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TAR SICILIA, Catania, Sez. II, 20 luglio 2007, sentenza n. 1254
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
Conferenza di Servizi - L. n. 241/90, art. 14 ter, c. 6 bis - Adozione del
provvedimento finale da parte dell’Amministrazione responsabile del procedimento
- Valenza - Determinazioni della conferenza e atto conclusivo - Impugnazione.
Nel configurare il modulo procedimentale della Conferenza dei servizi, il
legislatore della riforma della l. 241/90, operata con la l. 15/2005, ha
previsto (art. 14 ter, c. 6) che, all’esito dei lavori della Conferenza
l’Amministrazione responsabile del procedimento adotti un “provvedimento finale”
che “adotti”, con valenza costitutiva, le determinazioni conclusive del
procedimento: non è escluso nella decisione finale il rappresentante
dell’Amministrazione decidente possa disattenderne motivatamente in tutto o in
parte il contenuto, naturalmente fatto salvo il riferimento agli orientamenti
“prevalenti” che sono elemento necessario della motivazione e che quindi non
vincolano, ma obbligano (in caso di decisione difforme) ad una penetrante
motivazione. Conseguentemente, laddove accada che le determinazioni della
conferenza dei servizi siano in sé vincolanti ed autoesecutive (per come
formulate), ferma restando la loro immediata impugnabilità, ciò non esclude che
debbano comunque tradursi nel provvedimento finale. Quest’ultimo, anche laddove
recepisca (anche se mediante un mero rinvio e quindi senza autonomia di
giudizio) le determinazioni delle conferenze dei servizi, costituisce atto
autonomamente lesivo, e inoltre sostituisce interamente le determinazioni (già)
autoesecutive delle conferenze richiamate, ne rinnova il contenuto facendo
decorrere nuovamente i termini per l’esecuzione degli obblighi imposti e,
correlativamente, obbliga i destinatari a riproporre un nuovo gravame, a pena di
acquiescenza e conseguente inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le
determinazioni della conferenza dei servizi. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I.
s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa
e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric.
- T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Bonifica - Art. 252 d.lgs. n.
152/2006 - Coordinamento interministeriale - Conferenza di servizi -
Adeguatezza. Il coordinamento interministeriale presupposto dall’art. 252
del dlgs 152/2006 è sicuramente garantito dal modulo procedimentale della
conferenza dei servizi, la quale, non a caso, è convocata “Qualora sia opportuno
effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un
procedimento amministrativo” (art. 14 comma 1 l. 241/90); formula, questa, che
il legislatore ha coniato per ricomprendere al suo interno qualsiasi forma di
collaborazione tra le Amministrazioni pubbliche, dalla quale non vi sono ragioni
formali o sostanziali per escludere il “concerto” o l’”intesa” presupposti
dall’art. 252 citato. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio,
Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune
di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Conferenza di servizi - Prescrizioni - Natura -
Espressione di indirizzo politico - Esclusione - Incompetenza del direttore
generale - Inconfigurabilità. Le prescrizioni adottate nella conferenza di
servizi convocata ai fini della determinazione degli interventi di bonifica in
un sito di interesse nazionale, pur presupponendo una profonda incidenza
nell’ambito dei livelli produttivi ed occupazionali dell’area interessata, non
possiedono quella valenza generale tale da far loro assurgere ad espressione di
indirizzo politico, posto che si prefiggono obiettivi gestionali di diretta
attuazione delle previsioni normative in materia. Pertanto, tutte le
prescrizioni adottate nelle Conferenze dei servizi in esame sono atti
amministrativi gestionali, come tali interamente soggetti alle regole
procedimentali di cui agli artt. 2 e ss. della l. 241/90, con particolare
riferimento all’obbligo di motivazione ed agli istituti della partecipazione, e
per essi non si può ritenere la sussistenza, ai fini dell’adozione, della
competenza del Ministro: questa rimane radicata nella persona del Direttore
generale. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e
Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e
Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I
- 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Costi e oneri di bonifica - Imposizione a carico del
proprietario o del detentore del fondo - Responsabilità e apporto causale
all’inquinamento riconducibile all’attività di questi - Accertamento - Necessità
- Inquinamento diffuso - Impossibilità dell’accertamento - Bonifica a carico
della P.A. - Vantaggio del proprietario del fondo in termini di aumento di
valore - Azione di arricchimento - Procedimento amministrativo per l’adozione
dei provvedimenti di bonifica - Partecipazione al procedimento del titolare di
diritti reali sul fondo - Necessità. Sono illegittime le determinazioni
amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del
detentore di un fondo i costi e gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei
suoli o dell’ambiente dai danni derivanti dall’inquinamento se non ne viene
accertata rigorosamente la responsabilità e quindi al di fuori dello specifico
apporto causale all’inquinamento riconducibile alla sua attività; in tema di
inquinamento “diffuso”, ossia in quei casi in cui detto accertamento non sia
possibile, la bonifica resta a carico della P.A. ed i relativi vantaggi dei
privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di
valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle
corrispondenti somme a carico dei titolari dei diritti reali sui fondi medesimi,
nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento; in ogni caso è da ritenersi
necessaria ed inderogabile la partecipazione dei privati titolari di diritti
reali sui fondi oggetto di bonifica (o comunque sui fondi nei quali sono
localizzate o localizzabili le fonti di inquinamento) al procedimento
amministrativo per l’adozione dei provvedimenti di bonifica e disinquinamento,
sia al fine dell’accertamento della responsabilità, che a quello della
determinazione delle modalità e dei costi della bonifica. Pres. Zingales, Est.
Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di
Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv.
Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio
2007, n. 1254
INQUINAMENTO - D.Lgs. n. 152/2006 - D.Lgs. n. 22/97 - Mutamento della norma
regolatrice del potere amministrativo - Ius superveniens - Intangibilità delle
situazioni giuridiche definite - Disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n.
152/2006 - Art. 264, lett. i) d.lgs. n. 152/2006. Nel caso di mutamento
della norma regolatrice del potere amministrativo, restano soggetti alla
previgente normativa solo quei sub-procedimenti che hanno prodotto effetti
consolidati o comunque legittimamente esteriorizzati e portati concretamente ad
esecuzione ed allorché, comunque, quest’ultima non sia più suscettibile di
revisione o modificazione. Ne deriva che l’applicabilità dello ius superveniens
(costituito, nella specie, dalle disposizioni di cui a D. Lgs. n. 152/2006, per
un procedimento avviato sotto il vigore della disciplina di cui al d.lgs. n.
22/97) in virtù della corretta interpretazione del principio “tempus regit actum”
, incontra il solo limite della intangibilità delle situazioni giuridiche ormai
definite o, in altri termini, delle fasi procedimentali dotate di piena
autonomia e definitività degli effetti. (Consiglio di Stato, VI, 18 giugno 2004,
nr. 4163; cfr. anche TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 29 aprile 2003, nr. 161;
Consiglio di Stato, VI, 27 dicembre 2000, n. 6890; T.A.R. Campania Napoli, 24
febbraio 1986 , n. 107). Va tuttavia osservato che il D.Lgs. n. 152/2006
contiene diverse tipologie di istituti e corrispondenti disposizioni normativa,
con altrettante regole transitorie di diverso tipo in ordine alla loro entrata
in vigore ed applicazione ai procedimenti in corso (ad esempio, artt. 52, 135,
146 e 149). In questo quadro generale, va osservato che l’art. 264 alla lettera
“i” prevede che, alla data di entrata in vigore della parte quarta del decreto,
è abrogato “il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare
che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente
normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i
provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22,
continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti
provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”. Il
riferimento alla “data di entrata in vigore” rende chiaro all’interprete che
continuano a trovare applicazione non già i procedimenti amministrativi (come
invece è espressamente previsto, ad esempio, nel citato art. 52), ma quei
“provvedimenti” correlati all’esercizio delle funzioni ed adempimenti
“normativi” previsti dagli artt. 195 e ss. a carico dello Stato, Regioni,
Provincie e Comuni, ed i provvedimenti pianificatori di cui agli artt. 199 - 201
in tema di piani di smaltimento dei rifiuti. In definitiva, l’art. 264 lett. “i”
non consente di ritenere che possano trovare applicazione le norme di cui al
dlgs 22/97 laddove queste siano riferite a procedimenti amministrativi o anche
programmi, piani, o procedure amministrative contenenti ordini di bonifica veri
e propri contenute in piani, programmi, obiettivi di risanamento ed atti di
competenza Ministeriale, specie, poi, se non si sono neppure tradotti in un
provvedimento finale vero e proprio: è, infatti, la stessa norma a presupporre,
con assoluta evidenza, che - comunque si vogliano intendere - i provvedimenti
esecutivi che continuano ad applicarsi sono quelli che sono entrati in vigore
prima dell’aprile del 2006. A tacere di qualsiasi dubbio sulla loro natura, non
potranno quindi essere presi in considerazione procedimenti di qualsiasi genere
che, pur se culminati in conferenze di servizi, non si sono tradotti in nessun
atto finale, posto che in ogni caso solamente quest’ultimo può conferire
l’efficacia esterna alle determinazioni della conferenza (e come tale
determinarne l’”entrata in vigore”). In base a questa disposizione, non può non
ritenersi che sono fatti salvi solo i procedimenti che si sono conclusi con una
espressa autorizzazione degli interventi di bonifica. Il provvedimento finale
intervenuto in data successiva alla entrata in vigore del decreto legislativo
152/2006 deve invece essere adottato in conformità alle disposizioni di
quest’ultimo. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria
e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di
Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - D.Lgs. n. 152/2006 - Principio “chi inquina paga” -
Introduzione formale nell’ordinamento - Accollo indifferenziato delle attività e
degli oneri di bonifica - Preventivo accertamento della responsabilità per
l’inquinamento. A seguito dell’ entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006,
non può più dubitarsi della piena vigenza del principio “chi inquina paga”.
Invero, prima della riforma della materia operata per mezzo del Decreto
legislativo 3-4-2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”) emanato in
attuazione alla legge delega 15.12.2004, nr. 308, non mancavano oscillazioni tra
pronunce tese a sostenere che tale principio avesse meramente valore
programmatico e fosse insuscettibile di trovare applicazione nell’Ordinamento
statuale interno, e pronunciamenti di segno opposto, questi ultimi prevalenti
soprattutto nella giurisprudenza penale (cfr. T.A.R. Emilia Romagna Bologna,
sez. I, 03 marzo 1999 , n. 86, in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti;
TAR Emilia Romagna, Bologna, I, 05 aprile 2001 nr. 300; favorevole, Cass.
Penale, III, 24 aprile 1995, nr. 7690; 13 ottobre 1995, nr. 11336). Essendo
stato però introdotto, anche formalmente, con il predetto d.lgs 152/2006,
nell’Ordinamento statuale interno, in recepimento di specifica direttiva
comunitaria, (direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, sulla responsabilità
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che, in
vista di questa finalità, «istituisce un quadro per la responsabilità
ambientale» basato sul principio «chi inquina paga», a sua volta fondata
sull’art. 174,comma 2, del Trattato istitutivo delle Comunità Europee), il
principio “chi inquina paga”, proprio in quanto principio, deve trovare
applicazione in tutti i procedimenti amministrativi. Quindi anche sotto questo
profilo, non può considerarsi legittimo l’accollo indifferenziato delle attività
e degli oneri di bonifica di un sito contaminato sui produttori che in esso
operano, senza il preventivo accertamento, con procedimento partecipato, delle
relative responsabilità per l’inquinamento riscontrato. Pres. Zingales, Est.
Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di
Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv.
Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio
2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 253 D.Lgs. n. 152/2006 - Art. 17 D.Lgs. n. 22/97
- Responsabilità del proprietario del suolo - Natura - Responsabilità aquiliana
- Fondamento - Proprietario incolpevole - Onere reale - Rapporto con
l’incremento di valore del fondo bonificato - Autore dell’inquinamento - Valore
dell’obbligazione - Rapporto con l’effettivo costo di bonifica. Il modello
di responsabilità che il legislatore ha accolto nella disciplina della tutela
ambientale dai rischi di inquinamento non e’ riconducibile alla responsabilità
oggettiva, ma, al contrario, specie in virtù della nuova normativa di cui al
dlgs 152/06, ma già per effetto della previgente disposizione di cui all’art. 17
del d.lgs. n. 22/97, è qualificabile come vera e propria responsabilità
soggettiva (pienamente di tipo aquiliano). Si deve, pertanto, affermare che,
quanto alla responsabilità per l’inquinamento, il proprietario incolpevole (che
non ha nessuna prova da offrire posto che spetta all’Amministrazione accertare e
dunque provare la responsabilità dell’inquinamento) sarà chiamato a rifondere i
costi della bonifica solo in relazione al suo rapporto con il bene, che si
traduce in termini di incremento di utilità da comprovarsi (onere della prova a
carico dell’Amministrazione: si tratta di una azione che rientra nell’alveo
dell’art. 2041 del codice civile e, in conseguenza, la prova dell’arricchimento
- sia nell’an che nel quantum - incombe sull’attore - cfr. Cass. Civile, I, 28
ottobre 2005, nr. 21096; Corte di Appello Reggio Calabria, 17 luglio 2004; TAR
Puglia, Bari, I, 05 novembre 2002, nr. 4833). Più precisamente, il recupero dei
costi da parte dell’Amministrazione potrà avvenire solo nei limiti del valore
dell’immobile o comunque nei limiti della concreta utilità che lo stesso ha
percepito (come aumento di valore del fondo bonificato): a tale fine, però,
l’onere reale deve risultare dai registri immobiliari (art. 253 dlgs 152/06) se
riferito ad interventi già effettuati e precedenti il titolo dell’acquisito
immobiliare o della costituzione del diritto reale sul bene, e deve essere
altresì iscritto in relazione al valore dell’intervento di bonifica i cui costi
sono andati a vantaggio del fondo. L’autore dell’inquinamento, invece, non
incontra limiti di valore nella sua obbligazione, la quale dovrà necessariamente
corrispondere all’intero importo delle operazioni di bonifica per inquinamenti a
lui imputabili, in relazione al nesso causale ed anche oltre i limiti della
ordinaria prevedibilità dei danni (trattandosi di illecito extracontrattuale), e
ciò anche se non abbia più il possesso, o la proprietà o comunque la
disponibilità dei suoli inquinati, (secondo TAR Liguria, I, 12 ottobre 2005, n.
1348, e 10 febbraio 2004, nr. 141, la relativa responsabilità è
imprescrittibile). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio,
Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune
di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Procedimento amministrativo preordinato alla
predisposizione degli interventi di bonifica - Responsabile dell’inquinamento e
proprietario incolpevole del fondo - Interesse partecipativo - Sussistenza.
Sia il responsabile dell’inquinamento che il proprietario incolpevole hanno
titolo a partecipare al procedimento amministrativo che è preordinato alla
predisposizione degli interventi di bonifica ed alla loro esecuzione. Quanto al
proprietario incolpevole, il suo interesse partecipativo al procedimento ove si
determinano le modalità della bonifica deriva dalla possibile sottoposizione a
subirne i costi, non essendo logicamente pretendibile che costi sproporzionati o
inutili (in quanto connessi a procedimenti di cui si contesti l’efficacia e
l’efficienza), o comunque determinati senza il responsabile apporto
partecipativo del proprietario incolpevole, siano posti a carico del privato
medesimo. Pertanto, non è legittimo addossare al privato incolpevole gli oneri
della bonifica, per interventi resisi necessari dopo l’acquisto dell’immobile, o
comunque laddove questi ultimi non risultino in tutto o in parte dalle
iscrizioni immobiliari, senza che costui abbia avuto la possibilità di offrire i
propri apporti collaborativi (e conseguentemente che l’Amministrazione abbia
motivato in maniera idonea l’eventuale decisione difforme, in tutto o in parte,
dalle proposte dell’avente interesse). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I.
s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa
e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric.
- T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Titolare di diritti reali sull’area interessata -
Acquisto dell’area in epoca successiva agli interventi di bonifica - Privilegio
in favore dell’amministrazione - Limiti - Obblighi di intervento sorti in epoca
successiva all’acquisto - Interesse alla partecipazione al procedimento
preordinato all’adozione dei provvedimenti di bonifica. Se il titolare del
diritto reale sull’area ha acquistato quest’ultimo diritto in epoca successiva
all’esecuzione degli interventi di bonifica, allora il limite della sua
sottoposizione al privilegio in favore dell’Amministrazione sarà dato dalle
risultanze dei registri immobiliari, ossia dalla esistenza della iscrizione
formale e costitutiva verso terzi dell’onere reale (e del relativo importo);
laddove, invece, non sia stata annotata nei registri immobiliari l’esistenza e
l’importo del privilegio oppure l’evidenza dell’inquinamento ed i relativi
obblighi di intervento siano sorti in un momento successivo all’acquisto
dell’immobile o dei diritti su di esso, allora sussiste l’interesse alla
partecipazione al procedimento preordinato all’adozione dei provvedimenti di
bonifica necessari al disinquinamento, secondo gli ordinari criteri di cui alla
legge 241/90. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria
e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di
Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Procedimento amministrativo volto alla
predisposizione degli interventi di bonifica - Proprietario del suolo - Titolo
di responsabilità principale o sussidiaria - Partecipazione al procedimento -
Diritto - Preventiva identificazione del responsabile dell’inquinamento -
Amministrazione procedente - Obbligo di adeguato riscontro motivazionale sul
punto. Il proprietario del suolo deve comunque essere coinvolto nel
procedimento al fine di accertare l’esistenza dei fattori di inquinamento oltre
soglia e la relativa quantità, e ciò qualsiasi possa essere il titolo della
responsabilità (principale o sussidiaria) che incombe in capo ad esso (Consiglio
di Stato, VI, 05 settembre 2005, n. 4525). Correlativamente, l’imposizione
dell’onere reale sui terreni oggetto di intervento di bonifica presuppone non
solo il pieno coinvolgimento del proprietario incolpevole nel procedimento, ma,
prima ancora, che sia stato compiuto ogni esigibile sforzo per identificare il
responsabile dell’abuso e imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo
costo, e di tali presupposti deve esistere nel provvedimento congrua
illustrazione e corrispondente obbligo motivazionale. Pres. Zingales, Est. Gatto
- D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e
Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad
altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Recupero delle somme - Apporto partecipativo in
punto di modalità dell’intervento di bonifica - Proprietario incolpevole -
Limite dell’arricchimento di valore. Alla luce del dlgs 152/06 (artt. 250,
253 e 245), l’Amministrazione o accerta la responsabilità dell’inquinamento o
procede direttamente alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a
carico delle imprese, in relazione al rapporto che esse hanno con il sito
bonificato, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste
ultime, specie in punto di modalità dell’intervento, e fermo restando, comunque,
che a carico del proprietario incolpevole il recupero degli oneri della bonifica
potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il
disinquinamento avrà apportato al fondo; aspetto questo che consente di
ricondurre il diritto dell’amministrazione al recupero delle somme, nell’alveo
delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali essa si
differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia
(onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei
costi di intervento. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio,
Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune
di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
DANNO AMBIENTALE - Responsabile dell’inquinamento - Natura della responsabilità
- Responsabilità extracontrattuale soggettiva ex art. 2043 c.c. - Ripristino dei
siti inquinati - Artt. 311 e 242 d.lgs. n. 152/2006 - Responsabilità da
posizione - Responsabilità imprenditoriale da danno all’ambiente. In materia
di danno ambientale, il legislatore del 2006 ha operato una scelta decisa in
favore della riconduzione della responsabilità nell’alveo della “tradizionale”
responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana ex
art. 2043 c.c.), con il conseguente ripudio di una qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva. Infatti, il D. Lgs. n. 152 del 2006 all’ art. 311,
comma 2, nel trattare della responsabilità per danni all’ambiente, costituisce e
disciplina la situazione giuridica soggettiva di responsabilità, e serve ad
orientare l’interprete nella ricostruzione dell’istituto più generale del
ripristino dei siti inquinati: quando nelle norme variamente in esso previste,
si fa riferimento al “responsabile dell’inquinamento”, non si potrà che,
logicamente, considerare tale colui il quale è “responsabile” ai sensi del
citato art. 311, a meno di non voler sostenere l’illogica prospettazione della
esistenza di due tipologie di responsabilità, ossia quella soggettiva ex art.
311 cit. ed una sorta di “responsabilità oggettiva parallela” ex art. 242 e ss.
aventi tuttavia identico contenuto quanto all’obbligo di ripristino. Deve quindi
concludersi che il nuovo quadro normativo impone sotto differenti profili di
escludere che il responsabile della bonifica - ovvero del danno ambientale -
possa essere individuato solo in virtù del rapporto esistente tra un determinato
soggetto e l’apparato produttivo esistente nel terreno inquinato. Va quindi
esclusa qualsiasi responsabilità “da posizione” che non può configurarsi
surrettiziamente neppure con riferimento ai “vantaggi” connessi all’esercizio di
un’impresa. Anche volendo superare la natura di risarcimento in forma specifica
degli obblighi di bonifica ed accentuandone l’aspetto sanzionatorio, la
disciplina dell’illecito ambientale non può essere invocata per giustificare
l’eventuale qualificazione della responsabilità ambientale in termini di
responsabilità oggettiva, perché, in materia di sanzioni amministrative, la
legge non la prevede, a differenza del codice civile, in nessuna tipologia o
forma. A norma della legge 24 novembre 1981 n. 689, infatti, la disciplina
generale delle sanzioni amministrative, esclude qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva e riconduce (art. 3, 1° comma) la responsabilità
amministrativa al dolo o alla colpa, con una formulazione che replica
esattamente quella dettata dall’art. 42, 4° comma, del codice penale per le
contravvenzioni, e che viene concordemente intesa da dottrina e giurisprudenza
nel senso che l’affermazione della responsabilità richiede l’accertamento del
dolo o della colpa. Sotto altro aspetto, una responsabilità imprenditoriale di
stampo oggettivo si traduce in un onere reale imposto automaticamente
all’imprenditore unicamente in virtù della posizione rivestita e del rapporto
con la cosa inquinata ed indipendentemente dall’azione che l’amministrazione
deve condurre per la preventiva individuazione del soggetto responsabile, ma si
è visto sopra a quali limiti e con quali presupposti l’onere reale viene invece
imposto, nel sistema del D. Lgs. n. 152 del 2006. Pres. Zingales, Est. Gatto -
D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e
Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad
altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
DANNO AMBIENTALE - Responsabilità imprenditoriale - Natura - Responsabilità
oggettiva ex artt. 2050 e 2051 c.c. - Esclusione - Ragioni - Criterio di
specialità - D. Lgs. n. 152/2006. La responsabilità imprenditoriale per
danno ambientale o per bonifica non può essere ricostruita in riferimento alle
responsabilità di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c. (relativi alla responsabilità
per esercizio di attività pericolose ed alla responsabilità per danni da cose in
custodia), in chiave di responsabilità oggettiva: a tacere del fatto che tali
disposizioni operano nel campo dei rapporti tra privati, in ogni caso,
l’applicazione al campo della responsabilità per danno ambientale delle norme di
responsabilità presunta stabilite dal codice civile trova comunque ostacolo nel
principio di specialità (che - com’è noto - è il criterio prioritario per
individuare la norma applicabile in campo civilistico, anche sul terreno della
responsabilità civile: cfr. Cass. N. 19975 del 2005). A fronte di più
disposizioni (apparentemente) concorrenti nella stessa fattispecie (le norme di
responsabilità presunta stabilite dal codice civile e le norme sulla
responsabilità ambientale previste dalla parte sesta del D. Lgs. N. 152 del
2006), il criterio di specialità porta certamente ad applicare solo ed
esclusivamente le disposizioni esaustivamente dettate dalla normativa
ambientale, così come oggi chiarite dal D. Lgs. n. 152 del 2006 (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 8 marzo 2005, n. 935; Sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971; TAR
Veneto, Sez. III, 19 gennaio 2006, n. 1443, e 6 dicembre 2006, n. 571). Pres.
Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato),
Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli
(avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20
luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Imprese - Criterio di strict liability, contrapposto al sistema
di due care - Accollo delle spese di bonifica ambientale a carico delle imprese
per effetto della relazione con i suoli - Conseguenze - Effetti in tema di
responsabilità sociale delle imprese. L’adozione di un criterio di “strict
liability” (responsabilità rigorosa) in capo alle imprese, connesso a rischi
oggettivi di impresa, non garantisce una migliore tutela del valore della difesa
ambientale, rispetto ad un sistema di “due care” (cura doverosa). Infatti, la
strict liability ed il correlativo principio, secondo cui sarebbe possibile l’
indifferenziato accollo degli oneri della bonifica ambientale a carico delle
imprese per effetto della sola loro relazione con i suoli, finirebbe con
l’incentivare il danno ambientale, invece di impedirlo o di portare a rimuoverne
durevolmente le cause prima ancora che gli effetti, risultato che si ottiene
solo promuovendo un corretto rapporto tra la produzione e l’ambiente. Infatti,
la via semplice, “in discesa”, di accollare gli oneri di bonifica alle imprese
incolpevoli, ma facilmente individuabili dalla loro attuale relazione con il
bene, agevolerebbe, di fatto, l’impunità dei soggetti autori dell’inquinamento:
questo perché, ipotizzando che la P.A. recuperi i costi integrali della bonifica
a carico del proprietario-detentore incolpevole del suolo, ne deriverebbe che
resterebbe a costui la rivalsa sul precedente proprietario-possessore
inquinante, rivalsa che dovrebbe essere condotta sul piano della tutela civile,
con l’evidente minore possibilità, mezzi e strumenti di tutela derivanti dalla
natura dell’azione (che sarebbe riconducibile, in pratica, o ad una azione a
tutela della compravendita, oppure, a seconda dei presupposti, ad una azione
aquiliana, con relativi termini di proposizione e prescrizione), rispetto a
quella che lo Stato invece può (e deve) porre in essere, a norma dell’art. 250,
252 comma 5 e 253 del dlgs 152/06. Quindi le Imprese “non attente” alle
tematiche ambientali sarebbero incoraggiate nelle loro riprovevoli condotte
dalla possibilità di sfuggire alla sanzione dopo aver sfruttato le risorse del
suolo ed aver compromesso l’ambiente, semplicemente cedendo il sito e puntando,
da un lato, sui “tempi lunghi” dell’Amministrazione e, dall’altro, sul minore
rischio che per loro costituisce l’azione civile di rivalsa dei proprietari
incolpevoli. In una prospettiva ancora più evoluta dell’istituto della
responsabilità per danno all’ambiente, la cennata ed erronea ricostruzione
dell’istituto della responsabilità per danni all’ambiente, contrasta gravemente
- ledendolo - con il principio-valore della “responsabilità sociale delle
imprese” che oramai si sta consolidando come lettura del combinato disposto
degli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, nella maturata coscienza “diffusa”
della società e degli operatori economici. In una amministrazione
democraticamente orientata, infatti, la coazione è sempre uno strumento da
“ultima risorsa”, mentre il coinvolgimento attivo, propositivo e qualificato dei
privati nella tutela dell’ambiente è un “valore” prima ancora che uno strumento
(di maggiore efficacia); ed esso si ottiene enfatizzando, appunto, la
“responsabilità sociale” delle imprese e della produzione (nozione fondata
sull’art. 41 comma 2 e 42 della Costituzione), secondo la quale le imprese hanno
vantaggio (e devono essere incentivate) nel perseguire contestualmente il
profitto economico, la funzione sociale della proprietà e la tutela ambientale,
destinando a tale proposito adeguate risorse ed energie, poiché ne hanno un
ritorno in termini di qualità della produzione e della immagine. Pres. Zingales,
Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di
Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv.
Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio
2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Tutela dell’ambiente e della salute - Valore
costituzionalmente garantito - Art. 32 Cost. - Tutela di concomitanti interessi
costituzionalmente protetti - Libertà di iniziativa economica e d’impresa -
Adeguato contemperamento - Punto di equilibrio individuato dal legislatore nel
principio “chi inquina paga”. La tutela della salute e dell’ambiente diviene
effettiva solo laddove essa sia supportata da idonea istruttoria ed adeguata
ponderazione degli interventi necessari, sotto il profilo scientifico, e sia
altresì coordinata e contemperata con la tutela di altri valori costituzionali
come la libertà di impresa e di iniziativa economica, i quali assicurano il
substrato indispensabile alla efficace tutela della salute e della integrità
psicofisica, perché permettono sia l’evoluzione tecnologica e produttiva, sia il
diritto al lavoro ed allo sviluppo sociale della persona umana, nelle formazioni
ove essa svolge la propria personalità. La doverosa attività repressiva (così
come quella innanzitutto preventiva) degli scempi ambientali, anche se
prevalentemente finalizzata dall’ordinamento alla tutela della salute umana,
prima ancora che alla conservazione dell’ecosistema,non può certamente
realizzarsi in spregio di altri principi e valori egualmente contemplati e
protetti dalla Costituzione, né violando e sovvertendo le più elementari
normative generali sul procedimento amministrativo e/o quelle settoriali e
specifiche in tema di tutela e risanamento ambientale. Ed invero, il valore
fondamentale della salute umana (art. 32 Cost), nonostante il suo carattere
primario ed assoluto, deve necessariamente confrontarsi e coordinarsi con altri
valori di eguale dignità costituzionale, rispetto ai quali può porsi in
conflitto, di guisa che l’assolutezza e l’incomprimibilità del diritto alla
salute non può giustificare il sacrificio (a volte totale) di ogni altro valore
e bene giuridico in conflitto (potenziale o reale) con esso (cfr. tra le tante,
Cass. Civ. II, 6.4.1983, n. 2396), proprio perché l’esistenza di concomitanti
tutele di altri interessi costituzionalmente protetti costituisce un limite
oggettivo alla assoluta ed illimitata prevalenza del bene salute, rispetto a
tutti gli altri indicati dalla tavola di valori costituzionali (in tal senso,
sostanzialmente, Corte Cost. 18.07.1983, nr. 212). Il valore, predominante,
della tutela della salute, ex art. 32 Cost. (che comprende anche il diritto alla
salubrità dell’ambiente), non può essere inteso, quindi, come ragione per
sopprimere o svuotare di contenuto il diritto alla libertà di iniziativa
economica e di impresa, così come quest’ultimo non può essere utilizzato a
pretesto per depauperare il territorio, impoverendone le risorse e infliggendo
gravi sofferenze alle persone ed alle comunità che vi risiedono; né può, in
alcun modo, giustificare la violazione di altri principi e normative (che
esigono eguale rispetto in uno Stato di diritto) in nome di un malinteso senso
di assolutezza e preminenza del diritto alla salute ed alla salubrità
dell’ambiente. Il giusto punto di equilibrio tra i valori costituzionali che si
sono rappresentati è, pertanto, di competenza del legislatore e, nel caso della
tutela ambientale, è stato individuato nel principio di origine comunitaria “chi
inquina paga” e nella relativa disciplina. La P.A. è chiamata, con azione
mirata, corretta, partecipata ed efficace, ad assicurare in pratica il rispetto
della gerarchia dei valori costituzionali che fonda la giusta valorizzazione di
ognuno di essi, in una armonica visione di insieme (cfr. Corte Costituzionale, 7
novembre 2003, nr. 331, in materia di legislazione urbanistica regionale;
Consiglio di Stato, V, 22 settembre 1999 nr. 1138; Cass. Civile, II, 6 aprile
1983, nr. 2396). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio,
Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune
di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Tutela ambientale - Rapporto tra indagine scientifica e poteri
politici o amministrativi - Istruttoria tecnica sui progetti di bonifica -
Interventi del Ministero dell’ambiente - Limiti. Il presupposto essenziale
di efficacia di una azione dei pubblici poteri nel campo della tutela
ambientale, ove sono predominanti i contenuti tecnico-scientifici, è che essa
nasca da una indagine del tutto autonoma dalle “direttive” politiche o
amministrative: deve cioè trattarsi di una indagine scientifica “libera” di
ricercare ed indagare i presupposti, le caratteristiche ed i rimedi da adottare
per contrastare efficacemente le situazioni di inquinamento. E’ proprio
dell’attività scientifica, infatti, ricercare le cause dei fenomeni naturali con
i quali l’Uomo si confronta, e per farlo deve indagarne gli effetti, ai fini
della cognizione delle cause, senza che sussistano condizionamenti del pensiero
diversi da quelli propri delle sole regole del metodo scientifico.
Correlativamente, spetta invece all’attività amministrativa adoperarsi affinchè
si apprestino i mezzi, le risorse e le tecnologie necessarie al pubblico scopo
ed interesse, avvalendosi dei risultati della ricerca, ma senza ovviamente
poterne condizionare l’andamento, a pena di inaccettabili commistioni tra
discrezionalità politico-amministrativa e rigore scientifico. In tal senso, è
necessario che dapprima vengano posti in essere tutti gli studi necessari a
fornire all’organo amministrativo o politico procedente la completa cognizione
di causa, individuando cause ed effetti dei fenomeni scientifici sui quali
devono essere assunte le determinazioni dell’Autorità; e poi che queste ultime
vengano assunte dietro ponderata valutazione amministrativa delle risultanze
degli studi scientifici, volta ad apprestare ed organizzare i mezzi tecnici e
finanziari, ed a valutare altresì quegli apporti tecnici, scientifici e
consultivi che le parti interessate o controinteressate possono fornire (le
quali, a loro volta, devono essere messe, concretamente, in condizioni di
farlo). Conseguentemente, in ordine allo svolgimento dell’istruttoria tecnica
sui progetti di bonifica, (art. 15 D.M. n. 471/1999) al Ministero dell’Ambiente
non è attribuito uno specifico potere di valutazione tecnica concernente
l’efficacia delle previsioni progettuali prospettate dal proponente
(responsabile dell’inquinamento o - come nel caso di specie - proprietario del
terreno inquinato). Tale potere è invece affidato all’A.N.P.A. e alle diverse
A.R.P.A. (in relazione alle regioni di volta in volta interessate) e
all’Istituto Superiore di Sanità. Il Ministero, nella fase dell’istruttoria
tecnica sui progetti in questione, è in una duplice posizione di natura
doverosa: da un lato infatti deve necessariamente avvalersi delle figure
soggettive sopra richiamate per la valutazione tecnica dei progetti; dall’altro,
è tenuto ad acquisire i risultati dell’istruttoria ed a tener conto di questi
nel provvedere all’approvazione definitiva degli elaborati progettuali. Non può
invece interloquire attraverso la prescrizione di modifiche tecniche ai progetti
presentati, modifiche che evidentemente presuppongono una preliminare
valutazione tecnica che - come detto - appartiene invece agli enti di cui
all’art. 15, comma 3, del d.m. n. 471/1999” (TAR Piemonte, Sez. II, 16 gennaio
2006, n. 89). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria
e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di
Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Analisi e verifica dei contaminanti - Mancanza di specifici
parametri normativi - Integrazione amministrativa - Modalità. In relazione
al “metodo” scientifico di analisi e di verifica dei contaminanti, laddove non
siano rinvenibili nel sistema normativo specifici parametri di analisi, o, se
esistenti, si ritengano solo parziali e insufficienti, detti parametri dovranno
essere adottati (o integrati) dall’Amministrazione, con atto da fondarsi sulle
elaborazioni scientifiche corrispondenti al migliore apporto allo stato
dell’arte e della tecnica, “nel” procedimento (e quindi con possibilità di
partecipazione da parte dei privati interessati). (Nella specie, si dibatteva
intorno alla possibilità di utilizzare i parametri di cui all’allegato 1 del DM
n. 471/1999 agli studi dei sedimenti marini, laddove la disciplina regolamentare
ivi contenuta è diretta solo alla campionatura dei suoli, del sottosuolo, delle
acque di falda e delle acque superficiali: l’estensione delle relative
misurazioni ed applicazione dei parametri ivi previsti ai sedimenti - da un
punto di vista strettamente giuridico - non è stata ritenuta illegittima, ma, si
è affermato, deve essere il frutto di una apposita valutazione condotta nel
procedimento). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria
e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di
Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Procedimento di bonifica e M.I.S.E. - Differenza -
Contaminazione repentina e contenimento della matrice compromessa - Fenomeni di
inquinamento storici e recupero dell’area inquinata. La Messa in Sicurezza
di Emergenza (M.I.S.E.) non può essere utilizzata come una sorta di corsia
preferenziale per ottenere nel minor tempo possibile l’intervento di
disinquinamento al di fuori delle più complesse prescrizioni imposte per legge
alla bonifica: l’art. 240 del d.lgs. n. 152/2006 prevede infatti che la M.I.SE.
possa essere disposta solo in caso di eventi di contaminazione repentini, non
invece a fronte di fenomeni di contaminazione storica. Le misure previste ai
fini della bonifica sono di certo più gravose da un punto di vista
procedimentale, ma lo sono perché il legislatore si pone di mira obiettivi di
qualità ambientale e di recupero dell’ambiente dall’inquinamento molto più
approfonditi, radicali, complessi e strutturati, di quelli ottenibili con una
MISE, ossia quegli unici tipi di obiettivi che possono assicurare il reale
recupero del tessuto ambientale compromesso, laddove la MISE è istituto
(tecnico, prima che giuridico), volta al solo “contenimento” della matrice
compromessa, ossia alla limitazione degli effetti dell’inquinamento allo scopo
di impedirne l’ulteriore propagazione, non certamente idonea quindi al recupero
di essa. Quindi, abusando della MISE come strumento alternativo alla procedura
tipica ed effettiva, non solo si produce una attività amministrativa
illegittima, ma si compromette gravemente, nel merito, la efficacia e la
efficienza dell’azione amministrativa e la qualità del recupero ambientale che
non può che essere gravemente sminuito da una azione affrettata e, come tale,
superficiale. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria
e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di
Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Procedimento di bonifica ex D. Lgs. n. 152/2006 - Fasi -
Individuazione. La prescrizione diretta alla trasmissione del progetto
definitivo di bonifica dei suoli e all’adeguamento degli interventi di messa in
sicurezza d’emergenza delle acque di falda nel termine di trenta giorni viola le
procedure di cui al D. Lgs. n. 152/2006, il quale prevede, preliminarmente, la
necessaria predisposizione di un “piano di caratterizzazione”, l’obbligo di
procedere poi alla determinazione dei valori soglia ed infine un termine non
inferiore a sei mesi per l’esecuzione della bonifica. Pres. Zingales, Est. Gatto
- D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e
Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad
altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Bonifica - Progetto di bonifica approvato con decreto
interministeriale - Modifiche - Condizioni - Fattispecie: imposizione di un
sistema di barrieramento fisico in luogo di quello idraulico già approvato.
Le modifiche ad un progetto di bonifica di aree ricadenti nell’ambito di un sito
di interesse nazionale, già approvato con decreto interministeriale, possono
essere deliberate solo con la rielaborazione degli obiettivi di bonifica,
preceduta dall’analisi partecipata ed in contraddittorio con la società stessa
del raggiungimento dei precedenti obiettivi (o delle cause del mancato
raggiungimento) e della insufficienza di essi (poichè, se si impone un
ripensamento della bonifica, è evidente che ciò può essere fatto solo laddove i
precedenti obiettivi non sono stati raggiunti per insufficienza o inidoneità
delle prescrizioni progettuali oppure, se sono stati raggiunti, erano gli stessi
obiettivi ad essere inadeguati). (Nella specie, è stata ritenuta illegittima,
relativamente ad un progetto di bonifica della falda già approvato, la richiesta
modifica del barrieramento idraulico in barrieramento fisico ). Pres. Zingales,
Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di
Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv.
Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio
2007, n. 1254
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Sedimenti contaminati - Natura di rifiuto
anteriormente alla loro asportazione - Esclusione. I sedimenti, prima della
loro eventuale asportazione, laddove eventualmente contaminati, non
costituiscono ancora rifiuti, ma vanno qualificati come matrici ambientali, da
sottoporre agli opportuni interventi di bonifica. Pres. Zingales, Est. Gatto -
D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e
Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad
altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Classificazione di un rifiuto come pericoloso - Livello
di concentrazione delle sostanze pericolose - Predeterminazione delle
concentrazioni - Art. 252, c. 5 D.Lgs. n. 152/2006 - Interferenze decisionali
ministeriali - Illegittimità. Laddove, ai fini della classificazione dei
rifiuti, la normativa di riferimento va individuata nella Decisione UE
200/532/CE, nella Direttiva MATT del 9 Aprile 2002 e nel Dlgs. 152/06 parte
quarta All.D., secondo la quale un rifiuto è classificato come pericoloso solo
se le sostanze pericolose raggiungono determinate concentrazioni, tali
concentrazioni vanno predeterminate (e poi riscontrate) ex art. 252, comma 5,
del d.lgs n. 152 del 2006 tramite appositi organi tecnici e senza possibilità di
interferenze decisionali del Ministero (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II - 16
gennaio 2006, n. 89, cit.). Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti
Florio, Capria e Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e altri (Avv. Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.),
Comune di Augusta e Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R.
SICILIA, Catania, Sez. I - 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Gestione dei rifiuti prodotti nel corso delle opere
di bonifica - Autorizzazione unica rilasciata nel decreto ministeriale di
approvazione del progetto di bonifica - Sufficienza. Tutte le autorizzazioni
relative alla gestione dei rifiuti prodotti nel corso delle opere di bonifica
sono da ritenersi assorbite dall’autorizzazione rilasciata con il decreto
interministeriale relativo all’intervento di bonifica, ai sensi dell’art. 10,
comma 10, del d.m. n. 471 del 1999, come richiamato dal successivo art. 15,
comma 6. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e
Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e
Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I
- 20 luglio 2007, n. 1254
INQUINAMENTO - Caratterizzazione dei suoli - Frazione granulometrica passante al
vaglio 2 mm - Valore rappresentativo della totalità del terreno campionato -
Esclusione - Illegittimità della relativa prescrizione. E’ illegittima la
prescrizione con cui si imponga, in sede di caratterizzazione dei suoli, di
effettuare le analisi sulla sola frazione granulometrica passante al vaglio 2 mm
e di confrontare i risultati delle analisi condotte su detta frazione, ai fini
della successiva bonifica, con i limiti tabellari di cui agli allegati al d.m.
n. 471 del 199. Seguendo tale procedura, infatti, la quantità di inquinante
presente sul sito si determinerebbe solo in relazione alla frazione più fine, in
contrasto con il DM 471/99 e il DM 13.9.1999 che prescrivono che, ai fini della
rappresentazione dello stato di contaminazione di un terreno, sia considerato
tutto il materiale secco del terreno medesimo e non solo una sua frazione,
ottenuta per effetto di una operazione di concentrazione e che può essere
percentualmente piccola. Se appare quindi giusto riferire il risultato ottenuto
dall’analisi della frazione granulometrica passante al vaglio di 2 mm alla sola
frazione fine del terreno, è invece inappropriato considerare tale valore come
rappresentativo della totalità del terreno campionato. Il terreno campionato può
infatti essere costituito da diverse granulometrie: quella inferiore a 2 mm,
dove può concentrarsi la maggior parte dell’inquinamento; quella compresa tra 2
mm e 2 cm, che tendenzialmente può essere meno inquinata perché ha scarso potere
assorbente sulle particelle organiche ed inorganiche ed infine quella superiore
ai 2 cm che viene scartata al momento della composizione del campione da
analizzare. Per l’esistenza di tali tipi di suddivisione non è corretto
attribuire il valore misurato nella frazione inferiore a 2mm, più suscettibile
all’inquinamento, a tutto il campione, perché si opererebbe una vera e propria
operazione di concentrazione, non corrispondente alla reale situazione presente
nel terreno. Pres. Zingales, Est. Gatto - D.P.I. s.r.l. (avv.ti Florio, Capria e
Marocco) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa e altri (n.c.), Comune di Augusta e
Melilli (avv. Coppa), riunito ad altri ric. - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I
- 20 luglio 2007, n. 1254
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA
- SEZIONE PRIMA. I
N. 1254/07 Reg. Sent.
N. 0081/05 Reg. Gen.
N. 0138/05 Reg. Gen.
N. 2662/05 Reg. Gen.
N. 2666/05 Reg. Gen.
N. 2667/05 Reg. Gen.
N. 2671/05 Reg. Gen.
N. 2703/05 Reg. Gen.
N. 0782/06 Reg. Gen.
N. 2240/06 Reg. Gen.
N. 2241/06 Reg. Gen.
N. 2937/06 Reg. Gen.
N. 2938/06 Reg. Gen.
N. 2939/06 Reg. Gen.
N. 2970/06 Reg. Gen.
N. 2976/06 Reg. Gen.
N. 3053/06 Reg. Gen.
N. 3225/06 Reg. Gen.
N. 3227/06 Reg. Gen.
N. 3233/06 Reg. Gen.
N. 3234/06 Reg. Gen.
N. 3235/06 Reg. Gen.
N. 3251/06 Reg. Gen.
N. 3573/06 Reg. Gen.
N. 0131/07 Reg. Gen.
N. 0189/07 Reg. Gen.
N. 0195/07 Reg. Gen.
N. 0200/07 Reg. Gen.
N. 0213/07 Reg. Gen.
N. 0214/07 Reg. Gen.
N. 0215/07 Reg. Gen.
N. 0263/07 Reg. Gen.
nelle persone dei magistrati
Dott. Vincenzo Zingales – Presidente
Dott. ssa Rosalia Messina – Consigliere
Dott. Salvatore Gatto – Referendario, Relatore est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui seguenti ricorsi:
Ricorso nr. 138/2005, proposto da DOW POLIURETANI ITALIA Srl, rappresentata e
difesa dall’Avv. Fabio Florio, dall’Avv. Antonella Capria, dall’Avv. Teodora
Marocco, con domicilio eletto in Catania, Viale XX Settembre, presso lo studio
del primo, e con i motivi aggiunti ad esso;
contro
I Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, della Salute, delle Attività Produttive, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, dell’industria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Siciliana, l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, il Commissario Delegato per l’Emergenza rifiuti e tutela delle acque, la Prefettura di Siracusa, l’APAT (Agenzia Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente), le Capitanerie di Porto di Augusta e di Siracusa, l’Istituto Superiore per la Prevenzione e sicurezza del lavoro, l’Istituto Centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, l’ICRAM, l’Istituto Superiore di Sanità, il Corpo Regionale delle Miniere, il Sub commissario per la bonifica dei siti contaminati, tutte Amministrazioni ed Enti ciascuna in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio legale presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
e contro
i Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa ciascuno in persona del rispettivo
Sindaco Pro tempore, la Provincia regionale di Siracusa, il Presidente del Piano
di Risanamento Provincia di Siracusa, il Consorzio della Provincia di Siracusa
per la zona sud dell’Area di Sviluppo Industriale della Sicilia Orientale, il
Consorzio per le aree di sviluppo industriale (ASI) di Siracusa, l’Azienda
Sanitaria Locale 8 di Siracusa, ciascuno in persona del proprio legale
rappresentante, non costituiti;
I Comuni di Augusta e Melilli, ciascuno in persona del rispettivo Sindaco Pro
tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in
Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre nr. 51;
e nei confronti
della Società Sviluppo Italia in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Balestrazzi e dall’Avv.
Francesco Di Luciano, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in via
Ruggero Settimo n. 3;
della Società Sviluppo Italia SPA– Aree produttive SPA , in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Annoni,
dall’Avv. Andrea Segato e dall’Avv. Giuseppe Tamburello, con domicilio eletto,
in Catania, presso lo studio di quest’ultimo in via Monsignor Ventimiglia n.
145;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo:
del verbale della conferenza dei servizi decisoria convocata presso il Ministero
dell’Ambiente in data 19 ottobre 2004, nella parte meglio indicata in ricorso;
della lettera del 25 ottobre 2004 del Dirigente della Divisione per la qualità
della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (prot.
18032/QdV/DI (b/p)) di trasmissione del verbale impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso con particolare
riferimento a quanto indicato in ricorso;
di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e né
comunicati alla ricorrente, e della conferenza di servizi istruttoria convocata
per il giorno 29 luglio 2004, con riferimento al procedimento di bonifica de
quo.
Con i motivi aggiunti al ricorso introduttivo notificato il 09.04.2005 e
depositato il 21 aprile 2005:
Del verbale della conferenza di servizi decisoria convocata presso il ministero
dell'ambiente in data 28 febbraio 2005, conosciuta in data 12 marzo 2005, avente
ad oggetto il sito di interesse nazionale di Priolo con particolare
riferimento:al punto 18 dell'ordine del giorno ove: “ la conferenza di servizi
decisoria delibera di chiedere alla Dow Poliuretani la presentazione entro il 30
aprile 2005 dei risultati della caratterizzazione integrativa a maglia 50x50
nonché del progetto definitivo di bonifica aggiornato sulla base dei risultati
medesimi”.
Della lettera del 3 marzo 2005 del dirigente della divisione per la qualità
della vita del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio di
trasmissione del verbale impugnato
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso ed in
particolare dei documenti allegati al verbale impugnato, tra cui modo
particolare l'allegato B. C. D;
Di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e comunicati
alla ricorrente con riferimento al procedimento di bonifica de quo.
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.
(con i motivi aggiunti notificati l’11 ottobre 2005 e depositati il 29 ottobre
2005, da valere anche come ricorso autonomo):
del verbale della conferenza dei servizi decisoria convocata presso il Ministero
dell’Ambiente in data 19 ottobre 2004, conosciuto in data 29 ottobre 2004 ed
avente ad oggetto il sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo con
particolare riferimento alla parte in cui richiama “che la conferenza dei
servizi decisoria tenutasi il 06/08/04 per il sito di bonifica di interesse
nazionale di Venezia – Porto Marghera ha deliberato di considerare almeno in
fase di prima applicazione,hot spot il caso di inquinamento che superi di oltre
10 volte il valore tabellare per i suoli e di 10 volte il valore tabellare per
le acque relativamente ai parametri persistenti, molto tossici e/o cancerogeni”
e delibera di “ chiedere a tutte le aziende titolari di aree ubicate all'interno
del perimetro del sito di interesse nazionale di Priolo, qualora fossero
evidenziati superamenti di oltre 10 volte dei valori di concentrazione limite
ammissibile indicati dalle tabelle allegate al DM 471/99 nei suoli e/o nelle
acque di falda, di adottare immediati interventi di messa in sicurezza di
emergenza della matrice ambientale contaminata”;
della lettera del 25 ottobre 2004 del Dirigente della Divisione per la qualità
della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (prot.
18032/QdV/DI (b/p)) di trasmissione del verbale impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso ed in
particolare del documento trasmesso in allegato al verbale impugnato, intestato
al Ministero della Sanità Istituto superiore della sanità, n. 028690 AMPP/IA.12,
ed avente ad oggetto “ in merito ai valori di concentrazione limite degli
idrocarburi nelle acque di falda si richiede il parere di codesto istituto,
anche la luce della recente sentenza della Tar Campania n. 7756/ 04 del 3 maggio
2004 in allegato”, nonché del documento intestato all’ISS, n. 36340-IA.12 ed
avente ad oggetto “ richiesta di chiarimenti parametri idrocarburi nelle acque
sotterranee di cui al DM 471/99”, del documento dell’ISS n. 57058IA.12 avente ad
oggetto “ limiti accettabili nel suolo e nelle acque sotterranee di inquinanti
organici ed in organici non indicati nel DM 471/99” e del documento ISS n. 02471
IA/12 avente ad oggetto “ decreto 25 ottobre 1999, numero 471, relativo alla
messa in sicurezza, bonifiche e ripristino ambientale di siti inquinati”, tutti
allegati al verbale impugnato sub C.
di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e né
comunicati alla ricorrente, e della conferenza di servizi istruttoria convocata
per il giorno 29 luglio 2004, con riferimento al procedimento di bonifica de
quo.
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.
*******
E sui ricorsi:
Ricorso nr. 2662/2005, proposto da ENI SPA, rappresentata dall’Avv. Stefano
Grassi e dall’Avv. Corrado V. Giuliano, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo, in Catania via Pasubio 33 e relativi motivi aggiunti;
Ricorso nr. 2666/2005, proposto da SYNDIAL SPA, rappresentata dall’Avv. Stefano
Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo, in Catania Corso Italia 302, e relativi motivi aggiunti;
Ricorso nr. 2667/2005, proposto da POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata dall’Avv.
Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo studio
di quest’ultimo, in Catania Corso Italia 302, e relativi motivi aggiunti;
contro
I Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, della Salute e delle
Attività Produttive, la Regione Siciliana, l’Assessorato Regionale all’industria
della Regione Siciliana, il Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la
tutela delle acque in Sicilia, il Vicecommissario delegato per l’emergenza
rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia, il Subcommissario per la bonifica
dei siti contaminati, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Agenzia per la
Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT), l’ARPA Sicilia, il
Prefetto di Siracusa, l’Istituto centrale per la Ricerca Scientifica e
Tecnologica applicata al mare (ICRAM), l’Enea, l’ISPESL- DIP. DIPIA, in persona
dei rispettivi rappresentanti legali, tutte amministrazioni rappresentate e
difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, nei cui uffici, in
Catania, via V. Ognina 149, sono domiciliate ex lege;
i Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa, non costituiti, il Comune di Augusta non
costituito nel ricorso nr. 2666/05 ed i Comuni di Augusta e Melilli, ciascuno in
persona del rispettivo Sindaco Pro tempore, rappresentati e difesi, gli ultimi
due, dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio
dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre nr. 51;
la Provincia regionale di Siracusa, il Presidente del Piano di Risanamento
Provincia di Siracusa, il Consorzio della Provincia di Siracusa per la zona sud
dell’Area di Sviluppo Industriale della Sicilia Orientale, il Consorzio per le
aree di sviluppo industriale (ASI) di Siracusa, l’Azienda Sanitaria Locale 8 di
Siracusa, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante, non costituiti;
e nei confronti
della Società “Sviluppo Italia Aree Produttive” Spa e della Società
“Sviluppo Italia” Spa, ciascuna in persona del proprio legale rappresentante
legale di cui la prima rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Annoni, dall’Avv.
Andrea Segato e dall’Avv. Giuseppe Tamburello, con domicilio eletto, in Catania,
presso lo studio di quest’ultimo in via Monsignor Ventimiglia n. 145;
per l’annullamento
Con il ricorso introduttivo:
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 18 luglio 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 e
sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo;
- di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi comprese la
lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 14873/QDV/DI (VII/VIII/IX) datata
21 luglio 2005, la lettera di convocazione della Conferenza dei servizi per il
18 luglio 2005 prot. 13575/QDV/DI(VII/VIII) datata 7 luglio 2005, il
provvedimento sconosciuto con cui le determinazioni sono state recepite
dall’Amministrazione, i documenti richiamati dal verbale del 18luglio 2005,
anche se materialmente ad esso non allegati ed in particolare il documento ICRAM
“valutazione dei dati della caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta –
Aree prioritarie ai fini della messa in sicurezza di emergenza – Sito di
interesse nazionale diPriolo – del Luglio 2005 – prot. BOI-Pr_SI-GP_Rada di
Augusta-01.02” e l’allegato documento “Valori di intervento per i sedimenti di
aree fortemente antropizzata, con particolare riferimento al sito di bonifica di
interesse nazionale di Priolo:Rada di Augusta”;
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 14 settembre 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 e
sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi comprese la
lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 18317/QDV/DI (VII/VIII) datata 15
settembre 2005, le lettere di convocazione della Conferenza dei servizi per il
14 settembre 2005 prot. 17510/QDV/DI e 17659/QDV/DI del 6 settembre 2005, il
provvedimento sconosciuto con cui le determinazioni sono state recepite
dall’Amministrazione, i documenti richiamati dal verbale del 18luglio 2005,
anche se materialmente ad esso non allegati ed in particolare il documento ICRAM
“elaborazione e valutazione dei risultati della caratterizzazione ambientale
della Rada di Augusta – Aree prioritarie ai fini della messa in sicurezza di
emergenza – Sito di interesse nazionale di Priolo – dell’ Agosto 2005 – prot.
BOI-SI-PR Rada di Augusta-01.04”;
nonché infine per l’annullamento in quanto occorrer possa:
- di tutti i verbali e documenti preparatori delle conferenze dei servizi sia
decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alle Conferenze dei servizi
del 18 luglio e del 14 settembre 2005, che vengono impugnati quali atti
presupposti, anche se non conosciuti e, in particolare, del verbale e delle
determinazioni assunte alla Conferenza dei servizi tenutasi in data 28 febbraio
2005 per il Sito di interesse nazionale di Priolo, limitatamente al punto n. 21
dell’Ordine del giorno (“varie ed eventuali”) sub 6; nonché di tutti i relativi
allegati con riferimento al sito di interesse nazionale di Priolo; del documento
“Progetto per la messa in sicurezza di emergenza RADA DI AUGUSTA – Sito di
Interesse nazionale di Priolo”, predisposto da Sviluppo Italia Aree Produttive
S.p.A. datato Agosto 2005, documento non conosciuto dalla ricorrente; di ogni
altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto, connesso o
conseguenziale;
e con la indicazione che tutti i provvedimenti sopra indicati vengono impugnati
in quanto di interesse ed, in particolare:
a)quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 18 luglio 2005, limitatamente
alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto n. 2 dell’ordine del
giorno: a1) La conferenza di servizi decisoria, dopo ampia ed articolata
discussione, nel prendere atto della grave situazione di contaminazione
riscontrata nelle due aree prioritarie della Rada di Augusta , rappresentata
dalle elevate e pericolose concentrazioni di mercurio determinate nei sedimenti
e dai livelli riscontrati nei tessuti dei pesci all’interno della rada superiori
al limite previsto dalla normativa vigente come livello massimo nelle parti
commestibili dei prodotti della pesca, delibera di richiedere in primo luogo
l’immeditata attuazione di interventi di messa in sicurezza di emergenza dei
sedimenti nelle due aree prioritarie della Rada di Augusta sino ad ora
caratterizzate”; a2) “La conferenza di servizi decisoria delibera inoltre di
chiedere a tutti i soggetti titolari di concessioni demaniali all’interno della
rada di Augusta, nonché ai titolari di aree a terra con presenza di
contaminazione identica a quella rilevata nei sedimenti della Rada di rimuovere,
quale misura di messa in sicurezza di emergenza, per tutto lo spessore indagato
(>/=2m), i volumi di sedimento le cui concentrazioni dei contaminanti sono
superiori ai valori di concentrazione limite indicati nella colonna B della
tabella 1 dell’allegato 1 al d.m. 471/1999 (sedimenti colorati in rosso nella
cartografia presentata da ICRAM) e che, in caso di mancanza o inadempienza dei
concessionari, dovrà intervenire il Commissario delegato in danno ai soggetti
medesimi”; a3) “A tal fine, la conferenza di servizi decisoria delibera di
chiedere al Commissario delegato l’elaborazione di un progetto preliminare di
messa in sicurezza di emergenza”; a4) “La conferenza di servizi decisoria
delibera altresì di richiedere di estendere la caratterizzazione a tutta la rada
di Augusta”; a5) “(La conferenza decisoria delibera altresì) “atteso che ad oggi
non risulta acquisita alcuna documentazione relativa alla caratterizzazione
delle aree contermini i pontili, peraltro richiesta dalla conferenza di servizi
decisoria del 28.02.2005, a tutti i soggetti titolari di concessioni demaniali
nella Rada di eseguire, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente
verbale, la caratterizzazione delle aree di propria competenza”; a6) “La
conferenza dei servizi decisoria delibera ancora di richiedere, in relazione
allo stato di estrema compromissione e pericolosità ambientale riscontrato nella
rada di Augusta, di provvedere, nelle aree già indagate, laddove non sia stato
raggiunto il livello roccioso di base, all’estensione delle attività di
caratterizzazione in profondità, oltre la quota inizialmente prevista dal
medesimo piano di caratterizzazione (2m) al fine di investigare l’intero
spessore di sedimenti incoerenti, qualora risulti ancora contaminazione alla
massima profondità finora indagata”;
b) quanto alla conferenza di servizi decisoria del 14 settembre 2005,
limitatamente alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto n. 2b)
dell’ordine del giorno: b1) La conferenza di servizi ha deliberato di chiedere
“alle aziende titolari di concessioni demaniali all’interno della rada di
procedere, entro 30 giorni dalla ricezione del presente verbale, all’attuazione
di interventi di messa in sicurezza di emergenza”; b2) La conferenza di servizi
ha deliberato di richiedere “al Commissario delegato per l’emergenza dei rifiuti
e tutela delle acque della regione Siciliana di attivare i poteri sostitutivi in
danno al soggetto inadempiente, qualora entro tale termine le Aziende non
provvedano ad eseguire gli interventi suddetti; di farsi carico della messa in
sicurezza di emergenza anche dei sedimenti dell’area a mare circostante il
pontile consortile, peraltro prospiciente il pontile della Marina Militare, del
cui progetto costituirà una integrazione; di estendere la caratterizzazione a
tutta la Rada di Augusta, come peraltro richiesto dalla Conferenza di servizi
decisoria del 18/7/05”; b3) La conferenza di servizi ha deliberato di chiedere
“All’Autorità Portuale la puntuale identificazione dei soggetti titolari di
concessioni demaniali nella rada di Augusta”; b4) la Conferenza di servizi ha
deliberato di chiedere “Alle autorità di controllo (Provincia e ARPA) nonché
agli istituti scientifici nazionali (APAT, ISS, ICRAM) di individuare le
eventuali correlazioni esistenti tra la contaminazione delle aree a terra e
quella dei sedimenti all’interno della Rada di Augusta, al fine della
identificazione dei soggetti responsabili”.
Con i motivi aggiunti al ricorso introduttivo, notificati il 2 e 3 marzo 2006 e
depositati in giudizio il 15 maggio 2006:
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 16 dicembre 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 e
sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi comprese la
lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 26466/QDV/DI (VII/VIII/IX) datata
27 dicembre 2005, la lettera di convocazione della Conferenza dei servizi per il
16 dicembre 2005 prot. 24260/QDV/DI del 2 dicembre 2005, il provvedimento
sconosciuto con cui le determinazioni sono state recepite dall’Amministrazione,
i documenti richiamati dal verbale del 16 dicembre 2005, anche se materialmente
ad esso non allegati ed in particolare il documento ICRAM “valutazione delle
analisi effettuate sui sedimenti e biota delle due aree prioritarie della Rada
di Augusta, acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio
al prot. 16148/QDV/DI del 5 agosto 2005; il documento “Report finale relativo
alle indagini ambientali dei sedimenti e del biota della rada di Augusta
finalizzate alla messa in sicurezza di emergenza”, trasmesso da Sviluppo Italia
e acquisito dal Ministero dell’Ambiente al prot. 22360/QDV/DI dell’8 novembre
2005; il documento “identificazione dei soggetti titolari di concessioni
demaniali marittime, compresi i pontili di attracco nella rada di Augusta, posta
all’interno del perimetro del sito di interesse nazionale di Priolo”, trasmesso
dall’Autorità Portuale ed acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del territorio al prot. 23146/QDV/DI del 16 novembre 2005; il documento
“Risultanze rilievi geofisici dell’area marino costiera compresa tra la diga
foranea della rada di Augusta e Capo Santa Panaria”, trasmesso dal Commissario
Delegato ed acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
al prot. 23439/QDV/DI del 21 novembre 2005; il documento “Fase II
caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta nel sito di interesse
nazionale di Priolo” trasmesso da ICRAM e acquisito dal Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del territorio al prot. 18851/QDV/DI del 23 settembre 2005
(documenti tutti sconosciuti dalla ricorrente); i documenti materialmente
allegati al verbale del 16 dicembre 2005, anche se in esso non richiamati, ivi
inclusa, in particolare, la nota APAT prot. 0449 del 10 gennaio 2003 ad oggetto
“Parere sui valori guida per il Metil-terbutil-etere e Piombo tetraetile nel
suolo e nelle acque sotterranee. Procedimento di bonifica di interesse nazionale
di Napoli orientale, Verbale conferenza di servizi del 04/06/2002 e
comunicazione alla conferenza di servizi del 10/12/2002”, allegata al verbale
sotto la lettera E);
nonché infine per l’annullamento in quanto occorrer possa
dei verbali e dei documenti preparatori delle conferenze di servizi sia
decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alla Conferenza di servizi
del 16 dicembre 2005, anche se non conosciuti e, in particolare, del verbale e
delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi istruttoria tenutasi in
data 4 agosto 2005 per il Sito di interesse nazionale di Priolo; di ogni altro
provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto, connesso o
conseguenziale;
e con la indicazione che tutti i provvedimenti sopra indicati vengono impugnati
sia in toto, sia nella parte in cui la conferenza dei servizi ha adottato le
seguenti determinazioni:
a) ha deliberato in merito alla messa in sicurezza di emergenza della Rada di
Augusta di “rinviare la discussione su questa specifica problematica del
presente punto all’Ordine del giorno ad una successiva Conferenza di servizi di
prossima convocazione (punto 2-a dell’ordine del giorno); b) ha deliberato in
merito ai documenti ICRAM prima richiamati, “Report finale (omississ…” e
“Valutazione delle analisi sui sedimenti e sul biota… (omississ)” di richiedere
“che siano utilizzate le procedure operative idonee nel’esecuzione delle
attività di campionamento e di analisi per la determinazione dei composti
volatili e dell’HCB nelle attività di caratterizzazione future ed in corso nella
Rada di Augusta ed a completamento delle stesse attività integrative relative ai
rilievi batimetrici di dettaglio e indagini sulla colonna d’acqua” (punto 2
dell’ordine del giorno, lettere b-c); c) ha deliberato di “prendere atto del
documento trasmesso dall’Autorità portuale concernente la puntuale
identificazione dei soggetti titolari di concessioni demaniali nella Rada di
Augusta e di chiedere all’Autorità portuale medesima se le concessioni che
risultano già scadute siano state successivamente rinnovate” (punto 2
dell’ordine del giorno, lett. “d”); d) ha preso atto dei rilievi geofisici
effettuati da ARPA Sicilia, ed ha deliberato di “approvare il
documento…trasmesso da ICRAM concernente l’aggiornamento del piano di
caratterizzazione ambientale ..omississ…” (punto 2 all’ordine del giorno,
lettera e); ha deliberato di “approvare il piano di caratterizzazione Fase II
della Rada di Augusta, trasmesso da ICRAM” (punto 2 all’ordine del giorno, lett.
f).
E SUI RICORSI:
Ricorso nr. 81/2005, proposto da ERG
RAFFINERIE MEDITERRANEE, rappresentata dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv.
Daniela Anselmi, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De Luca, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito
14;
Ricorso nr. 2671/2005, proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE, rappresentata
dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De
Luca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago
di Nicito 14;
Ricorso n. 2703/2005 proposto da SASOL ITALY SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico Peres,
con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
Ricorso n. 782/2006 proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE, rappresentata
dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De
Luca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago
di Nicito 14;
Ricorso n. 2240/2006 proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentata dall’Avv.
Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De Luca, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito
14;
Ricorso n. 2241/2006 proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE, rappresentata
dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De
Luca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago
di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti nel giudizio nr. 81/2005; il Comune di Augusta è costituito nei
giudizi nn. 2703/2005, 782/06, 2240/06 e 2241/06; il Comune di Melilli è
costituito nel giudizio nn. 2703/2005, 2240/06 e 2241/06; i suddetti Comuni sono
rappresentati e difesi in tutti i giudizi ove sono costituiti dall’Avv. Pietro
Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco
Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
(nel ricorso nr. 2703/2005, 2671/05, 782/2006 e 2241/06)
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA e “Sviluppo Italia” SPA,
ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, non costituite nel
giudizio nr. 782/2006 e nel giudizio nr. 2241/06; nel giudizio nr. 2703/2005 e
2671/05 (in quest’ultimo, solo la Società “Sviluppo Italia Aree Produttive) sono
rappresentate e difese dall’Avv. Marco Annoni, dall’Avv. Andrea Segato e
dall’Avv. Giuseppe Tamburello, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo in Catania, via Monsignor Ventimiglia n. 145;
per l’annullamento
con il ricorso nr. 81/2005:
del deliberato della conferenza dei servizi decisoria, convocata presso il
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio in data 19 ottobre 2004,
pervenuto alla ricorrente in data 9 novembre 2004, avente ad oggetto “Legge
426/98: sito di interesse nazionale di Priolo”, nella sua totalità ed in
particolare nelle parti in cui: “delibera di chiedere a tutte le aziende
titolari di aree ubicate nel perimetro del sito di interesse nazionale di Priolo,
qualora fossero evidenziati superamenti di oltre 10 volte dei valori di
concentrazione limite ammissibile indicati dalle tabelle allegate al DM n.
471/1999 nei suoli e/o nelle acque di falda, di adottare immediati interventi di
messa in sicurezza di emergenza della matrice ambientale contaminata” e della
estensione di tale obbligo anche alla rimozione dei c.d. “hot spots”, nella
parte di cui al punto 2.1 dell’ordine del giorno pag. 4 inerente ilPiano della
caratterizzazione di un’area relativa alla raffineria ISAB impianti Sud di
proprietà della ricorrente fissa parametri aggiuntivi rispetto a quelli definiti
nella tabella acque sotterranee dell’allegato 1 al DM 471/99, nella parte di cui
alla pag. 4 punto 12 fissa il parametro di ricerca “cianuri”, nonché nella parte
in cui, pag. 31 prescrizione lett. “g” fissa i valori di riferimento per il
Piombo Tetraetile;
nonché per l’annullamento di ogni provvedimento presupposto, conseguenziale,
conseguente e/o comunque connesso e segnatamente per quanto possa occorrere: di
ogni allegato al verbale della Conferenza dei servizi del 19 ottobre 2004,
nonché di ogni altro atto comunque richiamato nel verbale medesimo, anche se non
materialmente allegato in particolare le note dell’Istituto Superiore di Sanità
del Ministero della Sanità meglio indicate in atti; del verbale della Conferenza
dei servizi istruttoria del 29 luglio 2004 ove redatto e comunque del documento
preparatorio di data sconosciuta, predisposto in vista della conferenza
istruttoria del 29 luglio 2004, nonché di tutti i verbali e documenti
preparatori delle Conferenze dei servizi, sia decisorie che istruttorie,
presupposti e/o comunque connessi a quella del19 ottobre 2004, con riferimento
al sito di interesse nazionale di Priolo e tutti i relativi allegati;
(nel ricorso nr. 2671/05)
Del deliberato delle conferenze dei servizi decisorie, del 18 luglio e del 14
settembre 2005, nelle parti meglio indicate in atti (quanto alla conferenza dei
servizi del 18 luglio 2005, punto 2 dell’ordine del giorno, pagg. 5 e 6, quanto
alla conferenza dei servizi del 14 settembre 2005, punto 2.b dell’ordine del
giorno, pag. 9);
di ogni provvedimento presupposto, conseguenziale, conseguente e/o comunque
connesso, segnatamente:
tutti i documenti richiamati dai verbali delle Conferenze del 18 luglio e del 14
settembre 2005;
il documento ICRAM datato agosto 2005, prot. Bol-Si-Pr-Rada di Augusta – 01-04;
il progetto di messa in sicurezza di emergenza predisposto da Sviluppo Italia
Aree Produttive SPA datato agosto 2005;
(nel ricorso nr. 2703/2005)
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi decisoria,
convocata presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio in
data 18 luglio 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 241/1990 e sue
successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi comprese:
la lettera prot. 14873/QDV/DI (VII/VIII/IX) datata 21 luglio 2005, pervenuta in
data successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio con
cui il verbale è stato trasmesso alla ricorrente;
la lettera prot. 13575/QDV/DI (VII/VIII) datata 7 luglio 2005, pervenuta in data
successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio con cui è
stata convocata la Conferenza di servizi per il giorno 18 luglio 2005;
i documenti richiamati dal verbale del 18 luglio 2005, anche se materialmente ad
esso non allegati, e, in particolare, il documento ICRAM “valutazione dei dati
della caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta – Aree prioritarie ai
fini della messa in sicurezza di emergenza – Sito di interesse nazionale di
Priolo – del Luglio 2005 prot. BoI-Pr-SI-GP-Rada di Augusta-01.02” e l’allegato
documento “Valori di intervento per i sedimenti di aree fortemente antropizzate,
con particolare riferimento al sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo:
Rada di Augusta”, documenti non conosciuti dalla ricorrente;
NONCHÉ, PER L’ANNULLAMENTO
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi decisoria
convocata e tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio in data 14 settembre 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge n.
241/1990 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di
interesse nazionale di Priolo (doc. 5);
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi comprese:
la lettera prot. 18317/QDV/DI (VII/VIII) datata 15 settembre 2005, pervenuta in
data successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio con
cui il verbale è stato trasmesso alla ricorrente (doc. 6);
le lettere prott. 17509/QDV/DI del 2 settembre 2005 e 17664/QDV/DI del 6
settembre 2005, pervenute in data successiva, del Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio con cui è stata convocata la Conferenza di servizi
per il giorno 14 settembre (doc. 7);
il documento ICRAM “Elaborazione e valutazione dei risultati della
caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta – Aree prioritarie ai fini
della messa in sicurezza di emergenza – Sito di interesse nazionale di Priolo”
dell’Agosto 2005 prot. BoI-SI- Pr -Rada di Augusta-01.04, documento non
conosciuto dalla ricorrente;
NONCHÉ INFINE
PER L’ANNULLAMENTO, PER QUANTO OCCORRA
di tutti i verbali e documenti preparatori delle conferenze di servizi sia
decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alle Conferenze di servizi
del 18 luglio e del 14 settembre 2005, in quanto non già impugnati, anche se non
conosciuti e, in particolare, del verbale e delle determinazioni assunte alla
Conferenza di servizi tenutasi in data 28 febbraio 2005 per il Sito di interesse
nazionale di Priolo limitatamente al punto n. 21 dell’Ordine del giorno (“varie
ed eventuali”), sub. 6; nonché di tutti i relativi allegati, con riferimento al
sito di interesse nazionale di Priolo;
del documento “Progetto per la messa in sicurezza di emergenza RADA DI AUGUSTA –
Sito di interesse nazionale di Priolo”, predisposto da Sviluppo Italia Aree
Produttive S.p.A. datato Agosto 2005, documento non conosciuto dalla ricorrente;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto, connesso
o consequenziale.
≈ ≈ ≈
Tutti i provvedimenti sopra indicati vengono impugnati, in particolare:
quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 18 luglio 2005, limitatamente
alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto n. 2 dell’ordine del
giorno (pagg. 5-6):
• a1) La conferenza di servizi decisoria, dopo ampia e articolata discussione,
nel prendere atto della grave situazione di contaminazione riscontrata nelle due
aree prioritarie della Rada di Augusta, rappresentata dalle elevate e pericolose
concentrazioni di mercurio determinate nei sedimenti e dai livelli riscontrati
nei tessuti dei pesci all’interno della Rada superiori al limite previsto dalla
normativa vigente come livello massimo nelle parti commestibili dei prodotti
della pesca, delibera di richiedere in primo luogo l’immediata attuazione di
interventi di messa in sicurezza di emergenza dei sedimenti nelle due aree
prioritarie della Rada di Augusta sino ad ora caratterizzate”.
• a2) “La conferenza di servizi decisoria delibera inoltre di chiedere a tutti i
soggetti titolari di concessioni demaniali all’interno della Rada di Augusta
nonché ai titolari di aree a terra con presenza di contaminazione identica a
quella rilevata nei sedimenti della Rada di rimuovere, quale misura di messa in
sicurezza di emergenza, per tutto lo spessore indagato (>/= 2m), i volumi di
sedimento le cui concentrazioni dei contaminanti sono superiori ai valori di
concentrazione limite indicati nella colonna B della tabella 1 dell’allegato 1
al d.m. 471 del 1999 (sedimenti colorati in rosso nella cartografia presentata
da ICRAM) e che, in caso di mancanza o inadempienza dei concessionari dovrà
intervenire il Commissario delegato in danno ai soggetti medesimi”;
• a3) “A tal fine la conferenza di servizi decisoria delibera di chiedere al
Commissario delegato l’elaborazione di un progetto preliminare di messa in
sicurezza di emergenza”
• a4) “La conferenza di servizi decisoria delibera altresì di richiedere di
estendere la caratterizzazione a tutta la rada di Augusta”;
• a5) (la conferenza di servizi decisoria delibera altresì), “atteso che ad oggi
non risulta acquisita alcuna documentazione relativa alla caratterizzazione
delle aree contermini i pontili, peraltro richiesta dalla conferenza di servizi
decisoria del 28.02.05 a tutti i soggetti titolari di concessioni demaniali
nella Rada, di eseguire, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente
verbale, la caratterizzazione delle aree di propria competenza”;
• a6) “la conferenza di servizi decisoria delibera ancora di richiedere, in
relazione allo stato di estrema compromissione e pericolosità ambientale
riscontrato nella Rada di Augusta, di provvedere, nelle aree già indagate,
laddove non sia stato raggiunto il livello roccioso di base, all’estensione
delle attività di caratterizzazione in profondità, oltre la quota inizialmente
prevista dal medesimo piano di caratterizzazione (2m) al fine di investigare
l’intero spessore di sedimenti incoerenti, qualora risulti ancora contaminazione
alla massima profondità finora indagata”;
quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 14 settembre 2005, limitatamente
alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto n. 2b) dell’ordine
del giorno (pag. 8-9):
• b1) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “alle aziende titolari
di concessioni demaniali all’interno della Rada di procedere, entro 30 giorni
dalla ricezione del presente verbale, all’attuazione di interventi di messa in
sicurezza di emergenza”;
• b2) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “al Commissario
delegato per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque della Regione Siciliana
o di attivare i poteri sostitutivi in danno al soggetto inadempiente qualora
entro tale termine le Aziende non provvedano ad eseguire gli interventi
suddetti;
o di farsi carico della messa in sicurezza di emergenza anche dei sedimenti
dell’area a mare circostante il pontile consortile, peraltro prospiciente il
pontile della Marina Militare del cui progetto costituirà un’integrazione;
o di estendere la caratterizzazione a tutta la rada di Augusta, così come
peraltro richiesto dalla Conferenza di servizi decisoria del 18/7/05”;
• b3) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “all’Autorità Portuale
la puntuale identificazione dei soggetti titolari di concessioni demaniali nella
rada di Augusta”;
• b4) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere - alle Autorità di
controllo (Provincia e ARPA) nonché agli istituti scientifici nazionali (APAT,
ISS, ICRAM) di individuare le eventuali correlazioni esistenti tra la
contaminazione delle aree a terra e quella dei sedimenti all’interno della Rada
di Augusta al fine della identificazione dei soggetti responsabili”.
(nel ricorso nr. 782/2006)
Del deliberato della Conferenza dei servizi decisoria convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio,intervenuta in data 16 dicembre 2005, avente ad oggetto il Sito di interesse nazionale di Priolo, nella sua totalità ed in particolare quanto al punto 2 dell’ordine del giorno in merito alla “messa in sicurezza di emergenza e caratterizzazione della rada di Augusta” nella parte in cui la Conferenza ha deliberato: a) di rinviare la discussione su questa specifica problematica del presente punto all’ordine del giorno ad una successiva seduta rilevando altresì l’opportunità di giungere ad un accordo di programma con le imprese che insistono nella rada e/o fruiscono della medesima”; b) di prendere atto del documento trasmesso dall’Autorità Portuale, concernente la puntuale identificazione dei soggetti titolari di concessioni demaniali nella rada di Augusta e di chiedere all’Autorità portuale medesima se le concessioni che risultano già scadute” e degli altri documenti, allegati, studi, atti e parti di verbali già oggetto di gravame nei ricorsi precedentemente esposti, tra i quali in particolare i verbali ed i documenti preparatori delle conferenze dei servizi sia decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alla Conferenza dei servizi del 16 dicembre 2005, anche se non conosciuti e tra questi il verbale del 4 agosto 2005;
(con i ricorsi nr. 2240/06 e nr. 2241/06)
Della nota prot. 10363/QDV/DI/VII/VIII del 25 maggio 2006, ad oggetto “attività
di caratterizzazione, di messa in sicurezza di emergenza e messa in sicurezza
operativa della Rada di Augusta” per la parte in cui il Ministero, alla luce
delle determinazioni dei verbali delle conferenze dei servizi decisorie del 18
luglio 1005 e del 14 settembre 2005 e del 16 maggio 2006 ha deciso di chiedere
alle aziende in indirizzo di inviare entro dieci giorni un elaborato con la
indicazione degli interventi in corso di adozione e/o che si intendano adottare
per adempiere alle prescrizioni formulate dalle suddette Conferenze dei servizi
decisorie, sia sulle aree a terra insistenti sulla rada di Augusta che sulle
aree marine antistanti gli stabilimenti di propria competenza, contenente il
cronoprogramma degli interventi medesimi, con l’indicazione della data di inizio
delle attività; del documento “Sito di interesse nazionale di Priolo – Documento
preparatorio alla conferenza dei servizi istruttoria del 16 maggio 2006” (atto
mai formalmente trasmesso alla ricorrente), con particolare riferimento alle
determinazioni assunte al punto 3 dell’ordine del giorno tra cui quella, in
relazione alla messa in sicurezza di emergenza della Rada, di richiedere a tutti
i soggetti ed agli operatori industriali le cui aree sono ubicate all’interno
della perimetrazione del Sito di interesse nazionale di Priolo, con particolare
riferimento ai soggetti che utilizzano le infrastrutture presenti nella rada
(es. pontili) di attivare, entro 30 giorni dalla data della presente Conferenza
dei servizi istruttoria, gli interventi mirati a rimuovere o isolare le fonti di
contaminazione e di attuare azioni mitigative per prevenire ed eliminare i
pericoli immediati verso l’uomo e l’ambiente circostante, indicando a titolo
esemplificativo la limitazione della navigazione, sia in termini di velocità che
di pescaggio, la rimozione dello spessore più inquinato dei sedimenti che
attraverso il fenomeno della risospensione generano torbide e quindi la
diffusione dell’inquinamento; del verbale (se ed in quanto redatto) della
conferenza dei servizi istruttoria per il Sito di interesse nazionale di Priolo
del 16 maggio 2006 e di ogni ulteriore atto (se ed in quanto adottato) con cui
le determinazioni ivi assunte sono state recepite dell’Amministrazione
procedente; di ogni provvedimento, atto, comportamento presupposto, connesso e
consequenziale.
(con il solo ricorso nr. 2240/06):
dei deliberati delle conferenze dei servizi decisorie convocate presso il
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio in data 18 luglio 2005 e
14 settembre 2005, aventi ad oggetto il Sito di interesse nazionale di Priolo,
nella loro totalità ed in particolare, quanto alla conferenza del 18 luglio
2005, nelle parti di cui al punto 2 dell’ordine del giorno (pagg. 5 e 6), ove si
delibera (A1) di richiedere l’immediata attuazione di interventi di messa in
sicurezza di emergenza dei sedimenti nelle due aree prioritarie della rada di
Augusta sino ad ora caratterizzate, (A2) di chiedere a tutti i soggetti titolari
di concessioni demaniali all’interno della rada di Augusta, nonché ai titolari
di aree a terra con presenza di contaminazione identica a quella rilevata nei
sedimenti della Rada di rimuovere per tutto lo spessore indagato a titolo di
messa in sicurezza di emergenza (>/=2m) i volumi di sedimento le cui
concentrazioni dei contaminanti sono superiodi ai valori di concentrazione
limite indicati nella colonna B della tabella 1 dell’allegato 1 al dm 471/99 e
che in caso di mancanza o inadempienza dei concessionari dovrà intervenire il
Commissario delegato in danno ai soggetti medesimi; (A3) di chiedere al
Commissario delegato l’elaborazione di un progetto preliminare di messa in
sicurezza di emergenza; (A4) di estendere la caratterizzazione a tutta la rada
di Augusta e chiedere alle imprese titolari di concessioni demaniali nella rada
di eseguire entro 60 giorni dal ricevimento del presente verbale la
caratterizzazione delle aree di propria competenza”; (A5) di estendere la
caratterizzazione in profondità oltre alla quota inizialmente prevista dal piano
di caratterizzazione (2m) al fine di investigare l’intero spessore di sedimenti
incoerenti, qualora risulti ancora contaminazione alla massima profondità sinora
indagata; quanto alla conferenza del 14 settembre 2005 le determinazioni di cui
al punto 2.b (pagg.9 e ss) ai sensi delle quali è stato richiesto alle aziende
titolari di concessioni demaniali all’interno della Rada (B1) di procedere entro
30 giorni dalla comunicazione del verbale alla messa in sicurezza di emergenza,
(B2) al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti di attivare i poteri
sostitutivi in danno al soggetto inadempiente qualora entro tale termine le
Aziende non provvedano ad eseguire gli interventi suddetti; di farsi carico
della messa in sicurezza di emergenza anche dei sedimenti dell’area in mare
circostante il pontile consortile, peraltro prospiciente il pontile della Marina
Militare del cui progetto costituirà un integrazione; (B3) di estendere la
caratterizzazione a tutta la rada di Augusta, così come peraltro richiesto dalla
Conferenza dei Servizi decisoria del 18 luglio 2005; (B5) di chiedere
all’Autorità portuale la puntuale identificazione di tutti i soggetti titolari
di concessioni in Rada; (B6) di chiedere alle Autorità di controllo ed agli
istituti scientifici nazionali di individuare le eventuali correlazioni
esistenti tra la contaminazione delle aree a terra e quella dei sedimenti
all’interno della rada di Augusta al fine della identificazione dei soggetti
responsabili;
di ogni provvedimento presupposto, conseguenziale, conseguente e/o comunque
connesso e, segnatamente, per quanto possa occorrere: i documenti richiamati dai
verbali delle conferenze del 18 luglio 2005 e del 14 settembre 2005, anche se
materialmente ad essi non allegati ed, in particolare, i documenti ICRAM di
valutazione dei dati di caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta ed il
Progetto per la messa in sicurezza di emergenza RADA DI AUGUSTA predisposto da
Sviluppo Italia Aree Produttive SPA e datato Agosto 2005.
E sui seguenti ricorsi riuniti (ord. nr. 138/2007 dell’8.2.2007):
nr. 2937/2006, proposto da: SYNDIAL SPA (nuova denominazione sociale della
ENICHEM SPA) rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro
Amara, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Catania, corso
Italia 302;
nr. 2938/2006, proposto da: POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso
lo studio del secondo, in Catania, corso Italia 302;
nr. 2939/2006, proposto da: ENI SPA, rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano
Grassi, e Corrado Giuliano, con domicilio eletto in Catania, Via Pasubio, 33
presso lo studio del secondo;
nr. 2970/2006 proposto da: DOW POLIURETANI ITALIA SRL rappresentato e difeso
dall’ Avv. Fabio Florio e dall’ Avv. Teodora Marocco, con domicilio eletto in
Catania, Viale XX Settembre,45 presso l’Avv. Fabio Florio e relativi motivi
aggiunti;
nr. 2976/2006 proposto da: SASOL ITALY SPA , rappresentato e difeso dall’Avv.
Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico Peres, con
domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
nr. 3053/2006 proposto da: ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA, rappresentato e
difeso dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario Caldarera, dall’Avv. Lorenzo
Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone, con domicilio eletto in Catania, Via
Lago Di Nicito,14 presso l’Avv. Donato De Luca;
nr. 3225/2006 proposto da: MAXCOM PETROLI SPA , rappresentato e difeso dall’Avv.
Donato De Luca, dall’Avv. Mario Caldarera, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, e
dall’Avv. Giovanni Acquarone, con domicilio eletto in Catania, Via Lago Di
Nicito,14 presso l’Avv. Donato De Luca;
nr. 3227/2006 proposto da: SASOL ITALY SPA , rappresentato e difeso dall’Avv.
Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico Peres, con
domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
nr. 3251/2006 proposto da: ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA, rappresentato e
difeso dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario Caldarera, dall’Avv. Lorenzo
Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone, con domicilio eletto in Catania, Via
Lago Di Nicito,14 presso l’Avv. Donato De Luca;;
nr. 3233/2006, proposto da: SYNDIAL SPA, rappresentata e difesa dall’Avv.
Stefano Grassi, e Piero Amara, con domicilio eletto in Catania, Corso Italia,
302 presso lo studio del secondo;
nr. 3234/2006, proposto da: POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi, e Piero Amara, con domicilio eletto in Catania, Corso
Italia, 302 presso lo studio del secondo;
nr. 3235/06, proposto da: ENI SPA, rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano
Grassi, e Corrado Giuliano, con domicilio eletto in Catania, Via Pasubio, 33
presso lo studio del secondo;
contro
la Presidenza Del Consiglio Dei Ministri, in persona del Presidente del
Consiglio pro tempore, il Ministero Dell'ambiente E Della Tutela Del Territorio,
il Ministero Della Salute, il Ministero Dello Sviluppo Economico (Ex Attivita’
Produttive), il Ministero Delle Infrastrutture E Dei Trasporti, il Ministero
Dell’Interno, il Ministero Dell’economia e Delle Finanze (quest’ultimo solo nel
ricorso nr. 2976/2006) il Ministero Della Difesa (quest’ultimo solo nei ricorsi
nr. 2976/2006 e nr. 3225/2006) ciascuno in persona del Ministro pro tempore;
la Direzione Servizio Qualita’ Della Vita – Ministero Ambiente Tutela Territ.;
la Direzione Gestione Rifiuti – Div. Programmazione Ribo – Min.Ambiente; la
Direzione Generale Infrastrutture – Navigazione Marittima Interna; ciascuna in
persona del proprio Dirigente pro tempore;
la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, L’assessorato
Regionale Industria, L’Assessorato Regionale Territorio Ed Ambiente, il
Commissario Delegato Per L’emergenza Rifiuti E Tutela Delle Acque, il Vice
Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti e Tutela Delle Acque, Il
Subcommissario per la Bonifica dei Siti Contaminati, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore;
la Prefettura di Siracusa, in persona del Prefetto, la Capitaneria di Porto di
Augusta, la Capitaneria di Porto di Siracusa, l’Enea, l’Istituto Superiore per
la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro, l’istituto Centrale Ricerca Scientifica e
Tecnologica Applicata al Mare, l’Istituto Superiore di Sanita’, il Corpo
Regionale delle Miniere – Servizio Geologico e Geofisico; Sviluppo Italia Aree
Produttive SPA, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore;
tutti rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato, con
domicilio eletto in Catania, Via Vecchia Ognina, 149 presso la sua sede;
la Provincia Regionale di Siracusa, la Provincia Regionale di Siracusa,
Assessorato Ambiente Piano e Risanamento Ambientale, il VIII Settore Tutela del
Suolo-Prov.Regionale Siracusa, il Comune di Siracusa, il Comune di Siracusa -
Settore Ambiente, il Presidente Piano di Risanamento Prov. di Siracusa, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, non costituiti;
il Comune di Augusta (SR), in persona del Sindaco, legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. Pietro Coppa con domicilio eletto in
Catania, Viale XX Settembre, 51 presso Avv. Francesco Favi;
il Comune di Melilli (SR), in persona del Sindaco, legale rappresentante pro
tempore, non costituito nel giudizio nr. 3251/06, e negli altri rappresentato e
difeso dall’Avv. Pietro Coppa con domicilio eletto in Catania, Viale XX
Settembre, 51 presso Avv. Francesco Favi;
il Comune di Priolo Gargallo (SR), il Consorzio A.S.I. Sicilia Orientale, zona
Sud– Siracusa, l’agenzia Protezione Ambiente E Servizi Tecnici (APAT), l’ ARPA
Sicilia - Agenzia Reg. Protezione Ambiente – Palermo, l’ Arpa Sicilia - Sede
Provinciale di Siracusa, l’ Azienda Unita' Sanitaria Locale N.8 – Siracusa, il
Lip Chimico Asl 8 Laboratorio Prov. Di Igiene E Sanita', il Consorzio Area
Sviluppo Industriale – Siracusa, il Dip.Insediamenti Produttivi ed Interazione
con L'ambiente, l’ I.C.R.A.M – Palermo,
la società “Sviluppo Italia” SPA in persona del proprio rappresentante legale
pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. Francesco Balestrazzi ed Avv.
Francesco di Luciano con domicilio eletto in Catania, via Ruggero Settimo, 3
presso Avv. Francesco Balestrazzi e (nei ricorsi nr. 2938/2006, 2939/06,
2976/2006, 3053/06, 3225/06, e 3227/06) dall’Avv. Luca Tufarelli con domicilio
eletto in Catania, via Milano 29, presso l’Avv. Riccardo Giuffrida;
e (nel solo ricorso nr. 2976/2006):
Agenzia Del Demanio - Direzione Centrale; Agenzia Del Demanio – Palermo; Agenzia
Del Demanio - Sportello Operativo Terr.Le - Siracusa ; Uff.Spec.Aree Elevato
Rischio Di Crisi Ambientale – Palermo; Uff.Spec.Aree Elevato Rischio Ambientale
- Uff. Di Priolo;L’ Assessorato Regionale Bb. Cc. Aa. E Pubblica Istruzione; Il
Dipartimento Reg. Bb.Cc.Aa. Ed Educazione Permanente; La Soprintendenza
Bb.Cc.Aa. Siracusa-Dip.Bb.Cc.Aa. Educaz.Perm. E La Soprintendenza Del Mare –
Palermo; L’ Agenzia Protezione Ambiente E Servizi Tecnici (Apat); L’ Arpa
Sicilia - Agenzia Reg. Protezione Ambiente – Palermo; L’ Arpa Sicilia - Sede
Provinciale Di Siracusa; La Marina Militare Comando Di Augusta; L’autorita'
Portuale Di Augusta; Il Dip.Insediamenti Produttivi Ed Interazione Con
L'ambiente; L’ I.C.R.A.M – Palermo; La Società Sviluppo Italia Aree Produttive
Spa; ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e
difese dall’ Avvocatura dello Stato con domicilio eletto in Catania, Via Vecchia
Ognina, 149 presso la sua sede;
il Comune di Priolo Gargallo (SR), il Comune di Priolo Gargallo-Assessorato
Territorio ed Ambiente, l’azienda Unita' Sanitaria Locale N.8 – Siracusa, l’A.U.S.L.
8 di Siracusa - Laboratorio Igiene e Profilassi, l’A.U.S.L. 8 di Siracusa-
Laboratorio di Sanita' Pubblica, il Consorzio Area Sviluppo Industriale –
Siracusa, non costituiti;
e nei confronti :
della società “Edison” SPA, in persona del suo legale rappresentante, non
costituita;
(nel ricorso nr. 3053/06 )
“Eni” Spa, Divisione “Exploration And Production”; “Eni” SPA; “Edison” SPA,
ciascuna in persona del rispettivo rappresentante legale pro tempore, non
costituite;
(nel ricorso nr. 3233/06, 3234/06,3235/06)
La società “Sviluppo Italia Aree Produttive” S.P.A., ed “Edison” S.P.A., in
persona del rispettivo rappresentante legale pro tempore, non costituite;
“Sviluppo Italia” SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa (nel ricorso nr. 3233/06 e 3235/06) dall’Avv. Luca
Tufarelli, con domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Riccardo
Giuffrida in via Milano 29;
per l'annullamento
nel ricorso nr. 2937/2006 (Syndial – ex Enichem), nel ricorso nr. 2938/2006
(Polimeri Europa Spa) e nel ricorso nr. 2939/2006 (Eni Spa):
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza dei servizi decisoria
tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente e delle tutela del Territorio in data
21 luglio 2006, ai sensi dell’art. 14 della legge nr. 241/90 e sue successive
modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi la
lettera prot. 15541/QVD/DI/ (VII,VIII,IX) del 2.08.2006, pervenuta in data
successiva, con la quale il Ministero dell’ambiente ha trasmesso il suddetto
verbale alla ricorrente ed i provvedimenti di incognita data con cui le
determinazioni sono state recepite dall’Amministrazione procedente (atti
sconosciuti);
nonché per l’annullamento, in quanto occorrere possa,
dei documenti richiamati dal verbale del 21 luglio 2006,anche se materialmente
ad esso non allegati, ivi inclusi, in particolare, il documento “Indagini
ambientali dei sedimenti della Rada di Augusta – Risultati del II stralcio della
prima fase di caratterizzazione” trasmesso dal Commissario delegato al Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e da questi acquisiti al prot. N.
10318/Qvd/DI del 24.05.2006; il documento “Progetto preliminare di bonifica dei
fondali della Rada di Augusta, inclusi nella perimetrazione del sito di bonifica
del sito di interesse nazionale di Priolo” trasmesso da ICRAM al Ministero
dell’Ambiente e della tutela del territorio e da questi acquisito al prot. N.
7240/Qvd/DI del 07.04.2006;
dei documenti allegati al verbale del 21 luglio 2006, anche se non espressamente
richiamati (meglio indicati in atti);
del verbale (ove redatto) e comunque delle determinazioni assunte alla
Conferenza dei servizi istruttoria in data 16 maggio 2006 per il Sito di
Interesse Nazionale di Priolo;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto, connesso
o consequenziale;
nel ricorso nr. 2970/2006 (DOW Poliuretani Italia spa):
con il ricorso introduttivo:
del verbale della Conferenza dei servizi decisoria convocata presso il Ministero
dell’Ambiente in data 21 luglio 2006, avente ad oggetto il sito di interesse
nazionale di Priolo, con particolare riferimento a quanto meglio indicato in
atti;
della nota Prot. 15541/Qvd/DI/VII/VIII del 2 agosto 2006, del Direttore generale
Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, di
trasmissione del verbale impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
con i motivi aggiunti depositati il 28 novembre 2006:
dei decreti Prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QdV/B adottati in data 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
di tutti gli atti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali, ivi
inclusi i verbali e le prescrizioni assunte dalle conferenze di servizi
decisorie tenutesi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio il 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, nonché i verbali e le
determinazioni delle conferenze di servizi decisorie in data 18 luglio 2005, 14
settembre 2005, 21 luglio 2006, meglio specificate in atti;
con i motivi aggiunti depositati il 01 febbraio 2007:
del verbale della conferenza dei servizi decisoria presso il Ministero
dell’Ambiente, tenutasi il 4 dicembre 2006 avente ad oggetto il Sito di
Interesse Nazionale di Priolo; della nota prot. 25385/Qdv/IX del 13 dicembre
2006 del Ministero dell’Ambiente; del decreto prot. 3204/Qdv/DI/B adottato il 13
dicembre 2006 dal Direttore Generale della Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente; dei decreti prott. Nn. 2979 e 2980/Qdv/DI/B adottato il 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale della Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente; della nota prot. 24806/ Qdv/DI/IX medesima amministrazione; di
tutti gli atti provvedimenti, presupposti, connessi e consequenziali meglio
indicati in ricorso;
nel ricorso nr. 2976/2006 (SASOL Italy, s.p.a.):
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza dei servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 21 luglio 2006, ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 e
sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi gli
atti e le note meglio indicate in atti;
nonché per l’annullamento, per quanto occorra, di tutti i verbali e i documenti
preparatori delle conferenze di servizi sia decisorie che istruttorie,
presupposti e conseguenti alla Conferenza dei servizi del 21 luglio 2006, in
quanto non già impugnati, anche se non conosciuti;
di tutti i documenti richiamati dal verbale del 21 luglio 2006, anche se
materialmente ad esso non allegati, ivi inclusi quelli meglio esposti ed
indicati in atti;
dei documenti allegati al verbale del 21 luglio 2006, anche se non in esso
richiamati espressamente, meglio specificati in atti;
del verbale (ove redatto e comunque delle determinazioni assunte alla Conferenza
di servizi istruttoria in data 16.05.2006 per il sito di interesse nazionale di
Priolo;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto, connesso
o consequenziale;
nel ricorso nr. 3227/2006 (SASOL ITALY)
dei decreti prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QvD/DI/B adottati in data 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché la lettera prot.
2183/Qvd/DI/VII/VIII datata 03.11.2006; nonché la lettera prot. n. 20958/QdV/DI
del 25.10.2006 di convocazione della predetta conferenza;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le determinazioni
assunte dalle Conferenze dei Servizi decisorie (meglio richiamate in ricorso);
nel ricorso nr. 3053/2006 (ERG Raffinerie Mediterranee spa)
dei decreti prott. 2979 e 2980 /QdV/DI/B adottati il 31 ottobre 2006 e di tutti
gli atti comportamenti e provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali,
tutti meglio specificati in atti;
nel ricorso nr. 3225/2006 (MAXCOM Petroli Spa) e nel ricorso nr. 3251/06 (ERG
Raffinerie mediterranee Spa):
del verbale e delle determinazioni assunte dalle Conferenze di servizi decisorie
tenutesi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio in data
21 luglio 2006 e 19 ottobre 2006, ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 e sue
successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo, nelle parti di cui in narrativa;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi:
- la lettera prot. (15541/QDV/DI /VII/VII/IX) del 2 agosto 2006, pervenuta in
data successiva, con cui il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio ha trasmesso il suddetto verbale alla ricorrente;
- gli eventuali provvedimenti, di incognita data, con cui le determinazioni sono
state recepite dall’Amministrazione procedente (sconosciuti alla ricorrente);
- i documenti richiamati ed allegati nel verbale del 21 luglio 2006, meglio
richiamati in ricorso;
del verbale (ove redatto) e comunque delle determinazioni assunte alla
Conferenza dei servizi istruttoria in data 16 maggio 2006, per il Sito di
interesse nazionale di Priolo;
nel ricorso nr. 3233/06 (Syndial Spa), 3234/06 (Polimeri Europa Spa), 3235/06
(ENI Spa):
dei decreti Prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QdV/B adottati in data 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
di tutti gli atti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali, ivi
inclusi i verbali e le prescrizioni assunte dalle conferenze di servizi
decisorie tenutesi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio in 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, nonché i verbali e le
determinazioni delle conferenze di servizi decisorie in data 18 luglio 2005, 14
settembre 2005, 21 luglio 2006, meglio specificate in atti;
e sul ricorso:
Ricorso nr. 3573/06, proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni
Acquarone e dall’Avv. Alessandro Salustri, con domicilio eletto presso lo studio
del primo in Catania, via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività
Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, delle
Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati
regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per l’emergenza
rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la bonifica dei siti
contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia Protezione Ambiente e
Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale protezione ambiente),
l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del proprio rappresentante
legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti rappresentate e difese
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli
uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti ad eccezione del Comune di Melilli che è rappresentato e difeso
dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio
dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia” SPA
ed “EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale,
costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca
Tufarelli, con domicilio eletto in Catania, Via Milano, 29, presso l’Avv.
Riccardo Giuffrida;
per l’annullamento
dei decreti prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, notificati in data 15
dicembre 2006 (con note prot. nn. 24804/Qdv/DI/IX e 24806/Qdv/DI/IX del 6
dicembre 2006), entrambi aventi ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex
art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le determinazioni
assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi presso il Ministero
dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13
ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre
2006, relative al sito di interesse nazionale di Priolo, richiamate nei decreti
ministeriali impugnati.
E sul ricorso:
Ricorso nr. 189/07, proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA, rappresentata e
difesa dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario Caldarera, dall’Avv. Lorenzo
Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone, con domicilio eletto presso lo studio
del primo in Catania, via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di Augusta e del Comune di
Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in
Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo Italia”
SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, costituita la
seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli, con
domicilio eletto in Catania, Via Milano, 29, presso l’Avv. Riccardo Giuffrida;
per l’annullamento
dei decreti prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, notificati in data 15
dicembre 2006 (con note prot. nn. 24804/Qdv/DI/IX e 24806/Qdv/DI/IX del 6
dicembre 2006), entrambi aventi ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex
art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le determinazioni
assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi presso il Ministero
dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13
ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre
2006, relative al sito di interesse nazionale di Priolo, richiamate nei decreti
ministeriali impugnati.
E sul ricorso:
Ricorso nr. 195/2007, proposto da SYNDIAL SPA (EX ENICHEM SPA), rappresentato e
difeso dall’Avv. Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto
presso lo studio del secondo in Catania, Corso Italia 302;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Sud della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio;
e nei confronti
Delle società “ERG Raffinerie Mediterranee” SPA, “EDISON” Spa, “IAS
Industria acque Siracusa” SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante
legale, non costituite in giudizio;
per l’annullamento
- della nota prot. n. 22457/QdV/DI/VII/VIII del 13 novembre 2006 a firma del
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, ad oggetto “Restituzione agli usi legittimi
dell’area necessaria alla realizzazione dell’impianto di trattamento delle acque
di falda nel sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo”
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, anche se sconosciuti alla ricorrente.
e sul ricorso
Ricorso nr. 200/2007, proposto da ENI SPA, rappresentata e difesa dall’Avv.
Stefano Grassi e dall’Avv. Corrado Giuliano, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Catania, via Pasubio 33;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di Augusta e del Comune di
Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in
Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo Italia”
SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, costituita la
seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli, con
domicilio eletto in Catania, presso la Segreteria del TAR;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, entrambi aventi ad oggetto “Provvedimento
finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle
determinazioni della Conferenza di servizi decisoria relativa al sito di
interesse nazionale di Priolo del 4/12/2006”;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare:
- il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi decisoria
tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio in data
4 dicembre 2006;
- i documenti allegati al verbale del 4 dicembre 2006, anche se non
espressamente richiamati, ivi inclusi, in particolare, la nota prot. 20814 de1
dicembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta
ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e
della salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di
bonifica siti di interesse nazionale di Priolo” (All.D) ed il relativo allegato
“Piano delle aree di ancoraggio del Porto di Augusta”; la nota prot. 18417
U.O.E. del 4 dicembre 2006 del Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e
tutela delle acque in Sicilia ad oggetto “Navigabilità del Porto di Augusta”
(All. E) e l’allegata nota della prt. 8870 del 1 dicembre 2006 dell’Autorità
Portuale di Augusta avente il medesimo oggetto; la nota prot. 20713 de1 30
novembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta
ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e
della salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di
bonifica siti di interesse nazionale di Priolo” (All.G) e l’allegata “Bozza di
ordinanza per la disciplina della navigazione nella Rada interna del Porto di
Augusta” e relative planimetria allegate ai nn. 1, 2 e 3 e schema delle “rotte
di attraversamento dei canali di accesso”, al n. 4 e “Piano di Ancoraggio” al n.
5;
- la nota prot. 2538/QdV/IX del 13 dicembre 2006 (ricevuta in data successiva)
con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla
ricorrente il citato decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in pari data;
nonché, in quanto occorrer possa,
- della nota prot. 24806/QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso
alla ricorrente il decreto n. 2979/QdV/DI/B del 31 ottobre 2006 dal Direttore
Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241,
delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di
interesse nazionale di Priolo” tenutesi in data 18 luglio, 14 settembre, 13
ottobre e 16 dicembre 2005 e del relativo decreto allegato.
- della nota prot. 24804 QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso
alla ricorrente il decreto n. 2980/QdV/DI/B del 31 ottobre 2006 dal Direttore
Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241,
delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di
interesse nazionale di Priolo” tenutesi in data 21 luglio, 19 ottobre e 31
ottobre 2006 e del relativo decreto allegato;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le determinazioni
assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi presso il Ministero
dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13
ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre
2006, relative al sito di interesse nazionale di Priolo, richiamate nei decreti
direttoriali impugnati.
** * **
I provvedimenti sopra indicati vengono impugnati in toto e, in particolare, per
la parte in cui la Conferenza di servizi del 4 dicembre 2006, così come risulta
dalle determinazioni verbalizzate e rese esecutive dal decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B
adottato in data 13 dicembre 2006, ha deliberato di:
a) “prendere atto” dei contenuti della nota del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la tutela
della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare
in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse nazionale di Priolo”
e dei relativi allegati;
b) di “non ritenere condivisibile” la richiesta formulata dal Commissario
delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia nella nota
“Navigabilità del Porto di Augusta” di “far attraversare alle navi le aree rosse
lungo il canale di accesso alla aree di competenza pubblica senza l’ausilio di
rimorchiatori”;
c) di chiedere al Commissario delegato di
c1) – “dare la precedenza agli interventi di verifica mediante caratterizzazione
integrativa delle aree “rosse” (aree da sottoporre immediatamente ad interventi
di bonifica – 90% B< conc < 10x90%B) lungo il canale di accesso alle aree
pubbliche nella direzione dell’aerea marina di competenza dell’Autorità Portuale
di Augusta, da condurre con una maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli analiti
per il quali la I e la II fase di caratterizzazione hanno evidenziato
superamenti e qualora i risultati acquisiti dovessero confermare il livello di
inquinamento, procedere alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza
di emergenza mediante rimozione dei sedimenti contaminati in corrispondenza
delle suddette aree rosse”;
c2 – “trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente
verbale, gli elaborati progettuali relativi alla cassa di colmata in adiacenza
della banchina del porto commerciale per il refluimento dei sedimenti derivanti
dalle operazioni di messa in sicurezza di emergenza della Rada di Augusta”;
c3 – “presentare, entro 30 giorni dalla data del provvedimento finale di
adozione delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi decisoria,
gli elaborati concernenti la messa in sicurezza di emergenza delle restanti
parti della Rada non comprese negli elaborati progettuali concernenti gli
interventi di messa in sicurezza di emergenza dei sedimenti della rada di
Augusta di cui alla conferenza di servizi decisoria del 31 ottobre 2006 ivi
comprese le aree di ancoraggio, ubicate in corrispondenza di aree “rosse”
denominate 7R, 8R, 9R dalla Capitaneria di Porto di Augusta nella nota “Studio
di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia
della vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di
interesse nazionale di Priolo”, trasmesso dalla capitaneria di Porto di Augusta”
E sui ricorsi:
Ricorso nr. 213/2007, proposto da SYNDIAL SPA, rappresentato e difeso dall’Avv.
Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo studio
del secondo in Catania, Corso Italia 302;
nr. 214/2007, proposto da POLIMERI EUROPA SPA, rappresentato e difeso dall’Avv.
Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo studio
del secondo in Catania, Corso Italia 302;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Siracusa e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa, ciascuno in persona
del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non costituiti in giudizio;
I Comuni di Augusta e di Melilli, in persona del proprio Sindaco, legale
rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con
domicilio eletto in Catania, presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX
Settembre, nr.51.
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia” SPA,
“EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, costituita
la seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli, con
domicilio eletto in Segreteria;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, entrambi aventi ad oggetto “Provvedimento
finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle
determinazioni della Conferenza di servizi decisoria relativa al sito di
interesse nazionale di Priolo del 4/12/2006”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare:
- il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi decisoria
tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio in data
4 dicembre 2006;
- i documenti allegati al verbale del 4 dicembre 2006, anche se non
espressamente richiamati, ivi inclusi, in particolare, la nota prot. 20814 de1
dicembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta
ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e
della salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di
bonifica siti di interesse nazionale di Priolo” (All.D) ed il relativo allegato
“Piano delle aree di ancoraggio del Porto di Augusta”; la nota prot. 18417
U.O.E. del 4 dicembre 2006 del Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e
tutela delle acque in Sicilia ad oggetto “Navigabilità del Porto di Augusta”
(All. E) e l’allegata nota della prt. 8870 del 1 dicembre 2006 dell’Autorità
Portuale di Augusta avente il medesimo oggetto; la nota prot. 20713 de1 30
novembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta
ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e
della salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di
bonifica siti di interesse nazionale di Priolo” (All.G) e l’allegata “Bozza di
ordinanza per la disciplina della navigazione nella Rada interna del Porto di
Augusta” e relative planimetria allegate ai nn. 1, 2 e 3 e schema delle “rotte
di attraversamento dei canali di accesso”, al n. 4 e “Piano di Ancoraggio” al n.
5;
- la nota prot. 2538/QdV/IX del 13 dicembre 2006 (ricevuta in data successiva)
con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla
ricorrente il citato decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in pari data;
nonché, in quanto occorrer possa,
- della nota prot. 24806/QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso
alla ricorrente il decreto n. 2979/QdV/DI/B del 31 ottobre 2006 dal Direttore
Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241,
delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di
interesse nazionale di Priolo” tenutesi in data 18 luglio, 14 settembre, 13
ottobre e 16 dicembre 2005 e del relativo decreto allegato.
- della nota prot. 24804 QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso
alla ricorrente il decreto n. 2980/QdV/DI/B del 31 ottobre 2006 dal Direttore
Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241,
delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di
interesse nazionale di Priolo” tenutesi in data 21 luglio, 19 ottobre e 31
ottobre 2006 e del relativo decreto allegato;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le determinazioni
assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi presso il Ministero
dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13
ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre
2006, relative al sito di interesse nazionale di Priolo, richiamate nei decreti
direttoriali impugnati.
** * **
I provvedimenti sopra indicati
vengono impugnati in toto e, in particolare, per la parte in cui la Conferenza
di servizi del 4 dicembre 2006, così come risulta dalle determinazioni
verbalizzate e rese esecutive dal decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in
data 13 dicembre 2006, ha deliberato di:
a) “prendere atto” dei contenuti della nota del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la tutela
della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare
in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse nazionale di Priolo”
e dei relativi allegati;
b) di “non ritenere condivisibile” la richiesta formulata dal Commissario
delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia nella nota
“Navigabilità del Porto di Augusta” di “far attraversare alle navi le aree rosse
lungo il canale di accesso alla aree di competenza pubblica senza l’ausilio di
rimorchiatori”;
c) di chiedere al Commissario delegato di
c1) – “dare la precedenza agli interventi di verifica mediante caratterizzazione
integrativa delle aree “rosse” (aree da sottoporre immediatamente ad interventi
di bonifica – 90% B< conc < 10x90%B) lungo il canale di accesso alle aree
pubbliche nella direzione dell’aerea marina di competenza dell’Autorità Portuale
di Augusta, da condurre con una maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli analiti
per il quali la I e la II fase di caratterizzazione hanno evidenziato
superamenti e qualora i risultati acquisiti dovessero confermare il livello di
inquinamento, procedere alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza
di emergenza mediante rimozione dei sedimenti contaminati in corrispondenza
delle suddette aree rosse”;
c2 – “trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente
verbale, gli elaborati progettuali relativi alla cassa di colmata in adiacenza
della banchina del porto commerciale per il refluimento dei sedimenti derivanti
dalle operazioni di messa in sicurezza di emergenza della Rada di Augusta”;
c3 – “presentare, entro 30 giorni dalla data del provvedimento finale di
adozione delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi decisoria,
gli elaborati concernenti la messa in sicurezza di emergenza delle restanti
parti della Rada non comprese negli elaborati progettuali concernenti gli
interventi di messa in sicurezza di emergenza dei sedimenti della rada di
Augusta di cui alla conferenza di servizi decisoria del 31 ottobre 2006 ivi
comprese le aree di ancoraggio, ubicate in corrispondenza di aree “rosse”
denominate 7R, 8R, 9R dalla Capitaneria dui Porto di Augusta nella nota “Studio
di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia
della vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di
interesse nazionale di Priolo”, trasmesso dalla capitaneria di Porto di Augusta”
E sul ricorso:
Ricorso nr. 215/2007, proposto da SASOL ITALY SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico Peres,
con domicilio eletto presso la segreteria del TAR;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di Augusta e del Comune di
Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in
Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo Italia”
SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, costituita la
seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli, con
domicilio eletto in Catania, presso la Segreteria del TAR;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale della Direzione per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, contenente
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241,
delle determinazioni della Conferenza di servizi decisoria relativa al sito di
interesse nazionale di Priolo”, nonché di tutti gli atti, comportamenti,
provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali, anche se non conosciuti
dalla ricorrente, ivi inclusi, in particolare, il verbale e le determinazioni
assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria convocata presso il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 4 dicembre 2006,
relativa al sito di interesse nazionale di Priolo e la lettera prot. 25385/QdV/DI/IX
datata 13.12.06, spedita il 19.12.06 come risulta dal timbro apposto sulla busta
e pervenuta in data successiva, con la quale sono stati trasmessi il decreto
13.10.06 prot. n. 3204/QdV/DI/B e il verbale della Conferenza di Servizi
decisoria 04.12.06 nonché tutti i documenti allegati al verbale del 4.12.06,
anche se non espressamente richiamati o non allegati, ivi inclusi, in
particolare la nota 20184 del dicembre 2006 del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la tutela
della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in
relazione agli interventi di bonifica nei siti di interesse nazionale di Priolo”
(all. D) ed il relativo allegato ‘Piano delle aree di ancoraggio del Porto di
Augusta; la nota prot. 18146 U.O.E. del 4.12.06 del Commissario delegato per
l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia ad oggetto ‘Navigabilità
nel Porto di Augusta e l’allegata nota 8870 del 1.12.06; la nota prot. 20713 del
30.11.06 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta ad
oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della navigazione e
della salvaguardia della vita umana in relazione agli interventi di bonifica nei
siti di interesse nazionale di Priolo” e l’allegata ‘Bozza di ordinanza per la
disciplina della navigazione nella Rada interna del Porto di Augusta e relative
planimetrie allegate ai nn. 1,2 e 3 e schema delle ‘rotte di attraversamento dei
canali di accesso, al n. 4 e ‘Piano di ancoraggio’ al n. 5;
delle note prot. 24804/QdV/DI/IX e prot. n. 24806/QdV/DI/IX datate 06.12.06,
spedite il 13.12.06, come risulta dal timbro apposto sulla busta e pervenute in
data successiva, con le quali sono stati trasmessi i decreti prott. nn. 2980/QdV/DI/B
e 2979/QdV/DI/B adottati in data 31 ottobre 2006 dal Direttore Generale per la
Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare, entrambi ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter,
legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze di servizi
decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”, nonché di tutti
gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali,
anche se non conosciuti dalla ricorrente, ivi inclusi, i menzionati decreti
prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B adottati in data 31 ottobre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, i verbali e le determinazioni assunte dalle
Conferenze di Servizi decisorie (e tutte le lettere di convocazione delle
Conferenze e di trasmissione dei verbali, gli atti e i documenti richiamati nei
verbali delle stesse Conferenze anche ove non materialmente allegati) tenutesi
presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16
dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006, 31 ottobre 2006, relative al
sito di interesse nazionale di Priolo, come richiamati nei decreti ministeriali
impugnati.
* *
I provvedimenti sopra indicati vengono impugnati in toto e, in particolare, per
la parte in cui:
quanto al decreto 13.12.2006 prot. n. 3204/QdV/DI/B costituente il
‘provvedimento finale di adozione delle determinazioni della Conferenza di
servizi 04.12.2006, il Direttore Generale per la Qualità della Vita del
Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare ha inteso
“approvare” e “considerare come definitive” tutte le prescrizioni stabilite nel
verbale della Conferenza di servizi decisoria del 4 dicembre 2006;
quanto al verbale della Conferenza di Servizi 04.12.2006, la Conferenza di
servizi decisoria: (a) ha preso atto dei contenuti della nota ‘Studio per la
tutela della navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare in
relazione agli interventi di bonifica dei siti di interezza nazionale di Priolo’;
(b) ha ritenuto non condivisibile la richiesta avanzata dal Commissario delegato
per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia di fare attraversare
alle navi le aree rosse lungo il canale di accesso alle aree di competenza
pubblica senza l’ausilio di rimorchiatori; (c) ha richiesto al Commissario
delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia, ad
integrazione delle prescrizioni già formulate dalle Conferenze di servizi
decisorie del 19.10.06 e del 31.10.06, di: «1) dare la precedenza agli
interventi di verifica mediante caratterizzazione integrativa delle aree ‘rosse’
(aree da sottoporre immediatamente ad interventi di bonifica -90% B< conc.< 10 x
90% B) lungo il canale di accesso alle aree pubbliche nella direzione dell’area
marina di competenza dell’Autorità Portuale di Augusta, da condurre con una
maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli analiti per i quali la I e la II fase di
caratterizzazione hanno evidenziato superamenti e qualora i risultati acquisiti
dovessero confermare il livello di inquinamento, procedere alla esecuzione degli
interventi di messa in sicurezza d’emergenza mediante rimozione dei sedimenti
contaminati in corrispondenza delle suddette aree cosiddette ‘rosse’; 2)
trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, gli
elaborati progettuali relativi alla cassa di colmata in adiacenza della banchina
del Porto commerciale per il refluimento dei sedimenti derivanti dalle
operazioni di messa in sicurezza d’emergenza della Rada di Augusta; 3)
presentare, entro 30 giorni dalla data di provvedimento finale di adozione delle
determinazione conclusive della Conferenza di servizi decisoria, gli elaborati
concernenti la messa in sicurezza d’emergenza delle restanti parti della Rada
non comprese negli elaborati progettuali concernenti gli interventi di messa in
sicurezza di emergenza dei sedimenti della Rada di Augusta di cui la Conferenza
di servizi decisoria del 31.10.06 ivi comprese le aree di ancoraggio, ubicate n
corrispondenza di aree ‘rosse’ denominate 7R, 8R, 9R dalla Capitaneria di Porto
di Augusta nella nota ‘Studio per la tutela della navigazione e della
salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica
dei siti di interezza nazionale di Priolo, trasmesso dalla Capitaneria di Porto
di Augusta e acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mara al prot. n. 24336/QdV/DI del 30.11.06».
quanto alle note prot. 24804/QdV/DI/IX e prot. n. 24806/QdV/DI/IX datate
06.12.06 spedite dal Ministero in data 13.12.06 e prevenute successivamente ed
ai decreti prott. nn. 2980/QdV/DI/B e 2979/QdV/DI/B adottati il 31.10.06
trasmessi con le predette note, il Direttore Generale per la Qualità della Vita
del Ministero dell’ambiente ha inteso “approvare” e “considerare come
definitive” tutte le prescrizioni stabilite nei verbali delle Conferenze di
servizi decisorie del 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16
dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006.
E sul ricorso
Ricorso Nr. 263/2007, proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentato e difeso
dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Acquarone Lorenzo, dall’Avv. Giovanni
Acquarone e dall’Avv. Alessandro Palustri, con domicilio eletto presso lo studio
del primo in Catania, Via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Giunta Regionale
della Sicilia, gli Assessorati regionali Territorio ed Ambiente ed Industria, il
Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il
Vicecommissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario
per la bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale
protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno in persona del
proprio rappresentante legale pro tempore e tutte amministrazioni ed enti
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio
ex lege presso gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di Augusta, rappresentato e
difeso dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio
dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia” SPA
ed “EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, non
costituite in giudizio;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/Di/B del 13 dicembre 2006, adottato dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, notificato con nota n. 25385/QdV/IX del 13
dicembre 2006, pervenuta successivamente, avente ad oggetto “Provvedimento
finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle
determinazioni conclusive della Conferenza di servizi decisoria relativa al sito
di bonifica di interesse nazionale di Priolo del 4 dicembre 2006”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, il verbale e le determinazioni
assunte dalla conferenza di servizi decisoria tenutasi presso il Ministero
dell’ambiente in data 4 dicembre 2006, relativa al sito di interesse nazionale
di Priolo, richiamata dal (ed allegata al) decreto direttoriale impugnato.
Ed, infine, sul seguente ricorso:
Ricorso nr. 131/07, proposto in sede giurisdizionale ex art. 10 DPR 1199/71 da
BUZZI UNICEM S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Weigmann, dall’Avv.Claudio
Vivani, dall’Avv. Silvia Verzaro, e dall’Avv. Francesco Mauceri, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via Conte Ruggero 9 e
relativi motivi aggiunti, (ricorso straordinario al Capo dello Stato, trasposto
di fronte al TAR a seguito di opposizione della società Syndial);
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, degli Interni, della Difesa, dei Trasporti, la Direzione
Generale della Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente, la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la Regione Sicilia, la Presidenza della Regione
Siciliana, l’Assessorato alla Presidenza della Regione Siciliana, gli
Assessorati regionali Territorio ed Ambiente, Industria, Beni Culturali ed
ambientali, nonché Pubblica Istruzione, il Commissario Delegato per l’emergenza
rifiuti e la tutela delle acque, la Prefettura di Siracusa, l’Autorità portuale
di Augusta, la Marina Militare di Augusta, la Capitaneria di Porto di Siracusa,
la Capitaneria di Porto di Augusta, l’ICRAM Istituto centrale per la ricerca
scientifica e tecnologica applicata al mare, l’APAT (Agenzia Protezione Ambiente
e Servizi Tecnici), l’Istituto Superiore di sanità, l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’ENEA, Ente per le nuove tecnologie, energia ed
ambiente, l’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro
I.S.P.E.S.L., il Corpo delle Capitanerie di Porto, Comando generale, il Reparto
Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto, l’Agenzia Regionale per
i rifiuti e le acque, A.R.P.A., il Comando Carabinieri tutela Ambiente – NOE di
Catania, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e
tutte amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni di
Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di Melilli ed Augusta,
rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in Catania
presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società ENI Spa, SASOL Italy Spa, COGEMA Spa, DOW ITALIA Srl, ERG
NUOVE CENTRALI Spa, ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE Srl – IAS, INDUSTRIE SIRACUSANA
Spa, ISAB ENERGY Srl, MAXCOME PETROLI Spa, SYNDIAL Spa, BELUEPOWER Spa, ENIMED
Spa, ENEL PRODUZIONE Spa, ENEL AUGUSTA Spa, ENEL PRODUZIONE Spa, ESSO
ESPLORATION AND PRODUCTION ITALIA Spa, POLIMERI EUROPA Spa, VEGTRORESINA
ENGINEERING DEVELOPMENT Srl, SNAM RETE GAS Spa, ESSO ITALIANA Srl, ERG
RAFFINERIE MEDITERRANEE – SOCIETA’ PER AZIONI, AIR LIQUIDE CENTRALE PRODUZIONE
GAS Srl; ciascuna in persona del proprio legale rappresentante, costituita in
giudizio solo la Syndial, rappresentata e difesa dell’avv. Stefano Grassi e
dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto in Catania, presso lo studio di
quest’ultimo in Corso Italia 302;
e “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia” SPA ciascuna in
persona del proprio rappresentante legale, costituita la seconda in giudizio e
rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli e con l’Avv. Riccardo Giuffrida,
con domicilio eletto in Catania, Via Milano, 29, presso l’Avv. Riccardo
Giuffrida;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo (ricorso straordinario al Capo dello Stato):
del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per la Qualità della
Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in
data 31 ottobre 2006 n. 2979/Qdv/DI/B, nelle parti di interesse;
del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per la Qualità della
Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in
data 31 ottobre 2006 n. 2980/Qdv/DI/B, nelle parti di interesse;
di tutti gli atti ed i documenti di qualsivoglia natura del procedimento
relativo ai suddetti decreti e segnatamente delle conferenze dei servizi
decisorie ivi richiamati ed approvati, dei verbali delle conferenze di servizi
istruttorie in parti data, non conosciuti dalla ricorrente; di ogni altro
verbale di conferenza dei servizi decisoria e/o istruttoria, pur non conosciuto
dalla ricorrente, relativo al procedimento de quo, ivi espressamente compreso il
verbale della conferenza dei servizi decisoria del 18 novembre 2003, non
conosciuto dalla ricorrente, con il quale risulta approvato il Piano di
Caratterizzazione ambientale dell’area marino costiera prospiciente il sito di
bonifica di interesse nazionale di Priolo, trasmesso da ICRAM con nota prot.
CII-Pr-SI-P-02.04 del novembre 2003; della integrazione al verbale della
conferenza dei servizi in data 31 ottobre 2006, trasmessa con nota prot. 22275
in data 9 novembre 2006 e dei relativi allegati, nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso e conseguente.
Con i motivi aggiunti depositati il 01.02.2007
- del decreto prot. n. 3204/Qvd/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del mare, avente ad oggetto “Provvedimento finale di
adozione ex art. 14 ter legge 7 agosto 1990 , n. 241, delle determinazioni della
Conferenza dei servizi decisoria relativa al sito di interesse nazionale di
Priolo del 4/12/2006” nonché di tutti gli atti ed i documenti, di qualsivoglia
natura, del procedimento relativo al suddetto decreto, ivi inclusi, in
particolare il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi
decisoria tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 4 dicembre 2006 e gli altri meglio indicati in atti;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, segnatamente
dell’ordinanza n. 99/2006 del 30 novembre 2006 del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Augusta, con la quale sono
stati previsti divieti e limitazioni alla navigabilità nell’intera Rada di
Augusta”; della nota prot. 20815 del 1 dicembre 2006, con cui il Comandante pro
tempore ha trasmesso copia della predetta ordinanza ai soggetti interessati;
delle precedenti note, peraltro non conosciute e non comunicate, del Comandante
pro tempore della Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Augusta
prot. 17133 del 5 ottobre 20065 ad oggetto “intervento di notifica del sito di
interesse nazionale di Priolo“ e relativi allegati e prot. 17513 dell’11 ottobre
2006, ad oggetto “studio di proposta per la tutela della navigazione e della
salvaguardia della vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica
dei siti di interesse nazionale di Priolo”; delle note, peraltro anch’esse non
comunicate e non conosciute, del Presidente pro tempore dell’Autorità Portuale
di Augusta – prot 7191/Pres del 6 ottobre 2006, ad oggetto “Richiesta
informazioni Rada di Augusta – sito di interessa nazionale di Priolo –
Conferenze di servizi decisorie del 21/7/06 e 19/10/06”.
con i motivi aggiunti depositati il 24 aprile 2007:
del decreto del Direttore Generale della Direzione generale per la Qualità della
vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare, in
data 1 marzo 2007, nr. 3387/Qdv/DI/B, contenente l’approvazione ex art. 14 ter
l. 241/90 delle determinazioni della Conferenza dei servizi decisoria del
16.02.2007, nelle parti di interesse;
di tutti gli atti ed i documenti di qualsivoglia natura del procedimento
relativo al suddetto decreto e, segnatamente, del verbale della conferenza dei
servizi del 16 febbraio 2007 e relativi allegati, tutti, noti e non noti; di
ogni altro verbale di conferenza dei servizi decisoria e/o istruttoria, pur non
conosciuto dalla ricorrente, relativo al procedimento de quo; di tutti gli atti
ed i documenti di qualsivoglia natura richiamati dai suddetti verbali di
conferenze dei servizi istruttorie e decisorie; della nota del Direttore
Generale della Direzione Generale per la Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, in data 01.03.2007 prot.
5890/QDV/DI/VII/VIII, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e
conseguente, anche non noto alla ricorrente;
********
Visti i ricorsi introduttivi del
giudizio ed i relativi motivi aggiunti;
Visti gli atti e i documenti depositati con ciascun ricorso;
Visti gli atti di costituzione, nei differenti giudizi, di: ASSESSORATO
REGIONALE INDUSTRIA
ASSESSORATO REGIONALE TERRITORIO ED AMBIENTE
CAPITANERIA DI PORTO DI AUGUSTA
CAPITANERIA DI PORTO DI SIRACUSA
COMMISSARIO DELEGATO PER EMERGENZA RIFIUTI E TUTELA ACQUE
COMUNE DI AUGUSTA (SR)
COMUNE DI MELILLI (SR)
CORPO REG/LE DELLE MINIERE-SERVIZIO GEOLOGICO E GEOFISICO
DIR. GESTIONE RIFIUTI-DIV.PROGRAMMAZIONE RIBO-MIN.AMBIENTE
DIREZ.SERVIZIO QUALITA' VITA -MINIST.AMBIENTE TUTELA TERRIT.
DIREZIONE GEN/LE INFRASTRUTTURE-NAVIGAZ. MARITTIMA INTERNA
ENEA
ISTIT.CEN.LE RICERCA SCIENTIF. E TECNOLOG. APPLICATA AL MARE
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA'
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E SICUREZZA DEL LAVORO
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO
MINISTERO DELL'INTERNO
MINISTERO DELLA SALUTE
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO (EX ATTIVITA' PRODUTTIVE)
PREFETTURA DI SIRACUSA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
REGIONE SICILIANA
SUBCOMMISSARIO PER LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI
SVILUPPO ITALIA SPA
VICE COMMISSARIO DELEG. PER EMERGENZA RIFIUTI E TUTELA ACQUE
Designato relatore all’ Udienza Pubblica del 7 giugno 2007 il Referendario dr.
SALVATORE GATTO COSTANTINO;
Uditi gli avvocati come da verbale;
Vista la documentazione tutta in atti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
IN FATTO
Hanno proposto i ricorsi in epigrafe, ritualmente notificati e depositati,
diverse società industriali a vario titolo operanti nella Rada di Augusta o su
concessioni demaniali che si affacciano su di essa.
Denunciando la violazione della normativa di cui al d.lgs 152/2006, le
ricorrenti lamentano che la Pubblica Autorità, con gli atti impugnati, avrebbe
imposto loro (in violazione dei procedimenti rigorosamente scanditi dalla
normativa in atto in vigore di cui al d.lgs 152/2006) oneri di bonifica non
dovuti, in quanto relativi a fattori di inquinamento non ascrivibili a loro
responsabilità o produzione e quindi senza che siano state previamente accertate
le specifiche responsabilità dell’inquinamento; che il Ministero medesimo
avrebbe imposto tali obblighi traendoli da una pianificazione della bonifica
incompleta o comunque insufficiente; che la tipologia e le modalità degli
interventi come imposti dal Ministero, sarebbero affidati a tecniche non
efficienti, non efficaci e/o comunque irrealizzabili e come tali anche
pericolosi per l’ambiente e per la salute umana.
La difesa erariale e quella dei Comuni costituiti in giudizio, oppongono che la
nota situazione ambientale in cui versa la zona della Rada di Augusta è
ascrivibile alla responsabilità, di tipo oggettivo e comunque di natura
“industriale” (ossia connessa intrinsecamente al rischio di impresa), delle
società che operano in loco e, tra queste, anche le ricorrenti; che i piani di
bonifica sono stati predisposti da una autorità scientifica nazionale la cui
valenza non può essere messa in dubbio, e che nel merito di essa sarebbe
comunque precluso il giudizio del Tribunale Amministrativo, perché si
tratterebbe di modalità organizzative del tutto discrezionali; che l’intera
fattispecie, in quanto fondata su procedimenti avviati prima della riforma della
normativa sull’ambiente, di cui al d.lgs 152/2006, sarebbe disciplinata
interamente dalle norme previgenti (in particolare il d.lgs 22/97 e relativo
D.M. di attuazione nr.471/99).
Nella camera di consiglio dell’ 8 novembre 2005, la Sezione ha accolto le
domande cautelari proposte con alcuni dei ricorsi in epigrafe (nr.r.g. 2662/05,
ord. nr. 1746/05; nr. r.g. 2666/05, ord.nr. 1742/05; nr.r.g.2667/05, ord.nr.
1747/05; nr.r.g. 2671/05, nr. 1744/05; nr.r.g. 2703/05, nr. 1745/05).
Nella camera di consiglio dell’11 maggio 2006, la Sezione ha accolto le domande
cautelari proposte nei ricorsi nr. 2662/05 (ord. nr. 822/06), nr. 2666/05 (ord.
nr. 820/06), nr. 2667/05 (ord. nr. 821/06).
Nella camera di consiglio del 7 dicembre 2006, la Sezione ha accolto le domande
cautelari proposte con i ricorsi in epigrafe che erano stati chiamati in
decisione, altresì fissandone la trattazione nel merito alla U.P. dell’8
febbraio 2007 (nei ricorsi nr.r.g. 2970/06; 2976/06; 3053/06; 3225/06; 3227/06:
ord. nr 1904/06 dep. il 9 dicembre 2006; nr.r.g. 2938/06, ord.nr. 1931/06;
nr.r.g. 3234/06, ord. nr. 1932/06; nr.r.g. 3223/06, ord.nr. 1933/06; nr.r.g.
2939/06, ord.nr. 1934/06; nr.r.g. 2937/06, ord. nr. 1935/06).
Alla Udienza Pubblica dell’8 febbraio 2007, il Collegio ha disposto il rinvio
delle cause predette alla udienza pubblica del 7 giugno 2007, sia perché ciò era
necessario al fine di consentire il corretto svolgimento del processo, in
relazione ai motivi aggiunti proposti dalla società DOW POLIURETANI ritualmente,
ma depositati in giudizio successivamente alla scadenza dei termini a difesa per
l’udienza in cui venivano chiamati i giudizi (con i quali i suddetti motivi
aggiunti si ponevano in inscindibile rapporto di connessione), sia per
consentire, data la già esposta necessità di rinvio, di poter chiamare alla
successiva udienza, anche gli altri ricorsi variamente proposti dalle società
ricorrenti contro i provvedimenti adottati dalle Amministrazioni resistenti in
ordine alla bonifica della Rada di Augusta, ed avere così una migliore
cognizione dei fatti di causa (ord. nr.138/07 depositata il 14 marzo 2007).
Nella camera di consiglio dell’8 marzo 2007, è stata concessa la misura
cautelare degli atti impugnati con i ricorsi nr. 2979/06 (motivi aggiunti; ord.
nr. 339/07), nr. 131/07 (ord. nr. 333/07), nr. 189/07 (ord. nr. 332/07), nr.
200/07 (ord.nr. 338/07), nr. 213/07 (ord. nr. 336/07), nr. 214/07 (ord. nr.
335/07), nr. 215/07 (ord. nr. 334/07), altresì fissandone la trattazione nel
merito alla Udienza Pubblica del 7 giugno 2007.
Le società Sviluppo Italia S.p.a., e Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.a.
hanno chiesto l’estromissione dai giudizi.
Ha chiesto anche l’estromissione dai giudizi, nei ricorsi proposti dalla società
DOW ITALIA, già DOW POLIURETANI (nn. 138/05 e 2970/06) la società “Sviluppo
Italia” S.p.a., p.IVA 01879620977.
Con memorie depositate in ciascun giudizio il 25 maggio 2007 hanno chiesto
l’estromissione dal giudizio l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro e l’Istituto Superiore di Sanità.
Le parti hanno scambiato memorie e documenti.
Alla Udienza pubblica del 7 giugno 2007 le cause sono state trattenute in
decisione.
IN DIRITTO
I) Preliminarmente va disposta la riunione di tutti i ricorsi in epigrafe,
attesa la loro evidente interconnessione sia oggettiva che, relativamente alle
parti resistenti, soggettiva.
Vanno esaminate, preliminarmente, le domande di estromissione dal giudizio.
Tra queste, si deve intanto distinguere tra le domande proposte dalla Società
Sviluppo Italia Spa, indistintamente in ciascun giudizio, dalla domanda proposta
dalla società “Sviluppo Italia” Spa, p.IVA 01879620977, nei giudizi introdotti
dalla società DOW POLIURETANI.
In quest’ultimo caso la società che richiede l’estromissione dal giudizio,
mediante il deposito delle necessarie visure camerali (da cui risulta essere
sorta dalla trasformazione della SAS Sviluppo Italia, di Leonardo Lombardi & co.,
che a sua volta, derivava dalla fusione di altre due società “Sviluppo Italia –
A – Sas di Leonardo Lombardi & C.” e la “Sviluppo Italia di Leonardo Lombardi &
C. SAS”), dimostra di non avere apportato alcun tipo di contributo rispetto alle
conferenze dei servizi impugnate dalla DOW, cui è estranea (è una società
corrente nella città di Prato che non si occupa di bonifica); il deposito delle
visure camerali è avvenuto subito dopo la notifica del ricorso, quindi si deve
ritenere che immotivatamente la ricorrente DOW ha continuato a notificarle gli
ulteriori motivi aggiunti.
Pertanto, tale società deve essere estromessa dal presente giudizio, e va
conseguentemente condannata la società DOW POLIURETANI a rifonderle le spese e
gli onorari di causa.
Vanno invece respinte le domande di estromissione dal giudizio proposte dalle
società “Sviluppo Italia” Spa e “Sviluppo Italia Aree produttive” Spa, nelle
altre cause riunite.
Queste ultime società, infatti, risultano essere destinatarie di effetti
favorevoli che derivano dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati: infatti
dagli atti versati in giudizio (cfr. in particolare la conferenza dei servizi
del 16.02.2007, ma anche la documentazione inerente il progetto di bonifica
approvato nelle Conferenze dei servizi del 2005: cfr. ad es. nel ricorso nr.
2671/05), emerge che la società Sviluppo Italia Spa ha stipulato una convenzione
di supporto per le attività di progettazione e di consulenza nel settore delle
bonifiche con il Commissario Delegato per l’Emergenza rifiuti in Sicilia (giusta
ordinanza commissariale n. 2053 del 29 ottobre 2003) e che, in attuazione di
tale convenzione, la società appartenente al gruppo “Sviluppo Italia” Spa,
ovvero la società “Sviluppo Italia Aree produttive” Spa (l’appartenenza al
gruppo di “Sviluppo Italia” Spa emerge dai documenti di causa: cfr. nota
517/2006, del 16.03.2006, depositata in allegato alla produzione del 24 maggio
2006, della società ricorrente ERG Raffinerie Mediterranee SPA nel ricorso nr.
2671/05), ha proposto progetti per l’effettuazione degli interventi di bonifica
decisi a seguito e per l’effetto dei procedimenti amministrativi impugnati con i
ricorsi riuniti e dei relativi metodi di indagine.
E’ quindi palese l’interesse che le suddette società possiedono in relazione ai
fatti di causa, che le rendono controinteressate a pieno titolo.
Va, poi, accolta la domanda di estromissione dai giudizi dell’Istituto Superiore
per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (I.S.P.E.S.E.L.) e dell’Istituto
Superiore di Sanità (I.S.S.), in quanto non hanno preso parte alle conferenze
dei servizi impugnate.
******
II) Ricostruzione generale
I ricorsi riuniti sono fondati e come tali devono essere accolti, con il
conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, nelle parti oggetto di
gravame.
Il procedimento che ha portato, infatti, alle determinazioni conclusive delle
Conferenze dei servizi decisorie, avrebbe dovuto essere condotto nel rispetto
delle norme di cui al D.lgs 152/06, applicabile alla fattispecie in esame, per
le ragioni che saranno più diffusamente esaminate in prosieguo. Inoltre, non è
stato accertato - e neppure, prima ancora, indagato - il presupposto soggettivo
dell’ordine di intervento impartito alle imprese ricorrenti, ossia il rispettivo
apporto all’inquinamento della falda. In terzo luogo, quanto alle modalità di
intervento - sia ai fini della M.I.S.E. (Messa In Sicurezza d’Emergenza) che del
più generale programma di bonifica - le determinazioni della conferenza dei
servizi oltre che a confondere i presupposti per l’imposizione di una M.I.S.E. e
della bonifica ed i relativi contenuti, sono state adottate in violazione delle
regole generali sul procedimento amministrativo, specialmente in punto di
partecipazione e, conseguentemente, di motivazione, perché non tengono
minimamente in conto i diversi contributi variamente offerti dalle ricorrenti e,
tra queste, le articolate e documentate obiezioni che sono state sollevate circa
i presupposti della bonifica e circa le modalità dell’intervento, tra le quali,
in particolare, il pericolo che lo strumento del dragaggio ambientale della Rada
comporta ai fini della tutela dell’ambiente e della salute pubblica e
l’impossibilità di procedere al c.d. marginamento fisico delle acque di falda,
senza, per di più, offrire sufficienti garanzie (e previsioni) né sui tempi
della bonifica, né sui suoi risultati finali.
A causa del numero dei ricorsi riuniti e del loro articolato ed ampio contenuto,
il Collegio, in ordine alle censure variamente proposte ed articolate nei
ricorsi riuniti, ritiene opportuno accorparle in modo da esaminarle per gruppi
omogenei.
*****
III) Vizi Formali.
In primo luogo, vanno quindi esaminate le censure con cui si lamentano vizi
formali propri dei provvedimenti impugnati.
Le suddette doglianze possono essere raggruppate e sinteticamente descritte come
segue:
IIIA) Sulla mancanza del provvedimento finale ex art. 14-ter, comma 6-bis e
comma 9, l. 241/90;
IIIB) Sulla mancanza dell’intesa o concerto tra il Ministero dell’Ambiente ed il
Ministero delle Attività Produttive, ex art. 252, comma 4, dlgs 152/06;
IIIC) Sulla incompetenza del Direttore del Ministero ad adottare il
provvedimento finale;
******
IIIA) Sulla mancanza del provvedimento finale ex art. 14-ter, comma 6-bis e
comma 9, l. 241/90.
Secondo le difese delle ricorrenti, le conferenze di servizi sarebbero
illegittime in quanto imponendo prescrizioni puntuali, termini, sanzioni e
previsione di provvedimenti sostitutivi in danno, avrebbero dovuto tradursi in
un provvedimento “monocratico” finale.
L’Avvocatura replica che, laddove si ritenga necessario un provvedimento finale,
i provvedimenti in esame sarebbero inoppugnabili (e quindi i ricorsi dovrebbero
essere dichiarati inammissibili per carenza di interesse attuale) perché atti
endoprocedimentali.
A tale proposito, nelle memorie depositate in occasione della udienza del 7
giugno 2007, la difesa erariale ha richiamato e fatto proprie le conclusioni cui
è pervenuto il TAR Toscana (sez. II, sent. Nr.7244/06), che ha ritenuto
inammissibile il ricorso rivolto all’annullamento di una conferenza dei servizi
in materia analoga a quella odierna.
Osserva, preliminarmente, il Collegio che il Ministero dell’Ambiente, fino al 31
ottobre 2006, “usava” comunicare direttamente alle imprese interessate i verbali
delle conferenze dei servizi, all’interno dei quali si trovavano espresse le
determinazioni impugnate, comprese anche la previsione dei termini per adempiere
agli obblighi con esse imposti e le sanzioni in danno per il caso di
inadempimento (sub specie di previsione di interventi sostitutivi in danno delle
inadempienti, affidati al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella
Regione Sicilia).
A decorrere dalla data del 31 ottobre 2006, invece, il Direttore del
Dipartimento della Qualità della Vita, ha mutato prassi procedimentale: infatti,
ha adottato due distinti provvedimenti, il decreto nr. prot. 2979/Qdv/Di/B con
cui si approvano le Conferenze dei servizi del 18 luglio, 14 settembre, 13
ottobre e 16 dicembre 2005, e il decreto nr. 2980/QDV/Di/B, con cui si approvano
le determinazioni delle Conferenze dei servizi del 21 luglio, 19 ottobre e 31
ottobre 2006.
Da questo momento in poi, ogni Conferenza dei servizi decisoria è stata seguita
da apposito decreto “monocratico” del Direttore dell’Amministrazione, che ha
inteso approvare le determinazioni in essa adottate, ai sensi dell’art. 14 della
l. 241/90.
Tutti i provvedimenti monocratici sono stati puntualmente impugnati dalle
ricorrenti, che ne lamentano la illegittimità sia per vizi propri che per
invalidità derivata dai vizi da cui sono affette le determinazioni delle
Conferenze dei servizi che essi approvano e rendono definitive.
Tali circostanze renderebbero inutile ogni ulteriore esame delle censure
raggruppate al presente punto, ma è necessario comunque trattarne brevemente
l’argomento perché ciò è rilevante ai fini dell’esame dei punti successivi, con
particolare riguardo al tema della norma di legge applicabile nel tempo al
procedimento amministrativo.
Pertanto è necessario richiamare brevemente l’art. 14 ter della l. 241/90 che al
comma 6 bis così recita:
“6-bis. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine
di cui al comma 3, l'amministrazione procedente adotta la determinazione
motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze
della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella
sede”
A tale proposito, si deve intanto osservare che non è condivisibile la tesi
dell’Avvocatura secondo cui non sorgerebbe interesse al gravame, in quanto le
conferenze dei servizi sarebbero sempre e comunque meri atti endoprocedimentali.
Ed invero, alla stregua dei consolidati principi giurisprudenziali e dottrinari
in materia, anche gli atti endoprocedimentali (o preparatori del procedimento),
laddove – e nella misura in cui - contengono ordini precisi ed autoesecutivi
rivolti ai destinatari e prevedono anche sanzioni o provvedimenti sostitutivi,
anticipando sostanzialmente,in tutto o in parte, l’efficacia finale del
provvedimento conclusivo della sequenza procedimentale, devono ritenersi
indubbiamente lesivi, e pertanto non può negarsi come sussistente l’interesse a
coltivare il relativo gravame; interesse che poi viene meno quando il
provvedimento finale è emanato, dovendosi necessariamente impugnare quest’ultimo
che riassume in sé gli effetti derivanti dalle conferenze medesime,
sostituendoli integralmente.
Ciò premesso, si deve comunque sottolineare che la prescrizione di cui al comma
6 bis dell’art. 14 ter della legge 241/90 ha una funzione ed uno scopo ben
delineati dal legislatore.
Nel configurare quel particolare modulo procedimentale che è costituito dalla
Conferenza dei servizi, infatti, il legislatore della riforma della l. 241/90,
operata – per quanto qui di interesse - con la l. 15/2005, ha sentito la
necessità di prevedere e prescrivere che l’Amministrazione responsabile del
procedimento (e, per essa, il relativo funzionario), all’esito dei lavori della
Conferenza adotti un “provvedimento finale” che, non solo (e non tanto)
riepiloghi a scopo meramente elencativo (e dichiarativo) le determinazioni
concordate o emerse in Conferenza, ma “adotti”, con valenza costitutiva, le
determinazioni conclusive del procedimento.
Lo scopo di questa norma è, principalmente, di consentire che il cittadino abbia
come proprio referente solo il responsabile del procedimento e quindi “una”
amministrazione, lasciando che il “concerto” tra più Enti rimanga all’interno
dei processi decisionali della P.A.
Inoltre, rappresentandosi che, specie in riferimento a progetti o iniziative di
maggiore spessore e complessità, possono emergere una pluralità di vedute e di
apprezzamenti da parte dei diversi Enti coinvolti nel procedimento (o anche dei
privati interessati o controinteressati), il legislatore ha voluto che la
decisione finale restasse ascritta comunque alla responsabilità
dell’Amministrazione incaricata del provvedimento finale, ovvero di quella cui è
demandata la cura di quei particolari interessi pubblici che sono oggetto del
procedimento.
Ciò in quanto la Conferenza dei Servizi non è un organismo deliberante, ossia un
consesso ove le decisioni si adottano a maggioranza (ad eccezione delle regole
di autorganizzazione, art. 14 ter comma 1), ma un “modulo procedimentale” e di
confronto tra diverse P.A. (Cfr. Consiglio di Stato, V, 05 aprile 2005, nr.
1543), le cui valutazioni e decisioni non possono che essere ponderate
responsabilmente (ossia con piena responsabilità di decisione) da parte di chi è
chiamato ad adottare il provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, VI, 03
marzo 2006, nr. 1023).
In altre parole, trattandosi di una determinazione “plastica” che può assumere
pluralità di forme e contenuti (cfr. i diversi presupposti per la convocazione
della conferenza dei servizi di cui all’art. 14, commi da 1 a 5), la decisione
che emerge da una conferenza dei servizi può essere anche relativa a più scelte
possibili, fare emergere più orientamenti e, comunque, essa non esclude che
nella decisione finale il rappresentante dell’Amministrazione decidente possa
disattenderne motivatamente in tutto o in parte il contenuto (così come avviene
in relazione a qualsiasi istruttoria), naturalmente fatto salvo il riferimento,
contenuto nella norma di legge in esame, agli orientamenti “prevalenti” che sono
elemento necessario della motivazione (come rende palese l’inciso “tenendo
conto”) e che quindi non vincolano, ma obbligano (in caso di decisione difforme)
ad una penetrante motivazione.
Alla luce di tali premesse, laddove accada, come nella odierna fattispecie, che
le determinazioni della conferenza dei servizi siano in sé vincolanti ed
autoesecutive (per come formulate), ferma restando la loro immediata
impugnabilità, ciò non esclude che debbano comunque tradursi nel provvedimento
finale, e questo tanto più se si considera che nelle Conferenze dei Servizi
gravate con gli odierni ricorsi si rinvengono una pluralità eterogenea di
decisioni, di valutazioni e di destinatari (e di correlativi “procedimenti”
amministrativi).
Correlativamente, quando nella Conferenza dei servizi sono svolti esami e
valutazioni relativi a più procedimenti, anche se “connessi”, è necessario che
il provvedimento finale sia adottato procedimento per procedimento, riprendendo,
esponendo e chiarendo, nella misura necessaria, le determinazioni assunte che
sono relative a ciascun destinatario, singolarmente considerato (altrimenti
l’azione amministrativa sconterebbe un grave deficit comunicativo, tale da
renderla incerta, approssimativa e come tale viziata da eccesso di potere).
In tal senso, correttamente le censure delle ricorrenti, dapprima rivolte contro
le “determinazioni” delle conferenze dei servizi, sono riproposte integralmente
contro i provvedimenti finali che le approvano.
I provvedimenti definitivi, infatti, laddove recepiscono (anche se mediante un
mero rinvio e quindi senza autonomia di giudizio) le determinazioni delle
conferenze dei servizi, costituiscono atti autonomamente lesivi, e inoltre
sostituiscono interamente le determinazioni (già) autoesecutive delle conferenze
richiamate (cui era stato dato rilievo esterno per effetto della loro
comunicazione alle imprese destinatarie), ne rinnovano il contenuto facendo
decorrere nuovamente i termini per l’esecuzione degli obblighi imposti e,
correlativamente, obbligano i destinatari di questi ultimi a riproporre un nuovo
gravame, a pena di acquiescenza e conseguente inammissibilità dei ricorsi
proposti avverso le determinazioni della conferenza dei servizi.
Si vedrà tra poco quali effetti esplichi questa analisi sul regime normativo
applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anche con particolare
riferimento alle conferenze dei servizi del 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre
e 16 dicembre 2005.
IIIB) Sulla mancanza dell’intesa o concerto tra il Ministero dell’Ambiente ed il
Ministero delle Attività Produttive, ex art. 252, comma 4, dlgs 152/06.
Deducono le difese delle ricorrenti che il provvedimento finale avrebbe dovuto
essere adottato di intesa tra i Ministeri dell’Ambiente e delle Attività
Produttive, a norma dell’art. 252 comma 4 del dlgs 152/06. Per le medesime
ragioni, trattandosi di atti a contenuto di indirizzo politico, il Direttore
generale non avrebbe competenza ad adottare l’atto finale, da considerarsi
riservato al Ministro.
La disposizione citata così recita:
“4. La procedura di bonifica di cui all'articolo 242 dei siti di interesse
nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive. Il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio può avvalersi anche
dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT),
delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni
interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti
qualificati pubblici o privati”.
Secondo la tesi delle ricorrenti, il coordinamento tra i due Ministeri avrebbe
dovuto avvenire mediante un espresso decreto interministeriale.
In punto di fatto, si osserva che ai lavori delle diverse conferenze dei servizi
è sempre stato convocato il rappresentate del Ministero per lo sviluppo
Economico, il quale in alcuni casi risulta aver preso parte alle predette
conferenze (cfr. pag. 8 del verbale della Conferenza dei servizi del 21 luglio
2006, ove si attesta la presenza del rappresentante del Ministero per lo
Sviluppo Economico dott. Giuseppe Di Masi), e in altri casi risulta invece
assente (cfr., ad esempio, le riunioni della conferenza tenutesi il 19 ottobre
ed il 31 ottobre successivi).
Ciò premesso, il Collegio, richiamato l’art. 14 della l. 241/90, deve rilevare
che il coordinamento interministeriale presupposto dall’art. 252 del dlgs
152/2006 è sicuramente garantito dal modulo procedimentale della conferenza dei
servizi, la quale, non a caso, è convocata “Qualora sia opportuno effettuare un
esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento
amministrativo” (art. 14 comma 1 l. 241/90); formula, questa, che il legislatore
ha coniato per ricomprendere al suo interno qualsiasi forma di collaborazione
tra le Amministrazioni pubbliche, dalla quale non vi sono ragioni formali o
sostanziali per escludere il “concerto” o l’”intesa” che sono presupposti
dall’art. 252 cit.
Pertanto, le suesposte censure sul punto sono infondate e come tali da
respingersi.
III C) Sulla incompetenza del Direttore del Ministero ad adottare il
provvedimento finale;
Per come introdotta, la censura è infondata.
Secondo le ricorrenti, le conferenze dei servizi avrebbero condotto all’adozione
di atti che presuppongono una profonda incidenza nell’ambito dei livelli
produttivi ed occupazionali della Rada e come tali sarebbero espressione di un
necessario indirizzo politico.
Ciò, ad avviso del Collegio, è inesatto: nessuna tra le prescrizioni in esame
relativamente alle decisioni adottate nel 2006 possiede quella valenza generale
tale da farla assurgere ad espressione di un indirizzo politico, posto che si
tratta di provvedimenti che, sia pure con notevole complessità, affrontano la
materia della esecuzione dei programmi di bonifica inerenti il Sito di Interesse
Nazionale di Priolo e comunque si prefiggono solamente obiettivi gestionali di
diretta attuazione delle previsioni normative in materia.
Pertanto, tutte le prescrizioni adottate nelle Conferenze dei servizi in esame
sono atti amministrativi gestionali, come tali interamente soggetti alle regole
procedimentali di cui agli artt. 2 e ss. della l. 241/90, con particolare
riferimento all’obbligo di motivazione ed agli istituti della partecipazione, e
per essi non si può ritenere la sussistenza, ai fini dell’adozione, della
competenza del Ministro.
Bisogna considerare, a questo proposito che, a norma dell’art. 4 del dlgs
165/2001, “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo
politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed
adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e
verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della
gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: a) le
decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di
indirizzo interpretativo ed applicativo; b) la definizione di obiettivi,
priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e
per la gestione; c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed
economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione
tra gli uffici di livello dirigenziale generale; d) la definizione dei criteri
generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe,
canoni e analoghi oneri a carico di terzi; e) … (omississ) “.
In punto di fatto, si osserva che nessuno dei provvedimenti emergenti dalle
Conferenze dei servizi può essere considerato come appartenente alla
declaratoria di atti e provvedimenti tipici descritti dall’art. 4 cit. (e che
trovano puntuale corrispondenza negli artt. 3 comma 2 e 13 comma 1 della l.
241/90).
Ciò in quanto, innanzitutto si tratta di imposizioni puntuali prive del
carattere di generalità presupposto dalla norma in esame, posto che sono dirette
alle imprese che operano nella Rada (soggetti perfettamente individuati);
secondariamente, si tratta di prescrizioni che sono finalizzate alla diretta
applicazione di norme di legge, senza contenuto programmatico o di indirizzo
generale, tanto che le stesse ricorrenti ne lamentano la carenza di istruttoria
e/o di motivazione, nonché di violazione del principio del contraddittorio e del
giusto procedimento (censure, queste, che – ad eccezione del difetto di
istruttoria, per cui cfr. TAR Catania, II, 1191/05 confermata da CGA 22/07 del
29.01.2007 – non avrebbero potuto essere dirette contro atti o provvedimenti di
natura programmatica o pianificatoria generale, stante il chiaro disposto degli
artt. 2 comma 3 e 13 l. 241/90 citati).
Pertanto le censure ove si lamenta l’incompetenza del Direttore generale
all’adozione dei provvedimenti in essi contenuti, sono infondate e come tali da
respingersi.
*********
Devono adesso esaminarsi le distinte questioni inerenti il contenuto dei
provvedimenti impugnati, così riassunte e raggruppate:
IV) Sull’applicazione della normativa di cui al dlgs 152/06.
V) Sull’applicazione del principio “chi inquina paga”. Sulle regole inerenti
l’inquinamento di tipo “diffuso”.
VI) Sulla violazione del principio del contraddittorio e della partecipazione
nel procedimento; sull’insufficienza di istruttoria.
Come si vedrà, il Collegio ritiene che le censure così descritte e raggruppate
sono fondate e determinano l’accoglimento integrale dei ricorsi.
Deve affermarsi, sinteticamente, che la normativa di cui al d.lgs 152/06 in tema
di tutela ambientale dall’inquinamento è infatti pienamente applicabile ai
procedimenti amministrativi in corso, tali intendendosi quelli che non si sono
ancora conclusi con un provvedimento definitivo avente legalmente rilevanza
esterna o che, comunque, non abbiano prodotto significativi effetti sostanziali
non reversibili; che sono illegittime le determinazioni amministrative che
pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore di un
fondo i costi e gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei suoli o
dell’ambiente dai danni derivanti dall’inquinamento se non ne viene accertata
rigorosamente la responsabilità e quindi al di fuori dello specifico apporto
causale all’inquinamento riconducibile alla sua attività; che, in tema di
inquinamento “diffuso”, ossia in quei casi in cui detto accertamento non sia
possibile, la bonifica resta a carico della P.A. ed i relativi vantaggi dei
privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di
valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle
corrispondenti somme a carico dei titolari dei diritti reali sui fondi medesimi,
nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento; in ogni caso è da ritenersi
necessaria ed inderogabile la partecipazione dei privati titolari di diritti
reali sui fondi oggetto di bonifica (o comunque sui fondi nei quali sono
localizzate o localizzabili le fonti di inquinamento) al procedimento
amministrativo per l’adozione dei provvedimenti di bonifica e disinquinamento,
sia al fine dell’accertamento della responsabilità, che a quello della
determinazione delle modalità e dei costi della bonifica.
******
IV) Sull’applicazione della normativa di cui al dlgs 152/06.
Centrale, ai fini della decisione della lite, è la questione su quale sia la
normativa da applicare alle fattispecie in esame.
Secondo le ricorrenti, il procedimento conclusosi con i provvedimenti del 31
ottobre 2006, avrebbe dovuto essere condotto non in applicazione del dlgs 22/97,
ma nell’osservanza del dlgs 152/06 che ha abrogato il precedente e che le
procedure poste in essere dalla Pubblica Autorità avrebbero violato.
La difesa erariale e quella dei Comuni costituiti in giudizio ad opponendum non
pongono seriamente in dubbio che il procedimento è in contrasto con le norme del
D.lgs. 152/2006, limitandosi a sostenerne l’inapplicabilità, ratione temporis
alla fattispecie in esame ed invocando, in merito, il principio tempus regit
actum.
Che il procedimento in esame è regolato dalla normativa sopravvenuta, ossia il
D.lgs. 152/2006, non può invece essere messo in dubbio per più ordini di
ragioni.
In punto di fatto, osserva il Collegio che, quanto alle Conferenze dei servizi
del 2005 e del 2006 (per le quali il problema di diritto intertemporale si pone
con maggiore evidenza), due sono i provvedimenti “conclusivi” adottati dal
Ministero ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 ed entrambi sono stati
adottati il 31 ottobre 2006: il decreto nr. prot. 2979/Qdv/Di/B con cui si
approvano le Conferenze dei servizi del 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16
dicembre 2005; nonché il successivo decreto prot. 2980/Qvd/DI/B, con cui si
approvano le Conferenze dei servizi del 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006.
In via generale, osserva il Collegio, che le conferenze dei servizi decisorie
del 2006, sono state interamente poste in essere dopo la entrata in vigore del
D.lgs 152/2006, quest’ultimo pubblicato nel S.O. alla G.U. nr. 96 del 14 aprile
2006; e che le Conferenze dei servizi dell’anno 2005, a loro volta, si sono
tradotte nel provvedimento conclusivo solamente in data 31 ottobre 2006 (ossia
con il citato decreto prot. 2939/Qdv/Di/B) e quindi in piena vigenza della
normativa di cui al testo unico.
Per quest’ultimo aspetto, qualora, sotto un diverso profilo, si volesse ritenere
che le conferenze decisorie del 2006 stiano in rapporto di continuità con le
precedenti determinazioni dell’Amministrazione relative alle conferenze del 2005
(cosa che, in punto di fatto, è contraddetta dalla duplicità dei decreti di
approvazione, perché, a ritenere unico il procedimento, unico avrebbe dovuto
essere il decreto di approvazione), sarebbero comunque soggette allo ius
superveniens, come quelle del 2005, perché queste ultime non si sono comunque
tradotte in un provvedimento finale se non nella vigenza del D.lgs 152/2006
Infine è lo stesso D.lgs 152/2006 che contiene una disciplina transitoria tale
da dover necessariamente condurre l’interprete a ritenerlo applicabile ai
procedimenti amministrativi in corso.
A) Più precisamente, sotto un primo profilo e con riferimento alle
determinazioni assunte nelle conferenze di servizi ed ai relativi provvedimenti
definitivi dell’anno 2006 e 2007, appare evidente che l’Autorità ministeriale ha
concluso con esse procedimenti che sono interamente ascrivibili ad iniziative
autonome, assunte tutte dopo l’entrata in vigore della nuova normativa
ambientale, sia pure nel presupposto, storico e giuridico, delle decisioni
assunte negli atti emanati nell’anno 2005.
Per tali ragioni, il Collegio non può esimersi dall’affermare che il rapporto
tra procedimento e norma sopravvenuta va analizzato in relazione agli effetti,
non invece con riferimento a requisiti formali di sorta.
Pertanto, è da ritenersi che, nel caso di mutamento della norma regolatrice del
potere amministrativo, restano soggetti alla previgente normativa solo quei
sub-procedimenti che hanno prodotto effetti consolidati o comunque
legittimamente esteriorizzati e portati concretamente ad esecuzione ed allorché,
comunque, quest’ultima non sia più suscettibile di revisione o modificazione.
Quindi, anche a volere aderire alla impostazione della difesa erariale, ciò che
essa definisce come l’”avvio” del procedimento nell’anno 2005 si è comunque
concluso con un provvedimento espresso nel vigore della nuova normativa, la
quale è intervenuta in una fase del procedimento che ancora era formalmente
aperta (per espressa dichiarazione in tal senso dell’Amministrazione: vedi nota
prot. 10363/Qvd/DI del 25.05.2006) e quindi non aveva raggiunto alcuna
determinazione tale da consentire un arresto procedimentale definitivo o
comunque significativo.
D’altronde, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che il principio “tempus
regit actum” è applicabile al momento dell’emanazione del provvedimento finale,
salve le sole fasi procedimentali che siano dotate di piena autonomia e
definitività degli effetti (“l'applicabilità dello "ius superveniens"
nell'ambito di un procedimento in itinere incontra il solo limite
dell'intangibilità delle situazioni giuridiche ormai definite; pertanto, ove la
procedura si divida in varie fasi coordinate, ma dotate di una certa autonomia,
la nuova norma può trovare applicazione per le fasi che all'atto della sua
entrata in vigore non siano state ancora realizzate, mentre l'applicazione è
esclusa per fasi già espletate e compiute” Consiglio di Stato, VI, 18 giugno
2004, nr. 4163; cfr. anche TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 29 aprile 2003, nr.
161; Consiglio di Stato, VI, 27 dicembre 2000, n. 6890; T.A.R. Campania Napoli,
24 febbraio 1986 , n. 107).
Già si è detto, quindi, che il provvedimento finale esplica pienamente e con
forza costitutiva-esecutiva effetti propri; le determinazioni delle conferenze
dei servizi acquistano così rilievo esterno e come tali sono portate ad
esecuzione; e, per questa ragione, si è pure già detto che, se le conferenze dei
servizi del 2006 dovessero considerarsi come la “mera” continuazione di quelle
del 2005 o, prima ancora, del 2004, allora ne conseguirebbe comunque che la
normativa sopravvenuta regola il regime applicabile al tempo in cui viene
emanato l’atto conclusivo del procedimento (i provvedimenti del 30 ottobre 2006
e le conferenze dei servizi del 2005 in essi richiamate).
B) Da ultimo, si deve osservare che il D.gls 156/2006 contiene diverse tipologie
di istituti e corrispondenti disposizioni normative, con altrettante regole
transitorie di diverso tipo in ordine alla loro entrata in vigore ed
applicazione ai procedimenti in corso.
Ad esempio, a norma dell’art. 52, le procedure per la valutazione ambientale
strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per
l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC) (salvo quanto disposto dagli
articolo 49 e 50), entrano in vigore il 31 gennaio 2007, ma i procedimenti
amministrativi in corso a tale data, nonché i procedimenti per i quali alla
medesima data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte
dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle
attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta
istanza.
Ancora, all’art. 135, che dispone in materia di competenza e giurisdizione in
ordine alle sanzioni disciplinate dal capo I del titolo V del decreto, si
prevede (comma 3) che “Per i procedimenti penali pendenti alla entrata di
entrata in vigore della parte terza del presente decreto, l'autorità
giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di
proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma
1 ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative”.
Altri esempi di norme transitorie possono individuarsi agli artt. 146 e 149, in
materia di risparmio idrico ed aggiornamento dei piani d’ambito, all’art. 170,
che dispone articolate misure transitorie in relazione agli istituti di cui alla
parte terza del decreto, anche con riferimento ai procedimenti in corso, e così
via.
In questo quadro generale, che comprende norme transitorie per ognuno dei vari
istituti compresi nel testo Unico, si osserva che l’art. 264 alla lettera “i”
prevede che, alla data di entrata in vigore della parte quarta del decreto, è
abrogato “il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare
che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente
normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i
provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22,
continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti
provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”.
Il riferimento alla “data di entrata in vigore” rende chiaro all’interprete che
continuano a trovare applicazione non già i procedimenti amministrativi (come
invece è espressamente previsto, ad esempio, nel citato art. 52), ma quei
“provvedimenti” correlati all’esercizio delle funzioni ed adempimenti
“normativi” previsti dagli artt. 195 e ss. a carico dello Stato, Regioni,
Provincie e Comuni, ed i provvedimenti pianificatori di cui agli artt. 199 - 201
in tema di piani di smaltimento dei rifiuti. Si possono poi individuare anche
disposizioni specifiche, come ad es. gli accordi di programma di cui al comma 7
dell’art. 181 in tema di recupero dei rifiuti; o in tema di disciplina nazionale
dei registri di carico e scarico dei rifiuti di cui all’art. 190 comma 7, e così
via.
In definitiva, l’art. 264 lett. “i” non consente di ritenere che possano trovare
applicazione le norme di cui al dlgs 22/97 laddove queste siano riferite a
procedimenti amministrativi o anche programmi, piani, o procedure amministrative
contenenti ordini di bonifica veri e propri contenute in piani, programmi,
obiettivi di risanamento ed atti di competenza Ministeriale, specie, poi, se non
si sono neppure tradotti in un provvedimento finale vero e proprio: è, infatti,
la stessa norma a presupporre, con assoluta evidenza, che - comunque si vogliano
intendere - i provvedimenti esecutivi che continuano ad applicarsi sono quelli
che sono entrati in vigore prima dell’aprile del 2006. A tacere di qualsiasi
dubbio sulla loro natura, non potranno quindi essere presi in considerazione
procedimenti di qualsiasi genere che, pur se culminati in conferenze di servizi,
non si sono tradotti in nessun atto finale, posto che in ogni caso solamente
quest’ultimo può conferire l’efficacia esterna alle determinazioni della
conferenza (e come tale determinarne l’”entrata in vigore”).
A riprova di quanto appena indicato, l’art. 264, comma 4, prevede che “Fatti
salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della parte
quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può essere
presentata all'autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di
rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri
definiti dalla parte quarta del presente decreto. L'autorità competente esamina
la documentazione e dispone le varianti al progetto necessarie”.
In base a questa disposizione, correttamente invocata dalle difese delle
ricorrenti, non può non ritenersi che sono fatti salvi solo i procedimenti che
si sono conclusi con una espressa autorizzazione degli interventi di bonifica.
D’altronde, come accennato prima, lo stesso Testo unico quando ha voluto fare
salvi i “procedimenti” che hanno avuto inizio nel vigore delle norme
preesistenti, lo ha esplicitamente previsto nell’apposito regime transitorio
(cfr. art. 52 prima citato).
Nel caso in esame, dunque, si conferma che essendo intervenuto il provvedimento
finale (tale espressamente qualificato) in data successiva alla entrata in
vigore del decreto legislativo 152/2006 esso avrebbe dovuto essere adottato in
conformità alle disposizioni di quest’ultimo.
Ne consegue che i provvedimenti impugnati, sia le conferenze dei servizi
svoltesi dal 21 luglio 2006 in poi, che i provvedimenti finali del 31 ottobre
2006, avrebbero dovuto essere soggetti alle regole di cui al dlgs 152/06, i cui
precetti, invece, sono stati non solo formalmente, ma anche sostanzialmente,
violati, come si evidenzierà nella esposizione che segue.
*******
V) Sull’applicazione del principio “chi inquina paga”. Sulle regole inerenti
l’inquinamento di tipo “diffuso”
A) Il primo e più importante aspetto derivante dall’applicazione della nuova
normativa è che non può più dubitarsi della piena vigenza del principio “chi
inquina paga”.
Invero, prima della riforma della materia operata per mezzo del Decreto
legislativo 3-4-2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”) emanato in
attuazione alla legge delega 15.12.2004, nr. 308, non mancavano oscillazioni tra
pronuncie tese a sostenere che tale principio avesse meramente valore
programmatico e fosse insuscettibile di trovare applicazione nell’Ordinamento
statuale interno, e pronunciamenti di segno opposto, questi ultimi prevalenti
soprattutto nella giurisprudenza penale (cfr. T.A.R. Emilia Romagna Bologna,
sez. I, 03 marzo 1999 , n. 86, in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti;
TAR Emilia Romagna, Bologna, I, 05 aprile 2001 nr. 300; favorevole, Cass.
Penale, III, 24 aprile 1995, nr. 7690; 13 ottobre 1995, nr. 11336).
Essendo stato però introdotto, anche formalmente, con il predetto d.lgs
152/2006, nell’Ordinamento statuale interno, in recepimento di specifica
direttiva comunitaria, (direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, sulla
responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno
ambientale, che, in vista di questa finalità, «istituisce un quadro per la
responsabilità ambientale» basato sul principio «chi inquina paga», a sua volta
fondata sull’art. 174,comma 2, del Trattato istitutivo delle Comunità Europee),
il principio “chi inquina paga”, proprio in quanto principio, deve trovare
applicazione in tutti i procedimenti amministrativi in corso, laddove non si
sono prodotti diritti quesiti o comunque effetti definitivi.
Quando, pertanto, la decisione amministrativa inerisce ad una ripartizione di
oneri finanziari, allora nessun effetto definitivo può dirsi ancora consolidato
nel procedimento in itinere relativamente all’aspetto “in danno” alle aziende,
ovvero a loro carico. Ossia: anche a voler tenere fermi i modi della bonifica, i
relativi costi devono essere addossati ai responsabili dell’inquinamento e
questo è un dato di indagine del tutto non compromesso dallo stato del
procedimento al momento dell’entrata in vigore della nuova norma.
Quindi anche sotto questo profilo, non può considerarsi legittimo l’accollo
indifferenziato delle attività e degli oneri di bonifica di un sito contaminato
sui produttori che in esso operano, senza il preventivo accertamento, con
procedimento partecipato, delle relative responsabilità per l’inquinamento
riscontrato.
B) L’esame del principio della responsabilità “soggettiva” espressamente accolto
dalla normativa del 2006, porta adesso ad esaminare le tesi difensive
dell’Avvocatura e delle difese comunali, sotto altro angolo di visuale.
Secondo le difese dei Comuni ed anche dell’Avvocatura, che sul punto sono
sovrapponibili, l’art. 17 del dlgs 22/97, e gli artt. 2050 - 2051 del codice
civile, determinerebbero la configurazione della responsabilità ‘oggettiva’ in
capo ai proprietari della fonte di inquinamento, a prescindere dal fatto che
abbiano o meno prodotto l’inquinamento stesso: costoro sarebbero, infatti,
portatori di una posizione di garanzia che si fonda sul presupposto della
conoscenza del pericolo, della evitabilità dell’evento lesivo e dell’omesso
intervento per l’eliminazione del pericolo medesimo. Detta responsabilità
potrebbe, in teoria, essere evitata provando di non essere il responsabile
dell’inquinamento; tuttavia, il proprietario dell’area è custode del suolo e
quindi, per liberarsi dall’obbligo del risarcimento, spetterebbe allo stesso
proprietario provare il caso fortuito o la responsabilità altrui. La conferma
dell’esposta interpretazione si ricaverebbe dal privilegio speciale riconosciuto
sulle aree oggetto dell’inquinamento, nell’ipotesi in cui l’intervento sia
eseguito dalla P.A.; altrimenti risulterebbe inspiegabile per quale motivo un
soggetto proprietario irresponsabile dovrebbe garantire con il proprio
patrimonio l’esecuzione in danno.
Secondo le difese erariali e comunali, quindi, le imprese sarebbero tenute a
sopportare gli oneri della bonifica per:
a) la “responsabilità oggettiva” sorgente dal combinato disposto delle norme
sopra indicate;
b) non aver provato di non essere responsabili dell’inquinamento.
Ad avviso del Collegio, occorre procedere, preliminarmente, ad una sintetica
ricognizione del quadro generale dei principi sulla responsabilità oggettiva e
delle elaborazioni che ne hanno fatto la dottrina e la giurisprudenza, per
meglio comprendere la portata, ed i limiti, delle tesi della difesa erariale e
delle difese comunali.
Com’è noto, la responsabilità oggettiva è configurata dalla legge in alcuni
casi, tassativi, in cui un soggetto è chiamato a rispondere per i danni che ha
provocato, a prescindere dall’elemento della colpa, o del dolo (ossia del
requisito soggettivo dell’istituto, generale, della responsabilità aquiliana ex
art. 2043 c.c.).
In dottrina si spiega tale tipo, eccezionale, di responsabilità con riferimento
alla necessità, sempre più diffusa nella società moderna, di legare alle
attività produttive, tecnologicamente complesse, i rischi che derivano
dall’attività di impresa. Ciò al fine di evitare la traslazione
(c.d.“esternalizzazione”) dei costi di sicurezza della produzione stessa, a
carico di terzi o della collettività.
Esempi tipici dell’applicazione di tale istituto - la cui disciplina si
caratterizza non solo per la irrilevanza degli stati soggettivi dell’agente, ma
anche per la inversione dell’onere della prova che comporta l’addossamento al
soggetto, al fine di liberarsi della responsabilità dei danni, della prova del
caso fortuito o della forza maggiore (con particolari aggravamenti derivanti
anche dalla tipologia di attività condotte) - sono individuati nella
responsabilità dei padroni e dei committenti (art. 2049 c.c.), nella
responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c., art. 965
cod.nav.in tema di navigazione aerea, art. 15 l. 62/1980 in tema di attività
nucleari e simili), nella responsabilità per cose detenute in custodia (art.
2051 c.c.) o per animali (art. 2052 c.c.) e così via.
Soprattutto in tema di danno ambientale, non sono mancate, in dottrina,
autorevoli tesi volte a dimostrare che la responsabilità oggettiva sarebbe più
efficace nel tutelare il valore dell’ambiente, rispetto al modello tradizionale
della responsabilità per colpa.
Secondo queste impostazioni, il problema della responsabilità è prima economico
che giuridico: ossia, considerato l’attuale livello di sviluppo tecnologico e
commerciale, è necessario addossare i rischi per danni in capo a coloro che
possiedono i mezzi per farvi fronte e, soprattutto, hanno un potere di controllo
sulle fonti produttive di rischi, effettivi o anche solo potenziali, per rendere
effettiva la prevenzione e, in caso di accadimenti lesivi, la ristorazione delle
posizioni soggettive, private o pubbliche, eventualmente incise.
Lo stesso art. 2050 c.c. costituirebbe, così, una applicazione del suddetto
principio, accolta dal legislatore del 1942, così come lo sarebbero, negli
ordinamenti anglosassoni, istituti di common law quali il tort of nuisance (che
si ha quando l’uso della proprietà privata interferisce irragionevolmente con la
proprietà altrui), la disciplina della strict liability (che incombe su chi
effettua un non natural use della proprietà, a danno del vicino), la negligence
(che è la responsabilità di chi usa la propria res con negligenza o comunque in
violazione del dovere di diligenza), istituti che hanno permesso di raggiungere
l’individuazione di fattispecie di responsabilità più volte utilizzate per
sanzionare il danno all’ambiente.
Secondo questa impostazione, poiché le scelte di impresa sono solitamente
compiute a seguito di valutazioni e previsioni economiche, tra le quali anche il
costo della sicurezza, addossare alla impresa il rischio dei danni all’ambiente,
sarebbe quindi lo strumento per imporle ogni possibile cautela, potendo essa (e
solo essa) prevenire tale rischio, in virtù del controllo sulla produzione. Ne
deriverebbe anche una natura ambulatoria della responsabilità, in quanto,
appunto, connessa con il possesso dei mezzi di produzione e quindi suscettibile
di trasferirsi con essi.
Il rischio per i danni all’ambiente gravante sull’impresa (salvo il solo fatto
del caso fortuito o del fatto di terzo, valutati secondo parametri rigorosi)
diventerebbe, quindi, un elemento del sistema produttivo, immanente ad esso.
Tuttavia, più approfonditamente, deve osservare il Collegio che, innanzitutto,
il sistema della responsabilità oggettiva, in tema di danno all’ambiente, ha
trovato, nell’Ordinamento, un significato normativo ed un ambito di applicazione
completamente diversi da quelli che le difese erariale e comunali vorrebbero
attribuirgli a difesa dei provvedimenti impugnati, e che il C.G.A. ha fatto
propri nell’ordinanza nr. 321/06 pronunciata sull’appello contro l’ordinanza di
questa Sezione nr. 1742/05; e che, più radicalmente, il modello di
responsabilità che il legislatore ha accolto nella disciplina della tutela
ambientale dai rischi di inquinamento non e’ riconducibile alla responsabilità
oggettiva, ma, al contrario, specie in virtù della nuova normativa di cui al
dlgs 152/06, è qualificabile come vera e propria responsabilità soggettiva
(pienamente di tipo aquiliano).
****
B1) Sotto il primo dei due aspetti, appena indicati, si osserva, intanto, che,
da un punto di vista dell’evoluzione dell’istituto, già l’art. 18 della l.
349/86 prevedeva che “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di
disposizione di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che
comprometta l’ambiente….obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti
dello Stato” e quindi (come del resto nessuno, in dottrina, dubita) introduce
una fattispecie “tipica” di responsabilità, non completamente riconducibile allo
schema dell’art. 2043 c.c. (dal quale si differenzia, tra l’altro, per non avere
struttura aperta, sussistendo l’elemento essenziale della violazione di legge o
di provvedimenti amministrativi, che si aggiunge al tradizionale elemento del
dolo o della colpa e sostituisce l’elemento dell’ingiustizia del danno).
Caratteristiche proprie della responsabilità oggettiva, invece, si potevano
ravvisare nella disciplina di cui all’art. 17 del dlgs 22/97, in tema di obbligo
di ripristino dell’ambiente inquinato.
La disposizione in esame, infatti, pone l’obbligo del ripristino a carico di
colui il quale ha prodotto l’inquinamento, senza riconoscere alcuna rilevanza
allo stato soggettivo, di colpa o di dolo, dell’agente, perché prevede
espressamente che l’obbligo di ripristino incombe anche a carico di chi
determini l’inquinamento accidentalmente ossia per caso fortuito.
Solo che, contrariamente a quanto vorrebbero sostenere le tesi difensive
dell’Avvocatura e dei Comuni, (e contrariamente a quanto ritenuto dal CGA nella
ordinanza nr. 321/06, per la quale cfr. infra sub “D”), la natura “oggettiva”
della responsabilità non esclude certamente che si debba verificare ed accertare
il presupposto causale della stessa, ossia l’avvenuto inquinamento “imputabile”
come nesso eziologico all’impresa ed alla sua attività.
Anche le teorie appena (succintamente) richiamate, non negano, infatti, il
principale presupposto dell’accertamento della responsabilità dell’inquinamento,
ossia l’esistenza della concatenazione causale tra produzione ed inquinamento
(cosa che, nel caso della Rada di Augusta non ha formato oggetto di accertamento
da parte della P.A., essendosi limitate le conferenze dei servizi a prendere
atto della esistenza di livelli di inquinamento asseritamente superiori agli
standards, senza indagare su chi ha prodotto l’inquinamento e quando).
Si confronti sul punto la normativa di cui agli artt. 14 e 17 del dlgs 22/97.
Ai sensi dell’art.14, dlgs 22/97:”1. L'abbandono e il deposito incontrollati di
rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di
rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque
superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui
agli articoli 51 e 52, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a
procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed
al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i
titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area ai quali tale
violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa ……omississ”.
L’art. 17, dlgs 22/97, comma 2, a sua volta prescriveva che “Chiunque cagiona,
anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1,
lettera a) (ovvero i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli,
delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica
destinazione d'uso dei siti), ovvero determini un pericolo concreto ed attuale
di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli
interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle
aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.
Quindi, nello schema dell’art. 14 e dell’art. 17 del d.lgs. 22/97 (disciplina
oggi trasfusa negli artt. 192 e 243 e ss. del dlgs 152/06), pur potendo
dubitarsi sul tipo di responsabilità (ossia avente o meno natura di
responsabilità oggettiva), sicuramente l’accertamento della responsabilità
dell’abbandono dei rifiuti era essenziale perché scriminante il titolo degli
obblighi di ripristino dell’autore e dei titolari di diritti reali sull’immobile
(questi ultimi corresponsabili in solido con l’inquinatore solo a titolo di
colpa o dolo), nonché in quanto imponeva l’adozione delle misure di tutela e
salvaguardia ambientale a “chiunque cagiona” il danno medesimo (rappresentato
dal superamento o dal rischio di superamento degli standards ambientali); e
quindi nessun indice normativo consentiva di addossare ai semplici titolari dei
diritti reali sull’immobile inquinato gli obblighi di bonifica “a prescindere”
dall’accertamento della loro responsabilità.
E’ quindi possibile, già in base alla previgente normativa del d.lgs. 22/97
(c.d. “decreto Ronchi”), rilevare la prima e principale contraddizione delle
tesi difensive dell’Avvocatura e dei Comuni, tesi, peraltro, accolta dal CGA,
nell’ordinanza nr. 321/06.
Infatti, sia la difesa delle Amministrazioni come pure l’ordinanza del CGA nr.
321/06, confondono palesemente il principio della responsabilità oggettiva con
l’istituto della sottoposizione del proprietario incolpevole all’obbligo di
sopportare i costi della bonifica per effetto dell’onere reale incombente sul
suolo inquinato e della garanzia del privilegio speciale; posizioni di
soggezione, queste, dipendenti da titoli (e quindi soggetti a discipline, limiti
e presupposti) completamente diversi.
Più precisamente, mentre il responsabile dell’inquinamento è tenuto a sopportare
l’intero costo della bonifica (nel limite in cui essa è imputabile al fatto
proprio dell’inquinamento e, viceversa, senza il limite della prevedibilità
delle conseguenze dannose rispetto alla propria azione o omissione, trattandosi
di responsabilità aquiliana), e ciò anche se non abbia più il possesso, o la
proprietà o comunque la disponibilità dei suoli inquinati, (secondo TAR Liguria,
I, 12 ottobre 2005, n. 1348, e 10 febbraio 2004, nr. 141, la relativa
responsabilità è imprescrittibile); laddove, invece, l’impresa titolare di un
diritto reale sull’immobile e/o detentrice dello stesso, non abbia causato essa
direttamente l’inquinamento subirà sì il rischio di dover sopportare i costi
della bonifica, ma ciò solamente laddove essa sia corresponsabile
dell’inquinamento (ma sicuramente non a titolo di responsabilità oggettiva,
chiedendo, infatti, il legislatore l’accertamento del presupposto del requisito
soggettivo del dolo o della colpa) oppure per effetto (e nei limiti) dell’onere
reale che è costituito ex art. 17 dlgs 22/97 e che garantisce l’amministrazione
pubblica del recupero delle somme equivalenti all’aumento di valore che il fondo
subisce per effetto delle attività di bonifica.
In tali ultime ipotesi, la causa del recupero, pertanto, è quella
dell’ingiustificato arricchimento della impresa proprietaria del bene, la quale,
avendolo acquistato “inquinato” si avvantaggerebbe dell’opera di bonifica posta
in essere dall’Autorità ricevendone un diretto vantaggio “immeritato”. Una volta
corrisposte le somme necessarie a riequilibrare le posizioni giuridiche del
bonificante e del proprietario avvantaggiato, quest’ultimo, ove ne ricorrano i
presupposti (ad es.prezzo pagato per l’acquisto del suolo pari al valore di
questo come se non fosse inquinato; sussistenza ed attivabilità delle garanzie
di legge a tutela dell’acquisto e simili), potrà poi rivalersi sul proprio dante
causa (con azione civile di natura contrattuale, oppure, a seconda dei casi,
aquiliana).
Ciò, quindi, comporta che all’impresa incolpevole saranno accollati i costi del
disinquinamento solo dopo che la bonifica è stata effettuata da parte dello
Stato e nei limiti in cui i relativi oneri non siano recuperati o recuperabili a
carico del responsabile dell’inquinamento, oltre che nei limiti di valore del
fondo o in quelli dell’aumento di valore del medesimo, conseguente alla avvenuta
bonifica.
A tale proposito, è stato recentemente ritenuto che “L’art. 17, d.lg. n. 22 del
1997, impone l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee
a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a carico di colui che di
tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, con conseguente
inconfigurabilità di un obbligo di bonifica o di messa in sicurezza a carico del
proprietario incolpevole (si veda, tra le tante, Tar Veneto, sez. III, 25 maggio
2005 n. 2174)”. Quanto al proprietario incolpevole, inoltre, costui “finisce per
essere il soggetto gravato dal punto di vista economico, poiché l’Ente pubblico
che ha provveduto all’esecuzione dell’intervento può recuperare le spese
sostenute nei limiti del valore dell’area bonificata, anche in suo pregiudizio:
ne deriva che il proprietario incolpevole ha l’onere di provvedere alla bonifica
e alla messa in sicurezza se intende evitare le conseguenze derivanti dai
vincoli che gravano sull’area di onere reale e di privilegio speciale
immobiliare, salva l’azione di regresso nei confronti del responsabile
dell’inquinamento (TAR Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291; cfr. la
sentenza del TAR Veneto, ivi richiamata, nr. 2174/2005; cfr. anche T.A.R.
Campania Napoli, sez. I, 12 dicembre 2005, n. 20141; Tar Liguria, I, 12 ottobre
2005, n. 1348; Consiglio di Stato, VI, 05 settembre 2005, n. 4525).
Pertanto, va ribadito che, nell’Ordinamento statuale interno, in tema di tutela
ambientale e nel vigore della disciplina di cui al dlgs 22/97, è il responsabile
dell’inquinamento che deve sopportarne i costi di bonifica, mentre il
proprietario incolpevole del suolo sarà chiamato solo in via sussidiaria e
comunque nei limiti dell’arricchimento per tenere indenne l’Amministrazione
dalle operazioni di bonifica.
E’ evidente la profonda differenza che sussiste tra le due figure soggettive di
responsabilità.
In tema di onere reale costituito ex art. 17 del dlgs 22/97, è stato infatti
affermato che quest’ultimo “costituisce la prestazione di dare o di fare a
carattere periodico cui è obbligato il debitore in quanto gode di un determinato
bene, e per principio generale ricavato anche ex art. 967 c.c. l’obbligo del
debitore è relativo anche alle prestazioni sorte anteriormente all’acquisto del
diritto sul bene; quindi l’onere reale, per la sua invasività e specificità, è
quindi ammesso solo nei casi previsti dalla legge, come nel caso di cui all’art.
17 d.lg. n. 22 del 1997” ( TAR Liguria, I, 12 ottobre 2005, n. 1348).
Ricostruendo la disciplina già in vigore nell’applicazione del dlgs 22/97, si
deve, pertanto, affermare che, quanto alla responsabilità per l’inquinamento, il
proprietario incolpevole (che non ha nessuna prova da offrire posto che spetta
all’Amministrazione accertare e dunque provare la responsabilità
dell’inquinamento) sarà chiamato a rifondere i costi della bonifica solo in
relazione al suo rapporto con il bene, che si traduce in termini di incremento
di utilità da comprovarsi (onere della prova a carico dell’Amministrazione: si
tratta di una azione che rientra nell’alveo dell’art. 2041 del codice civile e,
in conseguenza, la prova dell’arricchimento - sia nell’an che nel quantum -
incombe sull’attore - cfr. Cass. Civile, I, 28 ottobre 2005, nr. 21096; Corte di
Appello Reggio Calabria, 17 luglio 2004; TAR Puglia, Bari, I, 05 novembre 2002,
nr. 4833).
Più precisamente, il recupero dei costi da parte dell’Amministrazione potrà
avvenire, come detto prima, solo nei limiti del valore dell’immobile o comunque
nei limiti della concreta utilità che lo stesso ha percepito (come aumento di
valore del fondo bonificato): a tale fine, però, l’onere reale deve risultare
dai registri immobiliari (art. 253 dlgs 152/06) se riferito ad interventi già
effettuati e precedenti il titolo dell’acquisito immobiliare o della
costituzione del diritto reale sul bene, e deve essere altresì iscritto in
relazione al valore dell’intervento di bonifica i cui costi sono andati a
vantaggio del fondo.
L’autore dell’inquinamento, invece, non incontra limiti di valore nella sua
obbligazione, la quale dovrà necessariamente corrispondere all’intero importo
delle operazioni di bonifica per inquinamenti a lui imputabili, in relazione al
nesso causale ed anche oltre i limiti della ordinaria prevedibilità dei danni
(trattandosi di illecito extracontrattuale).
*******
Va osservato, a questo punto, che sia il responsabile dell’inquinamento che il
proprietario incolpevole hanno titolo a partecipare al procedimento
amministrativo che è preordinato alla predisposizione degli interventi di
bonifica ed alla loro esecuzione.
Mentre per il responsabile dell’inquinamento ciò appare ovvio, per il
proprietario incolpevole la medesima conclusione, sebbene altrettanto evidente,
necessita di alcune precisazioni.
Infatti è la possibile sottoposizione del proprietario incolpevole dell’area a
subire i costi della bonifica ad implicare che quest’ultimo ha un interesse
partecipativo evidente al procedimento ove si determinano le modalità della
bonifica, non essendo logicamente pretendibile che costi sproporzionati o,
peggio, inutili (in quanto connessi a procedimenti di cui si contesti
l’efficacia e l’efficienza), o comunque determinati senza il responsabile
apporto partecipativo del proprietario incolpevole, siano posti a carico del
privato medesimo.
Quindi se il titolare del diritto reale sull’area ha acquistato quest’ultimo
diritto in epoca successiva all’esecuzione degli interventi di bonifica, allora
il limite della sua sottoposizione al privilegio in favore dell’Amministrazione
sarà dato dalle risultanze dei registri immobiliari, ossia dalla esistenza della
iscrizione formale e costitutiva verso terzi dell’onere reale (e del relativo
importo); laddove, invece, non sia stata annotata nei registri immobiliari
l’esistenza e l’importo del privilegio oppure l’evidenza dell’inquinamento ed i
relativi obblighi di intervento siano sorti in un momento successivo
all’acquisto dell’immobile o dei diritti su di esso, allora sussiste l’interesse
alla partecipazione al procedimento preordinato all’adozione dei provvedimenti
di bonifica necessari al disinquinamento, secondo gli ordinari criteri di cui
alla legge 241/90.
Pertanto, si deve affermare che non è legittimo addossare al privato incolpevole
gli oneri della bonifica, per interventi resisi necessari dopo l’acquisto
dell’immobile, o comunque laddove questi ultimi non risultino in tutto o in
parte dalle iscrizioni immobiliari, senza che costui abbia avuto la possibilità
di offrire i propri apporti collaborativi (e conseguentemente che
l’Amministrazione abbia motivato in maniera idonea l’eventuale decisione
difforme, in tutto o in parte, dalle proposte dell’avente interesse).
Inoltre, dall’esposizione che precede, emerge che il proprietario del suolo deve
comunque essere coinvolto nel procedimento al fine di accertare l’esistenza dei
fattori di inquinamento oltre soglia e la relativa quantità, e ciò qualsiasi
possa essere il titolo della responsabilità (principale o sussidiaria) che
incombe in capo ad esso (Consiglio di Stato, VI, 05 settembre 2005, n. 4525).
Correlativamente, l’imposizione dell’onere reale sui terreni oggetto di
intervento di bonifica presuppone non solo il pieno coinvolgimento del
proprietario incolpevole nel procedimento, ma, prima ancora, che sia stato
compiuto ogni esigibile sforzo per identificare il responsabile dell’abuso e
imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo costo, e di tali presupposti
deve esistere nel provvedimento congrua illustrazione e corrispondente obbligo
motivazionale.
Ciò infatti deriva anche dalla applicazione del principio comunitario secondo
cui “chi inquina paga”, principio che comunque, in giurisprudenza, è oramai
riconosciuto pacificamente applicabile nell’Ordinamento statuale interno: tanto
che si offre una lettura del rapporto tra le norme di cui agli artt. 14 e 17 del
dlgs 22/97 ben diversa da quella che vorrebbero trarne le difese dei Comuni: “Ai
sensi dell’art. 17, d.lg. n. 22 del 1997 in tema di messa in sicurezza,
ripristino ambientale e bonifica vige il principio che chi inquina paga,
diversamente dal paradigma normativo di cui all’art. 14, d.lg. cit. improntato a
sanzionare il comportamento illecito dell’autore del deposito abusivo di rifiuti
(T.A.R. Liguria, sez. I, 21 novembre 2005 , n. 1487)
D’altronde, il regime dell’istituto che si è appena illustrato, come già
consolidatosi specie nell’elaborazione giurisprudenziale sotto l’imperio del
dlgs 22/97, è puntualmente confermato dal testo normativo oggi in vigore (art.
253 del dlgs 152/06):
1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti
contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi
dell’articolo 250. L’onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del
progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione
urbanistica.
2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da
privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti
dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può
esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile.
3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei
confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo
di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell’autorità
competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità
del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare
azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro
infruttuosità.
4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere
tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservanza
delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli
interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di
mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi
medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento
abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di
rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese
sostenute e per l’eventuale maggior danno subito.
Si tenga inoltre presente che, a norma dell’art. 245 del dlgs 152/06 “Le
procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su
iniziativa degli interessati non responsabili” ma sono comunque fatti salvi gli
obblighi del responsabile della contaminazione a norma dell’art. 242.
In base a quest’ultima disposizione, le “procedure operative ed amministrative”
sono articolatamente disciplinate dal legislatore intorno al responsabile della
contaminazione, sul quale incombono strutturati obblighi di intervento e
comunicazione, che ovviamente presuppongono il nesso causale tra la
contaminazione e la attività o la condotta dell’agente (commissiva oppure
omissiva).
Infine, l’art. 250 del d.lgs. 152/06, prevede che, qualora il responsabile non è
individuato o comunque non provveda e non provvedano neppure i proprietari
incolpevoli (questi ultimi a titolo volontario, come chiaramente previsto
dall’art. 245 sopra riportato), provvede l’Amministrazione alla bonifica ed al
recupero del sito inquinato: la P.A. competente è individuata nel livello
territoriale proporzionato alla tipologia ed estensione dell’inquinamento,
secondo il tipico principio di sussidiarietà (e quindi, provvederà, a seconda
dei casi, il Comune o la Provincia, oppure interverrà il Ministero per i siti di
interesse nazionale).
Pertanto, alla luce del dlgs 152/06, si conferma che o l’Amministrazione accerta
la responsabilità dell’inquinamento o è la stessa Amministrazione che dovrà
procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico delle
imprese, in relazione al rapporto che esse hanno con il sito bonificato, ma
salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, specie
in punto di modalità dell’intervento, e fermo restando, comunque, che a carico
del proprietario incolpevole il recupero degli oneri della bonifica potrà
avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento
avrà apportato al fondo; aspetto questo che consente di ricondurre il diritto
dell’amministrazione al recupero delle somme, nell’alveo delle azioni di
ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali essa si differenzia
essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e
privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei costi di
intervento.
******
B2) Sotto il secondo dei profili cui si è prima fatto cenno, e chiarito, dunque,
che, sia nella precedente normativa, che nella vigenza attuale del dlgs 152/06,
vanno accuratamente distinte le posizioni del responsabile dell’inquinamento e
del proprietario incolpevole, può essere adesso esaminato l’ulteriore aspetto,
variamente evidenziato dalle tesi difensive delle società ricorrenti, circa la
natura della responsabilità per l’inquinamento ambientale.
A giudizio del Collegio, il legislatore del 2006 ha operato una scelta decisa in
favore della riconduzione della responsabilità per i danni all’ambiente
nell’alveo della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva
(c.d. “responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con il conseguente ripudio
di una qualsiasi forma di responsabilità oggettiva.
Se, nel vigore del dlgs 22/97, poteva dubitarsi sulla natura della
responsabilità (soggettiva o, al contrario, oggettiva) di colui che determina un
inquinamento (chiamato a provvedere al ripristino, come visto, anche se il
superamento dei valori standards è cagionato accidentalmente, con conseguente
possibile configurazione di un obbligo di intervento che prescinde dallo stato
soggettivo dell’agente, essendo rilevante anche la mera causalità della
produzione dell’evento lesivo), ciò è invece sicuramente da escludersi nella
disciplina attuale.
Infatti, il D. Lgs. n. 152 del 2006 all’ art. 311, comma 2, disciplina la
responsabilità per danni all’ambiente, prevedendo che “chiunque realizzando un
fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di
legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza,
imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno
all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte,
è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al
risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”.
La disposizione di cui all’art. 311 appena riportata, è la norma che costituisce
e disciplina la situazione giuridica soggettiva di responsabilità, e serve
quindi ad orientare l’interprete nella ricostruzione dell’istituto più generale
del ripristino dei siti inquinati: quando nelle norme variamente in esso
previste, si fa riferimento al “responsabile dell’inquinamento”, non si potrà
che, logicamente, considerare tale colui il quale è “responsabile” ai sensi del
citato art. 311, a meno di non voler sostenere l’illogica prospettazione della
esistenza di due tipologie di responsabilità, ossia quella soggettiva ex art.
311 cit. ed una sorta di “responsabilità oggettiva parallela” ex art. 242 e ss.
aventi tuttavia identico contenuto quanto all’obbligo di ripristino.
La necessità di una lettura combinata dei due istituti (obblighi di ripristino
ex art. 242 e ss. e disciplina della responsabilità con l’azione di risarcimento
anche in forma specifica, di cui agli artt. 311 e ss.), si impone, comunque,
dalla semplice lettura dell’art. 313 dlgs 152/2006, a norma del quale “Qualora
all'esito dell'istruttoria di cui all'articolo 312 sia stato accertato un fatto
che abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le
procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente
decreto oppure ai sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge
a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili del
fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica entro
un termine fissato. 2. Qualora il responsabile del fatto che ha provocato danno
ambientale non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto,
o il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile, oppure eccessivamente
oneroso ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile, il Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, con successiva ordinanza, ingiunge il pagamento,
entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, di una somma pari al valore
economico del danno accertato o residuato, a titolo di risarcimento per
equivalente pecuniario. 3. Con riguardo al risarcimento del danno in forma
specifica, l'ordinanza è emessa nei confronti del responsabile del fatto dannoso
nonché, in solido, del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento
fonte del danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio
sottraendosi, secondo l'accertamento istruttorio intervenuto, all'onere
economico necessario per apprestare, in via preventiva, le opere, le
attrezzature, le cautele e tenere i comportamenti previsti come obbligatori
dalle norme applicabili”.
Pertanto, la disciplina dell’obbligo di ripristino del sito inquinato, deve
essere letta in correlazione con l’art. 311 appena citato: ciò andrà fatto, ad
es. in relazione all’art. 242 – che in caso di un evento “potenzialmente in
grado di contaminare il sito obbliga esclusivamente il “responsabile
dell’inquinamento” a porre in essere le necessarie misure di prevenzione e a
dare immediata comunicazione all’Amministrazione-; all’art. 245, comma 2, che
parimenti fa riferimento agli “obblighi del responsabile della potenziale
contaminazione”; alla circostanza che il decreto delegato recepisce
l’orientamento giurisprudenziale che impone un rigoroso onere di motivazione in
capo alla P.A. nella ricerca e nell’individuazione del responsabile
dell’inquinamento, non ritenendo ammissibile l’attribuzione di obblighi di messa
in sicurezza e di bonifica a soggetti terzi in virtù del mero titolo di
proprietà (o di concessione) sui fondi stessi.
Deve quindi concludersi che il nuovo quadro normativo impone sotto differenti
profili di escludere che il responsabile della bonifica – ovvero del danno
ambientale – possa essere individuato solo in virtù del rapporto esistente tra
un determinato soggetto e l’apparato produttivo esistente nel terreno inquinato.
Va quindi esclusa qualsiasi responsabilità “da posizione” che non può
configurarsi surrettiziamente neppure con riferimento ai “vantaggi” connessi
all’esercizio di un’impresa.
Anche volendo superare la natura di risarcimento in forma specifica degli
obblighi di bonifica ed accentuandone l’aspetto sanzionatorio, la disciplina
dell’illecito ambientale non può essere invocata per giustificare l’eventuale
qualificazione della responsabilità ambientale in termini di responsabilità
oggettiva, perché, in materia di sanzioni amministrative, la legge non la
prevede, a differenza del codice civile, in nessuna tipologia o forma.
A norma della legge 24 novembre 1981 n. 689, infatti, la disciplina generale
delle sanzioni amministrative, esclude qualsiasi forma di responsabilità
oggettiva e riconduce (art. 3, 1° comma) la responsabilità amministrativa al
dolo o alla colpa: “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione
amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”, con una formulazione che
replica esattamente quella dettata dall’art. 42, 4° comma, del codice penale per
le contravvenzioni, e che viene concordemente intesa da dottrina e
giurisprudenza nel senso che l’affermazione della responsabilità richiede
l’accertamento del dolo o della colpa (in tema di responsabilità oggettiva e
sanzioni, cfr. quanto recentemente statuito da TAR Catania, IV, nr. 679/2007,
del 19.04.2007, pag. 33-35, che ha sancito la illegittimità delle norme
regolamentari della FIGC che prevedono la responsabilità oggettiva delle società
calcistiche e relative sanzioni, per fatti illeciti commessi dai tifosi).
Sotto altro aspetto, come condivisibilmente sottolineano le ricorrenti, ed in
particolare la difesa della società ENI, una responsabilità imprenditoriale di
stampo oggettivo si traduce in un onere reale imposto automaticamente
all’imprenditore unicamente in virtù della posizione rivestita e del rapporto
con la cosa inquinata ed indipendentemente dall’azione che l’amministrazione
deve condurre per la preventiva individuazione del soggetto responsabile, ma si
è visto sopra a quali limiti e con quali presupposti l’onere reale viene invece
imposto, nel sistema del D. Lgs. n. 152 del 2006.
Va quindi respinta, in quanto inconferente, la tesi secondo la quale il
riferimento alle responsabilità presunte di cui agli artt. 2050 e 2051 cod. civ.
(relativi alla responsabilità per esercizio di attività pericolose ed alla
responsabilità per danni da cose in custodia) permetterebbe di ricostruire la
responsabilità imprenditoriale per danno ambientale o per bonifica in chiave di
responsabilità meramente oggettiva: a tacere del fatto che tali disposizioni
operano nel campo dei rapporti tra privati, in ogni caso, l’applicazione al
campo della responsabilità per danno ambientale delle norme di responsabilità
presunta stabilite dal codice civile trova comunque ostacolo nel principio di
specialità (che – com’è noto – è il criterio prioritario per individuare la
norma applicabile in campo civilistico, anche sul terreno della responsabilità
civile: cfr. Cass. N. 19975 del 2005). A fronte di più disposizioni
(apparentemente) concorrenti nella stessa fattispecie (le norme di
responsabilità presunta stabilite dal codice civile e le norme sulla
responsabilità ambientale previste dalla parte sesta del D. Lgs. N. 152 del
2006), il criterio di specialità porta certamente ad applicare solo ed
esclusivamente le disposizioni esaustivamente dettate dalla normativa
ambientale, così come oggi chiarite dal D. Lgs. N. 152 del 2006 (aderendo alla
prospettazione della difesa della società ENI, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8
marzo 2005, n. 935; Sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971; TAR Veneto, Sez. III, 19
gennaio 2006, n. 1443, e 6 dicembre 2006, n. 571).
*******
Sotto il profilo della ratio normativa, deve inoltre disattendersi la tesi
dell’Avvocatura secondo cui l’adozione di un criterio di “strict liability”
(responsabilità rigorosa) in capo alle imprese, connesso a rischi oggettivi di
impresa, tutelerebbe meglio il valore della difesa ambientale, rispetto ad un
sistema di “due care” (cura doverosa).
Infatti, la strict liability ed il correlativo principio, sostenuto dalla difesa
della Pubblica Amministrazione (e che è stato anche accolto in sede cautelare
dal C.G.A. con l’ordinanza nr. 321/06, per cui vedasi meglio infra, sub “D”),
secondo cui sarebbe possibile l’ indifferenziato accollo degli oneri della
bonifica ambientale a carico delle imprese per effetto della sola loro relazione
con i suoli, finirebbe con l’incentivare il danno ambientale, invece di
impedirlo o di portare a rimuoverne durevolmente le cause prima ancora che gli
effetti, risultato che si ottiene solo promuovendo un corretto rapporto tra la
produzione e l’ambiente.
Infatti, la via semplice, “in discesa”, di accollare gli oneri di bonifica alle
imprese incolpevoli, ma facilmente individuabili dalla loro attuale relazione
con il bene, agevolerebbe, di fatto, l’impunità dei soggetti autori
dell’inquinamento (specie di quel tipo di inquinamento che è il peggiore, poiché
deriva da fatti risalenti nel tempo e che quindi ha già consentito una sicura
locupletazione dei suoi autori a danno della collettività e del territorio):
questo perché, ipotizzando che la P.A. recuperi i costi integrali della bonifica
a carico del proprietario-detentore incolpevole del suolo, ne deriverebbe che
resterebbe a costui la rivalsa sul precedente proprietario-possessore
inquinante, rivalsa che dovrebbe essere condotta sul piano della tutela civile,
con l’evidente minore possibilità, mezzi e strumenti di tutela derivanti dalla
natura dell’azione (che sarebbe riconducibile, in pratica, o ad una azione a
tutela della compravendita, oppure, a seconda dei presupposti, ad una azione
aquiliana, con relativi termini di proposizione e prescrizione), rispetto a
quella che lo Stato invece può (e deve) porre in essere, a norma dell’art. 250,
252 comma 5 e 253 del dlgs 152/06.
Quindi le Imprese “non attente” alle tematiche ambientali sarebbero incoraggiate
nelle loro riprovevoli condotte dalla possibilità di sfuggire alla sanzione dopo
aver sfruttato le risorse del suolo ed aver compromesso l’ambiente,
semplicemente cedendo il sito e puntando, da un lato, sui “tempi lunghi”
dell’Amministrazione e, dall’altro, sul minore rischio che per loro costituisce
l’azione civile di rivalsa dei proprietari incolpevoli.
In una prospettiva ancora più evoluta dell’istituto della responsabilità per
danno all’ambiente, la cennata ed erronea ricostruzione dell’istituto della
responsabilità per danni all’ambiente, quale emerge dalla tesi difensiva
dell’Avvocatura e dei Comuni, contrasta gravemente – ledendolo – con il
principio-valore della “responsabilità sociale delle imprese” che oramai si sta
consolidando come lettura del combinato disposto degli artt. 2, 3 e 42 della
Costituzione, nella maturata coscienza “diffusa” della società e degli operatori
economici.
In una amministrazione democraticamente orientata, infatti, la coazione è sempre
uno strumento da “ultima risorsa”, mentre il coinvolgimento attivo, propositivo
e qualificato dei privati nella tutela dell’ambiente è un “valore” prima ancora
che uno strumento (di maggiore efficacia); ed esso si ottiene enfatizzando,
appunto, la “responsabilità sociale” delle imprese e della produzione (nozione
fondata sull’art. 41 comma 2 e 42 della Costituzione), secondo la quale le
imprese hanno vantaggio (e devono essere incentivate) nel perseguire
contestualmente il profitto economico, la funzione sociale della proprietà e la
tutela ambientale, destinando a tale proposito adeguate risorse ed energie,
poiché ne hanno un ritorno in termini di qualità della produzione e della
immagine.
Centrale, in questa ricostruzione, è il corollario che all’impresa vada sì
accollato il “costo” sociale della produzione, ma ciò deve accadere nei limiti
in cui esso è direttamente riferibile al profitto ottenuto, quindi alla
produzione in quanto causa dell’effetto.
L’equilibrio tra il costo ed il beneficio è infatti la precondizione della
corretta pianificazione delle scelte aziendali, quindi incide direttamente sulla
valutazione dell’imprenditore di destinare risorse e ricchezze alla
minimizzazione dei costi ed alla implementazione qualitativa della produzione.
Sotto il profilo della organizzazione amministrativa dell’azione dei pubblici
poteri, tali finalità sono ampiamente riconosciute e previste dal legislatore
che disciplina in proposito svariate forme di intese e/o accordi di programma:
si confronti la complessa ed evoluta disciplina di cui al disposto degli artt.
206, 179 e 180 del dlgs 152/06, nonché le previsioni di cui all’art. 181 commi 5
e 7, che consentono di promuovere intese con i soggetti economici interessati
“al fine di favorire il riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio e le altre
forme di recupero dei rifiuti, nonché l'utilizzo di materie prime secondarie, di
combustibili o di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti provenienti dalla
raccolta differenziata” (art. 181), anche mediante “la promozione di strumenti
economici, eco-bilanci, sistemi di certificazione ambientale, analisi del ciclo
di vita dei prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione dei
consumatori, l'uso di sistemi di qualità, nonché lo sviluppo del sistema di
marchio ecologico ai fini della corretta valutazione dell'impatto di uno
specifico prodotto sull'ambiente durante l'intero ciclo di vita del prodotto
medesimo; come pure “la previsione di clausole di gare d'appalto che valorizzino
le capacità e le competenze tecniche in materia di prevenzione della produzione
di rifiuti” o anche “la promozione di accordi e contratti di programma o
protocolli d'intesa anche sperimentali finalizzati, con effetti migliorativi,
alla prevenzione ed alla riduzione della quantità e della pericolosità dei
rifiuti” (art. 180).
Quindi, sotto l’aspetto della ratio legis, è da ritenersi contraria ai principi
della responsabilità imprenditoriale nella tutela ambientale, come emergenti sia
dalla Carta Costituzionale che dalla legislazione ambientale, nella più matura
lettura che se ne offre alla coscienza sociale, la considerazione (generalizzata
in un giudizio preventivo ed acritico) delle imprese e della produzione come
“disvalore” da contenere, controllare o limitare, addossando loro
indiscriminatamente i costi del disinquinamento in una logica (massimalista e
punitiva) di equiparazione tra il possesso di “risorse economiche e ricchezza”
ed una (sorta di) “culpa in re ipsa”, ossia intrinseca allo stesso essere
impresa produttiva.
Per tale ragione è da respingersi il corollario che deriva dalla suesposta tesi,
secondo il quale la semplice relazione di una forza economica e produttiva con
il sito ove essa è localizzata rende responsabile l’imprenditore di qualsiasi
danno ambientale, senza o al di fuori di un rigoroso accertamento di
responsabilità.
C) Il terzo ed ultimo aspetto dell’analisi del quadro normativo applicabile è
relativo alle regole da applicarsi nei casi di c.d. “inquinamento di tipo
diffuso”; a norma dell’art. 240 comma 1 lett. “r” del vigente testo normativo
sull’Ambiente, in questo tipo di inquinamento rientrano la “contaminazione o le
alterazioni chimiche, fisiche, biologiche delle matrici ambientali determinate
da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”.
Come correttamente evidenziato soprattutto dalla difesa della ricorrente SASOL
ITALY S.p.a, l’art. 303 comma 1 lett. “h” prevede che la disciplina sul “danno
ambientale” (articolata in specifici istituti relativi alla prevenzione, il
ripristino ed il risarcimento del danno) non è applicabile all’inquinamento
diffuso, qualora non sia possibile acclarare in nessun modo il nesso causale tra
il danno e l’attività dei singoli operatori.
A giudizio del Collegio, dalla disciplina in esame emerge che il legislatore
nazionale ha chiaramente previsto che, in relazione alle forme di inquinamento
diffuso, i relativi oneri di bonifica e le rispettive responsabilità gravino
interamente sullo Stato: è salva tuttavia la sola previsione di cui all’art.
253, in quanto anche l’intervento effettuato dallo Stato in applicazione
dell’art. 250 produce evidenti benefici ai fondi dapprima inquinati, e si è
visto che l’apposizione dell’onere reale ed il privilegio speciale, sono
meccanismi di tutela legale di una situazione giuridica comunque conosciuta
dall’Ordinamento nei termini dell’azione di arricchimento.
D) Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, il Collegio non può
esimersi dal dissentire in ordine a quanto ritenuto dal C.G.A. nella menzionata
ordinanza nr. 321/06, pronunciata nel ricorso di appello nr. 344/06 per la
riforma della ordinanza del TAR Catania, I, nr. 1742/05: secondo il giudice di
appello, “appare irrilevante ai fini della legittimità degli atti impugnati in
prime cure ogni accertamento (ivi compresi quelli in corso in sede penale) volto
a verificare il coinvolgimento, o meno, degli attuali proprietari o
concessionari di aree industriali .. così come di ogni accertamento volto a
verificare la sussistenza di eventuali responsabilità in capo ad organi della
P.A. che abbiano in passato autorizzato l’esercizio di attività inquinanti (il
cui esito, a prescindere da eventuali imputazioni ascrivibili alle singole
persone fisiche titolari degli organi, si risolverebbe necessariamente in una
traslazione sulla collettività dei relativi oneri a carattere ripristinatorio, o
di gran parte di essi). Il punto di equilibrio fra i diversi interessi di
rilevanza costituzionale alla tutela della salute, dell’ambiente e
dell’iniziativa economica privata non va infatti ricercato in meccanismo di
graduazione delle obbligazioni di messa in sicurezza e di successiva bonifica a
seconda dell’entità degli apporti individuali nella causazione del danno
ambientale, .. , ma in un criterio di oggettiva responsabilità imprenditoriale,
in base al quale gli operatori economici che producono e ritraggono profitti
attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti, o in
quanto utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di perdurante
contaminazione, sono per ciò stesso tenuti a sostenere integralmente gli oneri
necessari a garantire la tutela dell’ambiente e della salute della popolazione,
in correlazione causale con tutti indistintamente i fenomeni di compromissione
collegatisi alla destinazione industriale del sito, gravato come tale da un vero
e proprio onere reale a rilevanza pubblica, in quanto finalizzato alla tutela di
prevalenti ed indeclinabili interessi dell’intera collettività”.
La impostazione del giudice di appello, alla luce della esposizione in diritto
che precede il presente paragrafo, non può essere assolutamente condivisa ed il
Collegio esprime l’auspicio che tale indirizzo sia criticamente rimeditato.
La contraddizione palese tra la ritenuta irrilevanza dell’obbligo di accertare
le effettive e soggettive responsabilità e il disposto di legge emerge con
evidenza dall’analisi del testo normativo che oggi è in vigore; ma anche alla
luce del previgente art. 17 del dlgs 22/97, si è visto come era centrale, nella
ricostruzione dell’istituto, la precisa individuazione delle responsabilità
dell’inquinamento.
Ma ciò che preme al Collegio evidenziare con la dovuta chiarezza è che, a
differenza di quanto ritenuto dal giudice di appello, la linea interpretativa
qui seguita (e già contenuta nell’ordinanza nr. 1742/05 di questa Sezione che
secondo il giudice di appello, sarebbe “di stampo fortemente liberista, ma
debolmente solidaristico”), è “fortemente” intesa a valorizzare, prima di tutto,
le esigenze di preminente interesse sia dell’ambiente che della salute, proprie
degli istituti normativi sopra esaminati, e che l’azione superficiale della
P.A., condotta senza minimamente tenere conto né delle gravissime obiezioni
tecniche poste dalle società ricorrenti, né delle effettive ragioni di
responsabilità dell’inquinamento, rischia invece di compromettere.
Come si è visto sopra, la tutela della salute e dell’ambiente diviene effettiva
solo laddove essa sia supportata da idonea istruttoria ed adeguata ponderazione
degli interventi necessari, sotto il profilo scientifico, e sia altresì
coordinata e contemperata con la tutela di altri valori costituzionali come la
libertà di impresa e di iniziativa economica, i quali assicurano il substrato
indispensabile alla efficace tutela della salute e della integrità psicofisica,
perché permettono sia l’evoluzione tecnologica e produttiva, sia il diritto al
lavoro ed allo sviluppo sociale della persona umana, nelle formazioni ove essa
svolge la propria personalità.
In definitiva, ciò che rende non condivisibile l’impianto ermeneutico tracciato
dalla ordinanza C.G.A. nr. 321/06 è che in detta pronuncia cautelare il giudice
di appello formula egli stesso un bilanciamento degli interessi aventi rilievo
costituzionale, attribuendo, poi, tale bilanciamento a fondamento della
(presupposta) disciplina della responsabilità da posizione dell’imprenditore.
Invece, va osservato che il bilanciamento tra interessi aventi rilievo
costituzionale, ex artt. 32 e 41 della Costituzione, è svolto dal legislatore,
il quale valorizza adeguatamente le finalità “solidaristiche” cui si riferisce
il giudice di appello, coordinandole con le esigenze di mercato (che pure sono
nell’interesse della comunità), e non certo costruendo una ipotesi di
responsabilità oggettiva (che, nella lettura offerta dal C.G.A. dell’istituto,
addosserebbe alla “produzione” un disvalore presunto “iuris ed de iure”), bensì
valorizzando negli istituti di partecipazione e disciplinanti le intese e gli
accordi di programma, che si sono sopra accennati, la responsabilità sociale
delle imprese, da un lato, e, dall’altro, la esigenza di adeguata ed effettiva
sanzione per coloro che si rendono responsabili dell’inquinamento, dall’altro.
In altri termini, per utilizzare una incisiva ed usuale espressione concettuale
riassuntiva di principi e valori costituzionali immanenti nel sistema di
garanzie tipico di ogni Stato di diritto, “per reprimere il delitto non è lecito
sopprimere il diritto”. Il che, riempiendo di specifico contenuto tale concetto
con riferimento alla materia ed alla controversia in esame, significa che la
doverosa attività repressiva (così come quella innanzitutto preventiva) degli
scempi ambientali, anche se prevalentemente finalizzata dall’Ordinamento alla
tutela della salute umana, prima ancora che alla conservazione
dell’ecosistema,non può certamente realizzarsi in spregio di altri principi e
valori egualmente contemplati e protetti dalla Costituzione, né violando e
sovvertendo le più elementari normative generali sul procedimento amministrativo
e/o quelle settoriali e specifiche in tema di tutela e risanamento ambientale.
Ed invero, il valore fondamentale della salute umana (art. 32 Cost), nonostante
il suo carattere primario ed assoluto, deve necessariamente confrontarsi e
coordinarsi con altri valori di eguale dignità costituzionale, rispetto ai quali
può porsi in conflitto, di guisa che l’assolutezza e l’incomprimibilità del
diritto alla salute non può giustificare il sacrificio (a volte totale) di ogni
altro valore e bene giuridico in conflitto (potenziale o reale) con esso (cfr.
tra le tante, Cass. Civ. II, 6.4.1983, n. 2396), proprio perché l’esistenza di
concomitanti tutele di altri interessi costituzionalmente protetti costituisce
un limite oggettivo alla assoluta ed illimitata prevalenza del bene salute,
rispetto a tutti gli altri indicati dalla tavola di valori costituzionali (in
tal senso, sostanzialmente, Corte Cost. 18.07.1983, nr. 212).
Il valore, predominante, della tutela della salute, ex art. 32 Cost. (che
comprende anche il diritto alla salubrità dell’ambiente), non può essere inteso,
quindi, come ragione per sopprimere o svuotare di contenuto il diritto alla
libertà di iniziativa economica e di impresa, così come quest’ultimo non può
essere utilizzato a pretesto per depauperare il territorio, impoverendone le
risorse e infliggendo gravi sofferenze alle persone ed alle comunità che vi
risiedono; né può, in alcun modo, giustificare la violazione di altri principi e
normative (che esigono eguale rispetto in uno Stato di diritto) in nome di un
malinteso senso di assolutezza e preminenza del diritto alla salute ed alla
salubrità dell’ambiente.
Il giusto punto di equilibrio tra i valori costituzionali che si sono
rappresentati è, pertanto, di competenza del legislatore e, nel caso della
tutela ambientale, è stato individuato nel principio di origine comunitaria “chi
inquina paga” e nella relativa disciplina.
La P.A. è chiamata, con azione mirata, corretta, partecipata ed efficace, ad
assicurare in pratica il rispetto della gerarchia dei valori costituzionali che
fonda la giusta valorizzazione di ognuno di essi, in una armonica visione di
insieme (cfr. ancora, in tal senso, ex multis, Corte Costituzionale, 7 novembre
2003, nr. 331, in materia di legislazione urbanistica regionale; Consiglio di
Stato, V, 22 settembre 1999 nr. 1138; Cass. Civile, II, 6 aprile 1983, nr. 2396,
cit.).
*******
E’confermato, quindi, sotto questi molteplici aspetti che l’Amministrazione non
può limitarsi ad accollare oneri e responsabilità di intervento alle imprese in
assenza di un formale e completo accertamento delle responsabilità effettive
dell’inquinamento, tanto più quando, come nel caso di specie, le stesse imprese
indichino il responsabile dell’inquinamento (ossia la società Montedison,
odierna controinteressata, nella nuova denominazione sociale “Edison” spa) e
tale indicazione abbia anche trovato conferma in un giudizio penale, il cui
accertamento in fatto è rilevante anche nei confronti della P.A. (cfr. decreto
di archiviazione del Tribunale Penale di Siracusa RG nr. 5860/05 depositato il
31.01.2007).
*******
VI) Sulla violazione del principio del contraddittorio e della partecipazione
nel procedimento; sull’insufficienza di istruttoria;
Deve adesso esaminarsi l’ulteriore e distinto profilo del principio del
contraddittorio e della istruttoria nel procedimento amministrativo che ha ad
oggetto la imposizione di obblighi di intervento di bonifica e/o disinquinamento
ambientale.
Dalla esposizione che precede, già si è visto come il proprietario del suolo o
dell’impianto interessato alle procedure di bonifica ha titolo per partecipare
pienamente al relativo procedimento amministrativo; va qui evidenziato che la
disciplina del procedimento è soggetto sia alle norme e regole generali di cui
alla l. 241/90 che a quelle specifiche di settore, contenute nel dlgs 152/06.
Più precisamente si deve osservare e ritenere quanto segue.
A) I provvedimenti impugnati, nelle parti appena descritte, sono illegittimi per
difetto di istruttoria, secondo le prospettazioni variamente articolate dalle
parti e che si riassumono a seguire.
In punto di diritto, l’istruttoria è regolata – quanto alle norme di settore –
dalle disposizioni contenute nel dlgs 152/2006 agli artt. 239 e ss.
A1) In merito a ciò, il Collegio deve osservare, preliminarmente, che
l’istruttoria compiuta non è solo carente quanto a contenuti, ma è prima ancora
del tutto inaccettabile sotto l’aspetto del procedimento, in quanto è stata
condotta con interferenze della Pubblica Autorità che non consentono di
escludere un condizionamento delle risultanze scientifiche delle indagini e del
metodo stesso con cui sono state svolte.
Più precisamente, sono intanto fondate le censure, specialmente sviluppate dalla
difesa della società ricorrente ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE (cfr.
riassuntivamente, II memoria conclusiva depositata il 25 maggio 2007) con cui si
lamenta l’illegittimità nello svolgimento dell’istruttoria tecnica delle
conferenze dei servizi decisorie del 2005 e del 2006 per violazione e falsa
applicazione dell’art. 15 D.M. 471/99 e dell’art. 264 del T.U. 152/2006, (e con
cui si deducono i vizi di Incompetenza. Eccesso di potere per difetto dei
presupposti legittimanti, contraddittorietà, del difetto di istruttoria e di
motivazione, illogicità).
Espone la ricorrente che tutte le Conferenze di servizi sinora svolte dal
Ministero dell’Ambiente per il sito di Priolo (sia di per sé che unitamente ai
decreti direttoriali di loro approvazione e integrazione dell’efficacia) recano
determinazioni assunte in forza di un procedimento istruttorio nel quale il
Ministero dell’Ambiente ha proceduto delegando volta per volta lo svolgimento
dell’istruttoria tecnica o di sue parti, circa i progetti di MISE/bonifica dei
sedimenti Rada, a più soggetti ed organi quali: ARPA, APAT, ISS, ICRAM,
Provincia, Commissario delegato per l’emergenza rifiuti tutela delle acque nella
Regione Sicilia, Capitaneria di Porto, etc.
Si osserva anche che, nel fare ciò, il Ministero non si limita a conferire
l’incarico ma:
- ex ante, dispone una serie di criteri direttivi, di presupposti, di limiti
tecnico-scientifici, fissando altresì elementi e dati tecnici, predeterminati,
come anche precensure, metodologie di analisi e di redazione degli elaborati,
tempistiche di svolgimento dell’attività delegata, delimitandone l’oggetto di
indagine, l’estensione dell’area, la sua profondità, etc.: in tal modo il
Ministero vincola in modo pressoché totale l’attività degli enti “delegati”,
predeterminandone l’an, il quid, il quando ed il quomodo del suo svolgimento,
residuando ai soggetti incaricati un mero compito di esecuzione materiale degli
accertamenti e dei progetti commissionati e preconfezionati nelle loro linee
essenziali dal Ministero;
- ex post, contesta sovente i risultati delle attività svolte dai soggetti
“delegati, rilevandone l’incompletezza e/o la non conformità alle direttive
impartite, il mancato rispetto della tempistica imposta e richiedendone più
volte la ripetizione.
La censura è fondata.
L’istruttoria così condotta è illegittima in quanto il presupposto essenziale di
efficacia di una azione dei pubblici poteri nel campo della tutela ambientale,
ove sono predominanti i contenuti tecnico-scientifici, è che essa nasca da una
indagine del tutto autonoma dalle “direttive” politiche o amministrative: deve
cioè trattarsi di una indagine scientifica “libera” di ricercare ed indagare i
presupposti, le caratteristiche ed i rimedi da adottare per contrastare
efficacemente le situazioni di inquinamento.
E’ proprio dell’attività scientifica, infatti, ricercare le cause dei fenomeni
naturali con i quali l’Uomo si confronta, e per farlo deve indagarne gli
effetti, ai fini della cognizione delle cause, senza che sussistano
condizionamenti del pensiero diversi da quelli propri delle sole regole del
metodo scientifico.
Correlativamente, spetta invece all’attività amministrativa adoperarsi affinchè
si apprestino i mezzi, le risorse e le tecnologie necessarie al pubblico scopo
ed interesse, avvalendosi dei risultati della ricerca, ma senza ovviamente
poterne condizionare l’andamento, a pena di inaccettabili commistioni tra
discrezionalità politico-amministrativa e rigore scientifico.
Ciò in quanto, nella materia in esame, l’inquinamento nasce da fattori
ontologici, che hanno cioè una natura oggettiva e che se non sono perfettamente
compresi (quanto all’origine ed alle ricadute sull’ambiente e sulla salute
umana, animale e vegetale) nella loro reale entità, non possono essere
efficacemente rimossi; per tale ragione, l’istruttoria di un procedimento di
bonifica è rigidamente scandita dal legislatore ed è soprattutto da espletarsi
in condizioni di autonomia scientifica, alla luce degli odierni sviluppi della
tecnologia, lasciando poi all’organo decisionale, politico o amministrativo,
solamente la responsabilità della scelta delle migliori modalità logistiche in
ordine alle concrete soluzioni di intervento (che si fondino sempre sui
risultati delle indagini) e la cura e la verifica della loro corretta e
scrupolosa attuazione.
In tal senso, è necessario che dapprima vengano posti in essere tutti gli studi
necessari a fornire all’organo amministrativo o politico procedente la completa
cognizione di causa, individuando cause ed effetti dei fenomeni scientifici sui
quali devono essere assunte le determinazioni dell’Autorità; e poi che queste
ultime vengano assunte dietro ponderata valutazione amministrativa delle
risultanze degli studi scientifici, volta ad apprestare ed organizzare i mezzi
tecnici e finanziari, ed a valutare altresì quegli apporti tecnici, scientifici
e consultivi che le parti interessate o controinteressate possono fornire (le
quali, a loro volta, devono essere messe, concretamente, in condizioni di
farlo).
E’ quindi nella sede amministrativa (principalmente in sede di Conferenza dei
servizi) che sono confrontate e ponderate le risultanze tecniche e scientifiche,
sia ove queste siano prodotte dagli organismi tecnici nazionali e sia ove esse
vengano invece proposte dalle parti private partecipanti al procedimento, a pena
di un insanabile “inquinamento” e commistione di profili scientifici e
tecnico-amministrativi, che, sotto il manto della discrezionalità, possono
nascondere, in concreto, i più vari arbitri, decisioni non trasparenti e,
peggio, statuizioni pericolose, non efficienti o non efficaci e, quindi, come
tali suscettibili di arrecare al pubblico interesse un nocumento peggiore di
quelli che si vorrebbero “curare”.
Coglie quindi nel segno la difesa della ricorrente quando, in maniera
condivisibile, denuncia la “delega” in questione come illegittima in quanto con
essa il Ministero non si limita a richiedere l’esercizio di poteri istruttori a
più organismi, bensì ha di fatto mantenuto una posizione di dominio dell’intera
procedura di istruttoria tecnica.
In questo senso si è richiamata dalla ricorrente – ed al Collegio non resta che
farne proprie le conclusioni – una recente giurisprudenza amministrativa la
quale, in una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, ha
osservato che dalla lettura dell’art. 15 del D.M. n. 471/1999 “e in particolare
del comma 3, emerge che, in ordine allo svolgimento dell’istruttoria tecnica sui
progetti di bonifica, al Ministero dell’Ambiente non è attribuito uno specifico
potere di valutazione tecnica concernente l’efficacia delle previsioni
progettuali prospettate dal proponente (responsabile dell’inquinamento o – come
nel caso di specie – proprietario del terreno inquinato). Tale potere è invece
affidato all’A.N.P.A. e alle diverse A.R.P.A. (in relazione alle regioni di
volta in volta interessate) e all’Istituto Superiore di Sanità. Il Ministero,
nella fase dell’istruttoria tecnica sui progetti in questione, è in una duplice
posizione di natura doverosa: da un lato infatti deve necessariamente avvalersi
delle figure soggettive sopra richiamate per la valutazione tecnica dei
progetti; dall’altro, è tenuto ad acquisire i risultati dell’istruttoria ed a
tener conto di questi nel provvedere all’approvazione definitiva degli elaborati
progettuali. Non può invece interloquire attraverso la prescrizione di modifiche
tecniche ai progetti presentati, modifiche che evidentemente presuppongono una
preliminare valutazione tecnica che – come detto – appartiene invece agli enti
di cui all’art. 15, comma 3, del d.m. n. 471/1999” (TAR Piemonte, Sez. II, 16
gennaio 2006, n. 89).
********
A2) In punto di fatto, comunque, emerge dagli atti che i provvedimenti impugnati
sono stati emessi prevalentemente in relazione a studi ICRAM che,
dichiaratamente, hanno ad oggetto solo prime analisi di approccio, quindi con
valore di studio preliminare, senza che si sia provveduto ad una completa ed
approfondita caratterizzazione dei sedimenti marini e delle aree inquinate.
Alla luce di quanto già esposto in precedenza, i presupposti per disporre un
piano di bonifica, o una M.I.S.E., non possono essere affidati ad indagini
incomplete, superficiali o comunque a mezzo di campionamenti non sistemici ed
organici. Il D.lgs 152/06, al contrario, disciplina accuratamente e
dettagliatamente i presupposti contenutistici ed istruttori di ciascun
intervento, condizioni queste che nel caso di specie non risultano essere state
rispettate.
Al fine di determinare gli interventi di bonifica, è intanto necessario
accertare con estrema precisione sia il livello che la qualità
dell’inquinamento, allo scopo sia di determinarne le cause e quindi individuarne
i responsabili e sia di selezionare le appropriate tecniche di disinquinamento
da adottarsi (artt. 240 e 242). Nella fattispecie in esame, tali indagini sono
praticamente ancora in corso e costituiscono oggetto di più interventi nelle
varie conferenze dei servizi che si sono succedute dal 2004 in poi.
Ai soggetti non responsabili dell’inquinamento, ma che, essendo in relazione con
il suolo contaminato, ne rilevino il fenomeno, è data facoltà di chiedere
l’attivazione delle procedure di interventi di messa in sicurezza, di bonifica e
di ripristino ambientale (art. 245 d.lgs. 152/06). La procedura prevista
dall’art. 242 cit. è, poi, adeguatamente specificata e dettagliata dal
legislatore per i Siti di Interesse Nazionale, laddove la responsabilità
dell’intervento è affidata al Ministero dell’Ambiente che provvede “sentito il
Ministero delle Attività produttive” (art. 252 d.lgs 152/06), fermo restando il
contenuto della procedura “tipica” disciplinata nel titolo di riferimento.
In merito a questi ultimi aspetti, le ricorrenti hanno depositato in giudizio
studi e perizie di parte ove contestano metodo e risultato delle analisi, ma in
questa sede il Collegio ritiene sufficiente solo evidenziare come esse
concorrano a dimostrare in pratica la necessità di ciò che già la norma rende
obbligatorio in astratto, e cioè l’esigenza di istruttorie più approfondite che,
soprattutto, siano fondate su due elementi, necessariamente coesistenti:
a) una pianificazione complessiva, approfondita e sistematica delle “esigenze” e
degli “obiettivi” della bonifica (ossia delle necessità del disinquinamento) ed
una altrettanto compiuta pianificazione dei “metodi” della bonifica (ossia delle
pratiche scientifiche e tecniche o tecnologiche coerenti con gli obiettivi e
misurabili, determinate nel tempo e nella quantità) da condurre nel rispetto
procedurale e contenutistico di cui al citato art. 242 d.lgs 152/2006;
b) un confronto partecipato e condiviso con le imprese operanti nella Rada,
secondo i principi propri del procedimento, allo scopo di pervenire a risultati
di analisi e ad una metodologia di intervento condivisi (anche nelle forme
dell’accordo di programma di cui all’art. 246 del d.lgs 152/06) o, in assenza di
condivisione, ad una appropriata, adeguata ed approfondita motivazione che la
P.A. dovrà rendere in ordine alle difformità delle sue valutazioni dall’apporto
valutativo e partecipativo dei privati, rigorosamente ponderato in
contraddittorio, tale da consentire, poi, in sede giudiziale, laddove proposto
il gravame, l’espletamento delle necessarie valutazioni a mezzo di consulenze
tecniche o verificazioni, secondo l’oggetto (e nei limiti) delle contestazioni
medesime.
Nell’odierno giudizio, infatti, le valutazioni tecniche si rivelano
inammissibili e, prima ancora, impossibili, perché dipenderebbero, in pratica,
da un intero campionamento della Rada che il Giudice dovrebbe disporre
sostituendosi alla P.A. che, pur avendone mezzi, competenze, disponibilità e
risorse, non vi ha praticamente ancora provveduto.
E’ invece coerente con la natura delle censure appena esaminate e ritenute
fondate, imporre alla P.A. una corretta riedizione del potere, da esercitare nel
pieno rispetto delle regole partecipative e istruttorie che sopra si sono
indicate. Nella sede istituzionale potranno (e dovranno) poi, essere
efficacemente delibati tutti gli aspetti tecnici che negli odierni giudizi sono
stati variamente sollevati contro i provvedimenti impugnati ed in particolare
quelli afferenti alla lamentata insussistenza dei livelli di inquinamento
ritenuti esistenti da parte della P.A., sia in relazione ai sedimenti che alla
colonna d’acqua, nonché quelli afferenti alle metodologie di intervento, con
particolare riguardo alle lamentate insufficienze o inefficienze delle tecniche
di dragaggio ambientale e del contenimento fisico delle acque di falda.
Con riferimento specifico a tale primo aspetto (tecniche di dragaggio
ambientale) il Collegio non può esimersi dal ribadire quanto già affermato con
l’ordinanza nr. 1904 del 9 dicembre 2006, resa inter partes, in ordine alla
carenza di istruttoria relativamente al rischio che, con la suddetta tecnica di
rimozione dei sedimenti per una profondità considerevole e per tutta
l’estensione della Rada di Augusta, possano rimettersi in circolazione depositi
di materiale inquinato oramai giacenti sui fondali, con conseguente aggravamento
dei rischi sanitari.
Il punto è, ad avviso del Collegio, che l’iter istruttorio, come emerge dagli
atti e, specificatamente, anche dalla difesa dell’Avvocatura e dei Comuni, non
ha chiarito né i rischi che il sistema di dragaggio (paventati con
argomentazioni supportate da studi scientifici e risultati sperimentali di altri
interventi su siti inquinati) comporta all’ambiente, né, soprattutto, la
destinazione dei prodotti di tale (enorme) attività o l’utilizzazione che di
essi si prevede di fare.
Anzi, deve osservare il Collegio che la mancanza di adeguata istruttoria, emerge
palesemente dalla contraddizione esistente nel complesso delle prescrizioni
imposte con i provvedimenti impugnati: il blocco della navigazione nella Rada
(per cui si veda oltre, par. nr. VII, lett. “B”) è imposto perché si afferma che
il movimento dei natanti causerebbe la risospensione dei sedimenti depositati
sui fondali. Ma tale effetto, non si postula invece per il dragaggio, tecnica
sicuramente più invasiva dell’ambiente marino, rispetto al passaggio dei natanti
di superficie e l’Amministrazione non ha ritenuto non solo di esaminare il
problema “nel” procedimento, ma neppure ha ritenuto di proporre adeguate difese
nel presente giudizio.
Dal che deriva che la stessa prospettazione che, sul punto, fanno le parti
ricorrenti, unitamente alla assenza di qualsiasi difesa sul punto da parte
dell’Avvocatura, come dei Comuni costituitisi in giudizio, costituiscono prova
(anche ex art. 115 c.p.c.) della assenza di istruttoria nei provvedimenti
impugnati, specialmente in ordine agli aspetti più delicati della bonifica della
Rada che, come si è detto, sono dati dalla “incognita” della destinazione e del
trattamento degli enormi quantitativi di sedimenti – asseritamente inquinati -
rimossi dai fondali, nonché dal rischio paventato dagli studi scientifici
proposti dalle ricorrenti che il dragaggio rimetta in circolazione le sostanze
inquinanti sedimentate (cfr. le già menzionate Ordinanze TAR Catania, I, nr.
1742/05, del 17 novembre 2005, e n. 1904 del 9 dicembre 2006).
Quindi, non si può che ribadire che nei provvedimenti impugnati non emerge una
istruttoria sufficiente ed adeguata a dimostrare che si è realmente tenuto conto
dei rischi ambientali (elevatissimi) discendenti dal progetto, così ingenerando,
in merito alla effettiva tutela della salute pubblica, dell’ambiente e della
Rada, rilevanti e seri dubbi circa la conducenza del “progetto” ai fini
dell’interesse stesso della collettività e dunque per l’interesse pubblico ed
ambientale.
Il Collegio ritiene di chiarire che, come anticipato già prima (cfr. par. V,
lett. “D”), la puntuale osservanza delle precise disposizioni normative in tema
di procedure di bonifica assicura la piena tutela del diritto alla salute, senza
sacrificare il diritto alla iniziativa economica e la libertà di impresa, se non
nei limiti imposti proprio dall’abuso di queste ultime.
Va, quindi, riaffermato che il diritto alla salute, sebbene rivesta un
predominante valore costituzionale, nel campo della tutela dell’ambiente
dall’inquinamento va realizzato e tutelato “nel” procedimento amministrativo
volto al recupero dei siti inquinati, previo adeguato contemperamento con il
diritto di libertà economica e di iniziativa di impresa, che, nella gerarchia
dei valori costituzionali viene immediatamente dopo l’art. 32 della Cost. Tale
tutela va assicurata non con una ingiustificata compromissione del diritto di
impresa, bensì con l’equo contemperamento degli interessi costituzionalmente
rilevanti, in attenta adesione alle scelte operate dal legislatore in materia.
Sul punto, pertanto, il Collegio non può non dissentire da quanto ritenuto dal
C.G.A. nella ricordata ordinanza nr. 321/06, pronunciata nel ricorso di appello
nr. 344/06 per la riforma della ordinanza del TAR Catania, I, nr. 1742/05
(emanata su ricorso Syndial): secondo il giudice di appello, l’ordine di
riedizione del potere contenuto nella suddetta ordinanza, ai punti 4 e 5 del
penultimo capoverso (ove si disponeva che l’Amministrazione provvedesse a
riavviare il procedimento, meglio ponderando in esso le osservazioni e le
contestazioni delle parti ricorrenti) avrebbe concretizzato una illegittima
intromissione dell’organo giudicante nell’amministrazione attiva.
Ciò che, invece, in questa sede va ribadito - ed altresì maggiormente precisato
- è che, quando si accolgono censure procedimentali, consistenti in difetti di
motivazione e/o di istruttoria, consegue naturalmente, per l’effetto
conformativo dell’azione della P.A. alla misura cautelare e/o alla pronuncia di
annullamento del giudice amministrativo, la doverosa riedizione del potere nel
rispetto dei criteri indicati nella stessa pronuncia (sia essa cautelare che, a
maggior ragione, di decisione nel merito della causa).
Va, quindi, ulteriormente ribadito che la corretta istruttoria che si impone
alla P.A., che contempli espressamente le numerosissime censure tecniche che le
ricorrenti hanno evidenziato sulla utilità e l’efficacia degli interventi di
bonifica sui fondali e sulle aree contermini alla Rada, è garanzia non solo di
efficacia e di efficienza della azione della P.A. ma, prima ancora, è garanzia
di tutela del preminente interesse alla salute ed alla salubrità ambientale che,
verosimilmente, è gravemente compromesso dall’azione superficiale della P.A.
procedente, per le prospettate pericolosità del sistema del dragaggio e della
conseguente risospensione dei sedimenti, nonché della totale assenza di
indicazioni (emergenti dagli atti o anche solo dalle difese delle
Amministrazioni resistenti) circa la destinazione e la collocazione dei
materiali di risulta (inquinati) delle attività di dragaggio.
Facendo riferimento, per brevità, alle memorie conclusive dei singoli giudizi,
sono dunque da accogliersi nei limiti dell’avvenuta dimostrazione del difetto di
istruttoria e quindi con salvezza degli ulteriori adempimenti indicati prima, le
censure variamente proposte dalle imprese sul tema.
La P.A., pertanto, in sede procedimentale provvederà a riavviare l’istruttoria,
nel rispetto di quanto indicato prima, ed, in questa fase, procederà altresì ad
esaminare e comparare sia le censure a tale titolo proposte negli odierni
giudizi e sia le eventuali soluzioni alternative e/o migliorative che le imprese
interessate e/o controinteressate hanno proposto o ancora proporranno.
*******
B) Il Collegio precisa che, in relazione al “metodo” scientifico di analisi e di
verifica dei contaminanti, laddove non siano rinvenibili nel sistema normativo
specifici parametri di analisi, o, se esistenti, si ritengano solo parziali e
insufficienti, allora detti parametri dovranno essere adottati (o integrati)
dall’Amministrazione.
Salvi futuri atti normativi, legislativi o regolamentari, a ciò la P.A. dovrà
provvedere, a disciplina del caso concreto, con atto amministrativo da fondarsi
sulle elaborazioni scientifiche corrispondenti al migliore apporto allo stato
dell’arte e della tecnica, “nel” procedimento (e quindi con possibilità di
partecipazione da parte dei privati interessati).
Più precisamente, osserva il Collegio che, quanto ai valori di riferimento per
la decontaminazione dell’acqua marina, le ricorrenti lamentano che non può
essere utilizzato il parametro di valutazione che è stato applicato dallo studio
ICRAM (il quale ha utilizzato i valori tabellari risultanti dal DM 471/1999).
Secondo le imprese ricorrenti, quest’ultimo si applicherebbe solo alle
contaminazioni del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee.
Deducono le difese comunali e l’Avvocatura che l’ICRAM ha elaborato una proposta
di “valori chimici di intervento” per i sedimenti di corpi idrici
marino-costieri e lagunari, contraddistinti da forti alterazioni causate
dall’attività umana, come ad esempio aree adibite ad uso portuale e/o
industriale, in ottemperanza alla Direttiva Comunitaria 2000/60/CE in materia
corpi idrici specifici. In proposito, è stato utilizzato un metodo chimico –
ecotossicologico, avente riconoscimento internazionale. Più precisamente, espone
la difesa erariale, si sarebbe utilizzato il riferimento al P.E.L. (Probable
Effect Level) che rappresenta il livello chimico di un determinato contaminante
al quale corrispondono con elevata probabilità effetti tossici nei confronti
della vita acquatica. Ciò in quanto non erano disponibili, per la Sicilia,
risultati di studi condotti con la finalità di correlare determinate risposte
biologiche e livelli di contaminazione dei sedimenti, approccio questo “di
fondamentale importanza per la definizione di qualsivoglia livello di rischio
ambientale, quale ad esempio il citato PEL”.
Infine, la tesi difensiva erariale afferma che sarebbero stati utilizzati i
parametri di cui al DM 367 del 6 novembre 2003, che disciplina l’analisi dei
sedimenti marini.
Osserva il Collegio che il verbale della conferenza dei servizi del 21 luglio
2006, al punto 3 dell’O.d.g. – pag. 28 – riepiloga i valori di riferimento
utilizzati da ICRAM per delineare le differenti zone di contaminazione, che
sono, appunto quelli contenuti nell’allegato 1 – tabella 1 colonna “B” - al Dm
471/99 (quindi non ha fondamento documentale la tesi della difesa erariale che
sostiene, tra le altre cose, che sarebbero stati utilizzati i parametri di cui
al DM 367 del 6 novembre 2003).
Osserva il Collegio che l’art. 1 del DM 471/1999, così recita:
1. Il presente regolamento stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per
la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti
inquinati, ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22, e successive modifiche ed integrazioni. A tal fine disciplina:
a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque
superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione
d'uso dei siti;
b) le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni;
c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino
ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei relativi progetti;
d) i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che
facciano ricorso a batteri, e ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri
naturalmente presenti nel suolo;
e) il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l'anagrafe dei siti da
bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati da
parte della pubblica amministrazione;
f) i criteri per l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.
2. Le disposizioni del presente decreto non si applicano all'abbandono di
rifiuti disciplinato dall'articolo 14, del decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22, e successive modificazioni ed integrazioni. In ogni caso si dovrà
procedere alla classificazione, quantificazione ed indicazione della
localizzazione nel sito dei rifiuti abbandonati o depositati in modo
incontrollato, ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino
ambientale da effettuare ai sensi del presente decreto nel caso in cui, a
seguito della rimozione, avvio a recupero e smaltimento dei suddetti rifiuti, si
accerti il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento dei
valori di concentrazione limite accettabili di cui all'articolo 3, comma 1.
3. Le norme del presente decreto che disciplinano la competenza e la
realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza non si
applicano qualora la vigilanza ed il controllo sugli impianti produttivi e di
gestione dei rifiuti nonché l'adozione delle misure necessarie per prevenire i
rischi e limitare le conseguenze di incidenti a tutela dell'ambiente e della
salute umana siano disciplinati da disposizioni speciali. In tali casi la
bonifica ed il ripristino ambientale dei siti restano comunque disciplinati dal
presente decreto.
4. Le disposizioni del presente regolamento non si applicano, se non in quanto
espressamente richiamate, agli interventi di bonifica disciplinati da leggi
speciali.
5. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate
da inquinamento diffuso sono disciplinati dalla regione con appositi piani.”
Coerentemente con tale disposizione, l’art. 3 prevede che “1. I valori di
concentrazione limite accettabili per le sostanze inquinanti presenti nel suolo,
nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, in relazione alla specifica
destinazione d'uso del sito, nonché i criteri per la valutazione della qualità
delle acque superficiali sono indicati nell'Allegato 1. “
E’ pertanto fondata la doglianza che le ricorrenti sollevano contro l’adozione
dei parametri di cui all’allegato 1 del Dm 471/1999 agli studi dei sedimenti
marini, perché la disciplina regolamentare ivi contenuta può essere applicata
direttamente solo alla campionatura dei suoli, del sottosuolo delle acque di
falda e delle acque superficiali; l’estensione delle relative misurazioni ed
applicazione dei parametri ivi previsti ai sedimenti – da un punto di vista
strettamente giuridico – non è illegittima, ma deve essere il frutto di una
apposita valutazione condotta nel procedimento (e quindi partecipata ed in
contraddittorio).
Più precisamente, non contemplando il DM 471/99 l’applicazione dei relativi
criteri procedurali all’analisi dei sedimenti marini, i relativi valori soglia
possono essere utilizzati solamente laddove se ne riscontri (e se ne dimostri)
l’attuale utilità in relazione alla fattispecie. Ciò in quanto se l’analisi
dell’inquinamento deve essere condotta senza avere parametri normativi formali o
normativi di riferimento, ciò non comporta ovviamente che l’Amministrazione
procedente può fare a meno di utilizzare adeguati parametri, ma deve
preventivamente fissare i valori di riferimento attingendo direttamente allo
stato della migliore tecnica ed esperienza, ossia alle conclusioni ed alle
elaborazioni della scienza e della ricerca in quanto disponibili. Ciò, in
definitiva, è quello che, secondo l’Avvocatura, avrebbe fatto ICRAM; ma queste
valutazioni, non essendo accolte da una fonte normativa che le renda
generalmente applicabili, avrebbero dovuto essere valutate e ponderate “nel”
procedimento amministrativo, entrando a far parte della relativa istruttoria,
con conseguente potere-dovere di acquisire in merito anche gli apporti degli
interessati e dei controinteressati.
In conclusione, a tacere della contraddittorietà della difesa erariale, che da
un lato richiama l’uso del P.E.L. quale metodologia internazionalmente
riconosciuta e dall’altro afferma che non sussistono adeguati studi circa la
Sicilia in ordine ai livelli di contaminazione dei sedimenti, il metodo di
analisi, laddove deve individuare dei valori soglia di riferimento, non può che
essere il frutto di un procedimento amministrativo e come tale essere soggetto
alle consuete regole di istruttoria e motivazione.
********
VII) Alla luce dei principi di diritto appena esposti, possono adesso essere
esaminate nel dettaglio le prescrizioni contenute nei verbali delle conferenze
di servizi nei limiti in cui sono state fatte oggetto di gravame.
A) Nella fattispecie in esame si osserva, in punto di fatto, che:
- sussiste da parte delle Imprese odierne ricorrenti, la indicazione chiara e
manifesta del responsabile dell’inquinamento (ossia la società MONTEDISON Spa,
odierna EDISON Spa che, correttamente, è stata anche evocata in giudizio come
controinteressata), e questo specifico apporto partecipativo (supportato anche
dalle conclusioni cui è pervenuto il giudice penale nel giudizio nr 5860/05 RG –
Tribunale di Siracusa, cfr. decreto di archiviazione del 31 gennaio 2007 e
relativa richiesta della Procura, versato in atti) non è stato in nessuna misura
preso in considerazione dalla P.A., e dovrà quindi costituire oggetto di
approfondite verifiche in sede di riedizione del potere;
- l’ordine di procedere alla bonifica è stato rivolto a tutte le imprese
indistintamente operanti nella Rada, quasi come se l’Amministrazione, lungi dal
misurare il concreto apporto di ciascuna di esse, le avesse costituite in una
sorta di “consorzio obbligatorio” o in una anomala forma di “condominio”;
- l’ordine di procedere alla bonifica è stato comunque rivolto alle imprese
senza neppure postulare che esse siano le responsabili dell’inquinamento, posto
che, ad es. nel verbale del 21 luglio 2006, a pag. 25, si conferma la richiesta
della Conferenza dei servizi al Commissario delegato di accertare le eventuali
correlazioni esistenti tra la contaminazione delle aree a terra e quelle dei
sedimenti marini “al fine della identificazione dei soggetti responsabili”.
Per tali ragioni, sono dunque fondate le censure, articolatamente proposte nei
ricorsi in esame, con le quali si lamenta la violazione del principio
comunitario “chi inquina paga” e delle disposizioni nazionali di settore, da
parte dell’Amministrazione procedente, con gli atti impugnati, laddove con
questi ultimi si impone di procedere entro 10 giorni alla caratterizzazione
delle aree marine contermini ai pontili in concessione e quindi provvedere a
detta caratterizzazione; quanto alle aziende dell’area prioritaria SUD di
integrare i progetti definitivi di bonifica con il metodo basato sul
“marginamento fisico”; di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza entro
90 giorni dalla data dei decreti impugnati sulle aree individuate dal
Commissario delegato con la nota prot. 20907/Qvd/DI del 24 ottobre 2006; di
presentare i progetti di bonifica entro il 31 gennaio 2007 (punto 1 o.d.g. della
seduta del 21 luglio 2006, pagg. 24-25, conclusioni punti nn. 1, 2, 3 e 4);
nonché delle successive decisioni della Conferenza dei servizi riportate al
termine di pag. 25 ed all’inizio di pag. 26, ove si legge che le imprese sono
tenute ad attivare gli interventi mirati a rimuovere o isolare le fonti di
contaminazione e di attivare azioni mitigative per prevenire ed eliminare
pericoli immediati verso l’uomo e l’ambiente circostante, e di procedere entro
90 giorni alla rimozione dei sedimenti contaminati della Rada.
B) Sulle prescrizioni inerenti la navigazione in Rada.
L’illegittimità delle prescrizioni inerenti le limitazioni del traffico navale
nella rada (punto 1, pagg. 26 e 27 del verbale del 21 luglio 2006) discende con
assoluta evidenza dalle considerazioni esposte; qui basta puntualizzare che
nessuna istruttoria ha efficacemente supportato la decisione in esame, essendosi
limitata l’Amministrazione procedente ad “assumere” che sussiste un effetto
diretto di risospensione dei sedimenti inquinati per effetto del passaggio delle
navi, ma senza accertare in alcun modo entità, correlazioni e ricadute del
medesimo traffico nelle varie zone della Rada (come già osservato sopra, par. VI
“A”, il Collegio non può che evidenziare nuovamente come il traffico navale,
secondo le Conferenze dei servizi, determinerebbe l’effetto di rimettere in
circolazione i sedimenti inquinati depositati sui fondali, mentre tale rischio
che determina il blocco della navigazione nella Rada, non sarebbe, sempre
secondo le Conferenze dei servizi, connesso al ben più invasivo, per l’ambiente
marino, sistema del dragaggio).
Pertanto, sono illegittime le prescrizioni dettate per limitare la navigazione
nella rada di Augusta, come impugnate con i ricorsi in epigrafe, per violazione
di legge (in relazione a quanto previsto dagli artt. 15 e ss. del Codice della
navigazione), e per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione.
Più precisamente, il difetto di istruttoria e di motivazione emerge, in primo
luogo e con assoluta evidenza, con riferimento al fatto che l’Amministrazione
non ha comunque tenuto conto, nell’adottare le limitazioni contestate, delle
valutazioni contrarie effettuate da parte degli enti competenti (cfr., in
particolare, la nota 5 ottobre 2006 della Capitaneria di Porto d’Augusta) enti
che, tra l’altro, avrebbero dovuto essere coinvolti ben diversamente nella
istruttoria e che, invece, sono stati di fatto pretermessi; ed, inoltre, ben più
gravemente, per la mancanza negli atti impugnati e, soprattutto, nel loro
contesto motivazionale di alcuna evidenza che porti a ritenere che la
circolazione delle navi all’interno della Rada determini un aumento dei processi
di risospensione dei sedimenti contaminati e di dispersione dell’inquinamento o,
in ogni caso, che a questa sia ricollegabile un qualche aumento del rischio
sanitario- ambientale. In altri termini, dagli atti e dalle difese delle
Amministrazioni costituite, si deve ritenere che una decisione di tale portata
(che incide pesantemente sull’approvigionamento energetico nonchè sui livelli
occupazionali dell’intera area) è affidata, sempre da un punto di vista
motivazionale, ad una considerazione di necessità scaturente da ipotesi e non da
accertamenti.
A fronte di ciò, le società ricorrenti comprovano con studi depositati in
giudizio, che l’ingresso e l’uscita delle imbarcazioni dalla Rada di Augusta
comportano un impatto trascurabile per l’ecosistema, che anche le manovre di
evoluzione ed ormeggio nonché di approccio, accosto e partenza dai pontili non
sono in grado in alcun modo di aggravare le condizioni di emergenza, con la
conseguente possibilità di escludere un impatto sull’ecosistema della Rada. Le
contraddittorietà della istruttoria e dei processi decisionali dell’Autorità,
sono poi comprovate dalla lettura stessa dei provvedimenti impugnati, ed in
specie dalle Conferenze di Servizi del 19 e del 31 ottobre 2006 nelle quali si
chiede ad Icram l’avvio del monitoraggio della torbidità delle acque con
conseguente evidenza della mancanza di quella che avrebbe dovuto essere la
principale tipologia di istruttoria della determinazione di limitare il traffico
navale nella Rada (che arriva a prevedere misure incrementali che
culminerebbero, via via, con la interdizione totale della navigazione).
A maggior riprova della contraddittorietà dei provvedimenti e della assenza di
istruttoria, si può richiamare, sul piano tecnico, quanto la stessa Autorità
portuale di Augusta, in nota del 31 ottobre 2006, ha espresso circa le
limitazioni al traffico navale, così come proposte dal Ministero dell’ambiente e
a più riprese modificate (e ciò sia in merito al criterio della “velocità di
sicurezza” quale limite alla velocità di navigazione per i vettori commerciali
all’interno della rada, sia in merito al sistema di controllo della rotta e
velocità dei vettori commerciali mediante l’adozione di dispositivi GPS e
NAVISAT; sia con riferimento, alla profondità del battente d’acqua sottochiglia;
sia con riferimento alla operatività in fondali inferiori a 15 metri; sia,
infine, con riferimento alla esenzione dei servizi tecnico-nautici, dei servizi
portuali, del naviglio da pesca e delle zone verdi da limitazione, sia in merito
alle tecniche di ancoraggio consentite).
Alla luce di questo contesto generale, il Collegio non può che condividere le
doglianze delle ricorrenti, laddove esse lamentano che i provvedimenti impugnati
denotano un chiaro sviamento di potere, ossia sono da intendersi,
sostanzialmente come strumentali, e tali da indurre le aziende presenti sul sito
ad ottemperare alle illegittime e dannose prescrizioni relative ai sedimenti
della Rada sotto la minaccia di azioni a carattere sostanzialmente
sanzionatorio.
C) Sui presupposti della M.I.S.E.
L’esposizione che precede esime il Collegio di dover approfondire i contenuti
delle censure rivolte contro gli atti impugnati, laddove si lamenta che,
sostanzialmente, l’Amministrazione avrebbe qualificato sotto il nomen juris di
Messa in Sicurezza di Emergenza (M.I.S.E.) interventi appartenenti al ben
diverso genere delle bonifiche vere e proprie.
Qui basta evidenziare che la fondatezza delle censure, sul punto, discende
apertamente dal contenuto normativo di cui all’art. 240 d.lgs 152/06, lett. “m”,
posto che tale ultima norma prevede che la M.I.S.E. possa essere disposta solo
in caso di eventi di contaminazione “repentini” (mentre nel caso del Sito di
interesse Nazionale di Priolo sussistono fenomeni di contaminazioni storiche);
negli atti impugnati, oltre che a farsi riferimento alle situazioni locali già
evidenziate nelle Conferenze dei Servizi del 2005 (e per questa sola ragione,
già non si potrebbero più configurare gli ordini di intervento come Messa In
Sicurezza di Emergenza), sia per estensione che per qualità di interventi
l’Amministrazione ha di fatto configurato veri e propri piani di bonifica.
La gravità della violazione sta nel fatto che il procedimento di bonifica è
soggetto a procedure e tempi che ne assicurano la ponderazione e quindi la
qualità; la MISE è invece un contenimento immediato di situazioni improvvise e
quindi è regolata da una procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e
non estensibile oltre i suoi limiti naturali a pena del rischio di interventi
frettolosi ed inappropriati che, nel tema della tutela ambientale, sono in
maniera del tutto intuibile, completamente esclusi dal novero delle previsioni
legislative.
La conferma della fondatezza delle censure delle ricorrenti, tra l’altro, si
riscontra nel verbale del 31 ottobre 2006, laddove “si prende atto degli
elaborati trasmessi …. dal Commissario delegato …. miranti ad assicurare la
MISE, da intendersi come prima fase dell’intervento di bonifica” E’ evidente
l’uso difforme dallo strumento legale della M.I.S.E. poiché quest’ultima non è
una parte preliminare della bonifica, ma assicura esigenze completamente
diverse.
Dagli atti versati in giudizio ed oggetto di gravame, si deve concludere che la
Pubblica Autorità procedente utilizza la MISE come una sorta di corsia
preferenziale per ottenere nel minor tempo possibile l’intervento di
disinquinamento al di fuori delle più complesse prescrizioni imposte per legge
ai fini della bonifica.
Tuttavia, queste ultime sono certo più gravose da un punto di vista
procedimentale, ma lo sono perché il legislatore si pone di mira obiettivi di
qualità ambientale e di recupero dell’ambiente dall’inquinamento molto più
approfonditi, radicali, complessi e strutturati, di quelli ottenibili con una
MISE, ossia quegli unici tipi di obiettivi che possono assicurare il reale
recupero del tessuto ambientale compromesso, laddove la MISE è istituto
(tecnico, prima che giuridico), volta al solo “contenimento” della matrice
compromessa, ossia alla limitazione degli effetti dell’inquinamento allo scopo
di impedirne l’ulteriore propagazione, non certamente idonea quindi al recupero
di essa.
Quindi, abusando della MISE come strumento alternativo alla procedura tipica ed
effettiva, non solo si produce una attività amministrativa illegittima per le
censure ampiamente sollevate nei ricorsi, ma si compromette gravemente, nel
merito, la efficacia e la efficienza dell’azione amministrativa e la qualità del
recupero ambientale che non può che essere gravemente sminuito da una azione
affrettata e, come tale, superficiale.
Si consideri, da ultimo, che è in atti la prova evidente della assenza del primo
tra i presupposti della M.I.S.E. ossia l’urgenza di provvedere: con le
prescrizioni in esame, infatti, l’Autorità ha cercato di far fronte a fenomeni
di inquinamento notoriamente risalenti nel tempo, con ciò quindi dovendosi
escludere in radice l’esistenza di un fenomeno repentino che è l’unica
condizione (insuperabile) per disporre la M.I.S.E.
D) Circa le conferenze dei servizi decisorie successive (dal dicembre 2006 a
seguire), il Collegio rileva che esse proseguono l’esame delle prescrizioni
imposte con le conferenze precedenti (in particolare quella del 21 luglio 2006)
e come tali sono illegittime oltre che per le censure già esaminate, anche per
il vizio di invalidità derivata, avendo prodotto disposizioni che sono fondate
sulle determinazioni precedenti.
Tale considerazione esime il Collegio dal dovere esaminare oltre le censure
variamente riproposte contro le relative determinazioni nei ricorsi riuniti,
essendo tutte ripetitive degli argomenti di diritto già trattati.
*******
VIII) Sulle questioni inerenti
singole società ricorrenti
Così completata la disamina delle questioni generali, possono adesso essere
esaminati meglio alcuni aspetti relativi ai singoli ricorsi.
Nei paragrafi a seguire, quindi, saranno delibate questioni che, pur trovando
presupposti motivazionali nelle materie appena esposte, necessitano di ulteriore
e specifica trattazione.
SASOL ITALY S.p.a. (ricorsi nn. 215/07, 2976/06, 3227/06, 2703/2005)
Per le ragioni esposte nei paragrafi precedenti, sono fondate le censure dedotte
dalla ricorrente SASOL ITALY S.p.a. nei ricorsi in epigrafe e riassunte sia
nella memoria conclusiva depositata il 26 gennaio 2007 che in quella depositata
il 24 maggio 2007, al punto 2 di entrambe.
Tali censure sono fondate sia con riferimento al vizio di eccesso di potere
costituito dalla carenza di istruttoria e di motivazione (come già ritenuto nei
precedenti paragrafi) ed anche perché, in punto di fatto, come già affermato
nella ordinanza nr. 1904/06, la ricorrente SASOL ha comprovato di non avere la
disponibilità dei tre pontili della Rada (che sono in uso alla Marina Militare),
e di non essere titolare di esercizi nella zona prioritaria Nord.
Per le medesime ragioni (eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto
di motivazione ed errore in fatto), sono fondate le censure variamente proposte
nei ricorsi in epigrafe e riassunte al punto 3 della memoria conclusiva
depositata il 26 gennaio 2007 ed al punto 3 della II memoria conclusiva
depositata il 24 maggio 2007, con le quali si lamenta l’illegittimità della
prescrizione del contenimento fisico delle acque di falda da effettuarsi entro
60 giorni, in relazione alle aree situate nell’Area prioritaria Nord, nella
quale la società ricorrente ha documentato – senza controdeduzioni alcune da
parte della difesa pubblica, se non di natura puramente nominale– di avere
titolarità di esercizi.
Dalle superiori considerazioni, discende anche un evidente giudizio di
fondatezza delle censure variamente proposte nei ricorsi in epigrafe come
riassunte al punto 4 della memoria conclusiva depositata il 26 gennaio 2007 ed
al punto 4 della II memoria conclusiva depositata il 24 maggio 2007: in queste
censure si contesta l’ordine di provvedere alla rimozione dei sedimenti dai
fondali, sia pure nei limiti che sono risultati dalla conferenza dei servizi del
31 ottobre 2006, ove si è limitato il tipo di previsione di intervento alle sole
aree marine contermini ai pontili.
Tali prescrizioni sono illegittime per le ragioni che sono state ampiamente
esposte nella trattazione generale che precede e quindi per eccesso di potere a
causa del difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per violazione di
legge in relazione a quanto prescritto con riferimento al T.U. ambiente (artt.
240, 242, 244 e 253), ed infine per violazione di legge in relazione alle norme
sulla valutazione di impatto ambientale (art. 6 legge n. 349/1986; d.p.c.m. 10
agosto 1988 n. 377; art. 23 e ss. d.lg. n. 152/2006).
Quanto a quest’ultimo aspetto, si deve osservare che nessuna valutazione emerge
dagli atti (o dalle difese dell’Avvocatura) essere stata condotta sull’impatto
ambientale che le operazioni di dragaggio dei fondali marini produrrebbero.
Mentre le altre censure sono assorbite nell’esame dei profili generali comuni a
tutti gli odierni ricorsi, il Collegio deve esaminare specificatamente le
censure variamente introdotte con il ricorso introduttivo del giudizio e
sinteticamente riassunte nella memoria conclusiva depositata il 26 gennaio 2007
al punto 8 ed al punto 9 (ed analoghi capi della memoria depositata il 24 maggio
2007): con tali doglianze si impugnano i verbali ed i provvedimenti in esame
laddove l’Amministrazione impone alla SASOL ITALY s.p.a la trasmissione del
progetto definitivo di bonifica dei suoli di tutte le aree di sua competenza e
di adeguare gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza delle acque di
falda.
Tali prescrizioni, sia per i termini imposti (30 giorni) che per le sue
modalità, violano gravemente le procedure di cui al D.lgs 152/2006, il quale
prevede, preliminarmente, la necessaria predisposizione di un “piano di
caratterizzazione”, l’obbligo di procedere poi alla determinazione dei valori
soglia ed infine un termine non inferiore a sei mesi per l’esecuzione della
bonifica (cfr.ricorso introduttivo nr. 3227/06 par. D2.2 E D2.3 PAGG. 59-64 e
ricorso introduttivo nr. 2976/06 pag. 26).
Quanto alle censure variamente sollevate nei ricorsi della SASOL ITALY s.p.a.
relativamente all’ordine di adeguamento e messa in sicurezza d’emergenza delle
acque di falda (sintetizzati al punto 9 della memoria depositata il 26 gennaio
2007), con le quali si contesta detto ordine dimostrando l’estraneità della
SASOL a fenomeni di inquinamento, rileva il Collegio che è stato comprovato,
senza alcuna controdeduzione o contestazione da parte della difesa pubblica, il
difetto di istruttoria, posto che la stessa Amministrazione (con il verbale
correttivo trasmesso il 20.09.2006) ha riconosciuto l’erroneità dei dati
inizialmente esposti nel verbale del 21 luglio 2006 e quindi risulta mancare
documentalmente ogni riferimento allo stabilimento SASOL che consenta di
ritenere legittimo (allo stato dell’istruttoria) l’ordine di adeguamento
imposto.
E’ infine manifestamente fondato il gruppo di censure riassunto al punto 7 della
memoria del 26 gennaio 2007 ed al punto 7 della memoria del 24 maggio 2007, con
cui si lamenta l’irrazionalità del termine di 30 giorni per il compimento della
caratterizzazione a maglia 50x50, operazione che, tra l’altro, la ricorrente si
è dichiarata comunque disponibile a compiere: è evidente che il termine così
breve oltre che ad essere, come lamentato, irrazionale è altresì apertamente
preordinato ad adottare i provvedimenti sostitutivi pure indicati in Conferenza,
in danno dell’impresa, e come tale disvela l’imposizione di un obbligo
impossibile ad adempiere.
*******
MAXCOM PETROLI S.p.a. (ricorsi nn. 2240/06, 3225/06, 3573/06, 263/07, 740/07)
Anche il ricorso presentato da MAXCOM è affidato a censure contenenti argomenti
che sono stati già diffusamente trattati, e come tale è già emersa con evidenza
la sua fondatezza.
Tuttavia il collegio ritiene che anche la posizione di MAXCOM vada adeguatamente
evidenziata, specie al fine di illustrare meglio come le determinazioni del
Ministero dell’Ambiente siano state eccessivamente generalizzate.
MAXCOM espone di essere titolare di un deposito costiero di stoccaggio di
prodotti petroliferi di categoria C (esclusivamente gasoli e oli combustibili
per bunker alle navi) sito nel territorio comunale di Augusta ed incluso nel
perimetro del sito di interesse nazionale di Priolo (anche se al di fuori delle
cc.dd. Aree prioritarie Nord e Sud) in data 17 maggio 2006.
Ciò premesso, quanto alla bonifica dei fondali marini, MAXCOM deduce di non
essere in alcun modo responsabile della contaminazione riscontrata nei sedimenti
marini in questione, in quanto nel deposito costiero della ricorrente non sono
mai state svolte attività di lavorazione di alcun prodotto petrolifero, essendo
stata l’area da sempre dedicata esclusivamente allo stoccaggio di prodotti
petroliferi ed essendo documentalmente inesistente alcun riscontro di
versamenti, perdite o comunque di fenomeni di inquinamento. Al contrario,
risulta anche dalla caratterizzazione svolta da ICRAM che le aree circostanti il
pontile affidato in concessione a MAXCOM (ma comunque estranee a tale
concessione) sono classificate per l’intero lato ovest del pontile medesimo come
non contaminate ad ogni profondità indagata (ossia risultano colorate in verde
nella relativa cartografia), mentre, relativamente al versante orientale del
pontile medesimo, frontistante i cantieri della Marina militare – con
riferimento agli strati di sedimenti (fino ad un metro di profondità)
interessati sia dal procedimento di bonifica in oggetto al di fuori delle due
aree prioritarie che da quello inerente la limitazione della navigazione nella
Rada – le acque circostanti sono state ritenute inquinate unicamente in
relazione al solo elemento “rame”.
Quest’ultimo elemento è avulso dal sito MAXCOM, alla luce delle attività ivi
svolte in passato come attualmente, con conseguente assenza di qualsiasi nesso
causale, dunque, tra la contaminazione riscontrata e la ricorrente, in quanto
neppure indirettamente connesso o riconducibile al tipo di idrocarburi che sono
colà stoccati.
Tra l’altro, MAXCOM ha evidenziato come il proprio opificio sia inserito tra due
ben più vaste aree in titolarità della Marina militare, che lo circondano
completamente sia a terra che a mare, talchè il relativo pontile risulta
intercluso negli specchi acquei affidati in concessione alla Marina stessa, che
costituiscono la base di Augusta (una delle tre principali basi della Marina
militare, con Taranto e La Spezia): a tale proposito tra MAXCOM e la Marina
Militare sono intercorsi accordi per procedere al dragaggio ed alla bonifica
dell’area di competenza della Marina Militare stessa, (ovvero tutta quella
circostante ed includente il pontile MAXCOM), tradottisi in un progetto di
bonifica che MAXCOM avrebbe inteso finanziare in parte e sul quale il Ministero
non si è pronunciato, provvedendo invece ad imporre alla società ricorrente gli
obblighi di cui ai verbali impugnati.
Medesime osservazioni sono da farsi poi con riguardo alle prescrizioni attinenti
alla bonifica delle aree a terra e della falda, circa le quali la società MAXCOM
aveva pendente, all’esame del Ministero, un progetto di bonifica (acquisito al
Ministero il 21 luglio 2005 con prot. n. 14859/QdV/DI), e sul quale non è
intervenuta alcuna determinazione della conferenza dei servizi.
Quanto alla falda, poi, MAXCOM evidenzia che lo stesso Ministero ha già avuto
modo di rilevare, nel verbale della Conferenza di servizi istruttoria del 16
maggio 2006, che le approfondite “indagini eseguite nel 1996 e nel marzo del
2001 hanno confermato la totale assenza di falda acquifera non esistendo le
condizioni per l’esistenza di una circolazione idrica sotterranea” con
conseguente impossibilità di ipotizzare anche che un eventuale inquinamento
marino possa essere derivato dal contatto con – inesistenti – acque di falda
contaminate sottostanti il deposito MAXCOM.
Infine, quanto alla caratterizzazione dei suoli, essa è stata già proposta da
MAXCOM con una maglia peraltro ancora più stretta di quella imposta dal
Ministero (22 sondaggi per circa mq. 40.000), ma non è stata ancora eseguita in
assenza della necessaria approvazione ministeriale.
Pertanto, in relazione alla presentazione di un piano di bonifica del suolo,
correttamente MAXCOM deduce che trattasi di attività non espletabili in assenza
di approvazione ministeriale del suddetto Piano di caratterizzazione; di
conseguenza è fondata la deduzione della MAXCOM circa l’illogicità e la
contraddittorietà della prescrizione che pretende di ordinare la bonifica di un
terreno senza neppure sapere (in assenza di qualsiasi caratterizzazione) se ed
in che misura lo stesso sarebbe contaminato; l’assenza di acque di falda rende
poi irrazionale la corrispondente prescrizione del contenimento fisico.
In conclusione, anche i ricorsi della società MAXCOM sono fondati e come tali da
accogliersi, oltre che per le ragioni già esposte nella trattazione generale che
si è premessa, anche per l’evidente contraddittorietà tra le prescrizioni
impugnate e la concreta posizione della società.
*******
ENI S.p.a. (ricorsi nn. 2662/05, 2939/06, 3235/06, 200/07)
Mentre quasi tutte le censure proposte nei ricorsi della società ENI Spa, sono
state trattate nel corso della esposizione generale che precede, sono da
evidenziare i motivi di doglianza esposti sub IV nel ricorso nr. 2939/06 e IV.1
del ricorso nr. 3235/06.
Con dette censure si lamenta l’illegittimità della richiesta di integrare il
sistema di bonifica della falda con un’opera di confinamento fisico.
Anche per quanto esposto prima, l’imposizione è immotivata e priva di adeguata
istruttoria, specie poi se si considera che la ricorrente ha lamentato
l’impossibilità materiale della sua realizzazione a causa della impossibilità di
immorsamento del diaframma alla profondità di 60 metri, ed in presenza di rocce
e di rischi di stabilità strutturale.
Senza dover entrare nel dettaglio delle motivazioni tecniche addotte dalla
ricorrente, preme al Collegio sottolineare quanto segue.
La ricorrente ha già avuto approvato da parte del Ministero (con decreto
interministeriale) un progetto di barrieramento e di contenimento delle acque di
falda; conseguentemente le variazioni al progetto approvato devono:
a) seguire il medesimo iter procedimentale osservato per la sua approvazione,
nel rispetto delle prescrizioni ulteriormente dovute per effetto della normativa
sopravvenuta (T.U.Ambiente);
b) essere supportate da una istruttoria ed una motivazione ancora più
approfondita ed accurata di quella che normalmente accompagnerebbe la prima
approvazione del progetto, perché la modifica incide su una situazione oramai
consolidata ed espone l’impresa ad oneri ed aggravi anche solo organizzativi di
rilievo.
c) per la tipologia dell’opera, essa avrebbe dovuto essere preceduta da
specifica procedura di V.I.A. (cfr. Elenco A dell’allegato III alla parte II del
dlgs 152/2006, ed art. 23 comma 1 lett. “a” medesima disposizione).
Sono quindi fondate le doglianze della società ricorrente, laddove essa lamenta
che l’Autorità ha proceduto con violazione di legge e difetto di istruttoria
analogamente a quanto ha fatto anche con riferimento ad altri siti di interesse
nazionale, ove sono state puntualmente censurate dai competenti Tribunali
Regionali Amministrativi, che ne hanno ritenuto necessario disporre l’immediata
sospensione cautelare (la società ricorrente richiama, in particolare, TAR
Lombardia - Brescia, ord. 6 dicembre 2005, n. 1543, su ricorso r.g. n. 1320/05;
nello stesso senso, cfr. TAR Lazio, ord. 21 dicembre 2006, n. 7082; TAR
Sardegna, Sez. II, ord. 28 marzo 2007, n. 126, su ricorso n. 1073/06 r.g.; TAR
Sardegna, Sez. II, ord. 10 gennaio 2007, n. 5, su ricorso n. 1073/2006 r.g.; TAR
Lazio, ordinanze 8 marzo 2007, nn. 1132 e 1137, su ricorsi n. 11352/06 e
11410/06 r.g.).
In tal senso, condivisibilmente la società ricorrente lamenta che il progetto è
stato già regolarmente approvato con decreto interministeriale ed è attualmente
pressoché terminato e pertanto eventuali modifiche (specie dell’entità di quelle
impugnate) possono essere deliberate solo con la rielaborazione degli obiettivi
di bonifica, preceduta dall’analisi partecipata ed in contraddittorio con la
società stessa del raggiungimento dei precedenti obiettivi (o delle cause del
mancato raggiungimento) e della insufficienza di essi (poichè, se si impone un
ripensamento della bonifica, è evidente che ciò può essere fatto solo laddove i
precedenti obiettivi non sono stati raggiunti per insufficienza o inidoneità
delle prescrizioni progettuali oppure, se sono stati raggiunti, erano gli stessi
obiettivi ad essere inadeguati).
Conseguentemente, è del tutto illogica - e comunque insufficiente - la
motivazione di modificare / integrare il progetto di bonifica della falda – già
approvato ed in esecuzione - mediante la realizzazione di un opera (confinamento
o barrieramento fisico) con tecnologia completamente diversa da quella approvata
(barrieramento idraulico): dal punto di vista del Collegio, questo aspetto dei
provvedimenti impugnati è quello che impone la censura più severa del
comportamento della Pubblica Autorità.
Infatti, laddove si interviene in un settore così delicato e denso di difficoltà
tecnico-scientifiche sotto molteplici aspetti (dall’accertamento delle cause e
delle responsabilità sotto il profilo tecnico dell’inquinamento
all’individuazione dei corretti ed efficaci metodi di intervento, compresa la
enucleazione con metodi tecnici di obiettivi misurabili e riscontrabili) oltre
che di rilevantissimo interesse pubblico e sociale, si accentua in maniera
estremamente rigorosa il dovere (già ineludibile nella normalità dei casi) della
Pubblica Autorità di prescrivere modalità di intervento logiche, coerenti e,
correlativamente, laddove queste modalità necessitino di un ripensamento, il
dovere di modificare le prescrizioni già imposte (o concordate a seguito di un
procedimento che approva modalità progettuali provenienti dalla parte
interessata) solo a seguito di una istruttoria e di una motivazione che dia
adeguata contezza delle ragioni che impongono le modifiche.
A fronte di ciò, la prescrizione di utilizzare per il confinamento delle acque
di falda un sistema di confinamento fisico, anziché idraulico non risulta,
invece, in alcun modo motivata da adeguati accertamenti tecnici; non sono
neppure affermate (e meno che mai dimostrate) le ragioni della insufficienza o
della inidoneità della soluzione di barrieramento (già prescelta e approvata)
rispetto all’applicabilità della diversa tecnologia imposta in relazione alle
caratteristiche geologiche del sito; infine, non viene neppure tentata (e meno
che mai accertata) la valutazione di opportunità dell’intervento circa il
rapporto costi/benefici di esso, specialmente alla luce dello stato di
avanzamento del progetto inizialmente approvato, né, infine, circa i tempi di
esecuzione dell’intervento medesimo. Infine, nessuno studio è stato condotto
dall’Amministrazione sull’impatto che la realizzazione di tale progetto
arrecherebbe all’ambiente circostante e quindi va censurata la prescrizione in
esame anche per l’aspetto della specifica violazione della disciplina sulla
valutazione di impatto ambientale.
A tale proposito, va ribadito quanto già prima sommariamente accennato, ossia
che l’opera di confinamento fisico ipotizzata dal Ministero dell’Ambiente ed
imposta con i provvedimenti impugnati è soggetta a procedura obbligatoria di
valutazione di impatto ambientale sia ai sensi della normativa pre-vigente (in
quanto rientrante, in particolare, negli impianti contemplati dall’art. 1, comma
1, lett. l) del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377), sia ai sensi delle nuove norme
in materia ambientale approvate con il D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152 (si veda, in
particolare, la previsione di cui alla voce n. 15 dell’Elenco A dell’Allegato
III alla Parte Seconda del decreto cit., elenco richiamato dall’art. 23, comma
1, lett. a).
Infine, con la memoria depositata il 25 maggio 2007, la ricorrente ENI ha
riproposto i motivi ritenuti assorbiti dal Collegio in sede cautelare e che,
pertanto, vanno esaminati a seguire.
Con il Motivo n. II.7 del ricorso n. 2939/06 r.g. ed il motivo n. II.5.4 del
ricorso n. 3235/06 r.g., la ricorrente ha contestato il verbale della Conferenza
di servizi del 21 luglio 2006 per la parte in cui, in motivazione, il Ministero
dell’Ambiente, attraverso un improprio riferimento ad una nota di un funzionario
della Commissione Europea (prot. n. MP/amp D (2006) 9902 del 09.09.06), osserva
che “ai fini della classificazione dei rifiuti, se la concentrazione di
idrocarburi è uguale o superiore allo 0.1% (1000 ppm) il rifiuto è classificato
come pericoloso”. Di qui deduce che, “attese le concentrazioni di idrocarburi
riscontrate nei sedimenti della Rada di Augusta, … la formazione delle torbide
disperda nell’ambiente rifiuti pericolosi con livelli di inquinamento superiori
anche più di un ordine di grandezza al limite fissato”.
La illegittimità della prescrizione indicata è tale da consentire al Collegio di
fare proprie le conclusioni della difesa della ricorrente.
In primo luogo, si deve affermare che i sedimenti, prima della loro eventuale
asportazione, laddove eventualmente contaminati, non costituiscono ancora
rifiuti, ma vanno qualificati come matrici ambientali, da sottoporre agli
opportuni interventi di bonifica.
Ciò premesso, laddove, ai fini della classificazione dei rifiuti, la normativa
di riferimento va individuata nella Decisione UE 200/532/CE, nella Direttiva
MATT del 9 Aprile 2002 e nel Dlgs. 152/06 parte quarta All.D., secondo la quale
un rifiuto è classificato come pericoloso solo se le sostanze pericolose
raggiungono determinate concentrazioni, tali concentrazioni vanno predeterminate
(e poi riscontrate) ex art. 252, comma 5, del d.lgs n. 152 del 2006 tramite
appositi organi tecnici e senza possibilità di interferenze decisionali del
Ministero (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II - 16 gennaio 2006, n. 89, cit.).
Nel caso di specie, il Ministero dell’ambiente non solo ha preso posizioni
tecniche in merito alla classificazione dei rifiuti pericolosi in assoluta
autonomia rispetto agli organi tecnici, ma anche in contraddizione con le
posizioni da questi assunte sul punto e, più precisamente, con il parere n.
19893 del 6 aprile 2006 con cui l’Istituto Superiore di Sanità, su richiesta
della Regione Veneto ha affermato che “appare eccessivamente conservativa
l’applicazione del valore di 1000 ppm (0,1%) di idrocarburi come limite per la
classificazione del rifiuto come cancerogeno”.
Dalle suesposte considerazioni emerge la illegittimità degli atti impugnati ed
il Collegio non ha quindi necessità di entrare nel merito delle ulteriori
censure dedotte dalla ricorrente (secondo cui la pericolosità di un determinato
rifiuto deve essere determinata attraverso appositi test di cancerogenicità,
dopo aver preventivamente valutato il contenuto di singole sostanze
idrocarburiche classificate come cancerogene).
Ne consegue, pertanto, che i provvedimenti impugnati con i ricorsi proposti
dalla società ENI Spa, sono illegittimi e vanno annullati, nelle parti oggetto
di gravame, sia per le censure variamente ricomprese nell’esame generale
condotto in precedenza, sia per le specifiche ragioni esposte nel presente
paragrafo.
*****
POLIMERI EUROPA S.p.a. (ricorsi nn. 2667/06, 2938/06, 3234/06 e 214/07)
e
SYNDIAL (ricorsi nn. 2666/05; 2937/06; 3233/06 e 213/07)
Medesime considerazioni di quelle appena esposte in relazione al ricorso ENI
valgono per le censure di identico contenuto presentate nei ricorsi di POLIMERI
Europa S.P.A. nn. 3234/06 (punto IV.1) e 2938/06 (punto IV) e SYNDIAL S.P.A. nn.
3233/06 (punto IV.1) e 2937/06 (punto IV).
Anche in queste censure, le ricorrenti si dolgono dell’imposizione di modifiche
al progetto di bonifica già approvato con decreto ministeriale, consistenti
nell’obbligo di procedere al marginamento fisico delle acque di falda, e
pertanto è sufficiente al Collegio richiamare quanto già affermato in relazione
al ricorso “gemello” della MAXCOM.
In questa sede è quindi sufficiente riferirsi all’esposizione ed alle
considerazioni svolte nel paragrafo precedente, in ordine agli aspetti comuni
delle suddette censure,che, pertanto, sono fondate anche in relazione ai ricorsi
delle società POLIMERI E SYNDIAL.
Nei ricorsi di cui al presente paragrafo, tuttavia, c’è un altro e differente
ordine di censure che va esaminato (per POLIMERI punti IV.2 del ricorso nr.
3234/06 e IV del ricorso 2938/06; per SYNDIAL punti IV.3 del ricorso nr. 3233/06
e IV del ricorso nr. 2937/06).
Con tali doglianze, infatti, si lamenta che la conferenza dei servizi del 21
luglio 2006, punto 10, avrebbe immotivatamente respinto il progetto di bonifica
presentato da POLIMERI SPA e da SYNDIAL SPA, per asserite violazioni delle
prescrizioni formulate dalla Conferenza dei servizi istruttoria del 16 maggio
2006, prescrizioni che non sarebbero mai state verbalizzate e neppure comunicate
alla ricorrente.
Nessuna deduzione o difesa, sul punto, né in diritto e neppure in fatto, è
pervenuta da parte dell’Avvocatura.
E’ sufficiente, per accogliere la censura, che il Collegio rilevi che nessuna
comunicazione o preavviso ex art. 10 bis l. 241/90 (atto dovuto atteso che si
tratta di un procedimento ad istanza di parte) è stata formulata in merito da
parte dell’Amministrazione; che nessuna motivazione del diniego è dato
evincersi, dagli atti, sia per le modifiche imposte che in relazione alle
controdeduzioni che la società POLIMERI ha fatto pervenire in risposta alla
Conferenza dei servizi del 16 maggio 2006 (prot. 14230/Qvd/DI del 17 luglio
2006).
Pertanto, l’atto è illegittimo e va annullato; dall’annullamento del diniego per
i vizi calendati, deriva l’obbligo per l’Amministrazione di procedere al riesame
del progetto entro 90 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o sua
notifica a cura di parte, previa partecipazione della società ricorrente ed in
contraddittorio con essa.
Con la II memoria conclusiva (depositata il 25 maggio 2007), la società SYNDIAL
ha inoltre riproposto le censure assorbite in sede cautelare e che il Collegio
esamina a seguire.
In particolare, con le ragioni di censura riassunte al punto 8.1 della memoria,
ed introdotte con i motivi aggiunti al ricorso n. 2666/05 r.g. sub n. VI, la
censura sub n. IV del ricorso n. 2937/06 r.g. ed il motivo IV.2 del ricorso n.
3233/06 r.g., la ricorrente ha contestato la richiesta, formulata dalla
Conferenza di servizi nelle sedute decisorie del 16 dicembre 2005 e 21 luglio
2006, che tutte le operazioni di gestione dei rifiuti liquidi (costituiti dalle
acque di falda emunte) e solidi (costituiti dai terreni scavati) relativi agli
interventi nell’Area P.O. siano “oggetto di specifica autorizzazione”,
trattandosi di interventi che rientrerebbero “tra quelli di messa in sicurezza
di emergenza specifici per l’area PO e non tra gli interventi di bonifica”,
rilevando, a confutazione di tale assunto della Conferenza dei servizi, che
l’intervento in esame non costituisce affatto intervento di messa in sicurezza
di emergenza, ma è al contrario parte integrante del progetto di bonifica della
falda approvato con decreto interministeriale del 29 novembre 2004.
Osserva il Collegio che la censura è fondata: a tale proposito, nel progetto
stesso sono previste le predette modalità (in particolare, il capitolo 6.1.1 -
che contempla, tra gli interventi nelle aree di competenza Syndial, la “barriera
idraulica e fisica che verranno installate in area PO-A4” - , le tabelle
riepilogative di cui ai capp. 8.1 e 8.2 e, soprattutto, la stima dei costi
complessivi di bonifica di cui al cap. 14, rispetto ai quali l’area incide per
un importo pari a € 4.080.000,00), e, pertanto, tutte le autorizzazioni relative
alla gestione dei rifiuti prodotti nel corso delle opere di bonifica sono da
ritenersi assorbite dall’autorizzazione rilasciata con il decreto
interministeriale 29 novembre 2004, ai sensi dell’art. 10, comma 10, del d.m. n.
471 del 1999, come richiamato dal successivo art. 15, comma 6.
Ancora aderendo alle prospettazioni della difesa della ricorrente, il Collegio
rileva che è illegittimo il termine di 10 giorni dal ricevimento del verbale per
il completamento degli interventi in corso di realizzazione, termine che appare
del tutto incongruo in relazione alla richiesta, anche in considerazione del
fatto che la ricorrente lamenta l’oggettivo aumento riscontrato durante i lavori
delle volumetrie dei terreni di scavi (che passano da 1900 mc a 5500 mc) e che
non ha formato oggetto di alcuna considerazione istruttoria da parte della P.A.
Con ulteriore censura, la ricorrente ha contestato la illegittimità dei criteri
di caratterizzazione dei terreni imposti dal Ministero (V° Motivo aggiunto al
ricorso n. 2666/05 r.g.).
Più precisamente, la ricorrente ha contestato la prescrizione con cui la
conferenza di servizi decisoria del 16 dicembre 2005 ha imposto, in sede di
caratterizzazione dei suoli, di effettuare le analisi sulla sola frazione
granulometrica passante al vaglio 2 mm e di confrontare i risultati delle
analisi condotte su detta frazione, ai fini della successiva bonifica, con i
limiti tabellari di cui agli allegati al d.m. n. 471 del 199.
A giudizio della ricorrente, seguendo tale procedura, la quantità di inquinante
presente sul sito si determinerebbe solo in relazione alla frazione più fine, in
contrasto con il DM 471/99 e il DM 13.9.1999 che prescrivono che, ai fini della
rappresentazione dello stato di contaminazione di un terreno, sia considerato
tutto il materiale secco del terreno medesimo e non solo una sua frazione,
ottenuta per effetto di una operazione di concentrazione e che può essere
percentualmente piccola. Tale procedura sarebbe in contrasto anche con
l’Allegato 1 al DM 471 del 1999, che prevede che, “in attesa della pubblicazione
dei ‘Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo’ … che definiscano le
metodiche di campionamento dei suoli per frazioni granolumetriche di suolo,
sottosuolo e materiale di riporto, i risultati delle analisi effettuate sulla
frazione granolumetrica passante al vaglio 2 mm sono riferiti alla totalità dei
materiali secchi".
La censura, non contraddetta né dalla difesa dell’Amministrazione, né dalla
documentazione in atti, è fondata: nessuna ragione, infatti, emerge quale
motivazione dell’orientamento assunto dalle Amministrazioni partecipanti alle
conferenze dei servizi, secondo cui gli esiti delle analisi effettuate sulle
frazioni “sottovaglio” (passanti al vaglio di 2 mm) devono essere considerate
come idonee a rappresentare il grado di inquinamento dell’intero campione
terroso prelevato, a prescindere dalla sua composizione granulometrica.
In punto di diritto, l’errore in cui cade la P.A. procedente è di non
considerare che la fonte normativa applicata prevede che i risultati delle
analisi condotte sul sottovaglio siano rapportati alla totalità del materiale
secco del campione prelevato, ma non considera altresì che tali analisi debbano
essere considerate rappresentative dell’intero campione (sottovaglio e
sopravaglio).
A tale proposito, condivisibilmente, la difesa della ricorrente sottolinea come
l’interpretazione del Ministero, che già alla luce di quanto appena espresso è
contraddittoria ed irrazionale, collide anche con il disposto di cui al comma
successivo della disposizione sopra riportata, che prevede che “qualora si
sospetti una contaminazione anche del sopravaglio, devono essere effettuate
analisi di tale frazione granulometrica sottoponendola ad un test di cessione
che utilizzi come eluente acqua deionizzata satura di CO2”: se il regolamento
avesse ritenuto le analisi sul solo sottovaglio adeguatamente rappresentative
dell’intero campione, non avrebbe avuto poi alcuna necessità di imporre anche la
verifica del sopravaglio, se sospetto di contaminazione.
Al Collegio, quindi, appare sufficiente fare proprie le conclusioni della difesa
della ricorrente, secondo cui, se appare giusto riferire il risultato ottenuto
dall’analisi della frazione granulometrica passante al vaglio di 2 mm alla sola
frazione fine del terreno, è invece inappropriato considerare tale valore come
rappresentativo della totalità del terreno campionato (cfr. comunque la nota
dell’Istituto Superiore di Sanità del 25 luglio 2002 nr. 024711 IA/12, prodotta
dalla difesa della società BUZZI UNICEM nel ricorso nr. 131/07, con i documenti
depositati il 24 aprile 2007).
Il terreno campionato può infatti essere costituito da diverse granulometrie:
quella inferiore a 2 mm, dove può concentrarsi la maggior parte
dell’inquinamento; quella compresa tra 2 mm e 2 cm, che tendenzialmente può
essere meno inquinata perché ha scarso potere assorbente sulle particelle
organiche ed inorganiche ed infine quella superiore ai 2 cm che viene scartata
al momento della composizione del campione da analizzare.
Per l’esistenza di tali tipi di suddivisione non è corretto attribuire il valore
misurato nella frazione inferiore a 2mm, più suscettibile all’inquinamento, a
tutto il campione, perché si opererebbe una vera e propria operazione di
concentrazione, non corrispondente alla reale situazione presente nel terreno.
Anche sotto questo profilo, dunque, si conferma come i metodi scientifici
adottati dal Ministero in applicazione anche del DM 471/99 debbano essere
rivisti alla luce delle osservazioni delle ricorrenti, che non hanno trovato
ingresso nel procedimento, ed altresì nell’acquisizione effettiva dell’apporto
scientifico degli istituti di ricerca a ciò preposti.
*******
DOW ITALIA Divisione Commerciale S.r.l.
- già DOW POLIURETANI ITALIA S.r.l. -
(ricorsi nn. 138/2005 e 2970/06)
Le censure variamente introdotte dalla società DOW ITALIA sono quasi interamente
assorbite dalla trattazione delle questioni che precedono e quindi, richiamando
queste ultime, è possibile al Collegio sinteticamente rinviarvi.
In base ad esse i ricorsi sono fondati e come tali da accogliersi.
Rileva solamente il Collegio, per completezza di esposizione, che la società
ricorrente ha documentato una propria posizione del tutto estranea ai
presupposti stessi della bonifica dei fondali della Rada, così come prefigurati
dalla stessa Amministrazione procedente.
Infatti si osserva, in punto di fatto, che la società ricorrente ha gestito dal
1 maggio 2001 al gennaio 2003 all’interno del Petrolchimico di Priolo, uno
stabilimento di produzione di Polioli, Glicole Propilenico e derivati e Ossido
di Etilene, precedentemente in proprietà della società Enichem spa (ora Syndial
spa), impianto definitivamente chiuso in data 1 aprile 2004.
La società ricorrente ha provveduto ad avviare il procedimento di bonifica dei
suoli e delle acque sotterranee, ai sensi della normativa di cui all’art. 17 del
Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22 e del DM 471/99 anche a fronte della attività di
caratterizzazione completata da Syndial SPA.
Pertanto, la DOW ha impugnato dapprima i verbali delle conferenze dei servizi
del 2005, che imponevano ai titolari di concessioni demaniali nella rada o aree
a terra con presenza di contaminazione identica a quella trovata nella Rada, le
prescrizioni già esaminate sopra (ricorso nr. 138/2005 e relativi motivi
aggiunti), nonché, successivamente, le determinazioni delle conferenze decisorie
del 2006, ove si imponevano le ulteriori prescrizioni già esaminate (ricorso nr.
2970/06 e relativi motivi aggiunti).
In ogni gravame, la società DOW ha sempre evidenziato la propria estraneità alla
contaminazione della RADA sia perché non è titolare di pontili o altre
concessioni sulla Rada o comunque in rapporto di vicinanza con essa, sia per il
breve periodo di gestione dello stabilimento stesso, e sia, infine, perché i
valori inquinanti emersi nelle (peraltro,come visto, incomplete) indagini sui
campioni, non sono comunque riconducibili alle lavorazioni del proprio
stabilimento.
Anche sotto questi profili, dunque, si conferma la insufficienza della
istruttoria dell’Amministrazione, la quale, nei confronti della società
ricorrente ha adottato prescrizioni che (oltre ad essere illegittime per le
ragioni già esposte) sono anche perplesse e di dubbio contenuto, perché rivolte
a soggetto manifestamente privo delle qualità presupposte dalla stessa Autorità
negli atti impugnati.
********
BUZZI UNICEM
(ricorso nr. 131/07)
Il ricorso nr. 131/07 è stato trasposto in sede giurisdizionale dalla società
BUZZI UNICEM a seguito dell’opposizione formulata dalla società Syndial alla sua
trattazione in sede straordinaria di fronte al Capo dello Stato.
In merito a tale ricorso va, preliminarmente, decisa la eccezione proposta sia
dall’Avvocatura di Stato che dalla difesa comunale, circa la inammissibilità
della trasposizione, ex art. 10 del DPR 1199/71, in quanto proveniente da
soggetto non controinteressato (ossia la Syndial).
A giudizio della ricorrente e della società Syndial medesima, non sarebbe dubbia
la qualità di controinteressata che quest’ultima rivestirebbe in quanto le
prescrizioni imposte dall’Autorità a tutte le imprese collettivamente operanti
nell’ambito della Rada implicherebbe un vincolo solidale tra di esse, tale per
cui l’esclusione (anche solo) di una tra loro implicherebbe l’aumento di costi
per la realizzazione degli interventi in capo a tutte le altre, dovendo queste
comunque provvedere per l’intero alle prescrizioni imposte dal Ministero
dell’Ambiente.
Oppone la difesa erariale che, in realtà, la Syndial si trova in una posizione
di evidente comunanza di interessi con la ricorrente BUZZI UNICEM, entrambe
avendo di mira l’annullamento degli atti impugnati.
A giudizio del Collegio è quest’ultima la qualificazione corretta della
posizione che la società Syndial assume rispetto al gravame proposto dalla
società BUZZI UNICEM, posto che tutte le imprese odierne ricorrenti, avendo
proposto ricorsi sovrapponibili quanto al petitum, nonché in gran parte identici
anche come causae petendi, si propongono il medesimo scopo processuale, ossia
ottenere l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Tuttavia, da tale considerazione non discende l’inammissibilità della
trasposizione.
E’ infatti ius receptum che la trasposizione possa chiederla anche il
cointeressato, sia pure a mente dell’art. 34 del R.D. 1054/1924, disposizione
questa che è integrata e non certamente abrogata dall’art. 10 del citato DPR
1199/71 (cfr. Consiglio di Stato, V, 7 novembre 1990, nr. 763) e rispetto alla
quale la opposizione è stata ritualmente proposta (in punto di disciplina,
infatti, i due istituti si differenziano, sostanzialmente, solo per il diverso
termine per proporre la opposizione, che è di quindici giorni per la
cointeressata, termine che, nel caso in esame, è stato rispettato).
Ritenuta l’ammissibilità della trasposizione del ricorso straordinario in s.g.,
osserva il Collegio che la società ricorrente ha ampiamente dedotto ragioni di
differenziazione della propria posizione da quella delle imprese titolari di
concessioni sulla Rada ed anche per essa valgono le argomentazioni già svolte in
generale nella esposizione che precede.
Tuttavia, necessitano di approfondita attenzione alcuni aspetti della posizione
della ricorrente e le censure introdotte con i motivi aggiunti.
Sotto il primo profilo, come già succintamente ritenuto in sede cautelare (ord.
nr. 333/07 depositata il 15 marzo 2007), deve rilevarsi che non solo la società
ha comprovato la incompatibilità e l’eterogeneità dei prodotti chimici
riconducibili alla lavorazione tipica dei propri stabilimenti, ma che tale dato
trova riscontro anche nella valutazione della conferenza dei servizi del
21.07.2006. Tuttavia, l’Autorità ha comunque mantenuto l’inclusione della
società nel novero dei destinatari dei provvedimenti di imposizione della
bonifica e quindi, come asserito condivisibilmente dalla difesa della
ricorrente, deve ritenersi che ciò è avvenuto in base al (mero) presupposto
della relazione dell’impresa con i suoli e con i terreni contaminati.
Quanto agli atti impugnati con i motivi aggiunti depositati il 24 aprile 2007,
si osserva quanto segue.
Come condivisibilmente si afferma nelle difese della società, nonostante che il
provvedimento “finale” del Ministero dell’Ambiente, datato 13.12.2006, dovesse
essere inteso, espressamente, come “conclusivo” del procedimento, il Ministero
procedente ha indetto una nuova conferenza dei servizi per la data del
16.02.2007, nella quale è stato “riaperto” il procedimento per la bonifica della
Rada, nonostante la sospensione cautelare degli effetti degli atti già
impugnati.
In tale contesto si è disposta la presa d’atto degli elaborati trasmessi dalla
società Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.a. ed acquisita dal Ministero
dell’Ambiente con prot. 26221/QDV/DI del 28.12.2006 (punto 43 del verbale);
nonché si sono adottate ulteriori prescrizioni inerenti i risultati del piano di
indagine integrativo per la verifica della potenziale contaminazione del suolo e
delle acque trasmesso dalla società BUZZI UNICEM ed acquisito al protocollo del
Ministero dell’Ambiente al nr. 1454/QDV/DI del 23.01.2006, nonché inerenti
l’intervento di MISE trasmesso da BUZZI UNICEM ed acquisito al protocollo del
Ministero nr. 12518/QDV/DI del 26.06.2006, chiedendo al Commissario delegato per
l’emergenza rifiuti di attivare gli interventi di caratterizzazione già previsti
dalla conferenza dei servizi del 4 dicembre 2006.
A giudizio del Collegio, l’illegittimità delle prescrizioni impugnate discende
con assoluta evidenza da quanto già esposto e ritenuto nella parte generale
(specie in punto di mancanza di istruttoria, violazione del contraddittorio,
insussistenza dei presupposti della MISE e degli interventi sostitutivi del
Commissario delegato), ma anche in considerazione del fatto che la conferenza
dei servizi del mese di febbraio 2007 si pone in continuità con quelle
precedenti rinnovandone il contenuto ed i precetti, senza tenere conto delle
decisioni cautelari di questo tribunale che ha sospeso l’efficacia degli atti
impugnati.
Ne consegue che i provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti
depositato il 24 aprile 2007 sono illegittimi e come tale vanno annullati.
*********
In ordine alle questioni comuni ad alcuni ricorsi, il Collegio rileva che – in
virtù di quanto esposto e ritenuto nella trattazione generale del vizio di
difetto di istruttoria e di motivazione - non vi è luogo a pronunciarsi su
quanto (riassuntivamente) esposto dalla ENI, POLIMERI EUROPA e SYNDIAL nella
parte II delle rispettive memorie depositate il 26 gennaio 2007 (ed analoghi
contenuti della memoria depositata da ciascuna ricorrente il 25 maggio 2007) e
quindi a valutare, in questa sede, le risultanze degli studi condotti da Environ
Italy, su commissione delle ricorrenti; dati che, invece, potranno essere
utilizzati dal Ministero nella fase istruttoria che dovrà precedere la futura
riedizione del potere da parte dell’Amministrazione.
Analogamente è a dirsi per le censure proposte da ENI nel ricorso nr. 3235/06
punto II.5 e 2939/06 punto II.3, da POLIMERI Europa S.p.A. nel ricorso nr.
3234/06 punto II.5, e 2938/06, punto II.3, e da SYNDIAL S.p.a. nel ricorso nr.
3233/06, punto II.5 e 2937/06, punto II.3, laddove si afferma l’oggettiva
inesistenza del rischio sanitario (elemento questo che dovrà essere oggetto di
accertamento nel procedimento amministrativo, all’esito della nuova istruttoria
da condursi nel rispetto di quanto ritenuto ed affermato nella presente
sentenza).
******
Per completezza di esposizione, va qui rilevato che le censure proposte dalla
società ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA nei ricorsi odierni dalla stessa
proposti (nr. 81/05, 2671/05, 782/06, 1843/06, 2241/06, 3053/06, 3251/06,
189/07), sono tutte comprese nella trattazione che precede – parte generale – e,
come si è visto, sono dunque fondate, determinando l’accoglimento dei ricorsi e
l’annullamento dei provvedimenti impugnati nelle parti di interesse.
*******
IX) Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, i ricorsi sono fondati e come tali da accogliersi
annullando, nelle parti gravate, i provvedimenti impugnati.
A questo proposito, succintamente, il Collegio ritiene dover specificare che,
essendo invalidi, e quindi da annullarsi, i provvedimenti finali di approvazione
delle determinazioni assunte nelle varie conferenze dei servizi, per le censure
dedotte, tra le quali il difetto di partecipazione delle ricorrenti ed il
difetto di motivazione, il procedimento volto ad organizzare e provvedere alla
bonifica della Rada di Augusta (comprese le zone a terra), dovrà essere
interamente rinnovato nel rispetto integrale delle prescrizioni di legge (sia ex
lege 241/90 che ex d.lgs. 152/2006), così come indicato in parte motiva.
In tale ambito, i risultati degli studi condotti da organismi pubblici dovranno
essere comparati con quelli prodotti dalle parti ricorrenti e, nel
contraddittorio tra le parti, l’Autorità procedente dovrà desumere da essi le
regole scientifiche dell’azione amministrativa, supportando le relative
determinazioni con adeguata, congrua ed approfondita motivazione, specie in
relazione all’apporto collaborativo delle ricorrenti.
A tali fini, si ribadisce che, sotto il profilo scientifico, l’istruttoria
tecnica va curata esclusivamente dagli organismi scientifici a ciò abilitati,
senza che si possa configurare in alcun modo una interferenza Ministeriale che
deleghi, di volta in volta, singole parti di indagine a differenti organi, o
comunque adotti atti volti a predeterminare gli spazi di indagine in maniera
tale da precostituire le soluzioni e le risposte ai quesiti di indagine stessi
(cfr. TAR Piemonte, II, 16 gennaio 2006, n. 89).
Sono quindi illegittime, e lesive delle posizioni di interesse delle ricorrenti,
anche le varie richieste di predisposizione di studi o di interventi rivolte dal
Ministero procedente a pubbliche autorità quali il Commissario delegato per
l’emergenza rifiuti o simili, in quanto l’istruttoria deve rispettare le
competenze di legge e, soprattutto, essere condotta senza interferenza
ministeriale ed in maniera esaustiva ed unitaria.
La lesività di una istruttoria frammentata e/o affidata a soggetti diversi o non
aventi competenza in materia costituisce, infatti, un aggravamento
procedimentale che legittima le parti private interessate (o controinteressate)
al procedimento stesso – in sede di impugnativa dei provvedimenti finali che ne
costituiscono espressione - a chiedere l’annullamento anche di tali adempimenti
istruttori (i quali, astrattamente, non sarebbero necessariamente travolti
dall’annullamento dell’atto finale).
Sono quindi da accogliersi i ricorsi, disponendo l’annullamento di tutti i
provvedimenti e gli atti impugnati.
Le censure non espressamente trattate sono assorbite.
Considerati i rilevanti profili di ritardo nella gestione della bonifica della
Rada di Augusta e, più in generale, del Sito di Interesse Nazionale di Priolo
che sono emersi dai ricorsi e dagli atti impugnati, anche a causa della
illegittimità dei provvedimenti e delle prescrizioni adottate dalla Pubblica
Autorità, il Collegio dispone la trasmissione della presente sentenza alla
Procura regionale della Corte dei Conti di Palermo perché valuti se sussistano
profili di responsabilità erariale in capo ai funzionari o ai dirigenti pubblici
coinvolti, anche in relazione alle spese del presente giudizio.
La presente sentenza va inoltre inviata alla Procura della Repubblica di
Siracusa, per l’eventuale seguito di sua competenza, al fine di verificare se
sussistono estremi materiali di situazioni penalmente rilevanti (ord. nr.1742/05
pronunciata inter partes nel ricorso nr. 2666/05, depositata il 17 novembre
2005, già trasmessa con relativo fascicolo alla Procura di Siracusa).
Le spese e gli onorari dei giudizi riuniti seguono la soccombenza e sono poste a
carico di tutte le Amministrazioni resistenti che hanno preso parte alle
conferenze dei servizi in sede decisoria e dei Comuni costituiti, in solido tra
loro, mentre il Collegio ritiene sussistenti giuste ragioni per disporre la
compensazione delle spese nei confronti delle società controinteressate
“Sviluppo Italia” s.p.a. e “Sviluppo Italia Aree Produttive” S.p.a..
Oltre alla refusione delle spese, corrispondenti alle notificazioni ed al
contributo unificato, come pagate e corrisposte da ciascuna società ricorrente,
gli onorari, anche in considerazione del rilevante numero di notifiche, atti
prodotti, reiterazione di gravami proposti, e complessità delle questioni
trattate, vanno liquidati, complessivamente e forfetariamente, in euro 10.000,00
per ciascuna società ricorrente, oltre IVA e CPA.
PQM
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di
Catania, sez. interna prima, riuniti i ricorsi in epigrafe:
ESTROMETTE dai giudizi la società “Sviluppo Italia” Spa, c.f. e p.IVA
01879620977, l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro e
l’Istituto Superiore di Sanità;
CONDANNA le società ricorrenti (in solido tra di loro), che hanno notificato i
ricorsi alle predette parti estromesse, alle spese e competenze del giudizio in
favore di queste ultime, nella misura forfetaria e definitiva di euro 1.000
(mille) complessive, per ciascuna delle parti estromesse, oltre IVA e CPA;
ACCOGLIE i ricorsi riuniti e, per l’effetto, ANNULLA gli atti ed i provvedimenti
impugnati, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione,
meglio indicati in parte motiva.
CONDANNA le Amministrazioni resistenti che hanno preso parte alle conferenze dei
servizi in sede decisoria ed i Comuni costituiti, in solido tra loro, alla
refusione integrale delle spese e degli onorari di giudizio in favore di
ciascuna delle società ricorrenti, liquidandoli in ragione di euro 10.000,00
(diecimila), per ciascuna ricorrente, oltre IVA e CPA, ed oltre alle spese di
giudizio per notifiche e per versamento del contributo unificato.
COMPENSA le spese e gli onorari dei giudizi nei confronti delle società
“Sviluppo Italia” s.p.a. e “Sviluppo Italia aree produttive”, controinteressate.
DISPONE la trasmissione della presente sentenza alla Procura Regionale della
Corte di Conti di Palermo, affinchè provveda a quanto eventualmente di sua
competenza, così come sommariamente indicato nelle conclusioni della esposizione
che precede.
DISPONE altresì la trasmissione della presente sentenza alla Procura della
Repubblica di Siracusa, affinchè verifichi se sussistono elementi di fattispecie
penalmente rilevanti negli odierni fatti di causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di comunicare la presente Sentenza alle parti , alla
Procura Regionale della Corte dei Conti di Palermo ed alla Procura della
Repubblica di Siracusa.
Così deciso in Catania nelle camere di consiglio del giorno 07.06.2007 e del
05.07.2007
L'ESTENSORE
Dott. Salvatore Gatto Costantino
IL PRESIDENTE
Dott. Vincenzo Zingales
Depositata in Segreteria il 20 luglio 2007
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