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TAR CAMPANIA - Napoli, Sez. VII, 04 Ottobre 2007 (C.c. 20/06/2007), n. 8951
URBANISTICA E EDILIZIA - Denuncia di inizio attività (D.I.A.)
- Decorrenza del termine di 30 giorni - Effetti - Potere di controllo delle
attività edilizie - Artt. 23 e 27, c. 1 D.P.R. n. 380/2001. Nell’ambito del
potere di autotutela, l’Amministrazione anche una volta decorso il termine di
trenta giorni può esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività
edilizie, per il quale l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 non prevede
alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso o realizzate non
corrispondano a quelle oggetto della denuncia, sia quando le opere non possono
essere realizzate con una semplice D.I.A. perché richiedono il permesso di
costruire. Inoltre, il suddetto termine di trenta giorni è previsto solo per la
verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 23, comma 1, del
D.P.R. n. 380/2001, ma non può certo essere riferito al generale potere previsto
dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001. (ex multis, T.A.R. Veneto
Venezia, Sez. II, 18 dicembre 2006, n. 4095; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII,
n. 7221/2006; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 3200/2006 cit.; T.A.R.
Campania Napoli, Sez. II, 3 febbraio 2006, n. 1506; T.A.R. Lombardia Milano,
Sez. II, 17 gennaio 2006, n. 72). Pres. Guerriero, Est. Polidori - AMATO (avv.
Vitale) c. Comune di Castellammare di Stabia (avv. Cancelmo). TAR CAMPANIA -
Napoli, Sez. VII, 04 Ottobre 2007 (C.c. 20/06/2007), n. 8951
URBANISTICA E EDILIZIA - Mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro
parti - Trasformazione di una porcilaia in abitazione privata - Ristrutturazione
edilizia - Esclusione - Modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico
urbanistico - D.P.R. n. 380/2001 - L. R. Campania n. 19/2001. In materia
edilizia, la trasformazione di una porcilaia in abitazione privata, si configura
come un intervento di ristrutturazione edilizia che determina un’evidente
modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico. Nel caso in
specie, a fronte del combinato disposto degli articoli 10, comma 1, del D.P.R.
n. 380/2001, e art. 2, comma 1, lettera f), della legge Regione Campania n.
19/2001 deve, ritenersi che in Zona A non possano comunque essere realizzati in
base ad una semplice D.I.A. i cambi di destinazione d’uso di immobili o loro
parti che, pur risultando astrattamente compatibili con le categorie consentite
dalla strumentazione urbanistica, intervengano tra categorie edilizie
funzionalmente autonome e non omogenee e, quindi, integrino una modificazione
edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico. Pres. Guerriero, Est.
Polidori - AMATO (avv. Vitale) c. Comune di Castellammare di Stabia (avv.
Cancelmo). TAR CAMPANIA - Napoli, Sez. VII, 04 Ottobre 2007 (C.c.
20/06/2007), n. 8951
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Esercizio del potere di autotutela -
“Dequotazione” dei vizi procedimentali e formali - Tutela giurisdizionale del
terzo - Poteri del giudice amministrativo - Caso di attività vincolata e
provvedimento discrezionale - Differenza - L. n. 241/1990. La vera portata
innovativa della vigente previsione dell’art. 19, comma 3, della legge n.
241/1990 non deve essere colta nel generico riferimento al potere
dell’Amministrazione di “assumere determinazioni in via di autotutela”, ma
nell’esplicito rinvio agli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge n.
241/1990, che disciplinano i presupposti cui è subordinato l’esercizio del
potere di autotutela, (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 3200/2006 cit.).
Sicché, in caso di attività vincolata, per effetto della generalizzata
“dequotazione” dei vizi procedimentali e formali prodotta dalla introduzione
della regola del raggiungimento dello scopo, si può affermare che il giudice
amministrativo è oggi chiamato a conoscere della legittimità complessiva
dell’azione amministrativa, per cui l’oggetto del processo amministrativo non è
più costituito dalla legittimità del provvedimento impugnato (nei limiti delle
censure dedotte dal ricorrente), ma dal rapporto pubblicistico tout court,
tali affermazioni non possono evidentemente valere nel caso in cui il processo
amministrativo riguardi un provvedimento discrezionale. Infatti, in caso di
attività discrezionale l’introduzione della regola del raggiungimento dello
scopo si traduce soltanto nella limitata possibilità offerta all’Amministrazione
di sanare, attraverso la propria condotta processuale, il vizio derivante
dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. Pres. Guerriero, Est.
Polidori - AMATO (avv. Vitale) c. Comune di Castellammare di Stabia (avv.
Cancelmo).
TAR CAMPANIA - Napoli, Sez. VII, 04 Ottobre 2007
(C.c. 20/06/2007), n. 8951
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REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE PER LA CAMPANIA
Napoli (sezione VIIª)
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede Napoli, Sezione
settima, con l’intervento dei signori Magistrati:
Francesco Guerriero Presidente
Arcangelo Monaciliuni Consigliere
Carlo Polidori Referendario - estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 11591/2003, proposto da AMATO Anna Clara, rappresentata e difesa,
per mandato a margine del ricorso, dall’avvocato Alberto Vitale, con il quale è
elettivamente domiciliata in Napoli, viale Gramsci n. 16, presso l’avvocato
Antonio Messina,
CONTRO
il Comune di Castellammare di Stabia, in persona del Dirigente del Decimo
Settore, rappresentato e difeso dall’avvocato Donatangelo Cancelmo, con il quale
è domiciliato in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. per la Campania;
PER L’ANNULLAMENTO
del provvedimento n. 16681 in data 1° luglio 2003, con il quale è stata
comunicata alla ricorrente la non eseguibilità delle opere oggetto della D.I.A.
dalla stessa presentata in data 18 aprile 2003, nonché di tutti gli atti
preordinati, connessi e conseguenti, ivi compresa la relazione istruttoria in
data 7 maggio 2003;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellammare di Stabia;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore il Referendario Carlo Polidori;
Udite alla pubblica udienza del 20 giugno 2007 le parti presenti come da
verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con atto notificato in data 14 ottobre 2003 e depositato il successivo 6
novembre 2003 la ricorrente - comproprietaria di un manufatto rurale sito nel
Comune di Castellammare di Stabia, alla via Panoramica n. 26/b - ha impugnato il
provvedimento n. 16681 in data 1° luglio 2003, con il quale il Dirigente del
Settore Urbanistica del predetto Comune le ha comunicato la non eseguibilità
delle opere oggetto della D.I.A. dalla stessa presentata in data 18 aprile 2003.
La ricorrente premette che il manufatto in questione ricade in zona A3 bis
- Insediamenti collinari, sicché ella in data 18 aprile 2003 presentava apposita
D.I.A. avente ad oggetto il mutamento della destinazione d’uso del predetto
manufatto da comodo rurale a casa per le vacanze, trattandosi di destinazione
compatibile con quelle previste per la suddetta zona omogenea (residenziale
privata e residenziale turistico-ricreativa). Ciononostante l’Amministrazione, a
distanza di oltre due mesi dalla presentazione della D.I.A., adottava il
provvedimento impugnato, evidenziando in motivazione che la Delibera consiliare
n. 61 del 21 marzo 1980 (con la quale sono state deliberate le modifiche ed
integrazioni al P.R.G. apportate dal competente organo regionale in sede di
approvazione dello strumento urbanistico), nel prevedere la redazione di piani
particolareggiati per l’attuazione della previsione del P.R.G. per la zona A3
bis, ha inteso differire le possibilità operative relative a tale zona fino
all’adozione dei predetti piani, che allo stato non risultano ancora adottati.
Di tale provvedimento la ricorrente chiede quindi l’annullamento per i seguenti
motivi.
I) Violazione del combinato disposto degli articoli 2, comma 1, lettera f),
della legge regionale Campania 28 novembre 2001, n. 19, e 4 della legge 4
dicembre 1993, n. 493, nonché dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento e dei
principi generali in materia di autotutela. Innanzi tutto la ricorrente deduce
che il provvedimento impugnato è stato adottato a distanza di oltre due mesi
dalla presentazione della D.I.A., quando era ormai decorso il termine perentorio
di trenta giorni previsto dalla legge per inibire l’esecuzione dell’intervento.
Inoltre la ricorrente sostiene che, per effetto del decorso del predetto
termine, il titolo abilitativo si era ormai formato per silentium, sicché
l’Amministrazione per rimuovere tale titolo in autotutela avrebbe dovuto
preventivamente darle comunicazione dell’avvio del procedimento.
II) Violazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione, nonché dell’articolo 9
della NTA del vigente P.R.G. del Comune di Castellammare di Stabia e
dell’articolo 9, ultimo comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e degli
articoli 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per
travisamento, inesistenza dei presupposti, difetto di istruttoria ed erroneità
della motivazione. La ricorrente, premesso che l’articolo 9 della NTA del
vigente P.R.G. del Comune di Castellammare di Stabia nella zona A3 bis -
Insediamenti collinari consente l’esecuzione di opere finalizzate al risanamento
ed al riuso degli immobili esistenti per adibirli a destinazioni d’uso previste
nella zona omogenea, deduce che la Delibera consiliare n. 61 del 21 marzo 1980,
nel prevedere la redazione di piani particolareggiati per l’attuazione della
previsione del P.R.G. relativa alla zona A3 bis, ha inteso differire fino
all’adozione dei predetti piani soltanto gli interventi di nuova costruzione,
sicché l’Amministrazione Comunale avrebbe erroneamente applicato tale previsione
nel caso in esame, in quanto l’intervento oggetto della D.I.A. in questione non
può essere configurato come una nuova costruzione perché attiene ad un immobile
già esistente.
2. Il Comune di Castellammare di Stabia, nel costituirsi in giudizio con memoria
depositata in data 7 maggio 2007, ha chiesto il rigetto del ricorso deducendo
innanzi tutto che deve ritenersi attribuito all’Amministrazione comunale il
potere di intervenire in ogni tempo per inibire l’esecuzione di opere oggetto di
una D.I.A., laddove se ne rilevi la non eseguibilità. Inoltre, l’Amministrazione
resistente ha espressamente invocato l’applicazione dell’articolo 21 octies
della legge n. 241/1990, evidenziando che - a fronte della relazione tecnica
sullo stato dei luoghi, dalla quale si evince che “l’immobile in questione …
originariamente era un comodo rurale (porcilaia) non destinato a ricovero di
persone” - non sarebbe stato possibile procedere all’emanazione di un
provvedimento di contenuto diverso da quello impugnato.
La ricorrente ha illustrato le proprie censure con memoria depositata in data 7
giugno 2007.
3. Alla pubblica udienza del 20 giugno 2007 il ricorso è stato chiamato e
trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. Il presente gravame - avente oggetto il provvedimento n. 16681 in data 1°
luglio 2003, con il quale il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di
Castellammare di Stabia ha comunicato alla ricorrente la non eseguibilità delle
opere oggetto della D.I.A. dalla stessa presentata in data 18 aprile 2003 - è
infondato alla luce delle seguenti considerazioni.
2. Quanto al primo motivo di ricorso - con il quale la ricorrente lamenta, in
via principale, che l’Amministrazione abbia inibito l’esecuzione dell’intervento
edilizio in questione nonostante il decorso del termine perentorio di trenta
giorni previsto dall’articolo 23, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e,
in via subordinata, che il provvedimento impugnato, seppure fosse qualificato
come esercizio del potere di autotutela, sarebbe comunque illegittimo in quanto
non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento - si deve
preliminarmente rammentare che in giurisprudenza persistono tuttora diversi
orientamenti in merito alla qualificazione giuridica della D.I.A. in materia
edilizia.
Secondo un primo orientamento (sex multi, Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio
2005, n. 3916; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 27 marzo 2006, n. 3200), la
denuncia di inizio attività prevista dall’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 è un
atto di parte, che consente al privato di realizzare un determinato intervento
edilizio a seguito dell’inutile decorso di un termine di trenta giorni, cui è
legato, a pena di decadenza, il potere dell’Amministrazione di verificare
l’esistenza dei presupposti per il ricorso alla D.I.A. ed il connesso potere di
inibire l’esecuzione di tale intervento. Pertanto la D.I.A. deve essere
qualificata come una mera dichiarazione del privato alla quale, in presenza
delle condizioni previste dalla legge, l’ordinamento riconosce effetti tipici
corrispondenti a quelli propri del permesso di costruire, ossia l’abilitazione
all’esecuzione dell’intervento edilizio progettato, e quindi, stante la mancanza
di un provvedimento autorizzatorio, la D.I.A. non è soggetta ad impugnazione da
parte di terzi, né ad annullamento d’ufficio da parte dell’Amministrazione.
Secondo un diverso orientamento, seguito in passato anche da questa Sezione
(T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 29 giugno 2006, n. 7221), a seguito della
presentazione della D.I.A., si forma un titolo abilitativo, i cui elementi
strutturali sono identificabili nella denuncia di inizio attività,
nell’affermazione del progettista, negli eventuali ulteriori atti di assenso e
nel decorso del suddetto termine di 30 giorni senza che il Comune abbia inibito
l’attività. Secondo tale ricostruzione l’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001
disciplina una fattispecie a formazione progressiva, nella quale per effetto di
una serie successiva di atti e fatti giuridici si forma un vero e proprio titolo
abilitativo, e quindi, laddove il titolo risulti viziato, deve ritenersi
pienamente ammissibile un intervento in autotutela da parte
dell’Amministrazione.
3. Ciò posto il Collegio osserva che se, da un lato, in ragione di tali
orientamenti si perviene a diverse conclusioni con riferimento alla tutela
giurisdizionale del terzo che si ritenga pregiudicato dall’esecuzione
dell’intervento oggetto della D.I.A. (tutela che, secondo il primo orientamento,
passa necessariamente attraverso un ricorso ai sensi dell’art. 21 bis della
legge n. 1034/1971 nei confronti dell’amministrazione che ometta di esercitare
il generale potere di controllo delle attività edilizie previsto dall’articolo
27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, mentre seguendo il secondo orientamento si
ammette che il terzo possa impugnare direttamente con il rito ordinario il
titolo che viene in essere attraverso la fattispecie a formazione progressiva),
dall’altro una giurisprudenza quasi unanime (ex multis, T.A.R. Veneto Venezia,
Sez. II, 18 dicembre 2006, n. 4095; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, n.
7221/2006; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 3200/2006 cit.; T.A.R. Campania
Napoli, Sez. II, 3 febbraio 2006, n. 1506; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 17
gennaio 2006, n. 72) ammette che l’Amministrazione anche una volta decorso il
predetto termine di trenta giorni possa esercitare il suo generale potere di
controllo sulle attività edilizie, per il quale l’art. 27, comma 1, del D.P.R.
n. 380/2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso
o realizzate non corrispondano a quelle oggetto della denuncia, sia quando le
opere non possono essere realizzate con una semplice D.I.A. perché richiedono il
permesso di costruire. Infatti, il suddetto termine di trenta giorni è previsto
solo per la verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 23,
comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, ma non può certo essere riferito al generale
potere previsto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001.
Il Collegio condivide tale conclusione, sicché non può trovare accoglimento la
censura con la quale la ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato sia
stato adottato quando era ormai decorso il termine di trenta giorni dalla
presentazione della denuncia, dovendosi ritenere che l’Amministrazione abbia
operato nell’esercizio del potere di controllo sulle attività edilizie previsto
dall’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001.
4. Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 7 della legge 241/1990, il
Collegio ritiene che - a prescindere dalla opzione prescelta in merito alla
qualificazione giuridica della D.I.A. - l’Amministrazione abbia illegittimamente
adottato il provvedimento impugnato in assenza della preventiva comunicazione
dell’avvio del procedimento.
Se infatti si ritiene che l’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 preveda la formazione
di un vero e proprio titolo abilitativo (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, n.
7221/2006 cit.), l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento
finalizzato alla rimozione di tale titolo discende direttamente
dall’applicazione delle regole generali in materia di autotutela decisoria (ex
multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 9 maggio 2006, n. 4026).
Se invece si ritiene che nella fattispecie dell’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001
manchi un titolo abilitativo e, quindi, non possano trovare applicazione le
regole in materia di autotutela decisoria, si deve comunque ritenere che
l’Amministrazione sia tenuta a dare comunicazione dell’avvio del procedimento
volto a impedire (o sanzionare, se già realizzato) l’intervento edilizio oggetto
della D.I.A. in applicazione della nuova disciplina generale dell’istituto posta
dall’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990 (come modificato dall’art. 3 del
decreto legge n. 35/2005, convertito dalla legge n. 80/2005), che, pur
continuando a prevedere la possibilità di inibire l’attività oggetto della
D.I.A. entro un ristretto termine perentorio dal ricevimento della denuncia, fa
espressamente salvo il diverso potere dell’Amministrazione di “assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 quinquies
e 21 nonies”.
In particolare, secondo parte della giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez.
IV, n. 3200/2006 cit.), la vera portata innovativa della vigente previsione
dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990 non deve essere colta nel
generico riferimento al potere dell’Amministrazione di “assumere determinazioni
in via di autotutela”, ma nell’esplicito rinvio agli articoli 21 quinquies
e 21 nonies della legge n. 241/1990, che disciplinano i presupposti cui è
subordinato l’esercizio del potere di autotutela. Pertanto, secondo tale
orientamento, il predetto art. 19, comma 3, da un lato, non mette in crisi la
tesi secondo la quale la tutela del terzo che si ritenga pregiudicato
dall’esecuzione dell’intervento oggetto della D.I.A. passi attraverso un ricorso
avverso l’inerzia dell’Amministrazione nell’esercizio del potere di controllo
sulle attività edilizie e, dall’altro, esplica la sua reale portata innovativa
attribuendo piena rilevanza all’affidamento potenzialmente ingeneratosi nel
denunciante per effetto del mancato esercizio del potere inibitorio
dell’Amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge. Ne consegue
che, potendo sussistere un legittimo affidamento del denunciante, l’esercizio
del potere previsto dall’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 non può più
ritenersi del tutto vincolato e, quindi, il denunciante attraverso la
comunicazione prevista dall’art. 7 della legge n. 241/1990 deve essere posto in
condizione di partecipare al procedimento attraverso il quale tale potere viene
esercitato.
5. Nonostante l’acclarata violazione dell’articolo 7 della legge n. 241/1990, il
presente gravame risulta tuttavia infondato - in applicazione del principio del
raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, introdotto nel processo
amministrativo dall’art. 21 octies, comma 2, seconda parte, della legge
n. 241/1990 ed invocato dall’Amministrazione resistente nella memoria depositata
in data 7 maggio 2007 - per le seguenti ragioni.
5.1. L’art. 21 octies, comma 2, come noto, si articola in due distinte
previsioni. La prima, a carattere generale, dispone che “non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma
degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il
suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato”. La seconda, dedicata ad una specifica norma sul procedimento
amministrativo - l’art. 7 della legge n. 241/1990 - afferma che “il
provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato”.
Da un confronto tra queste due previsioni emerge che le stesse sono accomunate
dal divieto di annullare i provvedimenti che risultino affetti da vizi di
legittimità di natura non sostanziale, ma si distinguono sotto tre profili.
Innanzi tutto, come si è già accennato, la prima previsione ha carattere
generale, avendo ad oggetto ogni possibile violazione delle norme sul
procedimento amministrativo o sulla forma degli atti, mentre la seconda si
riferisce soltanto alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990. Inoltre
le due previsioni presentano un diverso ambito applicativo, perché la prima
riguarda espressamente i provvedimenti vincolati, mentre la seconda si riferisce
implicitamente ai provvedimenti discrezionali. Infine la non annullabilità opera
diversamente nelle due fattispecie. Infatti, mentre la seconda disposizione è
destinata a trovare applicazione solo nel processo e pone espressamente in capo
all’Amministrazione l’onere di provare che, seppure fosse stata data
comunicazione dell’avvio del procedimento all’interessato, comunque il contenuto
del provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato, nella prima disposizione la non annullabilità risulta genericamente
subordinata alla condizione che sia palese che il contenuto dispositivo del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
5.2. Quanto alla ratio della non annullabilità del provvedimento
illegittimo, che accomuna le due previsioni dall’art. 21 octies, comma 2,
si deve innanzi tutto escludere che un provvedimento difforme dal paradigma
normativo, perché adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma
degli atti, possa essere considerato semplicemente irregolare. Infatti un
provvedimento amministrativo deve qualificarsi irregolare quando, sulla base di
una valutazione condotta in astratto, a priori e senza alcun riferimento alla
fattispecie concreta, la difformità dal paradigma normativo che lo
contraddistingue non può compromettere la migliore individuazione dell’interesse
pubblico concreto, né la sua soddisfazione, né la riconducibilità dell’atto
stesso all’autorità amministrativa. Invece, secondo il chiaro tenore letterale
delle disposizioni in esame, l’idoneità o meno del provvedimento adottato in
violazione di una norma sul procedimento o sulla forma a soddisfare l’interesse
pubblico è destinata ad essere evidenziata di volta in volta dal giudice,
all’interno del processo, con specifico riferimento ad una determinata
fattispecie concreta.
Pertanto, in presenza di un vizio di legittimità che solo a seguito delle
valutazioni richieste dalla norma ed effettuate ex post dal giudice non
comporta l’annullabilità del provvedimento, si deve ritenere che l’art. 21
octies, comma 2, costituisca un’applicazione del “principio del
raggiungimento dello scopo”, già enunciato dall’art. 156, comma 3, c.p.c.
(secondo il quale “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha
raggiunto lo scopo a cui è destinato”), fermo restando che lo scopo di cui
trattasi - a differenza di quanto accade nell’art. 156, comma 3, c.p.c. - non è
quello dell’atto procedimentale o della formalità omessi o imperfetti, bensì lo
scopo generale dell’azione amministrativa complessivamente considerata,
costituito dall’adozione di una decisione il cui contenuto dispositivo sia
sostanzialmente conforme al paradigma normativo.
5.3. Poste tali premesse è possibile precisare, da un lato, l’ambito di
applicazione della regola del raggiungimento dello scopo nel processo
amministrativo e comprendere, dall’altro, il diverso modus operandi di
tale regola nelle due distinte previsioni di cui si compone l’art. 21 octies,
comma 2, della legge n. 241/1990.
In proposito la giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 3200/2006
cit.) ha evidenziato (in relazione al problema dei limiti entro i quali il
giudice amministrativo - nell’ambito del rito previsto dall’art. 21 bis
della legge n. 1034/1971 - può conoscere, ai sensi dell’art. 2, comma 5, della
legge n. 241/1990, della fondatezza della pretesa del ricorrente) che la diversa
portata delle due previsioni dall’art. 21 octies, comma 2 - portata
generale per la prima, che si riferisce ad ogni violazione delle norme sul
procedimento o sulla forma degli atti, e speciale per la seconda, che riguarda
soltanto la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 - dipende dal fatto
che la prima previsione è destinata a trovare applicazione in caso di attività
vincolata, mentre la seconda parte si riferisce (seppure implicitamente)
all’attività discrezionale.
La giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 20 novembre 2006, n. 9983)
ha poi chiarito che solo in caso di attività vincolata il giudice può
effettivamente verificare la corrispondenza del contenuto dispositivo del
provvedimento finale al contenuto prescritto dalla legge, prescindendo da una
verifica degli effetti delle eventuali violazioni di carattere procedimentale e
formale sul contenuto dispositivo del provvedimento, perché tale contenuto è
rigidamente predeterminato dalla legge e, quindi, attraverso l’esame dei motivi
di ricorso può risultare palese che, nonostante l’esistenza di vizi
procedimentali o formali, lo scopo dell'azione amministrativa è stato raggiunto.
Pertanto, proprio in ragione della predeterminazione normativa del contenuto del
provvedimento finale il giudice può procedere d’ufficio alla verifica del
raggiungimento dello scopo senza che ciò si traduca in un vero e proprio
stravolgimento dei rapporti tra Giudice amministrativo e Amministrazione,
regolati dal principio della separazione dei rispettivi poteri.
Invece, sempre secondo tale giurisprudenza, laddove sussista discrezionalità
amministrativa, perché la legge si è limitata ad indicare obiettivi e criteri
lasciando all’Amministrazione il compito di individuare il contenuto dispositivo
del provvedimento finale, si deve escludere in radice che possa emergere in modo
palese il raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, proprio perché
le violazioni di carattere procedimentale e formale sono presumibilmente
destinate ad incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento finale. Ed è
questa la ragione per cui il legislatore ha previsto - seppure limitatamente
alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 - che sia la stessa
Amministrazione a dimostrare in giudizio che lo scopo dell’azione amministrativa
è stato comunque raggiunto.
Se, quindi, in caso di attività vincolata, per effetto della generalizzata
“dequotazione” dei vizi procedimentali e formali prodotta dalla introduzione
della regola del raggiungimento dello scopo, si può affermare che il giudice
amministrativo è oggi chiamato a conoscere della legittimità complessiva
dell’azione amministrativa, sicché - volendo utilizzare una formula ancora più
esplicita - l’oggetto del processo amministrativo non è più costituito dalla
legittimità del provvedimento impugnato (nei limiti delle censure dedotte dal
ricorrente), ma dal rapporto pubblicistico tout court, tali affermazioni
non possono evidentemente valere nel caso in cui il processo amministrativo
riguardi un provvedimento discrezionale. Infatti in caso di attività
discrezionale l’introduzione della regola del raggiungimento dello scopo si
traduce soltanto nella limitata possibilità offerta all’Amministrazione di
sanare, attraverso la propria condotta processuale, il vizio derivante
dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.
Quanto poi alle modalità attraverso le quali l’Amministrazione, in caso di
acclarata violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, può invocare in
giudizio l’art. 21 octies, comma 2, seconda parte, della legge n.
241/1990, parte della giurisprudenza (T.A.R. Lazio Latina, 10 giugno 2005, n.
534) ritiene che sia necessario proporre un’apposita domanda riconvenzionale,
debitamente notificata alla controparte. Il Collegio non condivide tale
impostazione, che non trova riscontro nel testo dell’art. 21 octies,
comma 2, seconda parte, della legge n. 241/1990, e ritiene che il raggiungimento
dello scopo dell’azione amministrativa possa costituire oggetto di un’apposita
eccezione contenuta in una memoria non notificata alla controparte, proprio
com’è accaduto nel caso in esame.
5.4. Stante quanto precede si deve preliminarmente rilevare che l’eccezione
sollevata dall’Amministrazione nella memoria depositata in data 7 maggio 2007
(evidentemente ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, seconda parte,
della legge n. 241/1990, trattandosi, nella caso in esame, di un provvedimento a
carattere discrezionale), ove è stato ribadito che dalla relazione tecnica sullo
stato dei luoghi si evince che l’immobile di proprietà della ricorrente
“originariamente era un comodo rurale (porcilaia) non destinato a ricovero di
persone”, deve ritenersi ammissibile anche se la predetta memoria non è stata
notificata alla controparte.
Ciò posto, il Collegio è chiamato ad accertare se corrisponda al vero che nel
caso in esame l’adempimento dell’obbligo previsto dall’art. 7 della legge n.
241/1990 non avrebbe comunque potuto condurre all’emanazione di un provvedimento
di contenuto diverso da quello impugnato con il presente ricorso, e quindi si
rende necessario procedere innanzi tutto all’esame del secondo motivo di
ricorso, con il quale la ricorrente deduce che l’Amministrazione ha erroneamente
subordinato la realizzazione dell’intervento edilizio oggetto della D.I.A. dalla
stessa presentata all’adozione di un piano particolareggiato, trattandosi di un
intervento che non può essere configurato come una nuova costruzione perché
attiene ad un immobile già esistente.
6. Orbene, dalla motivazione del provvedimento si rileva che l’intervento
oggetto della D.I.A. presentata dalla ricorrente ai sensi dell’articolo art. 2,
comma 1, lettera f), della legge regionale Campania 28 novembre 2001, n. 19 -
intervento consistente nella esecuzione di lavori interni finalizzati al cambio
di destinazione d’uso di un comodo rurale (ex porcilaia) a casa per le vacanze -
“ricade in zona omogenea A3 - Insediamenti collinari, ove è consentito il
restauro dell’edilizia esistente nel rispetto dei caratteri dell’edilizia locale
ed in modo da non superare, con le nuove costruzioni, l’indice di fabbricazione
fondiaria massimo di 1,00 mc/mq. Gli edifici indicati nella zona A3 bis potranno
essere destinati esclusivamente a case albergo o residence, con servizi ed
attrezzature collettivi. La ristrutturazione si attua mediante piano
particolareggiato piano di zona o lottizzazione convenzionata”. Inoltre -
secondo quanto evidenziato dall’Amministrazione - in sede di approvazione del
P.R.G. da parte dell’organo regionale la zona A3 bis è stata stralciata e la sua
sistemazione è stata rinviata alla formazione di piani esecutivi “nei quali sia
definito prioritariamente un rapporto congruente fra destinazioni d’uso per
l’edilizia privata e per attrezzature alberghiere, per privilegiare la
costruzione di attrezzature specificamente alberghiere …”, e tali modifiche
apportate dall’organo regionale sono state approvate con la Delibera del
Consiglio Comunale n. 61 del 21 marzo 1980.
Deve quindi ritenersi, come del resto ha evidenziato la stessa ricorrente, che
il provvedimento impugnato sia stato adottato perché l’intervento dalla stessa
proposto è stato ritenuto dall’Amministrazione non inquadrabile tra i mutamenti
di destinazione d’uso che l’art. 2, comma 1, lettera f), della legge regionale
Campania n. 19/2001 subordina ad una semplice D.I.A., bensì tra quelli che
richiedono il preventivo rilascio del permesso di costruire in quanto
assimilabili a nuove costruzioni.
Ciò posto, il Collegio ritiene che la tesi della ricorrente, secondo la quale
l’intervento in questione non può essere configurato come una nuova costruzione
perché attiene ad un immobile già esistente, non possa essere condivisa per le
seguenti ragioni.
6.1. Innanzi tutto si deve rammentare che l’art. 10 del D.P.R. n. 380/2001 -
dopo aver previsto, al comma 1, tra gli interventi di trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio che richiedono il permesso di costruire (oltre agli
interventi di nuova costruzione e a quelli di ristrutturazione urbanistica)
anche gli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di
unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee
A, comportino mutamenti della destinazione d’uso” - al comma 2 affida alle leggi
regionali il compito di stabilire quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o loro parti siano subordinati a
permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.
Con particolare riferimento alla Regione Campania, l’articolo art. 2, comma 1,
della legge regionale n. 19/2001, nell’elencare gli interventi che possono
essere realizzati in base ad una semplice denuncia di inizio attività (solo
genericamente indicati dall’art. 22 comma 1 del D.P.R. n. 380/2001), include in
tale elenco, alla lettera f), “i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o
loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto
esteriore, e di volumi e di superfici; la nuova destinazione d’uso deve essere
compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le
singole zone territoriali omogenee”.
A fronte del combinato disposto degli articoli 10, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001, e art. 2, comma 1, lettera f), della legge regionale n. 19/2001 deve,
quindi, ritenersi che in Zona A non possano comunque essere realizzati in base
ad una semplice D.I.A. i cambi di destinazione d’uso che, pur risultando
astrattamente compatibili con le categorie consentite dalla strumentazione
urbanistica, intervengano tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non
omogenee e, quindi, integrino una modificazione edilizia con effetti incidenti
sul carico urbanistico.
6.2. Applicando tale principio alla fattispecie in esame si deve ritenere che
l’Amministrazione abbia correttamente disposto la non eseguibilità
dell’intervento proposto dalla ricorrente, innanzi tutto perché tale intervento
- pur risultando apparentemente conforme all’art. 2, comma 1, lettera f), della
legge regionale n. 19/2001, perché nella D.I.A. e prevista soltanto la
realizzazione di opere interne e la destinazione del manufatto in questione a
casa per le vacanze risulta astrattamente compatibile con le categorie
consentite dal P.R.G. del Comune di Castellammare di Stabia - in realtà rientra
nell’ambito di applicazione dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001.
Infatti la trasformazione di una porcilaia in abitazione privata, a ben vedere,
si configura come un intervento di ristrutturazione edilizia che determina
un’evidente modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico.
Inoltre l’Amministrazione resistente ha correttamente individuato nella Delibera
del Consiglio Comunale n. 61 del 21 marzo 1980 una ulteriore ragione ostativa
all’esecuzione dell’intervento. Infatti, in assenza dei prescritti piani
attuativi, non risulta definito il “rapporto congruente fra destinazioni d’uso
per l’edilizia privata e per attrezzature alberghiere”, imposto dall’organo
regionale in sede di approvazione del P.R.G. “per privilegiare la costruzione di
attrezzature specificamente alberghiere”, sicché allo stato non è possibile
verificare se la realizzazione di una casa per le vacanze sia compatibile con la
predetta esigenza di privilegiare nella zona omogenea in questione la
costruzione di strutture alberghiere, a discapito dell’edilizia privata.
7. Accertata la sussistenza delle specifiche ragioni ostative all’intervento
addotte nel provvedimento impugnato, il Collegio ritiene che nel caso in esame
lo scopo dell’azione amministrativa sia stato raggiunto anche in assenza della
prescritta comunicazione dell’avvio del procedimento.
Infatti la ricorrente avrebbe potuto indurre l’Amministrazione ad adottare un
provvedimento di contenuto diverso da quello in concreto adottato soltanto se
fosse stata in condizione di rappresentare (attraverso la propria partecipazione
al procedimento) la sussistenza di un affidamento meritevole di tutela, frutto
del mancato esercizio nei suoi confronti del potere inibitorio previsto
dall’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 entro il termine perentorio di trenta
giorni. Ma nel caso in esame deve ritenersi che il decorso di tale termine non
abbia ingenerato alcun legittimo affidamento, perché il provvedimento impugnato
è stato adottato a distanza di poco più di due mesi dalla presentazione della
D.I.A., né risulta che a tale data la ricorrente avesse già posto in essere le
opere oggetto della denuncia.
8. Stante quanto precede, il presente gravame deve essere respinto perché
infondato.
Sussistono comunque giusti motivi, attesa la complessità delle questioni
trattate, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede Napoli, Sezione
Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 11591/2003, lo respinge
perché infondato.
Dispone la compensazione di tutte le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 20 giugno 2007.
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