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TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. III, 12 gennaio 2007, sentenza n. 12
 

Energia - L. n. 55/2002 - Garanzie partecipative - Regione, comune, Provincia - Altri enti - Mera facoltà di intervento. La normativa di cui alla L. n. 55/2002, in tema di procedure autorizzatorie per la realizzazione di centrali elettriche di potenza superiore a 300 MW, appare rispettosa dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione e buon andamento; le necessarie garanzie partecipative sono ragionevolmente riferite solo alla intesa (forte) con la Regione ed al coinvolgimento (in sede consultiva o, si paret¸ alla stregua di intesa c.d. debole, di rilievo esclusivamente istruttorio: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2004. n. 3502) del Comune e della Provincia (individuati quali enti locali istituzionalmente interessati: e si noti che l’originario riferimento, previsto nel decreto legge n. 7/2002, agli enti locali competenti, risulta significativamente sostituito, in sede di conversione in legge, dal riferimento al Comune e alla Provincia nel cui territorio ricadono le opere); per altri soggetti (nella specie: Comunità montana ed Ente Parco) la partecipazione procedimentale potrebbe, al più e semmai, atteggiarsi a mera facoltà di intervento, secondo le modalità di cui all’art. 9 della l. n. 241/90 (cfr. Sent. Corte Cost. n. 6/2004) Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

Energia - Aree protette - Realizzazione di un impianto energetico - Contrasto con le finalità di cui alla L. n. 394/1991 - Inconfigurabilità - Apprezzamento di compatibilità ambientale rimesso al Ministero dell’Ambiente - L.R. Campania n. 33/93. La realizzazione di un piano energetico non si pone, di per sé ed in via di principio, in contrasto con le finalità di cui alla l. n. 394/1991, atteso che è la stessa normativa regionale a puntualizzare che, nelle aree protette, non è inibita “la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili” (art. 1, 4° comma L.R. Campnia n. 33/93); siffatto e condizionante apprezzamento di compatibilità ambientale è, in concreto, rimesso al giudizio del Ministero dell’Ambiente; la stessa normativa non preclude pregiudizialmente la realizzazione di “opere pubbliche” (rectius, in realtà, “di pubblico interesse”) all’interno delle aree protette (art. 22, 3° comma L.R. cit.), pur subordinandola alla duplice e concorrente condizione della allocazione nelle sole zone B e C (con salvaguardia delle aree di riserva integrale) e della approvazione da parte dell’Ente Parco. La previsione di cui all’art. 11, 3° comma l. n. 394/1991 è, del resto, programmaticamente intesa alla inibizione (di là dal tassativo ma non esaustivo “catalogo” di comportamenti pregiudizialmente vietati) di “attività ed opere” che, in concreto, possano negativamente incidere sul paesaggio e sull’ambiente tutelati. Ne discende che, mentre sono vietate già in astratto ed indipendentemente da ogni apprezzamento circa la loro pericolosità, le attività espressamente elencate, ogni altra attività ed ogni altra opera sarà inibita solo all’esito di uno specifico ed individualizzato giudizio di compatibilità, trasfuso della misura autorizzatoria di competenza dell’Ente Parco. Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

V.I.A. - Procedimento ministeriale - Carenze progettuali - Prescrizioni dirette ad assicurare la compatibilità ambientale del progetto - Misure mitigative o modifiche - Potere pieno di valutazione e conformazione. Il procedimento ministeriale di VIA è finalizzato, attraverso l’analisi del progetto anteriormente alla sua approvazione, ad assicurare la compatibilità ambientale dell’opera anche con l’imposizione di prescrizioni che apportino modifiche al progetto ai fini dell’eliminazione o della riduzione dell’incidenza negativa per l’ambiente. Ed anzi, proprio sul punto, l’art. 6, 2° comma del D.P.C.M. 27.12.1988 prevede che “l’istruttoria si conclude con parere motivato, tenuto conto degli studi effettuati dal proponente e previa valutazione degli effetti anche indotti, dell’opera sul sistema ambientale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva. La Commissione identifica, inoltre, se necessario, le eventuali prescrizioni finalizzate alla compatibilità ambientale del progetto”. L’articolazione di tutta una serie di prescrizioni specifiche e puntuali da parte del Ministero dell’ambiente, in sede di recepimento del parere della Commissione VIA, pertanto, non può essere automaticamente assunta quale indice od addirittura prova da sola dell’insufficienza e dell’incompletezza degli studi di impatto ambientale inerenti al progetto in esame da parte del soggetto proponente; peraltro, il potere spettante all’amministrazione ministeriale sulla base della richiamata norma le consente di supplire anche alle eventuali carenze progettuali inerenti alla compatibilità ambientale che, di per sé, pertanto, non possono comportare un giudizio negativo sullo stesso (in termini, v. TAR Lazio, sez. II bis, 14 aprile 2005, n. 6267); infatti, l’Amministrazione, essendo titolare di un potere pieno di valutazione e di conformazione della decisione sull’opera, in presenza di manchevolezze del progetto per le quali l’opera potrebbe apparire di dubbia compatibilità ambientale, non deve necessariamente esprimere una VIA negativa, ma deve, invece, valutare la possibilità di prescrivere misure mitigative o modifiche al progetto (così TAR Lazio, I sez., 31 maggio 2004 n. 5118). Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

Energia - L. n. 55/2002 - Autorizzazione unica - Programmazione energetica regionale - Provvedimenti Indipendenti - Scelta localizzativa dell’impianto - Spetta al privato. La cd. autorizzazione unica di cui alla L. n. 55/2002 deve ritenersi del tutto indipendente dalla programmazione energetica regionale (Cons. Stato, n. 3502/2004); nel relativo procedimento non spetta all’Amministrazione selezionare il sito per l’intervento, ma solo sottoporre ad adeguata ed esaustiva valutazione di compatibilità la scelta localizzativi rimessa all’iniziativa del soggetto privato richiedente. Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

V.I.A. - “Clausole di esecuzione” - Contenuto conformativo dell’autorizzazione - B.A.T. - Modifiche non sostanziali - Nuova procedura di V.I.A. - Esclusione. L'adeguamento alla migliore tecnologia possibile (Best Available Technology) in osservanza delle cd. clausole di esecuzione, dirette alla mitigazione dell'impatto ambientale dell'opera, si configura come conformazione alle prescrizioni cui era subordinata l'autorizzazione rilasciata per la costruzione e l'esercizio dell'opera stessa. Ne deriva che, in relazione alle modifiche così introdotte, si deve escludere la ricorrenza di profili di difformità sostanziale  tali da richiedere la loro sottoposizione ad una nuova procedura di VIA e la conseguente riedizione del procedimento autorizzatorio, stante la piena congruenza delle ottimizzazioni apportate alle prescrizioni dettate per il progetto ab origine esaminato.Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

Valutazione di impatto ambientale - Modifica sostanziale - Nozione - DPCM 377/1988, D.Lgs. 59/2005, Dir. 97/11/CE - Necessità di nuova sottoposizione a V.I.A. - Condizioni. La nozione giuridica di “modifica sostanziale” si desume dall’art. 1, comma 2 del DPCM 10 Agosto 1988, n. 377, che estende l’obbligo della valutazione di impatto ambientale soltanto “qualora da tali interventi derivi un‘opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente, con esclusione, comunque, dei ripristini” (cfr. Cons. Stato, Sez.IV, 19 luglio 1993, n. 741). In materia di impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici di cui alla L. 55/02, Il concetto di modifica sostanziale è stato precisato compiutamente dal d. lgs. n. 59/2005, che l’ha qualificata nei termini di “modifica dell’impianto che, secondo un parere motivato dell’autorità competente, potrebbe avere effetti negativi e significativi per gli esseri umani o per l’ambiente. In particolare, per ciascuna attività per la quale l’allegato I indica valori di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa” (art. 2, 1° comma 1, lettera n). In ragione, infatti, di un principio generale dell’ordinamento settoriale che privilegia la considerazione degli effetti dell’opera sull’ambiente, si riconosce la natura di modifica sostanziale rispetto al progetto autorizzato, qualora l’intervento rappresenti una trasformazione dell’opera che introduca elementi di rilevante novità nella realizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 luglio 1995, n. 754 e Cons. Stato, Sez. IV, 19 luglio 1993, n. 741), tali da mutare in maniera incisiva il rapporto con l’ecosistema dell’area interessata, già conformato dal precedente decreto di VIA, sotto il profilo, per esempio, della variazione qualitativa o quantitativa dello scarico (art. 45 d. lgs. 152/1999) o dell’aumento significativo dell’emissioni atmosferiche (art. 21, DPCM 21 luglio 1989). Anche la normativa comunitaria, del resto subordina la doverosità di una nuova verifica di VIA soltanto alla accertata compromissione dei valori ambientali, derivante dalle modifiche apportate. La direttiva 97/11/CE, che ha modificato la precedente direttiva 85/337/CEE, prevede l’obbligo di effettuare una nuova verifica di compatibilità ambientale per le intervenute modifiche dell’opera, già sottoposta a VIA, (art. 4, 2° comma) solo nel caso in cui “modifiche o estensioni di progetti dì cui all’allegato I o all’allegato II già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente” (Allegato Il, punto n. 13). In assenza, dunque, di tali requisiti, e soprattutto di alcuna valenza nociva all’integrità ambientale, le modifiche all’opera autorizzata non potranno che definirsi irrilevanti e marginali, esonerando il titolare dell’opera dall’obbligo di nuova VIA. Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12

Energia - Impianti per la produzione di energia elettrica - Autorizzazione integrata ambientale - Opere già autorizzate - Ottimizzazioni progettuali - Necessità di nuova autorizzazione integrata - Limiti - Modifiche sostanziali.
Anche dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 59/2005, non è prescritto alcun obbligo di acquisizione dell’autorizzazione integrata ambientale a carico di quelle opere già autorizzate ai sensi della Direttiva 96/61/CE o mediante autorizzazione unica. Solo nel caso in cui le ottimizzazioni progettuali siano riconducibili alla natura di modifica sostanziale ai sensi dell’articolo 2, 1° comma, lettera n) d. lgs. n.59/2005, rappresentata da una modifica dell’impianto che, secondo un parere motivato dell’autorità competente, possa avere effetti negativi e significativi per gli esseri umani o per l’ambiente, sarà necessario non solo riaprire il procedimento autorizzatorio di cui alla l. n. 55/02, ma anche ottenere una nuova autorizzazione ambientale integrata secondo quanto disposto dall’art. 10 2° comma d. lgs. n.59/2005 (alla cui stregua “nel caso in cui le modifìche progettate, ad avviso del gestore o a seguito della comunicazione di cui al comma 1, risultino sostanziali, il gestore invia all’autorità competente una nuova domanda di autorizzazione”). Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12
 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER LA CAMPANIA

Sezione di Salerno

Sezione Prima

 


composto dai Magistrati:
Dr. Alessandro Fedullo - Presidente
Dr. Francesco Mele - Consigliere
Dr. Giovanni Grasso - Primo Referendario rel.


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 3114/2004, proposto da Italia Nostra ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Oreste Cantillo, con il quale è elettivamente domiciliata in Salerno, alla via L. Cassese, n. 30


contro


1) il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il Ministero delle Attività Produttive e il Ministero per i Beni e le Attività culturali, in persona dei rispettivi Ministri in carica pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, presso i cui uffici sono domiciliati, al corso Vittorio Emanuele, n. 58;
2) l’Ente Parco Regionale dei Monti Picentini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Laperuta, con il quale è elettivamente domiciliato in Salerno, alla via De Martino, n. 33/C, presso lo studio dell’avv. Fausta De Dominicis;
3) la Regione Campania, in persona del Presidente in carica pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Laura Consolazio dell’Avvocatura regionale, con il quale è elettivamente domiciliata in Salerno, al corso Garibaldi, n. 33


e nei confronti


1) della Energy Plus s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Cosimo Cuppone, Enrico Soprano, Enzo Maria Marenghi e Salvatore Sica, con i quali è elettivamente domiciliata (per i primi) in Salerno, alla via Dogana Vecchia, n. 40, presso lo studio dell’avv. Lodovico Visone e (per il quarto) alla piazza Caduti civili di Guerra, n. 1;
2) del Comune di Salerno, in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituito in giudizio;
3) della Provincia di Avellino, in persona del Presidente in carica pro tempore, non costituita in giudizio;
4) della Provincia di Salerno, in persona del Presidente in carica pro tempore, non costituita in giudizio;
5) della Comunità Montana Serinese - Solofrana, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
6) del Codacons Campania (Coordinamento Associazioni Difesa Ambiente e Diritti Utenti e Consumatori), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Raffaella D’Angelo, con la quale è elettivamente domiciliata in Salerno, alla via M. Schipa, n. 41;
7) del Comitato di quartiere Scavata Case Rosse, in persona del presidente pro tempore, in proprio e nella qualità in atti, rappresentato e difeso dall’avv. Raffaella D’Angelo, con la quale è elettivamente domiciliato in Salerno, alla via M. Schipa, n. 41


per l’annullamento
a) del decreto del Ministero delle Attività produttive n. 55/10/2004, del 3 settembre 2004, recante l’autorizzazione unica, ai sensi della l. n. 55/02, per la costruzione e l’esercizio di una centrale termoelettrica nell’ambito dell’area ex Ideal Standard di Salerno; b) della positiva valutazione di impatto ambientale espressa dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività culturali, in data 23 giugno 2004, prot. n. DSA7DEC72004/0547; c) della delibera di Giunta regionale n. 1514 del 29 luglio 2004, con la quale è stata raggiunta l’intesa per la realizzazione, tra l’altro, della centrale termoelettrica di Salerno e disposta la modifica delle “linee guida del settore energia”; d) del decreto n. 55/09/2005 del 7 settembre 2005, recante l’approvazione del progetto esecutivo, una ai pareri resi dal Ministero dell’Ambiente con nota del 17 maggio 2005, dal Ministero per i Beni e le Attività culturali con nota del 5 luglio 2005, dalla Regione Campania con nota dell’8 agosto 2005, dal Ministero delle Attività Produttive con nota del 15 aprile 2005; h) di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.


* * *


Visto il ricorso con gli atti e documenti allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 23 marzo 2006 il dott. Giovanni Grasso e uditi altresì, per le parti, gli avvocati difensori presenti come da processo verbale di udienza;


Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.


Fatto


1.- Con ricorso notificato in data 15 novembre 2004 e depositato il successivo 2 dicembre, integrato da motivi aggiunti articolati pendente lite, Italia nostra ONLUS, come in atti rappresentata e difesa, impugnava gli atti, meglio distinti in epigrafe, con i quali era stato approvato il progetto di localizzione di una centrale termoelettrica della potenza di 780 MWe ed annesso metanodotto di alimentazione, da insediare nell’ambito del perimetro del Consorzio ASI di Salerno, su porzione del complesso industriale ex Ideal Standard, in zona D del PRC ASI di Salerno.


2.- Esaminata e disattesa (con provvedimento reiettivo incidentalmente confermato in seconde cure) l’istanza cautelare di sospensiva, alla pubblica udienza del 23 marzo 2006, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.


Diritto


Il ricorso è infondato.
Prima di procedere alla analitica disamina delle numerose ed articolate ragioni di doglianza, vale precisare che il procedimento per cui è causa trova fondamento della l. n. 55/2002, con la quale sono state dettate misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale ed, in particolare, al fine di evitare il pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale e di garantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale, è stato previsto che la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica o ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio degli stessi, sono dichiarati opere di pubblica utilità e soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti.
Detta autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, d'intesa con la regione interessata. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 6 del 13 gennaio 2004, ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità che avverso siffatta normativa erano state da più parti sollevate.


1.- Ciò premesso, con il primo motivo del ricorso principale, violazione dell’art. 1 della l. n. 55/2002, nonché degli artt. 7, 14 ss. della l. n. 241/90, in relazione al mancato coinvolgimento, nel procedimento per cui è causa, di soggetti portatori di interessi qualificati, e segnatamente della Comunità montana Serinese-Solofrana e dell’Ente regionale dei Monti Picentini (per il quale ultimo l’autorizzazione resa dal Commissario regionale non potrebbe in tesi riguardarsi quale sostitutiva e/o sanante dei pregiudicati momenti partecipativi).


2.1.- Il motivo non ha pregio, dovendosi ribadire (secondo quanto già sinteticamente osservato in sede cautelare) che le uniche ipotesi di partecipazione necessaria al procedimento de quo si riferiscono alla intesa (forte) con la Regione ed al coinvolgimento degli enti locali (oltre che delle Amministrazione statali) direttamente interessati, vale a dire del Comune e della Provincia (cfr. art. 1, comma 2 d.l. cit.).
Sul punto si impone (anche alla luce dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, leale cooperazione e buon andamento) il richiamo alle puntualizzazioni operate in subiecta materia dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 6/2004.
In proposito, la Consulta ha precisato: a) che la qualificazione della normativa in esame come espressiva di una scelta del legislatore statale di considerare necessario il conferimento allo Stato della responsabilità amministrativa unitaria in materia, "sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza" di cui all'art. 118, primo comma, Cost. supera anzitutto l’obiezione circa la contestata idoneità della fonte statale a compiere questa scelta anche là dove le norme costituzionali affidano solo limitati poteri legislativi allo Stato, come appunto nel caso delle materie di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost., atteso che la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente effettuata dall'organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad un livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in relazione ad una funzione da affidare - per l'esercizio unitario - al livello nazionale); b) che tale scelta legislativa trova sicuro, seppur implicito, fondamento costituzionale nell'art. 118 Cost., in relazione al principio di legalità, e deve giustificarsi in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, i quali non possono trasformarsi (come già affermato nella sentenza n. 303 del 2003) in mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione; c) che proprio per la rilevanza dei valori coinvolti, una deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost. può essere giustificata solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata, dovendo, in particolare, risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali; d) che quindi la normativa supera il vaglio di legittimità costituzionale in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà; e) che, in dettaglio, la necessarietà dell'intervento dell'amministrazione statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare il "pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale" (art. 1 del d.l. n. 7 del 2002) si giustifica alla luce del rilievo che alle singole amministrazioni regionali - che si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina in esame - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno; f) che devono considerarsi adeguati i due previsti distinti livelli di partecipazione delle Regioni: per il primo comma dell'art. 1 d.l. cit., quale opportunamente modificato in sede di conversione, la determinazione dell'elenco degli impianti di energia elettrica che sono oggetto di questi speciali procedimenti viene effettuata “previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”; per il secondo comma dell'art. 1, l'autorizzazione ministeriale per il singolo impianto "è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d'intesa con la Regione interessata”: laddove appare evidente che quest'ultima va considerata come un'intesa "forte", nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc.; g) che i due distinti livelli di partecipazione - dell'insieme delle Regioni nel primo caso e della Regione direttamente interessata nel secondo - realizzano quindi, ove correttamente intesi ed applicati dalle diverse parti interessate, sufficienti modalità collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali i cui poteri sono stati parzialmente ridotti dall'attribuzione allo Stato dell'esercizio unitario delle funzioni disciplinate negli atti impugnati (non difettando, del resto, strumenti di tutela contro eventuali prassi applicative che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale collaborazione fra Stato e Regioni); h) che neppure sussistente la pretesa illegittima compressione dei poteri amministrativi e rappresentativi degli enti locali interessati, alla luce degli articoli 117 e 118 Cost. (essendosi, per contro, revocato in dubbio che l'autorizzazione unica potesse legittimamente essere configurata come sostitutiva di ogni altra autorizzazione di competenza degli enti locali e come modificativa degli strumenti urbanistici o del piano regolatore portuale): d'altra parte, anche la legislazione preesistente conosce numerose fattispecie nelle quali alcuni atti espressivi delle scelte urbanistiche dei Comuni cedono dinanzi agli atti finali dei procedimenti adeguatamente partecipati di determinazione dei lavori pubblici di interesse generale (con specifico riferimento alle centrali elettriche, si veda l'art. 12 dello stesso allegato IV, recante “Procedure per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas”, del d.P.C.m. 27 dicembre 1988, la cui efficacia è stata sospesa appunto dall'art. 1 del d.l. n. 7 del 2002; e la stessa giurisprudenza costituzionale si è espressa nel senso di non rilevare violazione dei principi costituzionali in casi analoghi: cfr., ad esempio, sentenza n. 308 del 2003 e sentenza n. 21 del 1991); i) d’altra parte, la legge n. 55 del 2002 ha modificato il comma 3 dell'art. 1, prescrivendo che “è fatto obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui territorio ricadono le opere” e tale prescrizione - il cui rispetto naturalmente potrà essere garantito nelle competenti sedi giurisdizionali - assicura indubbiamente un sufficiente coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli interessi di cui siano portatori ed alle funzioni loro affidate.
I richiami che precedono fanno non solo palese che la contestata normativa appare rispettosa dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione e buon andamento, ma che le necessarie garanzie partecipative sono ragionevolmente riferite solo alla intesa (forte) con la Regione ed al coinvolgimento (in sede consultiva o, si paret¸ alla stregua di intesa c.d. debole, di rilievo esclusivamente istruttorio: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2004. n. 3502) del Comune e della Provincia (individuati quali enti locali istituzionalmente interessati: e si noti che l’originario riferimento, previsto nel decreto legge n. 7/2002, agli enti locali competenti, risulta significativamente sostituito, in sede di conversione in legge, dal riferimento al Comune e alla Provincia nel cui territorio ricadono le opere): per altri soggetti (e, così, per la Comunità montana o per l’Ente Parco) la partecipazione procedimentale potrebbe, al più e semmai, atteggiarsi a mera facoltà di intervento, secondo le modalità di cui all’art. 9 della l. n. 241/90 (e ciò sia detto di là dalla considerazione che, per quanto in particolare riguarda l’Ente Parco, il provvedimento impugnato tiene ampio conto delle motivazioni assunte a fondamento del parere positivamente espresso dal suo Commissario).


2.- Con il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 14 bis della l. n. 241/90, dell’art. 1 della l. n. 55/2002, dell’art. 1 del d. lgs. n. 372/99, attuativo della direttiva 91/61/CE, dell’ art. 146 comma 8 d. lgs. n. 42/2004, argomentando dal presupposto che, contrariamente all’assunto dell’impugnato decreto, nella autorizzazione integrata non rientrerebbe la disciplina dell’uso del territorio, bensì la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento nell’aria, nell’acqua e nel suolo: di tal che - avendo il Comune di Serino espresso il proprio motivato dissenso sulle valutazioni di carattere ambientale e sulla corretta applicazione delle norme in materia urbanistica, l’Amministrazione avrebbe avuto l’obbligo di esaminare le critiche proposte, sottoponendo a riesame i punti criticati.
Sempre avuto riguardo ai profili inerenti l’uso e la pianificazione del territorio, la ricorrente prospetta violazione di legge ed eccesso di potere, in relazione al mancato accertamento della conformità urbanistica delle opere da realizzare ed alla pretermissione, in sede procedimentale, non solo (come sembra di intendere dalla non perspicua formulazione della doglianza) del Comune e della Provincia, ma anche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.


2.- Entrambi gli assunti sono erronei.
Vale, in proposito, osservare: a) che, nel procedimento unico di cui alla l. n. 55/2002, in cui rileva il carattere omnicomprensivo della autorizzazione integrata, non risulta scandita alcuna fase subprocedimentale inerente alla valutazione di compatibilità urbanistica (essendo, all’incontro, statuito che “qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazioni agli strumenti urbanistici […] il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica”; b) che, del resto, la citata Corte cost. n. 6/2004 si è, in proposito, espressa, come vale ribadire, nel senso che “anche la legislazione preesistente conosce numerose fattispecie nelle quali alcuni atti espressivi delle scelte urbanistiche dei Comuni cedono dinanzi agli atti finali dei procedimenti adeguatamente partecipati di determinazione dei lavori pubblici di interesse generale; c) che neppure sussiste in subiecta materia alcuna competenza urbanistica rimessa al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti alla luce della l. n. 55/2002 (laddove il richiamo alle disposizioni in tema di localizzazione delle opere pubbliche ovvero alla legge, oltretutto posteriore, in tema di infrastrutture lineari energetiche è doppiamente incongruo, trattandosi nella specie di opere private di pubblico interesse e riferendosi la l. n. 239/2004 agli elettrodotti e non alle infrastrutture strumentali alla realizzazione di centrali elettriche).


4.- Con distinto motivo di gravame si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1 ss. l. n. 394/91, degli artt. 1 e 22 della L.R. n. 33/93, dell’art. 5 dealla L.R. n. 24/1995 e delle norme generali di salvaguardia del Parco regionale dei Monti Picentini, adottate con delibera n. 1539/2003, sull’assunto che l’intero intervento, così come progettato ed autorizzato dagli atti amministrativi impugnati, non potesse essere in alcun modo previsto nel Parco dei Monti Picentini, in quanto Parco Naturale regionale nel quale non è consentita la costruzione di alcuna opera che possa alterare in qualsiasi modo l’equilibrio naturale ambientale.


4.1.- Il motivo va disatteso.
Occorre premettere che il Parco Regionale dei Monti Picentini è stato istituito con gli artt. 5 e 6 della L.R. n. 33/93 e con successiva deliberazione della G.R. Campania n. 1539 del 24 aprile 2003, in applicazione della l. n. 394/91 (recante la legge quadro sulle aree protette).
Nel dettaglio, la legge de qua (così come modificata dalla L.R. n. 18/2000) disciplina l’articolazione zonale del Parco, prevedendo (all’art. 22) una zona A di riserva integrale (“in cui l'ambiente è conservato nella sua integrità: il suolo, le acque, la fauna e la vegetazione sono protetti e sono consentiti soltanto gli interventi per la protezione dell'ambiente o la ricostituzione di equilibri naturali pregressi da realizzare sotto il controllo dell'Ente Parco” ed è “vietata qualsiasi attività che possa compromettere risorse naturali”), una zona B “di riserva generale orientata e di protezione” (in cui “ogni attività deve essere rivolta al mantenimento della integrità ambientale dei luoghi” ed in cui “sono consentite ed incentivate le attività agricole e silvo-pastorali tradizionali e la manutenzione del patrimonio edilizio esistente, laddove non contrastino con le finalità del Parco”) ed una zona C di riserva controllata¸ id est di “area di riqualificazione dei centri abitati, di promozione e sviluppo economico e sociale” (in ordine alla quale “vanno incentivate le attività agricole, zootecniche e silvocolturali tradizionali ed il mantenimento dell'integrità terriera nelle aziende contadine” e sono inoltre agevolate “le attività socioeconomiche e le realizzazioni abitative ed infrastrutturali compatibili con i principi ispiratori del Parco, nonché lo sviluppo delle strutture turistico-ricettive delle attrezzature pubbliche e dei, servizi complementari al Parco”).
La norma in questione prevede, poi, che la realizzazione delle opere pubbliche possa avvenire solo all’interno delle zone B e C, previa approvazione dell’Ente Parco.
Con successiva L.R. n. 24/95 la normativa generale per le aree protette è stata specificata, per quanto di interesse, con la previsione per cui, nelle zone in questione, sono consentiti i seguenti interventi: a) la manutenzione ordinaria, straordinaria, il consolidamento statico, il restauro, il risanamento conservativo e l'adeguamento igienico-sanitario che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; b) rimboschimenti, arboricoltura da legno, operazioni di fronda e di potatura necessarie per le attività agricole; opere antincendio ivi incluse le piste tagliafuoco; lavori di difesa forestale e di regimazione dei corsi d'acqua; sistemazione idrogeologica delle pendici, di conservazione del suolo e di drenaggio delle acque sotterranee e la relativa bonifica; c) attività agricole e pastorali e relative strutture che non comportino alterazioni permanenti allo stato dei luoghi, nonché impianti serricoli; d) posa di cavi e di tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse, ivi comprese le opere igienico-sanitarie che non comportino danni per le alberature di alto fusto, né la modifica permanente della morfologia del suolo; cabine di trasformazione elettrica; impianti di ascensori interni agli edifici; piccoli serbatoi per uso idropotabile; adeguamento di impianti tecnici alle norme di sicurezza; opere per l'eliminazione delle barriere architettoniche; cappelle funerarie; e) interventi programmati, finanziati o in corso di completamento già definiti da norme statali o regionali e da programmi di sviluppo approvati alla data di entrata in vigore della presente legge e loro adeguamenti; f) interventi previsti nei piani di assestamento forestale e nei piani dei parchi e delle riserve naturali, diretti alla conservazione, alla tutela ed al ripristino della flora e della fauna.
Ciò posto, vale osservare: a) che la realizzazione dell’impianto energetico autorizzato non si pone, di per sé ed in via di principio, in contrasto con le finalità di cui alla l. n. 394/1991, atteso che è la stessa normativa regionale a puntualizzare che, nelle aree protette, non è inibita “la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili” (art. 1, 4° comma L.R. n. 33/93 cit.); b) che siffatto e condizionante apprezzamento di compatibilità ambientale è, in concreto, rimesso al giudizio del Ministero dell’Ambiente, il quale nel caso di specie, con proprio decreto n. 547/2004, pur fatto oggetto di gravame, si è espresso positivamente, sia con riguardo alla centrale di Salerno che alle opere connesse, tra cui il contestato metanodotto (all’uopo prendendo motivatamente atto delle limitazioni e prescrizioni imposte dalla misura autorizzatoria rilasciata dell’Ente Parco, e facendole proprie con specificazioni); c) che la stessa normativa non preclude pregiudizialmente la realizzazione di “opere pubbliche” (rectius, in realtà, “di pubblico interesse”) all’interno delle aree protette (art. 22, 3° comma L.R. cit.), pur subordinandola alla duplice e concorrente condizione (non disattesa nel caso che ne occupa) della allocazione nelle sole zone B e C (con salvaguardia delle aree di riserva integrale) e della approvazione da parte dell’Ente Parco (nella specie affidata al provvedimento prot. n. 564 del 4 maggio 2004, redatto sulla scorta di apposita “relazione specialistica” e non insensibile ai profili di criticità delle elaborazioni progettuali positivamente delibate, al punto da imporre apposite e vincolanti prescrizioni); d) che neppure appare inibita l’attività “di posa di cavi e di tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse” (art. 5, 2° comma lett. d) L. R. n. 24/1995), che non comporti danni per le alberature di alto fusto, né la modifica permanente della morfologia del suolo (in ordine ai quali l’autorizzazione dell’Ente Parco ed il successivo decreto ministeriale che ne recepisce il contenuto recano espressa prescrizione relativa alla “fase di costruzione”, di cui naturalmente si impone il rispetto).
La previsione di cui all’art. 11, 3° comma l. n. 391/1994 è, del resto, programmaticamente intesa alla inibizione (di là dal tassativo ma non esaustivo “catalogo” di comportamenti pregiudizialmente vietati) di “attività ed opere” che, in concreto, possano negativamente incidere sul paesaggio e sull’ambiente tutelati. Ne discende che, mentre sono vietate già in astratto ed indipendentemente da ogni apprezzamento circa la loro pericolosità, le attività espressamente elencate, ogni altra attività ed ogni altra opera sarà inibita solo all’esito di uno specifico ed individualizzato giudizio di compatibilità, trasfuso della misura autorizzatoria di competenza dell’Ente Parco.
Ne discende: a) che dalla evocata disposizione normativa non emerge espressamente alcun divieto di realizzare il metanodotto per cui è causa; b) che la sua concreta fattibilità risulta confermata dall’autorizzazione rilasciata (sia pure con prescrizioni) dall’Ente Parco e recepita (in termini parimenti condizionati e prescrittivi) dal Ministero dell’Ambiente, che non si esime dal puntualizzare (senza idonea smentita sul piano tecnico) come il previsto tracciato “non interferisc[a] direttamente con gli habitat e gli ecosistemi di interesse comunitario e non comport[i] interferenze rilevanti sulle componenti ambientali biotiche ed abiotiche”, laddove “per la mitigazione delle interferenze, legate essenzialmente alle attività di cantiere, sono previsti sia opportuni accorgimenti in fase operativa che interventi di ripristino e mitigazione”: sarà, all’evidenza, cura delle competenti autorità garantire, nella fase esecutiva e di attuazione, il costante e severo controllo e la puntuale e rigorosa vigilanza sul rispetto di siffatti accorgimenti: ma far discendere dalla natura e dalla tipologia delle opere in contestazione l’automatica conseguenza della loro non autorizzabilità appare, come vale ripetere, conclusione priva di supporto sul piano normativo
Quanto alla ventilata violazione e falsa applicazione dell’art. 12, 2° comma lettera b) della l. n. 394/1991 (una all’art. 22 L.R. n. 33/93), nella parte cui, ai fini della predisposizione del “piano per il parco”, prescrive, per le aree di “riserve generali orientate”, il divieto generalizzato di “costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio”, con la sola possibile eccezione delle “utilizzazioni produttive tradizionali, [del]la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché [degli]interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco” e delle “opere di manutenzione delle opere esistenti”, vale - in contrario senso - puntualizzare che nessun dubbio può sussistere in ordine alla natura meramente programmatica della disposizione de qua, che appare - sia pure in termini vincolanti - preordinata alla (obbligatoria) predisposizione dello “strumento del piano per il parco”: nell’acclarato difetto del quale (che è circostanza non contestata), la norma opera negli esclusivi sensi della autorizzazione del potere sostitutivo del Ministro dell’Ambiente (5° comma).
Si lamenta, ancora, violazione e falsa applicazione dell’art. 5, 2° comma lettera d) della L.R. Campania n. 24/1995, nella parte in cui - per le zone B e C - consente bensì la realizzazione di opere “di posa di cavi e di tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse”, ma alla condizione, non ricorrente, nella specie, “che non comportino danni per le alberature di alto fusto, né la modifica permanente della morfologia del suolo”: ma anche siffatto parametro normativo, ove rettamente inteso, appare piuttosto conferma che smentita della possibilità di realizzare, nelle aree interessate, i contestati interventi (in quanto, per l’appunto, finalizzati alla realizzazione, mediante posa di cavi e di tubazioni interrate, di una rete di distribuzione del gas, che è servizio di pubblico interesse): laddove l’assenza di danni per le alberature di alto fusto e di modificazioni permanenti della morfologia del suolo concretano condizioni limitative da verificare preventivamente in concreto, all’esito di apposita valutazione di compatibilità, e da controllare in sede di attuazione degli interventi.
Ne discende, di nuovo, che - una volta preso atto della positiva valutazione dell’Ente Parco e del conforme decreto ministeriale di compatibilità ambientale (che pure - con riferimento alle caratteristiche tipiche delle zone interessate, alle misure di monitoraggio da introdurre, alle misure di mitigazione da adottare ed alle forme di minimizzazione temporale da garantire - appare sufficientemente inteso all’apprezzamento della assenza dei vietati profili di danno e delle precluse modificazioni permanenti del territorio) - non resta che escludere l’illegittimità ex actis dei contestati interventi: dove solo è il caso di puntualizzare, in effetti, che le ripetute valutazioni di compatibilità ambientale concretano apprezzamento ampiamente tecnico-discrezionale (cfr. art. 17 l. n. 241/90) non certo insuscettibile, in quanto tale, di sindacato apud judicem, ma solo (quanto alle condizioni) in presenza di emergenti e/o ventilati profili di erroneità, insufficienza, incongruenza o non pertinenza, se del caso fondati sul persuasivo apporto critico di elaborati peritali di parte e solo (quanto ai limiti ed alle modalità) nella forma c.d. debole, preclusiva - in assenza di macroscopiche illegittimità - della sovrapposizione dell’apprezzamento rinnovato in jure a quello operato in sede procedimentale (arg., ex art. 17, 2° comma l. n. 241/90, nella parte in cui - precludendo, per vicende inerenti materie relative a valori forti tra cui quello inerente la tutela ambientale, il meccanismo acceleratorio e semplificativo del c.d. silenzio devolutivo - prospetta e sottende la sistematica non sovrapponibilità del parere dei qualificati organi tecnici: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2001, n. 1207 e TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 5 luglio 2005, n. 5481).
Ciò posto, a dire della ricorrente gli impugnati atti autorizzatori volti alla realizzazione dei lavori nel Parco del Monti Picentini sarebbero, tuttavia, adottati in spregio delle “Norme generali di salvaguardia” del suddetto Parco, appunto adottate con la delibera di Giunta Regionale n. 1539/2003, alla cui stregua (anche e concorrentemente ai fini della salvaguardia delle zone agricole, giusta le analoghe previsioni di cui alle LL.RR. n. 14/82 e 11/96): a) sarebbe “vietato, ad eccezione delle zone C, aprire nuove strade”, con conseguente illegittimità di ogni intervento teso alla modifica del sistema viario interno al Parco per agevolare i lavori del metanodotto; b) non sarebbe consentito “istallare nuovi impianti di produzione […] ed il trasporto di energia (elettrodotti superiori a 60 KW, gasdotti etc.) […] ad eccezione di quelli necessari, in zona C, alla copertura di servizi per le comunità locali, per l’alimentazione di strutture radio ripetitrici della rete radio A.I.B. regionale e di quelli necessari per l’attività di soccorso e vigilanza, salvo autorizzazione dell’Ente Parco e, per gli interventi, di rilevante entità, previo parere della Regione Campania”; c) sarebbe “vietato circolare con veicoli di ogni genere al di fuori delle strade carrabili esistenti, anche di tipo interpoderale, fatta eccezione per i mezzi necessari al trasporto di prodotti e degli addetti ai lavori agro-silvo-pastorali, nonché per i mezzi di protezione civile e di ogni altro ente pubblico e di quelli in servizio di vigilanza all’uopo autorizzati”, con conseguente divieto del prevedibile dispiegamento di autoveicoli e mezzi necessari alla costruzione del metanodotto, non superabile, per quanto già osservato, mercè la vietata costruzione di nuove strade; d) sarebbe espressamente vietata la realizzazione di ogni tipo di recinzione all’interno della Zona A, con conseguente asserita irrealizzabilità, secundum legem¸ dei contestati lavori.
Tuttavia anche tali rilievi non possono essere recepiti. Invero, dalla complessiva disamina delle norme generali di salvaguardia del Parco (pubblicate sul BURC del 27 maggio 2004) è dato osservare: a) che, indubbiamente, risulta sancito, a proposito di “infrastrutture e cartellonistica”, il divieto, salvo le irrilevanti eccezioni testualizzate, di aprire nuove strade se non in zona C: epperò coglie nel segno l’obiezione ex adverso formulata, secondo cui non risulta in fatto che la realizzazione del metanodotto per cui è causa abbia in concreto previsto l’apertura di nuove strade (ma semmai solo il transito dei mezzi operativi, inclusi i fuori strada, nella c.d. pista di lavoro o area di passaggio); laddove è solo il caso di osservare incidenter che tale rilievo appare per sé sufficiente, nella “statica” e “formale” prospettiva attizia commessa alla delibazione dell’intestato giudicante, ad escludere la ricorrenza del ventilato profilo di illegittimità, altra cosa beninteso essendo, nella “dinamica” e “fattuale” prospettiva della verifica di conformità e correttezza dei comportamenti esecutivi, il giudizio di liceità, estraneo ai limiti del gravame giurisdizionale amministrativo; b) che non dissimile rilievo vale anche in ordine alla distinta prescrizione preclusiva della circolazione, al di fuori delle strade carrabili esistenti, con veicoli di ogni genere, posto che l’accessibilità risulta assicurata alle preesistenti arterie statali e provinciali, oltre che dalla rete di viabilità secondaria, costituita da strade comunali, vicinali e forestali parimenti preesistenti; c) che - quanto al divieto di realizzazione di nuove infrastrutture impiantistiche - è la stessa prescrizione evocata a formulare la espressa salvezza della espressa autorizzazione dell’Ente Parco (preceduta, per gli interventi di rilevante entità, dal parere regionale): di guisa che (a fronte della non superflua puntualizzazione che la previsione di tali misure autorizzatorie è, sul piano logico prima ancora che testuale, riferita agli impianti da realizzare anche non in zona C, per la quale il limite in parola non opera in via di principio) la censura (a fronte dell’incontestata ricorrenza dell’una e dell’altra condizione) finisce per provare troppo; d) che - quanto al divieto di realizzare qualsiasi tipo di recinzione all’interno della zona A - risulta formalizzata, in senso conforme, l’estraneità di tali aree al prefigurato intervento; e) che lo stesso decreto ministeriale di valutazione dell’impatto ambientale conferma come si tratti di “manufatto interrato che non dà luogo a modifiche di destinazione dell’uso del suolo, né ad alterazioni di tipo visivo del paesaggio: di guisa che non solo risulta garantita la tutela dei beni tutelati ex d. lgs. n. 490/1999, ma altresì - e segnatamente - rispettate le finalità e le disposizioni di cui alla evocata normativa regionale intesa alla tutela dei boschi.
Il complesso degli esposti rilievi convince, in definitiva, della infondatezza anche dell’esaminato motivo di gravame.


5.- Con distinta doglianza, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della direttiva 92/43/CEE “habitat”, della direttiva 79/409/CEE “uccelli” e del d.p.r. n. 357/97, una ad eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, illogicità e carenza di motivazione: poiché il progetto in contestazione è destinato ad attraversare due aree inserite nei siti di interesse comunitario, le Amministrazioni procedenti avrebbero dovuto attivarsi per avviare le necessarie procedure al fine di “assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora protetta”, ciò che non sarebbe avvenuto in conseguenza della denunziata superficialità e carenza della impugnata valutazione di incidenza (a tacere del fatto che le norme evocate consentirebbero l’uso del territorio qualificato come sito di interesse comunitario solo in mancanza di soluzione alternative, nella specie non prese in considerazione).


5.- La censura non può essere accolta.
Invero, la documentazione versata in atti attesta che la valutazione di incidenza effettuata non ha omesso verificare l’interferenza con gli habitat e gli ecosistemi di interesse comunitario, concludendo nel senso della non interferenza ed sulle componenti ambientali biotiche ed abiotiche e prevedendo, per le interferenze legate essenzialmente alle attività di cantiere, opportuni accorgimenti in fase operativa ed interventi di ripristino e mitigazione. E vale anche qui soggiungere che - in difetto di meno generica doglianza - il sindacato giurisdizionale non può estendersi, in prospettiva sovrappositoria, alle valutazioni proceduralmente corrette effettuate in materia dai competenti organi amministrativi.
Quanto alla analisi comparativa del sito prescelto con altre localizzazioni alternative, vale puntualizzare: a) che - alla stregua del paradigma normativo di riferimento (d. lgs. n. 79/1999 e l. n. 55/2002) - l’attività di produzione di energia elettrica è, per effetto del recepimento di apposita direttiva comunitaria, libera, non sussistendo più alcuna riserva legale a favore di soggetti monopolisti ovvero sottoposizione al regime della concessione amministrativa; b) che - correlativamente - l’individuazione del sito maggiormente idoneo alla collocazione delle centrali spetta al privato che attivi il relativo procedimento autorizzatorio, mentre compito dell’Amministrazione è, di conserva, solo quello di verificarne la correttezza e la congruità, a tutela degli interessi coinvolti; c) che, per l’effetto, non risulta conforme al modello procedimentale sintetizzato l’evocazione di una (asseritamente doverosa) delibazione, in via officiosa, di alternative localizzatorie; d) che - in ogni caso - la documentazione versata in atti fa emergere che la scelta del sito, da parte del soggetto richiedente, è stata preceduta da un documento elaborato dalla Snamprogetti, di cui subito infra, che ha evidenziato le ragioni a fondamento della preferenza espressa per la scelta del Comune di Salerno, che risulta sottoposto alla valutazione delle autorità amministrative competenti alla adozione dei vari atti di assenso; e) che la lettura del complesso della documentazione fa emergere che si sia tenuto conto, ai fini della positiva conclusione del procedimento autorizzatorio, sia delle linee guida regionali in subiecta materia, sia delle analisi del fabbisogno di energia elettrica in Campania (dalle quali è dato, in particolare, evincere la non persuasitività della proposta, formulata in sede procedimentale, di optare per soluzioni localizzative alternative); f) che - avuto segnatamente riguardo alla praticabilità di ipotesi alternative di tracciato del metanodotto, cui la censura specificamente ed autonomamente si riferisce - essa risulta valutata ed esclusa in considerazione della maggiore interferenza con aree a più elevato pregio naturalistico (cfr. lo “Studio di impatto ambientale - Approfondimenti tematici richiesti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio”, redatto nel marzo 2004 dalla Snamprogetti).


6.- La ricorrente lamenta ancora violazione e falsa applicazione del decreto del Ministero dell’Interno del 24 novembre 1984 e dell’art. 1 della L.R. 11/96: da un lato, sulla base della evocata normativa, le condotte dei metanodotti di prima specie, come quello per cui è causa, devono essere muniti di idonei dispositivi di scarico in aperta campagna che consentano rapidamente lo scarico del tratto di tubazione qualora se ne presenti la necessità (ciò che non potrebbe essere consentito nel caso di specie, dovendo avvenire tale ipotetico scarico in area boschiva, con distruzione di area protetta di difficile accesso e priva di piste tagliafuoco, con conseguente pericolo di incendio): dall’altro, il contestato intervento sarebbe in contrasto con le finalità dettate dalla normativa regionale richiamata, nella parte in cui persegue, sotto il profilo in questione, le finalità di prevenzione e difesa dei boschi dagli incendi.


6.1.- Anche tale censura non può essere accolta. Lo studio di impatto ambientale di cui si è detto evidenzia che gli impianti oggetto di contestazione sono stati progettati in ottemperanza alla normativa vigente in tema di prevenzione e sicurezza antincendio: in particolare si dice prevista una distanza massima tra i punti di intercettazione pari a 10 Km e si immagina che lo scarico in atmosfera del gas - contenuto nella sezione di tubazione compresa tra due valvole - avvenga mediante apposito dispositivo (c.d. vent), per operazioni di manutenzione straordinaria e per ipotesi di eventi accidentali, il tutto sotto il controllo di squadre qualificate e a mezzo di apposite procedure. A fronte di ciò - salvo ad ipotizzare, come prospetta parte ricorrente, l’assoluta irrealizzabilità dell’intervento - può solo dirsi che la censura in esame, così come prospettata, appare generica e come tale inidonea a cogliere in fatto i ventilati profili di criticità dell’intervento (tanto più che - come vale soggiungere - la incompatibilità con la normativa regionale non può essere immaginata come operante in re ipsa, una volta che la tutela dei boschi e dell’ecosistema sia riguardata quale dichiaratamente operante nel “quadro degli obiettivi di sviluppo economico e sociale” della Regione, in un bilanciamento di valori difficile ma necessario).


7.- Con successivo motivo di gravame si formulano, in unico contesto, una pluralità di censure. In dettaglio: a) si denuncia l’assoluta inidoneità della Energy Plus alla realizzazione dell’intervento (recte: si lamenta che l’Amministrazione titolata al rilascio della autorizzazione abbia omesso di valutare, all’atto di approvare i progetti, l’idoneità tecnica e la capacità tecnico-economica del soggetto realizzatore, dandone contezza negli atti della procedura anche in relazione alla consequenziale fase ablatoria, e si ventila in concreto la carenza dell’una e dell’altra); b) si censura la mancata indicazione, negli atti impugnati, in quanto implicitamente dichiarativi della pubblica utilità delle aree espropriande, dei termini di inizio e fine dei lavori; c) si evidenzia la contraddittorietà degli atti e la carenza di idonea istruttoria, avuto riguardo a ciò, che le Amministrazioni coinvolte denunziano in premessa l’esistenza di numerosi profili teoricamente impeditivi, per concludere poi, senza consequenzialità, nel senso della fattibilità dell’intervento.


7.1.- La doglianza non può essere accolta. Vale in proposito anzitutto osservare, per i primi due profili: a) che alcuna valutazione in ordine alle capacità economiche della impresa richiedente è richiesta ai sensi della l. n. 55/2002 (la quale, dopo la liberalizzazione di cui al d. lgs. n. 79/99, si innesta, come vale ribadire, su un procedimento di matrice autorizzatoria e non concessoria e si riferisce non già ad opere pubbliche, ma ad opere private di pubblico interesse); b) che, avuto riguardo ai profili ablatori e segnatamente alla garanzia riconnessa, per i soggetti espropriandi, alla indicazione dei termini di inizio e termine della procedura, la ricorrente è priva di interesse e di correlata legittimazione a sollevare la relativa questione, con conseguente inammissibilità della doglianza.
Quanto alla pretesa contraddittorietà tra le premesse del discorso giustificativo svolto dalle Autorità coinvolte nel procedimento (che mettono in evidenza plurimi profili di pericolosità dell’intervento) e concludono tuttavia per la sua fattibilità con tali e tante prescrizioni da legittimare il sospetto di una grave carenza istruttoria (censura riferita ai pareri resi dal Commissario dell’Ente parco, dell’Autorità di bacino e sopratutto al parere conclusivo ed assorbente del Minstero dell’Ambiente), il Collegio osserva quanto segue.
Premesso che - come chiarito supra - il sindacato giurisdizionale incontra in subiecta materia i limiti riconnessi alla qualificata connotazione tecnico-discrezionale degli apprezzamenti relativi ai profili ambientali, vale ribadire che il procedimento ministeriale di VIA è finalizzato, attraverso l’analisi del progetto anteriormente alla sua approvazione, ad assicurare la compatibilità ambientale dell’opera anche con l’imposizione di prescrizioni che apportino modifiche al progetto ai fini dell’eliminazione o della riduzione dell’incidenza negativa per l’ambiente. Ed anzi, proprio sul punto, l’art. 6, 2° comma del D.P.C.M. 27.12.1988 prevede che “l’istruttoria si conclude con parere motivato, tenuto conio degli studi effettuati dal proponente e previa valutazione degli effetti anche indotti, dell’opera sul sistema ambientale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva. La Commissione identifica, inoltre, se necessario, le eventuali prescrizioni finalizzate alla compatibilità ambientale del progetto”.
L’articolazione di tutta una serie di prescrizioni specifiche e puntuali da parte del Ministero dell’ambiente, in sede di recepimento del parere della Commissione VIA, pertanto, non può essere automaticamente assunta (come, in buona sostanza, fa parte ricorrente) quale indice od addirittura prova da sola dell’insufficienza e dell’incompletezza degli studi di impatto ambientale inerenti al progetto in esame da parte del soggetto proponente; peraltro, il potere spettante all’amministrazione ministeriale sulla base della richiamata norma le consente di supplire anche alle eventuali carenze progettuali inerenti alla compatibilità ambientale che, di per sé, pertanto, non possono comportare un giudizio negativo sullo stesso (in termini, v. TAR Lazio, sez. II bis, 14 aprile 2005, n. 6267); infatti, l’Amministrazione, essendo titolare di un potere pieno di valutazion e di conformazione della decisione sull’opera, in presenza di manchevolezze del progetto per le quali l’opera potrebbe apparire di dubbia compatibilità ambientale, non deve necessariamente esprimere una VIA negativa, ma deve, invece, valutare la possibilità di prescrivere misure mitigative o modifiche al progetto (così TAR Lazio, I sez., 31 maggio 2004 n. 5118).
Ne consegue che è nel diritto-dovere dell’Amministrazione di apporre sul titolo autorizzatorio condizioni e prescrizioni preordinate a garantire, nel presente e nel futuro, la conformità della centrale energetica alla normativa di settore ed, in tal senso, devono essere considerate come poste a tutela di superiori interessi le numerose prescrizioni di natura ambientale e paesaggistica al provvedimento gravato, nonché gli obblighi di predisporre un permanente monitoraggio del territorio (così TAR Molise, 28 agosto 2003 n. 659).
In definitiva, i preventivati futuri accertamenti non servono affatto ad integrare l’attuale valutazione positiva né attestano una asserita incompletezza od incongruenza delle valutazioni effettuate, bensì ad accertare. nel prosieguo, l’osservanza delle prescrizioni imposte e, quindi, lungi dal provare l’incompletezza del giudizio, sono posti a presidio dell’interesse generale alla perdurante rispondenza dell’opera - tanto nella fase della realizzazione che in quella della gestione - a parametri di sicurezza per la salute e per l’ambiente imposti dalla normativa vigente.
In ogni caso, vale incidentalmente osservare, nel merito, che il decreto del 23.6.2004, recependo il parere della Commissione V.I.A. del 6.52004, appare aver positivamente verificato il rispetto di tutti i parametri relativi alla qualità dell’aria (ritenendo che le previste emissioni in atmosfera dovute alla centrale risultano “poco significative”: pag.9), all’inquinamento acustico (pag. l1), alla salute pubblica (“non sono prevedibili effetti significativi sullo stato della salute della popolazione”: pag. 11, alla tutela ambientale (analiticamente esaminata alle pagg. 11 — 18 in tutti i possibili aspetti del territorio e della salvaguardia dello stesso), al rischio ci radiazioni (l‘impianto in esame non è caratterizzato dall’emissione di radiazioni ionizzanti”: pag. 12).
Le considerazioni che precedono valgono anche ad escludere, avuto riguardo agli ulteriori profili critici, che la valutazione di impatto ambientale possa essere censurata sotto il profilo della carenza di adeguata istruttoria e di consequenziale idoneo supporto motivazionale; né risulta pretermessa l’acquisizione e ponderazione dei molteplici interessi coinvolti.


8.- Con ulteriore motivo di doglianza, la ricorrente prospetta la contraddittorietà del programmato intervento con le linee guida in materia energetica elaborate dalla Regione Campania (pur riguardate alla stregua di mere proposte, sull’assunto che la competenza in subiecta materia sarebbe rimessa al Consiglio regionale e non alla Giunta) e ribadisce l’illogicità della scelta di localizzare l’intervento nel Comune di Salerno, con specifico riguardo ai profili di inquinamento ambientale.


8.1.- Anche tale doglianza non coglie nel segno.
Vale, invero, osservare: a) che il progetto de quo risulta adottato ed approvato in conformità della procedura di cui alla l. n. 55/2002, che prevede il meccanismo della intesa tra i soggetti interessati; b) che, per tal via, lo stesso non si colloca nel contesto della programmazione energetica regionale (a guisa di attuazione del relativo piano); c) che - alla stregua del condivisibile orientamento pretorio in subiecta materia (v. per tutte Cons. Stato, n. 3502/2004) - la c. d. autorizzazione unica, di cui alla l. n. 55/2002, deve ritenersi del tutto indipendente dal ridetto piano, essendo frutto di una scelta rimessa alle valutazioni ed all’apporto collaborativo dell’esecutivo regionale: d) che - come più volte chiarito - nel procedimento in esame non spetta all’Amministrazione selezionare il sito per l’intervento, ma solo sottoporre ad adeguata ed esaustiva valutazione di compatibilità la scelta localizzativa rimessa alla iniziativa del soggetto privato richiedente; e) che i ventilati profili di criticità con riferimento all’impatto della realizzanda centrale sono proprio quelli in ordine ai quali si è dispiegata la complessa ed articolata valutazione di compatibilità ambientale (la quale, per quanto precede, resiste alle articolate censure di incongruenza, contraddittorietà ed insufficienza).


9.- Con motivi aggiunti notificati lite pendente il 17 ottobre 2005 e depositati il 27 ottobre successivo, la ricorrente lamentano che il tracciato del metanodotto di collegamento alle centrale termoelettrica determini l’inquinamento di acquiferi destinati al consumo umano, accolti nel Massiccio carbonatico del Terminio-Tuoro, individuata come zona di tutela assoluta e di rispetto dalla Carta della Vulnerabilità all’inquinamento, redatta nel 1994 dal Consorzio Interprovinciale dell’Alto Calore in collaborazione con l’Università di Napoli, prospettando il conseguente vizio di violazione falsa applicazione dell’art. 1 d. lgs. n. 152/1999 ed eccesso di potere per sviamento e pericolo per la pubblica incolumità.


9.1 - I motivi sono irricevibili perché tardivi. In disparte quanto si avrà modo, più in generale, di puntualizzare infra con riferimento agli ulteriori motivi aggiunti, importa precisare che la possibilità di formulare, oltre il termine decadenziale, nuovi motivi di doglianza in relazione ai provvedimenti impugnati in via principale è subordinata alla sopravvenuta conoscenza di documenti o atti del procedimento, mentre nel caso di specie si fa leva su una nota della Società Alto Calore Servizi s.p.a. che appare del tutto estranea al procedimento e che, in disparte ogni altro profilo, non consente la rimessione in termini.


10.- Con ulteriori motivi aggiunti notificati lite pendente in data 19 novembre 2005 e depositati il successivo 16 dicembre, la ricorrente impugna anche il sopravvenuto decreto ministeriale n.55/09/2005 RT del 07.09.2005, recante autorizzazione in sede esecutiva alle ottimizzazioni progettuali, una ai pareri strumentalmente resi dai Ministeri dell’Ambiente, dei Beni e attività culturali e delle Attività produttive, nonché dalla Regione Campania, e lamenta che l’impugnato provvedimento abbia, di fatto, approvato un nuovo progetto esecutivo dell’opera in questione, senza la rinnovazione, asseritamente obbligatoria, della procedura autorizzatoria prevista dall‘art. 1 della Legge n. 55/2002 e senza l’acquisizione della autorizzazione integrata ambientale asseritamente richiesta dallo jus superveniens di cui al d. lgs. n. 59/2005.


10.1.- la doglianza, così come complessivamente formulata, è infondata.
Vale, infatti, rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto, l’evocato provvedimento si limita ad autorizzare soltanto le “ottimizzazioni progettuali” apportate in fase di progettazione esecutiva per la realizzazione della centrale termoelettrica, in ottemperanza alle prescrizioni dettate nel decreto di valutazione di impatto ambientale n. 547/2004 e riportate nel decreto ministeriale n. 55/10/2004 del 03.09.2004. Siffatte ottimizzazioni progettuali, rappresentando dovuti approfondimenti tecnici, costituiscono, in realtà, l’obbligato sviluppo progettuale a cui già rimandava inderogabilmente il progetto autorizzato. In sostanza, come è dato rilevare dal complesso della documentazione versata in atti ed in aderenza alle condivisibili argomentazioni difensive articolate da parte resistente, le variazioni progettuali introdotte si limitano, in buona sostanza, alla modifica dell’alternatore a valle delle turbine a vapore, il quale, anziché essere unico (monoalbero), viene sostituito con un alternatore per singola turbina (multialbero), conformandosi, quindi, alle prescrizioni del Ministero dell’Ambiente e della Regione Campania. Non è riscontrabile, quindi, alcuna variazione in fase esecutiva incidente sulle aree naturali protette attraversate dal metanodotto.
Giova, invero, ribadire, con più lungo discorso, che il Ministero dell’Ambiente aveva prescritto, nel decreto approvativo della valutazione di impatto ambientale, che: “[avrebbero dovuto] essere adottati sistemi di combustione in linea con le migliori tecnologie disponibili al momento del loro acquisto, con l’obiettivo di scendere in maniera signifìcativa al di sotto dei valori massimi di emissione considerati di 50 mg/Nm3 per gli ossidi di azoto e di 30 mg/Nm3 per il monossido di carbonio”, il tutto nella valorizzata prospettiva della minimizzazione dell’impatto ambientale sotto il profilo della tutela della qualità dell’aria, nonostante la destinazione industriale dell’area di ubicazione della centrale. Inoltre, la Regione Campania, nella conclusiva Conferenza di Servizi del 28.07.2004, aveva imposto prescrizioni più restrittive in ordine alle emissioni dei turbogas, recepite successivamente nel citato decreto ministeriale, nel quale si raccomanda per la realizzazione della centrale l’utilizzazione delle “tecnologie innovative che comportino un incremento della riduzione delle emissioni dannose” e conseguentemente la riduzione del 20% dei valori limite massimi riferiti alle emissioni di ossidi di azoto e di monossido di carbonio rispetto a quelli previsti nel Decreto VIA.
Tali prescrizioni, rappresentando il contenuto conformativo dell’autorizzazione (c.d. clausole di esecuzione dell’opera), mirano, in termini generali, a contenere l’impatto ambientale dell’opera medesima, garantendo le necessarie misure di compensazione e di mitigazione a salvaguardia dell’area interessata dalla realizzazione della centrale termoelettrica. Rispetto a tali puntuali indicazioni delle competenti amministrazioni, apportare le necessarie e richieste modifiche progettuali significava conformarsi alle prescrizioni a cui era subordinata l’autorizzazione rilasciata per la costruzione e l’esercizio della centrale termoelettrica, adottando la migliore tecnologia possibile (Best Available Technology) a tutela dell’ambiente e fornendo di tale innovativa strumentazione tecnologica una chiara rappresentazione di tutte le caratteristiche dimensionali e tipologiche con il più alto grado di definizione e di dettaglio.
La modifiche progettuali sopra descritte, dunque, si configurano (contrariamente all’assunto attoreo), quali modifiche non sostanziali, vincolate e migliorative dell’impatto ambientale dell’opera autorizzata in piena aderenza con le menzionate prescrizioni, come, del resto, espressamente confermato dal parere istruttorio della Commissione VIA n. 686 del 05.05.2005, versato in atti, nel quale si evidenzia, per l’appunto, che “le modifiche apportate al progetto hanno comportato un miglioramento delle ricadute al suolo, dovuto al fatto che le emissioni in atmosfera sono state ridotte in relazione al recepimento delle prescrizioni sui limiti emissivi”.
La presenza di prescrizioni in seno ad un decreto di valutazione di impatto ambientale, oltretutto, lungi dal rappresentare indice di inidoneità del progetto presentato, configura, al termine dell’istruttoria, l’ulteriore attività del Ministero dell’Ambiente volta ad emendare i progetti presentati in funzione della piena tutela dei dei valori ambientali del sito prescelto (art. 6, 2° comma D.P.C.M. 27 dicembre 1988), cui corrisponde il costante controllo “sulla osservanza delle eventuali prescrizioni contenute nella pronuncia di compatibilità” (art. 4 D.P.C.M. 10 agosto 1988).
D’altra parte, si è, più in generale, condivisibilmente affermato che “realizzare un ‘opera pubblica di particolare complessità […] necessita inevitabilmente di ottimizzazioni che non possono che interessare la fase esecutiva e che, in sede di autorizzazione, non possono che essere contemplate per mezzo di prescrizioni la cui effettiva esecuzione potrà essere garantita, come nel caso di specie, per mezzo del collaudo e del monitoraggio” (in termini, Cons. Stato, Sez.IV, 3 maggio 2005, n. 2136).
Così definiti la natura giuridica e l’apporto funzionale delle modifiche progettuali, si deve escludere la ricorrenza di profili di difformità sostanziali tali da richiedere la loro sottoposizione ad una nuova procedura di VIA e la conseguente riedizione del procedimento autorizzatorio, stante la piena congruenza delle ottimizzazioni apportate alle prescrizioni dettate per il progetto ab origine esaminato. La riedizione del procedimento pretesa dalla ricorrente avrebbe, oltretutto, irragionevolmente vanificato l’intenzione del legislatore, avvallata dalla Consulta (Corte Cost. n. 6/2004, più volte citata), dì perseguire gli obiettivi di celerità e semplificazione procedimentale nell’autorizzare la costruzione e l’esercizio delle centrali elettriche in ragione dell’urgente bisogno di garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Del resto, il rilievo, prima ancora che infondato, è inammissibile, stante la mancata impugnativa del decreto del Ministero dell’Ambiente prot. 12541 del 17.05.2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 giugno 2005, con la quale l’Amministrazione, istituzionalmente preposta alla tutela ambientale, ha dichiarato la esenzione dalla valutazione di impatto ambientale delle ottimizzazioni progettuali apportate al progetto originario dalla valutazione di impatto ambientale, in quanto non sostanziali, sulla base di quanto accertato dalla Commissione VIA nel parere n. 686 del 05.05.2005.
Invero, la nozione giuridica di “modifica sostanziale” si desume dall’art. 1, comma 2 del DPCM 10 Agosto 1988, n. 377, che estende l’obbligo della valutazione di impatto ambientale soltanto “qualora da tali interventi derivi un‘opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente, con esclusione, comunque, dei ripristini” (cfr. Cons. Stato, Sez.IV, 19 luglio 1993, n. 741).
Di recente, il d. lgs. n. 59/2005 (criticamente richiamato anche dalla ricorrente a sostegno del gravame) ha precisato compiutamente il concetto di modifica sostanziale di impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici di cui alla l. 55/02, qualificandola nei termini di “modifica dell’impianto che, secondo un parere motivato dell’autorità competente, potrebbe avere effetti negativi e significativi per gli esseri umani o per l’ambiente. In particolare, per ciascuna attività per la quale l’allegato I indica valori di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa” (art. 2, 1° comma 1, lettera n). In ragione, infatti, di un principio generale dell’ordinamento settoriale che privilegia la considerazione degli effetti dell’opera sull’ambiente, si riconosce la natura di modifica sostanziale rispetto al progetto autorizzato, qualora l’intervento rappresenti una trasformazione dell’opera che introduca elementi di rilevante novità nella realizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 luglio 1995, n. 754 e Cons. Stato, Sez. IV, 19 luglio 1993, n. 741), tali da mutare in maniera incisiva il rapporto con l’ecosistema dell’area interessata, già conformato dal precedente decreto di VIA, sotto il profilo, per esempio, della variazione qualitativa o quantitativa dello scarico (art. 45 d. lgs. 152/1999) o dell’aumento significativo dell’emissioni atmosferiche (art. 21, DPCM 21 luglio 1989).
Anche la normativa comunitaria, del resto, a conferma dell’indirizzo legislativo nazionale, subordina la doverosità di una nuova verifica di VIA soltanto alla accertata compromissione dei valori ambientali, derivante dalle modifiche apportate. La direttiva 97/11/CE, che ha modificato la precedente direttiva 85/337/CEE, prevede l’obbligo di effettuare una nuova verifica di compatibilità ambientale per le intervenute modifiche dell’opera, già sottoposta a VIA, (art. 4, 2° comma) solo nel caso in cui “modifiche o estensioni di progetti dì cui all’allegato I o all’allegato II già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente” (Allegato Il, punto n. 13).
In assenza, dunque, di tali requisiti, e soprattutto di alcuna valenza nociva all’integrità ambientale, le modifiche all’opera autorizzata non potranno che definirsi irrilevanti e marginali, esonerando il titolare dell’opera dall’obbligo di nuova VIA. In aderenza a tale ricostruzione normativa, quindi, il Ministero dell’ Ambiente ha dichiarato, come chiarito, la esenzione delle ottimizzazioni progettuali apportate al progetto originario, in quanto non sostanziali, sulla base di quanto accertato dalla Commissione VIA nel parere n. 686 del 5 maggio 2005 (il quale, come tale, costituisce espressione di valutazioni caratterizzate da discrezionalità tecnica, rispetto alle quali, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale di cui si è dato conto supra, il giudice non può sostituire la propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell’amministrazione, dovendo il proprio sindacato sugli apprezzamenti tecnici esercitarsi soprattutto in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste, nel caso di specie insussistenti, “dal momento che la decisione della amministrazione rientra tra le valutazioni tecniche riservate all’Amministrazione, in quanto titolare di una specifica competenza legata alla tutela di particolari valori costituzionali, come si desume dall’art. 17, 2° comma, della legge n. 241 del 1990, che dispone la non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini”) (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2001, n. 1207 e TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 5 luglio 2005, n. 5481).
Neppure cogli nel segno il rilievo per cui il decreto n. 55/09/2005 RT (di autorizzazione delle ottimizzazioni progettuali) “avrebbe dovuto acquisire l’autorizzazione integrata ambientale prevista per legge”.
Infatti, l’art. 1 del Decreto di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio della centrale termoelettrica disponeva, invero, espressamente che la Energy Plus S.r.l. “[era] autorizzata, anche per quanto concerne l’autorizzazione ambientale integrata, di cui alla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 Settembre 1996”.
La circostanza è pienamente conforme a quanto stabilito nella l. n. 55/02 (art. 1, 2° comma), secondo cui “fino al recepimento della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, tale autorizzazione comprende l’autorizzazione ambientale integrata e sostituisce, ad ogni effetto, le singole autorizzazioni ambientali di competenza delle Amministrazioni interessate e degli enti pubblici territoriali”.
Per tal via, l’autorizzazione “unica” già rilasciata in data 3 settembre 2004, sostituendo “autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti” (art. 1 l. n. 55/02), deve qualificarsi anche come autorizzazione unica integrata ambientale ai sensi della Direttiva 96/61/CE, di cui il successivo d. lgs. n. 59/2005 costituisce il compiuto recepimento.
In ogni caso, e con considerazione assorbente, vale puntualizzare che alla autorizzazione unica rilasciata a favore di Energy Plus s.r.l. è applicabile la disciplina transitoria stabilita dall’art. 17, 4° comma d. lgs. n.59/2005, la quale espressamente dispone che, “fermo restando il disposto dell‘articolo 9, comma 1, sono fatte salve le autorizzazioni integrate ambientali già rilasciate, nonché le autorizzazioni uniche e quelle che ricomprendono per legge tutte le autorizzazioni ambientali richieste dalla normativa vigente alla data di rilascio dell‘autorizzazione, rilasciate dal 10 novembre 1999 alla data di entrata in vigore del presente decreto. La stessa autorità che ha rilasciato l’autorizzazione verifica la necessità di procedere al riesame del provvedimento ai sensi dell’articolo 9, comma 4”.
Per l’effetto, l’applicabilità della nuova disciplina di tutela ambientale dettata dal d. lgs. n.59/2005 nella fattispecie autorizzatoria di cui è causa è esclusa dal dato letterale dell’art. 17 cit., che non prescrive, successivamente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 59/2005, alcun obbligo di acquisizione dell’autorizzazione integrata ambientale a carico di quelle opere già autorizzate ai sensi Direttiva 96/61/CE o mediante autorizzazione unica, come nel caso dell’impianto energetico in questione. Inoltre, le ottimizzazioni progettuali apportate al progetto, autorizzate dal decreto n.55/09/2005 RT, non necessitano dell’acquisizione della autorizzazione ambientale integrata in ragione della loro accertata non sostanzialità, come riconosciuto dall’art. l0 dello stesso d. lgs. n.59/2005. Del resto, l’art. 10 (Modifica degli impianti o variazione del gestore) dello stesso decreto legislativo prescrive che “il gestore comunic[hi] all’autorità competente le modifiche progettate dell’impianto, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera m). L’autorità competente, ove lo ritenga necessario, aggiorna l’autorizzazione integrata ambientale o le relative condizioni, ovvero, se rileva che le modifiche progettate sono sostanziali ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera n), ne dà notizia al gestore entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione ai fini degli adempimenti di cui al comma 2. Decorso tale termine, il gestore può procedere alla realizzazione delle modifiche comunicate”.
In definitiva, solo nel caso in cui fosse stata riconosciuta la sostanzialità delle modifiche ai sensi dell’articolo 2, 1° comma, lettera n) d. lgs. n.59/2005, rappresentata da una modifica dell’impianto che, secondo un parere motivato dell’autorità competente, avesse potuto avere effetti negativi e significativi per gli esseri umani o per l’ambiente, sarebbe stato necessario non solo riaprire il procedimento autorizzatorio di cui alla l. n. 55/02, ma anche ottenere una nuova autorizzazione ambientale integrata secondo quanto disposto dall’art. l0, 2° comma d. lgs. n.59/2005 (alla cui stregua “nel caso in cui le modifìche progettate, ad avviso del gestore o a seguito della comunicazione di cui al comma 1, risultino sostanziali, il gestore invia all’autorità competente una nuova domanda di autorizzazione”).


11.- Con atto notificato in data 2 marzo 2006 e depositato il 14 marzo successivo, la ricorrente, a seguito della emissione di misure cautelari da parte del giudice penale, che avrebbe “reso noti ulteriori elementi del procedimento autorizzatorio per cui è causa”, ha proposto nuovi motivi aggiunti.
Gli stessi vanno, tuttavia, dichiarati irricevibili
Pare opportuno, sulla evidente premessa che non si tratti di motivi “nuovi” legittimamente proponibili in pendenza di lite a cagione della sopravvenienza di nuovi provvedimenti inerenti la medesima “vicenda amministrativa” (cfr. art. 21, nella formulazione risultante dalla modifica sul punto introdotta dalla l. n. 205 del 2000), vale il richiamo alla nozione di motivi “integrativi”, legata alla tematica del termine perentorio fissato dalla legge per la proposizione del ricorso giurisdizionale, decorso il quale si determina la decadenza dal potere di ricorrere.
Si è da tempo posto concordemente in risalto in giurisprudenza che, una volta scaduto il termine per proporre ricorso, non può ammettersi la proposizione di ulteriori mezzi di impugnazione con memorie e altri scritti difensivi; in altre parole, si teorizza l’inammissibilità di quella che può ritenersi una sorta di mutatio libelli, per essere stato il petitum (e la relativa causa pretendi) fissato con il ricorso tempestivamente proposto.
Motivi nuovi o integrativi (id est: diversi da quelli già formulati con il ricorso introduttivo, come tali suscettibili di comportare non tanto il mutamento dell’oggetto del giudizio, quanto, in parte, del thema decidendum, stanti gli altri profili di illegittimità dedotti con i nuovi mezzi di impugnazione), possono ammettersi soltanto ove gli stessi siano proposti, successivamente al ricorso, nell’ipotesi che il termine per ricorrere non sia decorso. Ciò accade in presenza di fattispecie precipue, concernenti l’ipotesi che l’Amministrazione, nel costituirsi in giudizio, produca atti e/o documenti, non conosciuti prima dal ricorrente (che per tale ragione non avrebbe potuto gravarsi contro di essi, ovvero non avrebbe potuto dedurre vizi non enucleabili dagli atti a lui noti), che si pongano, nella prospettiva di questi, come di per sé lesivi, o che siano tali da far emergere altri vizi dei provvedimenti impugnati principaliter.. (Un’ipotesi frequente nella prassi giudiziale è costituita dalla comunicazione del provvedimento soltanto nei suoi tratti essenziali, laddove la conoscenza integrale del contenuto del medesimo, a seguito della produzione in giudizio da parte della Amministrazione resistente, si riveli foriera di profili di illegittimità non desumibili soltanto dagli estremi essenziali dell’atto a suo tempo comunicato all’interessato). È a tale riguardo che si parla, in giurisprudenza e in dottrina, propriamente di motivi aggiunti: in simili eventualità si ritiene unanimemente consentito al ricorrente formulare censure entro il medesimo termine di decadenza previsto per l’impugnazione, ma stavolta decorrente dalla data di conoscenza degli atti o documenti prima non conosciuti, vale a dire previa notifica entro il termine ordinario previsto per l’impugnazione da quest’ultima data, all’amministrazione ed ai controinteressati.
Se si può ammettere, in generale, che la conoscenza di atti, documenti e circostanze provenisse da fonte extraprocessuale (come, ad es., un bollettino, un albo, un documento riguardante terzi, una sentenza civile o penale, ecc.), deve tuttavia confermarsi l’orientamento per cui, nel caso di deposito di documenti in giudizio, stante l’onere del ricorrente di accertare in segreteria l’eventuale deposito, il termine decorre dalla data del deposito stesso.
Con riferimento al caso di specie, il deposito della documentazione è avvenuto in data 28 novembre 2005 ed i motivi aggiunti sono stati notificati solo il 2 marzo 2006, oltre il sessantesimo giorno. Né alcun rilievo può avere, in proposito, la sopravvenuta conoscenza di iniziative processuali assunte in sede penale, che - ove non accompagnate dalla conoscenza di nuovi provvedimenti e/o atti relativi al contestato procedimento amministrativo - non sono in grado di giustificare quella che concreterebbe una mera rimessione in termini per la formultazione dei motivi di gravame.


12.- Le ragioni che precedono sono sufficienti ai fini della complessiva reiezione del proposto gravame, sussistendo, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni (riconnesse alla complessità delle questioni delibate ed alla delicatezza della materia del contendere) per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione delle spese e competenze di lite, nei sensi di cui in dispositivo.


p.q.m.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno, sezione I, definitivamente pronunziando sul ricorso proposto Italia Nostra ONLUS, come in epigrafe individuato, lo respinge. Dichiara, altresì, irricevibili i primi e i terzi motivi aggiunti e respinge i secondi motivi aggiunti.
Compensa, tra le parti costituite, spese e competenze di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.


Così deciso in Salerno nella Camera di Consiglio del 23 marzo, del 18 maggio e del 6 luglio 2006, con l’intervento dei Magistrati
Dr. Alessandro Fedullo Presidente
Dr. Giovanni Grasso Primo Referendario Est.
 


 

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