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TAR SARDEGNA, Sez. II, 8 ottobre 2007, sentenza n. 1809
INQUINAMENTO - Bonifica e interventi temporanei - Competenza regionale - Siti
di interesse nazionale - L. n. 179/2002 - Artt. 242 e 252 del D.Lgs. n. 152/2006
- Competenza statale. L’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 disciplina nel
dettaglio le procedure amministrative dirette alla bonifica dei siti
contaminati, che è il momento finale e conclusivo , nonché agli interventi
“temporanei” quali la messa in sicurezza del sito operativa e di emergenza (cfr.
comma 7). Tale norma disciplina altresì la competenza in ordine alle misure
necessarie volte ad eliminare l’inquinamento, attribuendola alla Regione, che
opera attraverso una Conferenza di servizi (cfr. comma 10). Quando l’area
inquinata sia però inserita tra i siti di interesse nazionale da sottoporre a
bonifica e ripristino ambientale, come tassativamente individuati dalla L. n.
179/2002, integrativa dalla L. n. 42/1998 (nella specie, area industriale di
Porto Torres), l’art. 18, c. 2 della riferita legge e l’art. 252, c, 4 del
d.lgs. n. 152/2006 operano uno spostamento della competenza regionale a favore
di un organo dello Stato (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare). Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv.
Stato), regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) -
T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
INQUINAMENTO - MISE - Presupposti - Contaminazioni repentine - Art. 240
d.lgs. n. 152/2006 - Imposizione della MISE in caso di contaminazioni pregresse,
senza adeguata motivazione - Illegittimità. Ai sensi dell’art. 240 del
d.lgs. n. 152/06, la MISE può essere disposta solo in caso di contaminazioni
“repentine”, al fine di “contenere la diffusione delle sorgenti primarie di
contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a
rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa
in sicurezza operativa o permanente.” Non appare pertanto legittima
l’imposizione della MISE in caso di contaminazioni pregresse, senza alcuna
motivazione specifica sulla situazione di emergenza e sull’esigenza di
scongiurare il rischio immediato che possano giustificare l’intervento richiesto
(cfr., quanto alle differenze tra procedimento di bonifica e MISE, TAR Sicilia,
Catania, sez. I, sent. n. 1254/2007). Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a.
(avv. Dell’Anno) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare e altri (Avv. Stato), regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e
Campus) e altri (n.c.) - T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
INQUINAMENTO - MISE - Prescrizioni particolarmente onerose - Istruttoria -
Valutazione del rapporto costi/benefici - Necessità. Gli interventi di MISE
non possono prescindere da una valutazione di opportunità alla stregua del
rapporto costi/benefici della soluzione proposta. Una prescrizione
particolarmente onerosa necessita di un’istruttoria adeguata, sia per verificare
il suo carattere risolutivo rispetto alla situazione di rischio accertata, sia
per verificare gli effetti sulle dinamiche idriche e geologiche dell’area
sottostante (fattispecie riferita ad una barriera fisica di confinamento delle
acque di falda contaminate; cfr. in termini:Tar Puglia, Lecce sent. n.
2247/2007), sia infine per scongiurare il pericolo che una simile imposizione
possa finire per produrre sull’ambiente più problemi di quelli che tende a
risolvere. Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato),
regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) -
T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
VIA - Barriera fisica di confinamento delle acque di falda contaminate di
profondità superiore a 10 m - Sottoposizione a VIA - Necessità - Art. 23, punto
15 del d.lgs. n. 152/2006 - Dighe - Sviluppo in profondità piuttosto che in
altezza - Irrilevanza. La costruzione di una barriera fisica finalizzata ad
intercettare le acque di falda contaminate, di profondità superiore a 10 m, deve
essere assoggettata a valutazione di impatto ambientale, potendosi equiparare
all’ipotesi di cui all’allegato A, lett. r), art. 1, c. 3 del D.P.R. 12 aprile
1996 (ora art. 23, punto 15 del d.lgs. n. 152/2006 - Dighe e altri impianti
destinati a trattenere le acque o ad accumularle in modo durevole di altezza
superiore a 10 m e/o di capacità superiore a 100.000 metri), non rilevando a tal
fine la circostanza che l’opera non si sviluppi in altezza ma in profondità. La
questione va infatti affrontata in termini sostanziali e non meramente formali,
tenendo conto che la ratio della disposizione sopra riportata, anche alla
stregua della direttiva 85/337/CEE, è quella di sottoporre a VIA le opere che
possono avere implicazioni durature sulla composizione del suolo, sulla fauna e
sulla flora e che possono indurre un impatto considerevole sull’ambiente (cfr.
art. 4 d.lgs n. 152/2006). Non vi è dubbio che un’opera delle dimensioni e di
impatto come la barriera di confinamento in questione (delle misure di 2,5 km di
lunghezza, per 1,5 metri di larghezza e di 30/50 metri di profondità ) determini
un’incidenza ambientale importante su tutte le matrici interessate. Pres. Tosti,
Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c. Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato), regione Autonoma della
Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) - T.A.R. SARDEGNA, Sez. II -
8 ottobre 2007, n. 1809
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SARDEGNA
SEZIONE SECONDA
Sent. n. 11809/2007
Ric. n. 1073/2006
sul ricorso n. 1073/2006 proposto da ENDESA Italia SpA, rappresentata e difesa
dal prof. Avv.to Paolo Dell'Anno, con domicilio eletto in Cagliari, via Alghero
n. 54 presso lo studio dell’avv.to Davide Tomba
contro
- il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare in persona
del Ministro pro-tempore, il Ministero della Salute in persona del Ministro
pro-tempore e il Ministero dello Sviluppo Economico in persona del Ministro
pro-tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura distrettuale dello Stato,
con domicilio eletto in Cagliari Via Dante n. 23 presso la sua sede;
- la Direzione Qualità della Vita presso il Ministero dell’Ambiente in persona
del Direttore Generale pro-tempore, non costituitasi in giudizio;
- la Regione Autonoma della Sardegna in persona del Presidente della Giunta
pro-tempore e l’Assessorato Regionale Difesa Ambiente, in persona dell’Assessore
pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati: Laura Picco e Graziano
Campus, con domicilio eletto in Cagliari viale Trento n. 69 presso l’Ufficio
Legale della Regione Sarda;
- il Presidio Multizonale Prevenzione Asl n.1, non costituitosi in giudizio;
- l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale Sardegna, non costituitasi in
giudizio;
- la Provincia di Sassari in persona del Presidente pro-tempore e l’Assessorato
Tutela Ambiente presso la Provincia Sassari, non costituitisi in giudizio;
per l'annullamento, quanto al ricorso principale,
- del verbale della Conferenza dei servizi decisoria tenuta presso il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 30/8/2006;
- delle determinazioni assunte dalla medesima Conferenza in relazione al punto 8
dell’ordine del giorno;
- del verbale della Conferenza di servizi istruttoria del 30/3/2006 e della nota
del 28/9/2006, di trasmissione del verbale della conferenza di servizi decisoria
del 30/8/2006;
quanto ai motivi aggiunti
- del decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio,
Direzione Generale per la qualità della vita, prot. 3306/QDV/DI/B del 6 febbraio
2007;
VISTO il ricorso, con i relativi allegati;
VISTI i motivi aggiunti depositati in data 22/3/2007;
VISTO l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna,
dell’Assessorato Regionale Difesa Ambiente, del Ministero Ambiente e della
Tutela Territorio, del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo
Economico;
VISTI gli atti tutti della causa;
NOMINATO relatore per la pubblica udienza del 11 luglio 2007 il Consigliere Rosa
Panunzio;
UDITI gli avvocati delle parti, come da separato verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
F A T T O
La ricorrente ENDESA è proprietaria di una centrale termoelettrica, denominata
Fiume Santo; l’impianto è compreso nell’area industriale di Porto Torres,
inserita tra i siti inquinati da sottoporre ad interventi di bonifica e
ripristino ambientale per effetto dell’art. 14 della legge 31 luglio 2002, n.
179, integrativo dell’art. 1, comma 4, della legge n. 426/1998.
Il piano della caratterizzazione del sito è stato approvato nel corso della
conferenza di servizi decisoria del 22 giugno 2004; eseguita la
caratterizzazione, i relativi risultati sono stati acquisiti dal Ministero
dell'Ambiente in data 3 luglio 2006.
Per le esigenze produttive, l'Azienda ricorrente chiedeva al Ministero
dell'Ambiente lo svincolo di un'area di circa 1 ha, compresa nell'area
denominata “Turbogas”: la relazione conclusiva dell’attività di
caratterizzazione di tale area è stata esaminata nella Conferenza di servizi
istruttoria del 30 marzo 2006.
Nel corso della Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006, convocata
per deliberare sulla relazione conclusiva dell’attività di caratterizzazione
della suddetta area “Turbogas”, il Direttore della Direzione del Ministero
dell'Ambiente Qualità della Vita comunicava che era emerso un esteso stato di
contaminazione della falda, anche in forma di hot spot, di sostanze cancerogene
(piombo, manganese e triclorometano); evidenziava, pertanto, la necessità che
l'Azienda attivasse la realizzazione di un sistema di confinamento fisico, lungo
l’affaccio al mare, dell'area della Centrale, al fine di impedire la diffusione,
nel mare, della contaminazione rilevata nelle acque di falda.
La Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006 recepiva la proposta del
suddetto Direttore.
Contro questo provvedimento, e in particolare contro le determinazioni assunte
dalla suddetta Conferenza in relazione al punto 8) dell'ordine del giorno,
propone, la società ENDESA, ricorso giurisdizionale, deducendo i seguenti motivi
di censura:
1) violazione dell'art. 14 ter, comma 6 bis della legge 241/1990, assenza della
determinazione conclusiva dell'amministrazione procedente. Non è stato adottato
il provvedimento finale del procedimento: il Ministero dell'Ambiente avrebbe
dovuto emanare una determinazione conclusiva motivata;
2) violazione ed erronea applicazione dell'art. 242, comma 3, 245 e 252 del
decreto legislativo n. 152/2006, carenza di potere; l'amministrazione statale
non ha alcuna competenza in merito agli interventi di messa in sicurezza
d'emergenza, adottati dal responsabile dell'inquinamento o dai soggetti
interessati alla bonifica non responsabili dell'inquinamento;
3) violazione ed erronea applicazione dell'articolo 242, 244, 245, 252; eccesso
di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto di
motivazione; non vi è alcuna motivazione in ordine alla identificazione del
responsabile dell'inquinamento, ma esiste una procedura articolata che distingue
gli obblighi del responsabile dell'inquinamento (art. 242) rispetto a quelli del
proprietario non responsabile dello stesso (art. 245). Il proprietario non
responsabile non è obbligato ad eseguire gli interventi di bonifica in quanto la
legge riserva la situazione di obbligo solo al responsabile; la sua situazione
può ricondursi alla figura dell'onere, rimanendo tale anche in seguito
all'attivazione spontanea delle procedure per la messa in sicurezza e bonifica
del sito. Ma la costituzione ex lege di un onere reale sulle aree inquinate e
gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, in quanto obbligazione
gravante sul terreno, comporta che il proprietario del terreno non possa essere
gravato oltre il valore dello stesso (art. 253, comma 4, D. Lgs. 152/2006). Le
amministrazioni partecipanti alla Conferenza di servizi impugnata non si sono
pronunciate sul responsabile dell'inquinamento, eludendo l'obbligo giuridico
della sua ricerca;
4) violazione ed erronea applicazione dell'articolo 242, 244, 245, 252; eccesso
di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto di
motivazione; l'ordine di realizzare un sistema di sbarramento fisico contiguo,
lungo l'affaccio al mare dell'area della centrale, si basa sull’inquinamento
della falda, del quale la società ricorrente non è in alcun modo responsabile;
la contaminazione riscontrata in area ENDESA proviene da siti posizionati a
monte della centrale; per quanto riguarda la presenza di arsenico si deve
rilevare che la sua concentrazione è correlata alla naturale presenza di
quest'elemento nei terreni di riporto e che, comunque, lo stesso non è presente
nella falda. Anche i solfati sono riconducibili all'influenza dell'acqua marina;
5) erronea e falsa applicazione dell'articolo 240, comma 1, lett. M del d. lgs.
n. 152/2006; eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancanza di
presupposti, difetto di motivazione. Se si tratta di un'intervento di messa in
sicurezza d'emergenza ci si deve riferire all'art. 240 e, comunque, vi è un
difetto di istruttoria e di motivazione circa il verificarsi di "condizioni
d'emergenza", ma nel caso di specie, non sussistono tali condizioni. L'articolo
242 sopra citato prevede che al superamento delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC) consegua l'obbligo di predisporre il piano della
caratterizzazione e, successivamente, l'analisi di rischio come definita
dall'articolo 240, lett. s; è solo l'analisi di rischio che individua le
concentrazioni soglia di rischio (CSR): prima il sito è potenzialmente
contaminato e fa sorgere l'obbligo della caratterizzazione e della successiva
analisi di rischio, quindi, in assenza di effettive condizioni di emergenza non
è necessario procedere alla messa in sicurezza d'emergenza;
6) violazione dell'art. 4, comma 2, della DIR. 85/337/CEE, allegato II, punto
10, lett. E; violazione dell'art. 1, comma 3 del D.P.R. 12 aprile 1996, in
relazione all’allegato A, lett. R; violazione dell'art. 1, comma 4, del D.P.R.
12 aprile 1996, in relazione all’allegato B. lett. O. Omessa valutazione di
impatto ambientale; la costruzione di una barriera fisica, finalizzata ad
intercettare le acque di falda contaminate, rientra fra i progetti per i quali è
necessaria la previa valutazione di impatto ambientale trattandosi di una
barriera che dovrà avere una profondità superiore a 10 m. Se non si vuole
assimilare la stessa ad una "diga" deve, comunque, farsi rientrare fra gli
“interventi di bonifica… destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi
quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio... lacuale “;
7) violazione e falsa applicazione dell'allegato 3 al titolo V, della parte IV
del decreto legislativo n. 152/2006; eccesso di potere per difetto di
istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti e difetto di
motivazione; manifesta irragionevolezza, violazione del principio comunitario
dell’applicazione delle migliori tecnologie a costi sopportabili, violazione del
principio di proporzionalità; l'ordine di realizzare una barriera fisica é
illegittima anche per le seguenti ragioni: a) l’imposizione di realizzare una
barriera di contenimento fisico della falda si pone in contrasto con i caratteri
della necessità ed urgenza, propri degli interventi di messa in sicurezza di
emergenza, sarebbe stato più ragionevole prescrivere la costruzione di una
barriera idraulica costituita da pozzi di emungimento, b) se non vi sono i
presupposti per qualificare l'intervento prescritto come intervento di
emergenza, la barriera fisica e il sistema di emungimento della falda sono, in
realtà, interventi di bonifica da realizzarsi solo in seguito all'accertamento
del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), ossia solo dopo la
caratterizzazione del sito e dopo l'analisi di rischio;
8) violazione dell'art. 3 della legge 241/1990, eccesso di potere per difetto di
istruttoria e di motivazione; la Conferenza di servizi decisoria ha subordinato
la restituzione agli usi legittimi della porzione di area denominata “Turbogas”
alla condizione che l'azienda, atteso il superamento rilevato in un piezometro
superficiale, per i parametri solfati e manganese, provvedesse alla elaborazione
e trasmissione del progetto di bonifica della falda, basato sul confinamento
fisico, ma, come detto non vi è alcuna ragione per imporre in sede di progetto
di bonifica il confinamento fisico della falda potendo essere adottate soluzioni
alternative quali, per esempio, una barriera idraulica;
9) violazione dell'art. 242 del decreto legislativo n. 152/2006, omessa analisi
di rischio, eccesso di potere per sviamento; manca l'espletamento dell'analisi
di rischio, il sito, quindi, è solo potenzialmente contaminato e non è legittimo
procedere alla bonifica in assenza della determinazione delle concentrazioni
soglia di rischio (CSR), il cui superamento rende il sito contaminato.
Con atto depositato in data 22 marzo 2007 la ricorrente propone motivi aggiunti
contro il decreto prot. 3306/QDV/DI/B del 6 febbraio 2007 emanato - nelle more -
dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione
Generale per la Qualità della Vita, che ha attribuito efficacia alle
determinazioni assunte nella Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006.
Le censure dedotte con i motivi aggiunti sono identiche a quelle proposte con il
ricorso principale, con esclusione della censura indicata sopra sub 1), che non
è stata riproposta.
Si sono costituite in giudizio sia l'amministrazione regionale che
l'amministrazione statale intimata; la prima chiede - pregiudizialmente -
l’estromissione dal giudizio; nel merito chiedono entrambe, per il tramite dei
propri difensori, la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti, con vittoria
di spese.
Con ordinanza n. 5/2007 sono stati ordinati atti e documenti utili al fine della
decisione ed è stata accolta, a termine, la domanda cautelare.
Con successiva ordinanza n. 44/2007 è stata reiterata la richiesta di
documentati chiarimenti ed è stata prolungata la sospensione del provvedimento
impugnato.
Infine, con ordinanza n. 126/2007, è stata accolta l'istanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 11 luglio 2007, presenti i difensori delle parti, la
causa è stata assunta in decisione dal Tribunale.
D I R I T T O
Con il presente ricorso e con i motivi aggiunti si contesta il procedimento, di
cui la Conferenza di servizi decisoria del 30/8/2006 (impungnata con il ricorso
principale) rappresenta una fase, conclusosi con il decreto del Direttore
Generale per la Qualità della Vita n. 3306 del 6 febbraio 2007 (impugnato con
motivi aggiunti), che, per la parte relativa alla ricorrente, ha approvato e
considerato definitive tutte le prescrizioni contenute nei verbali delle
Conferenze decisorie ed in particolare di quella del 30/8/2007.
Pregiudizialmente ritiene il Collegio debba essere esaminata la domanda della
Regione sarda di estromissione dal presente giudizio, perchè “la posizione
giuridica degli Assessorati regionali non riveste una rilevanza autonoma nella
controversia, in quanto tali rami dell’Amministrazione regionale…non
costituiscono l’Organo che deve concludere il procedimento con l’adozione del
provvedimento finale”.
La domanda deve essere respinta.
Non ritiene il Collegio di dover estromettere la Regione dal presente giudizio,
in quanto se pur non amministrazione cui imputare il provvedimento finale
definitivo, è soggetto pubblico che ha partecipato alla Conferenza dei servizi
decisioria (nella quale era presente nella persona del dott. Pisu, come
riscontrato nel verbale) e condiviso le soluzioni in quella sede assunte,
soluzioni che poi sono state integralmente riversate nel decreto del Direttore
Generale del Ministero, deve, quindi, ritenersi la Regione amministrazione
coinvolta nel procedimento de quo sia nella fase istruttoria sia nella fase
decisioria.
In punto di fatto, la Conferenza di servizi istruttoria del 30/3/2006 aveva
imposto alla ricorrente la elaborazione di un Progetto di bonifica della falda,
successivamente, la Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006,
convocata per deliberare sulla relazione conclusiva dell’attività di
caratterizzazione dell'area Turbogas, recependo il suggerimento del Direttore
della Direzione del Ministero dell'Ambiente Qualità della Vita, che riteneva vi
fosse un esteso stato di contaminazione della falda, anche in forma di hot spot,
di sostanze cancerogene (piombo, manganese e triclorometano), ha imposto
all’Azienda di attivarsi per la realizzazione di un sistema di confinamento
fisico dell'area della Centrale, lungo l’affaccio al mare, al fine di impedire
la diffusione (nel mare) della contaminazione rilevata nelle acque di falda.
Ritiene la Società ricorrente che tale imposizione sia illegittima, così come
sia illegittimo il subordinare la restituzione dell’area denominata “Turbogas”
alla elaborazione e trasmissione di un progetto di bonifica della falda basato
sul “confinamento fisico”.
Preliminarmente è opportuno precisare che la Conferenza dei servizi decisoria è
stata seguita da apposito decreto del Direttore della Direzione del Ministero
dell'Ambiente Qualità della Vita, che ha approvato e rese definitive le
determinazioni da essa adottate; ora, tale provvedimento finale è stato
censurato dalla società ricorrente (con motivi aggiunti) per gli stessi identici
vizi dedotti contro la determinazione della Conferenza dei servizi, tranne che
per il primo motivo del ricorso principale (orami privo di rilevanza), con il
quale si lamentava l’assenza della determinazione conclusiva da parte del
Ministero dell'Ambiente.
Con il secondo mezzo del ricorso principale (primo dei motivi aggiunti) deduce,
la difesa della ricorrente, violazione ed erronea applicazione dell'art. 242,
comma 3, 245 e 252 del decreto legislativo n. 152/2006, assumendo che
l'amministrazione intimata non ha il potere di imporre alcuna prescrizione “in
merito agli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, adottati dal
responsabile dell'inquinamento…o dai soggetti interessati alla bonifica non
responsabili dell'inquinamento”.
A parte la poca chiarezza della
censura, la stessa, laddove voglia affermare che il Ministero dell’Ambiente non
ha la competenza di imporre un facere nell’ipotesi di inquinamento di siti di
interesse nazionale, appare, comunque, infondata.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. 152/2006 così recita:
“4. La procedura di bonifica di cui all'articolo 242 dei siti di interesse
nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive. Il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio può avvalersi anche
dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT),
delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni
interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti
qualificati pubblici o privati”.
L’art. 242 disciplina nel dettaglio le procedure amministrative per giungere
alla bonifica del sito, che è il momento finale e conclusivo dell’intervento, ma
non solo, si occupa anche degli interventi per così dire “temporanei” quali la
messa in sicurezza del sito operativa e di emergenza (cfr. comma 7)
La gestione delle misure necessarie volte a eliminare l’inquinamento del sito
contaminato è di competenza della Regione, che opera attraverso una Conferenza
di servizi, come recita il comma 10: “…La regione, acquisito il parere del
comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e
sentito il soggetto responsabile, approva il progetto (ndr. trattasi del
progetto degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o
permanente, e, ove necessario, delle ulteriori misure di riparazione e di
ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il
rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito), con
eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo
ricevimento.
Nel caso di specie appare fuor di dubbio al Collegio che vi sia stato uno
spostamento della competenza regionale a favore del Ministero in quanto il sito
ricade nell’area industriale di Porto Torres, inserita tra i siti di interesse
nazionale inquinati da sottoporre ad interventi di bonifica e ripristino
ambientale per effetto dell’art. 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179,
integrativo dell’art. 1, comma 4, della legge n. 426/1998.
L’art. 18, comma 2, della suddetta legge dispone:
“2. Per realizzare il programma di interventi di cui al comma 1, (ndr.
interventi di bonifica da porre in essere nei siti di importanza nazionale) il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio stipula, con i Ministri
dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile, delle
attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, con i presidenti
delle giunte regionali, delle province e con i sindaci dei comuni
territorialmente competenti, uno o più accordi di programma per l'approvazione
del progetto definitivo di bonifica e di ripristino ambientale. Gli accordi di
programma comprendono il piano di caratterizzazione dell'area e l'approvazione
delle eventuali misure di messa in sicurezza di emergenza, gli interventi di
bonifica o di messa in sicurezza definitiva e l'approvazione del progetto di
valorizzazione dell'area bonificata.”.
Dalla lettura della complessa normativa sopra richiamata, si desume la volontà
del legislatore di attribuire ad un organo dello Stato la competenza in materia
di siti di interesse nazionale inquinati, come tassativamente individuati dalla
legge n. 179/2002, fra i quali sono indicate le “Aree industriali di Porto
Torres”.
Con il quinto, oltre che con il settimo motivo al primo strettamente connesso
del ricorso principale (quarto e sesto dei motivi aggiunti) si deduce erronea e
falsa applicazione dell'art. 240, comma 1, lett. M del d. lgs. n. 152/2006;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto
di motivazione, manifesta irragionevolezza, violazione del principio comunitario
delle applicazioni delle migliori tecnologie a costi sopportabili, violazione
dei principi di proporzionalità.
Assume, l’interessata, che, se si tratta di un'intervento di messa in sicurezza
d'emergenza ci si deve riferire all'art. 240 e che, comunque, vi è un difetto di
istruttoria e di motivazione circa il verificarsi delle "condizioni
d'emergenza", non sussistenti nel caso di specie. Lamenta anche che
l’imposizione di una barriera di contenimento fisico della falda si pone in
evidente contrasto con i caratteri dell’urgenza propri degli interventi di
M.I.S.E. (messa in sicurezza di emergenza) e che sarebbe stato più ragionevole
prescrivere la costruzione di una “barriera idraulica costituita da pozzi di
emungimento”, mentre in realtà si è imposto un intervento appartenente al ben
diverso genere delle bonifiche.
Ad avviso del Collegio le censure sono fondate e devono, pertanto, essere
accolte.
Le questioni introdotte sono sostanzialmente due: a) la prima riguarda gli
accertamenti effettuati in ordine alla situazione di emergenza e, b) la seconda
riguarda la tipologia d’intervento prescritta.
a) L’art. 240 del d.lgs 152/06, lett. “m”, prevede che la M.I.S.E. possa essere
disposta solo in caso di eventi di contaminazione “repentini” al fine di
“contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il
contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di
eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o
permanente.” .
Nel caso del sito di interesse nazionale di Porto Torres sussistono fenomeni di
contaminazioni pregresse e non vi è nel verbale della Conferenza di servizi
decisoria impugnata alcun riferimento alla situazione di emergenza “repentina”
che possa giustificare l’intervento richiesto; già nella Conferenza di servizi
istruttoria del 30/3/2006, la direzione Generale del ministero nella persona del
direttore (Ing. Tassoni), attesi i superamenti rilevati in un piezometro
superficiale per i parametri solfati e manganese, aveva richiesto all'Azienda di
provvedere alla elaborazione e trasmissione del Progetto di bonifica della
falda. Era quindi in corso una attività concordata di intervento di bonifica.
Non è stato affatto chiarito dalla Conferenza decisoria la novità dell’emergenza
rispetto a qualche mese prima. In ordine a tale profilo nel verbale si legge
testualmente: “Il Dott. Mascazzini informa i partecipanti alla Conferenza di
Servizi odierna che, da un esame preliminare condotto su tale elaborato (ndr.
risultati delle attività di caratterizzazione della Centrale trasmessi
dall’Azienda) dagli Uffici della Direzione Qualità della Vita nonché dalla
relazione di validazione delle risultanze medesime …. é emerso un esteso stato
di compromissione delle acque di falda, connesso alla presenza di molteplici
superamenti di limiti vigenti in materia di bonifiche, anche in forma di hot
spot di sostanze cancerogene”.
Manca, ad avviso del Collegio, come rilevato in ricorso, una motivazione
specifica circa la gravità della situazione denunciata e le condizioni di
emergenza che hanno imposto la realizzazione di un sistema di sbarramento fisico
continuo lungo l’affaccio a mare dell'area della Centrale che più si attaglia ad
una bonifica del sito; ma, anche volendo ammettere (seguendo le argomentazioni
della difesa erariale) che la sola rilevazione della contaminazione delle falda,
attesa “la stessa natura del mezzo attraverso cui la contaminazione si propaga
(falda acquifera), unita alle circostanze spaziali in concreto sussistenti
(estrema vicinanza del bersaglio sensibile costituito dal mare)”, ha determinato
“da un lato il carattere repentino del fenomeno di inquinamento e, dall'altro,
le condizioni di emergenza richieste dalla legge”, deve tuttavia essere rilevato
che niente di tutto questo è riportato nel verbale, dove non si parla di
interventi di emergenza in relazione al confinamento fisico.
b) In relazione alla legittimità della tipologia d'intervento richiesto non può
non evidenziarsi che, sia per la sua estensione che per la sua qualità
l’Amministrazione ha, di fatto, configurato ed imposto la realizzazione di un
vero e proprio progetto di bonifica.
Se pure l’intervento richiesto sia definito dalla difesa erariale una “messa in
sicurezza d’emergenza”, tuttavia, nel verbale della Conferenza decisioria tale
circostanza sembra essere smentita, soprattutto laddove si legge: “La Conferenza
di servizi decisoria… delibera di richiedere all’Azienda di attivare entro 20
giorni dalla data di notifica del presente verbale, nelle more della
realizzazione della predetta opera di confinamento fisico, idonei interventi di
messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda in tutti i pozzi in
corrispondenza dei quali è stata rilevata la presenza di hot spot”
In effetti, dalla lettura del verbale sembra emergere che l’intervento proposto
non sia ricollegabile ad una “messa in sicurezza d’emergenza” (forse si tratta
di una “messa in sicurezza operativa”), in ogni caso, al di là della sua esatta
definizione giuridica, è da sottolineare che il tipo di intervento imposto, che
appare comunque dettato dalla necessità, contrasta con il fine che si intende
raggiungere, che è la sola messa in sicurezza del sito in attesa di provvedere
alla sua bonifica, sulla base di un progetto articolato e complesso.
Ora, il procedimento di bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne
assicurano la ponderazione e quindi la qualità, “la MISE è invece un
contenimento immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una
procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i
suoi limiti naturali a pena del rischio di interventi frettolosi ed
inappropriati che, nel tema della tutela ambientale, sono in maniera del tutto
intuibile, completamente esclusi dal novero delle previsioni legislative”.
(così: TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 1254/2007).
In realtà l’Amministrazione, così operando, impone questa misura di intervento
solo per ottenere nel minor tempo possibile il disinquinamento, e ciò al di
fuori delle più complesse prescrizioni imposte per legge ai fini di bonifica,
sicuramente più onerose da un punto di vista procedimentale, perché il
legislatore si prefigge “obiettivi di qualità ambientale e di recupero
dell’ambiente dall’inquinamento molto più approfonditi, radicali, complessi e
strutturati, di quelli ottenibili con una MISE, ossia quegli unici tipi di
obiettivi che possono assicurare il reale recupero del tessuto ambientale
compromesso, laddove la MISE è istituto (tecnico, prima che giuridico), volta al
solo “contenimento” della matrice compromessa, ossia alla limitazione degli
effetti dell’inquinamento allo scopo di impedirne l’ulteriore propagazione, non
certamente idonea quindi al recupero di essa”. (sent. sopra citata TAR Sicilia).
La prescrizione di utilizzare per il confinamento delle acque di falda una
barriera fisica, anziché una barriera idraulica costituita da pozzi di
emungimento, o altra soluzione ipotizzabile, non risulta, invece, in alcun modo
motivata da adeguati accertamenti tecnici, che la indichino come unico e
migliore sistema di messa in sicurezza del sito idoneo a scongiurare, in una
situazione contingente e provvisoria, la diffusione della contaminazione, né la
scelta risulta supportata da dati tecnici che illustrino modalità, tempi di
realizzazione, obblighi giuridici coerenti con l’urgenza dell’intervento e con
la dedotta esigenza di scongiurare il rischio immediato.
Anche a seguito delle istanze istruttorie avanzate dal Collegio, dirette
specificamente alla conoscenza degli “accertamenti e valutazione dei dati e dei
fatti che hanno determinato la prescrizione del confinamento fisico”
l’amministrazione, con un’ampia relazione, ha confermato l’esistenza di fonti
inquinanti- non messa in discussione- ha ribadito il dato- incontestato- che la
ricorrente risulta inserita nell’inventario nazionale degli stabilimenti
“suscettibili” di causare incidenti rilevanti,ha confermato che la bonifica
integrale del sito è condizione della sua utilizzazione per gli “usi legittimi”
ma “circa la compatibilità –sul piano tecnico- della barriera fisica” si è
limitata ad affermare, in modo laconico ed apodittico, che “considerate le
caratteristiche sito specifiche, essa potrebbe essere certamente realizzabile”.
La risposta fornita non è su questo punto esaustiva, né si rafforza in base alle
considerazioni della difesa, che, in sede di discussione, ha giustificato la
scelta con il riferimento all’esercizio di discrezionalità tecnica, quasi a
sancirne, in giudizio, la insindacabilità.
E’ appena il caso di richiamare sul punto i principi ormai pacifici in
giurisprudenza secondo i quali, esclusa ormai l’equazione discrezionalità
tecnica-merito insindacabile, il controllo giurisdizionale non è più formale ed
estrinseco,ma si può spingere fino alla verifica diretta dell’attendibilità
delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a
criterio tecnico ed a procedimento applicativo, senza arrivare alla sostituzione
nell’effettuazione di valutazioni opinabili (cfr. tra le più recenti: Cons Stato
VI 11/4/2006, n.2001, 27/2/2006, n.829, ma anche, in particolare, VI 7/11/2005,
n.6152).
Nella specie, nonostante le specifiche richieste, non sono stati indicati gli
elementi tecnici controllabili, in sede di giudizio, anche con l’ausilio degli
strumenti istruttori disponibili (verificazioni, CTU ecc.), di modo che hanno
trovato conferma, allo stato degli atti, le censure di eccesso di potere dedotte
nel settimo motivo, che sono sintomatiche dell’esercizio illegittimo ed
arbitrario della discrezionalità tecnica.
Ma vi è un altro profilo evidenziato in ricorso che merita riflessione: non è
stata neppure valutata l’opportunità dell’intervento alla stregua del rapporto
costi/benefici per l’Azienda, non si è affatto tenuto conto degli altissime
spese occorrenti per costruire una barriera delle dimensioni necessarie per il
confinamento (nella relazione della società “Lithos” in atti, non contestata, a
pag. 7, si parla di un’opera ciclopica assimilabile ad una diga, delle misure di
2,5 km di lunghezza, per 1,5 metri di larghezza e di 30/50 metri di profondità).
Ad avviso del Collegio una tale opera avrebbe avuto bisogno di una istruttoria
adeguata, sia per verificare il suo carattere risolutivo rispetto alla
situazione di rischio accertata, sia anche per verificare gli effetti che tale
barriera fisica avrebbe sortito sulle dinamiche idriche e geologiche dell’area
sottostante (cfr. in termini:Tar Puglia, Lecce sent. n. 2247/2007).
Non vi è dubbio che una approfondita istruttoria appare ancora più necessaria
nella materia de qua, anche al fine di scongiurare il pericolo che la quanto mai
onerosa prescrizione imposta alla ricorrente possa produrre sull’ambiente più
problemi di quelli che tende a risolvere.
Anche se l’accoglimento dei motivi appena affrontati determina l’accoglimento
del ricorso, ritiene il Collegio opportuno esaminare anche il sesto motivo di
censura con il quale la ENDESA assume che la costruzione di questa barriera
fisica (finalizzata ad intercettare le acque di falda contaminate), rientra fra
i progetti per i quali è necessaria la previa valutazione di impatto ambientale,
trattandosi di un’opera che dovrà avere una profondità superiore a 10 m.; o che,
se non si vuole assimilare la stessa ad una "diga", comunque, rientra fra gli
“interventi di bonifica… destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi
quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio... lacuale”. (Lett. o)
punto 7, Allegato B al DPR 12.4.1996), dove la realizzazione dell’opera deve
quantomeno essere sottoposta alla fase di verifica per stabilire se è necessario
procedere o meno alla valutazione di impatto ambientale.
Ad avviso del Collegio la censura è fondata.
Premesso che inspiegabilmente nessuno studio risulta essere stato condotto
dall’Amministrazione al fine di verificare l’impatto che la realizzazione di
tale progetto arrecherebbe sul territorio circostante, ad avviso di questo
Collegio, condividendo quanto già sostenuta in un caso analogo dal TAR Sicilia
(sent. sopra citata) “l’opera di confinamento fisico ipotizzata dal Ministero
dell’Ambiente ed imposta con i provvedimenti impugnati è soggetta a procedura
obbligatoria di valutazione di impatto ambientale, sia ai sensi della normativa
pre-vigente (in quanto rientrante, in particolare, negli impianti contemplati
dall’art. 1, comma 1, lett. l) del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377), sia ai
sensi delle nuove norme in materia ambientale approvate con il D.Lgs 3 aprile
2006, n. 152.”.
In particolare, l’art. 1, comma 1 del dpcm 10 agosto 1988, n. 377 in relazione
alla procedura di valutazione di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n.
349, elenca fra i progetti da sottoporre alla VIA quelli relativi ad opere
rientranti nella seguente categoria:…lett. l) impianti destinati a trattenere,
regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o
che determinano un volume d'invaso superiore ad 1.000.000 metri cubi, nonché
impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini
energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un
volume d'invaso superiore a 100.000 metri cubi”;
La disposizione è stata sostanzialmente ampliata e riproposta con il D.P.R. 12
aprile 1996, e la barriera di cui si tratta, ad avviso del Collegio, ben può
rientrare fra i progetti di cui all’allegato A, lett. r) art. 1, comma 3, che
sottopone, tra altre opere, alla procedura di valutazione di impatto ambientale:
“r ) Dighe ed altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le
acque in modo durevole, ai fini non energetici, di altezza superiore a 10 m e/o
di capacità superiore a 100.000 mc.”.
Sul punto la difesa erariale, fermandosi alla lettera della disposizione, assume
che l’opera in questione non si sviluppa in altezza, ma in profondità e che
neppure potrebbe avere capacità superiore a 100.000 mc in quanto inidonea a
raccogliere le acque di falda.
Ritiene il Collegio che la questione vada approfondita in termini sostanziali e
non meramente formali, anche se la lettura letterale della disposizione può
condurre alla soluzione qui accolta, la barriera prescritta è difatti un
“impianto destinato a trattenere le acque in modo durevole ai fini non
energetici di altezza superiore a 10 metri”.
Comunque è evidente che vada soprattutto individuata la ratio della disposizione
sopra riportata.
La volontà del legislatore va, difatti, interpretata anche alla stregua della
direttiva comunitaria 85/337/CEE, in materia ambientale, dei cui contenuti il
DPR 16 aprile 1996 si fa carico, e non vi è dubbio che questa sia nel senso di
sottoporre al VIA quelle opere che possono avere implicazioni durature sulla
composizione del suolo, sulla fauna e sulla flora e che possono indurre un
impatto considerevole sull’ambiente, così come non vi è dubbio che un’opera
delle dimensioni e di impatto come quella richiesta alla ricorrente determini
un’incidenza ambientale importante su tutte le matrici interessate (suolo,
acque, paesaggio, ecc.).
In questa ottica, ad avviso del Collegio, si è mossa la nuova normativa di cui
al D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (entrato in vigore, per la parte che qui
interessa, il 31 luglio 2007), dove all’art. 4 si legge: “4. La valutazione di
impatto ambientale riguarda i progetti di opere ed interventi che, per la loro
natura o dimensione, possono avere un impatto importante sull'ambiente ed è
preordinata a garantire che gli effetti derivanti dalla realizzazione ed
esercizio di dette opere ed interventi sull'ecosistema siano presi in
considerazione durante la loro progettazione e prima dell'approvazione o
autorizzazione dei relativi progetti, o comunque prima della loro
realizzazione”.
L’art. 23, a sua volta, prescrive: “1. Sono assoggettati alla procedura di
valutazione di impatto ambientale: a) i progetti di cui all'elenco A
dell'Allegato III alla parte seconda del presente decreto, ovunque ubicati”, e
l’elenco A dell’Allegato III alla parte seconda prevede, tra i progetti di cui
all'articolo 23, comma 1, lettera a), al punto 15: “Dighe e altri impianti
destinati a trattenere le acque o ad accumularle in modo durevole di altezza
superiore a 10 m e/o di capacità superiore a 100.000 metri”.
Si esamina, da ultimo, la censura di cui all’ottavo motivo, dove la ricorrente
deduce il difetto di istruttoria e di motivazione in quanto illegittimamente la
Conferenza di servizi decisoria ha subordinato la restituzione agli usi
legittimi della porzione di area denominata “Turbogas” alla condizione che
l'Azienda, atteso il superamento rilevato in un piezometro superficiale, per i
parametri solfati e manganese, provvedesse alla elaborazione e trasmissione del
progetto di bonifica della falda, basato sul confinamento fisico.
Ad avviso del Collegio la censura è fondata e merita accoglimento anche alla
stregua delle considerazioni sopra svolte.
Si rileva un evidente contrasto, sul punto, tra gli esiti della Conferenza
istruttoria e quelli della Conferenza decisoria quanto alle condizioni per la
restituzione di parte dell’area in questione ed alle tecniche di bonifica
possibili, vizi riflettentisi sul decreto che ne ha approvato le prescrizioni.
Non appare, infatti, evidenziata nel corso del procedimento alcuna ragione per
imporre, in sede di progetto di bonifica, il confinamento fisico della falda,
mentre non risultano prese autonomamente in considerazione, o raffrontate negli
effetti e nei costi, soluzioni tecniche alternative quali, per esempio, una
barriera idraulica, né le valutazioni tecniche sulla dinamica della falda e
sulla provenienza delle fonti inquinanti, illustrate nella relazione dell’ARPA.
In ogni caso nella Conferenza istruttoria era stato chiarito che la suddetta
area, pari a circa 1 ha, “sia restituibile agli usi legittimi a condizione che
l’Azienda, attesi i superamenti rilevati in un piezometro superficiale per i
parametri solfati e manganese provveda …. alla elaborazione e trasmissione del
Progetto di bonifica della falda”.
La ulteriore condizione apposta, cioè che il progetto fosse “basato sul
confinamento fisico” , che appare per la prima volta nella Conferenza decisoria
impugnata, appare al Collegio illegittima perché totalmente carente sia di
motivazione in ordine alle problematiche dell’area denominata “Turbogas” sia di
adeguati approfondimenti istruttori rispetto ad altre soluzioni tecniche
possibili.
Né può ritenersi legittima giustificazione, seppure a posteriori, il rilievo che
identiche soluzioni siano state imposte ad altre Imprese o che altra società,
coinsediata nel sito, la società Terna, abbia presentato un progetto di bonifica
delle acque di falda basato proprio sul confinamento fisico.
La peculiare posizione della ricorrente meritava un’autonoma valutazione,
differenziandosi da quella di altri soggetti.
Alla stregua delle considerazioni svolte ed assorbiti gi ulteriori motivi di
censura, il ricorso è accolto e per l’effetto, viene annullato il decreto del
Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente
impugnato con i motivi aggiunti, nonché le determinazioni della Conferenza
decisoria del 30 agosto 2006, nella parte in cui delibera sul Punto 8)
all’ordine del giorno.
Alla soccombenza segue la condanna dell’Amministrazione statale intimata al
pagamento delle spese di giudizio che si liquidano nella misura indicata in
dispositivo.
Le spese nei confronti della Regione sarda, possono essere invece compensate,
atteso il ruolo di minore rilievo dalla stessa avuto nel procedimento
contestato.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA
Accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto annulla il decreto del Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente impugnato, nonché le determinazioni della Conferenza decisoria del 30 agosto 2006, nella parte in cui delibera sul Punto 8) all’ordine del giorno.
Respinge la domanda di estromissione dal giudizio della Regione sarda.
Condanna l’Amministrazione statale intimata al pagamento delle spese di giudizio
che liquida nella misura di € 3.000/00 (tremila/00), più IVA e CPA.
Compensa le spese nei confronti della Regione sarda.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio, il giorno 11 luglio 2007,
dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l'intervento dei
signori:
Lucia Tosti, Presidente;
Rosa Panunzio, Consigliere, estensore
Francesco Scano, Consigliere.
Depositata in segreteria oggi: 08/10/2007
il Segretario Generale
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