo della notifica dei decreti di occupazione in via d’urgenza, avvenuta in data 16.12.2002 e 13.01.2003 (con note prot. n. 6853 e 218), lì dove, invece, la delibera della giunta comunale di Villa di Briano n. 32 di approvazione del progetto di realizzazione della piazza del Rione Vanacore è del 5 aprile 2002.

Né potrebbe invocarsi in senso opposto la previsione dell’articolo 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla riforma del 2005, ma immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso, siccome norma processuale), in forza del quale non è comunque annullabile il provvedimento amministrativo per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, posto che il Comune di Villa di Briano, come già sopra osservato, pur essendosi costituito in giudizio, nulla ha dedotto (come era invece suo specifico onere fare) al fine di dimostrare, per l’appunto, che il contenuto dispositivo degli atti impugnati non avrebbe potuto in ogni caso essere diverso da quello adottato, pur se la parte privata fosse stata ritualmente e tempestivamente ammessa a partecipare al relativo procedimento.

Deve ritenersi inoltre fondata anche la terza censura, con la quale parte ricorrente ha lamentato il mancato perfezionamento dell’iter approvativo della variante al p.r.g. approvato e vigente nel Comune di Villa di Briano contenuta nella predetta delibera di giunta comunale di approvazione del progetto.

La censura si rivela fondata alla stregua della disciplina vigente all’epoca degli atti impugnati (legge n. 1 del 1978).

L’articolo 1, comma 5, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, prevedeva che “nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi oppure sono destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e che sono regolamentate con standard minimi da norme nazionali o regionali, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto preliminare e la deliberazione della giunta comunale di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo costituiscono adozione di variante degli strumenti stessi, non necessitano di autorizzazione regionale preventiva e vengono approvate con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167 , e successive modificazioni”.

La legge 18 aprile 1962, n. 167 stabilisce, all’articolo 8, secondo comma, che “Qualora il piano comporti varianti al piano regolatore ovvero vi siano opposizioni od osservazioni da parte dei Ministeri di cui al comma che precede, il provveditore regionale alle opere pubbliche, riscontrata la regolarità degli atti, li trasmette, entro trenta giorni dal ricevimento, al Ministero dei lavori pubblici con una relazione della sezione urbanistica regionale. In tal caso i piani sono approvati dal Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici”.

Questa disposizione, trapiantata nel quadro attuale (del tempo degli atti qui oggetto di giudizio), implica la necessaria approvazione della variante al p.r.g. da parte dell’autorità competente (in Campania, la Provincia, delegata dalla Regione, alla stregua della legislazione regionale di riferimento), previa effettuazione del passaggio procedurale della pubblicazione della variante adottata e del termine per le osservazioni (art. 6 l. n. 167 del 1962).

Inoltre, pur volendo ritenere applicabile al caso di specie la previsione derogatoria contenuta nell’ultimo comma dell’articolo 8 cit. della legge n. 167, comma aggiunto dall'art. 34 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, a mente del quale “Le varianti che non incidono sul dimensionamento globale del piano e non comportano modifiche al perimetro, agli indici di fabbricabilità ed alle dotazioni di spazi pubblici o di uso pubblico, o costituiscono adeguamento delle previsioni del piano ai limiti ed ai rapporti di cui all'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, sono approvate con deliberazione del consiglio comunale”, permane il vizio di incompetenza, stante la mancanza della delibera consiliare di approvazione. Difatti, come si evince dal quadro normativo appena delineato, la competenza in subiecta materia spetta al consiglio comunale e non alla giunta.

La fondatezza delle censure sollevate da parte ricorrente determina, dunque, l’accoglimento della domanda impugnatoria e il conseguente annullamento degli atti tutti gravati.

Fondata e meritevole di accoglimento si rivela di conseguenza anche la proposta domanda risarcitoria (parte ricorrente ha chiesto il solo risarcimento per equivalente, e non ha domandato la reintegra e la restituzione nella proprietà e/o nella disponibilità del bene, sicché, come da pacifica giurisprudenza sul punto, in obbedienza al principio dispositivo e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, resta irrilevante ogni accertamento in ordine al se e al quando dell’eventuale intervenuta irreversibile trasformazione dell’immobile, così come resta fuori da questa controversia ogni questione inerente la giuridica configurabilità dell’istituto della cd. “accessione invertita”, negato in radice dalla C.E.D.U. da ultimo con sentenza 6 marzo 2007 - Scordino c. Italia).

L’illecito dell’amministrazione - denunciato da parte ricorrente - consistente nell’apprensione del bene in forza di atti illegittimi, e colposamente illegittimi, per errore grave e manifesto nell’applicazione della legge, risulta adeguatamente provato in tutti i suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi.

Venendo al quantum della pretesa risarcitoria (ipotizzato da parte ricorrente, nell’atto introduttivo, con riferimento al valore venale del bene), ritiene il Collegio che possa, nel caso in esame, farsi utilmente ricorso alla speciale previsione dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, in base al quale “il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine”.

All’uopo devono stabilirsi i seguenti criteri direttivi che dovranno orientare l’amministrazione comunale intimata nel formulare la suddetta proposta di definizione dell’importo del risarcimento dovuto:

- l’ammontare del risarcimento dovrà corrispondere al valore di mercato del suolo all’epoca dell’atto di immissione in possesso (7 maggio 2002);

- la stima del valore di mercato del suolo andrà stabilita dal Comune obbligato al risarcimento, in contraddittorio con i ricorrenti, sulla base degli elementi in possesso della stessa amministrazione e di quelli che verranno forniti dalla controparte, nonché delle informazioni che potranno essere acquisite presso uffici fiscali o da altri pubblici ufficiali, in ordine ai prezzi ed alle valutazioni dei beni (avuto riguardo, in particolare, ad atti di cessione, a procedimenti relativi all’applicazione di imposte e tributi ovvero a procedimenti in sede giudiziaria, per beni ubicati nella zona ed aventi analoghe caratteristiche di destinazione urbanistica, di utilizzazione, di stato e conformazione dei luoghi);

- il valore venale dell’area dovrà determinarsi tenendo conto prioritariamente della (eventuale) edificabilità legale del fondo, salva la considerazione del profilo della cd. “edificabilità di fatto” in via solo residuale e integrativa, secondo l’insegnamento della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 2005, n. 2871: <<nel sistema di disciplina della stima dell'indennizzo espropriativo introdotto dall'art. 5-bis, legge n. 359 del 1992, un'area va ritenuta edificabile quando come tale essa risulti classificata dagli strumenti urbanistici al momento dell'apposizione del vincolo espropriativo, mentre la cosiddetta edificabilità "di fatto ", correlata alle peculiari circostanze del caso che rafforzano o comprimono l' edificabilità, rileva esclusivamente in via complementare od integrativa, nella fase dell'apprezzamento del valore venale, con la conseguenza che sulla parte che invoca dette circostanze, al fine di sostenere una variazione in positivo o in negativo del valore dell'area derivante dall'attitudine edificatoria fissata dagli strumenti urbanistici, grava l'onere di allegarle e di dimostrarle>>);

- l’ammontare della proposta risarcitoria dovrà tenere conto della svalutazione monetaria intercorsa dal dicembre 2002 alla data della proposta medesima, e dovrà essere maggiorata degli interessi al tasso legale dalla medesima data maturati;

- andranno detratte dal totale complessivo dovuto tutte le somme comunque (eventualmente) già percepite dalla parte ricorrente, a titolo indennitario o risarcitorio, nelle more del presente giudizio, in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa.

Le spese di causa, nell’importo liquidato in dispositivo, devono infine porsi a carico dell’amministrazione soccombente.


P.Q.M.


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA, V^ Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti con esso impugnati e condanna il Comune di Villa di Briano, in persona del suo legale rapp.te p.t., al risarcimento del danno nei confronti delle ricorrenti, nell’importo corrispondente al valore venale del suolo alla data dell’occupazione, importo che dovrà essere determinato in una specifica proposta formulata dal Comune resistente ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, secondo i criteri stabiliti in motivazione, da comunicarsi alle ricorrenti nel termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione (o dalla notifica di parte, se anteriore) della presente sentenza.

Condanna il Comune di Villa di Briano, in persona del suo legale rapp.te p.t., al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi euro 1.000/00 (mille/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 5 luglio 2007.


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