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TAR VENETO, Sez. III, 22 maggio 2007, sentenza n. 1582
INQUINAMENTO ACUSTICO - Quiete
pubblica - Bene collettivo - Espressione del diritto alla salute - Art. 32 Cost.
- Prevalenza rispetto agli interessi economici - Prevalenza rispetto al diritto
della gioventù ad aggregarsi durante la notte in luoghi pubblici. La quiete
pubblica - intesa come limite di compatibilità delle emissioni sonore, prodotte
da una fonte determinata, con uno specifico ambito territoriale, in relazione
alle caratteristiche di questo, secondo un criterio di media tollerabilità -
costituisce bene collettivo. Essa è condizione necessaria affinchè sia garantita
la salute, che deve essere tutelata “come fondamentale diritto dell’individuo ed
interesse della collettività” (art. 32 cost.) dagli Enti pubblici competenti,
tra cui certamente i Comuni: e se questi hanno il dovere, certamente i cittadini
hanno a loro volta un interesse, variamente azionabile, a che le Amministrazioni
reprimano quei comportamenti che pregiudicano la quiete pubblica e, per
conseguenza, la salute di un numero indeterminato di persone. Il diritto alla
quiete, come espressione del diritto alla salute psicofisica, prevale sugli
interessi economici di quanti costituiscano la causa diretta od indiretta del
disturbo, svolgendo un’attività economica di cui essi soli percepiscono i
proventi, riversandone viceversa sulla collettività circostante i pregiudizi
(nel caso di specie, il collegio ha ritenuto il diritto alla quiete pubblica
prevalente anche sul diritto della gioventù ad aggregarsi durante la notte in
luoghi pubblici, sia perché la socializzazione può svolgersi anche in altro
orario, sia, più realisticamente, perché quella ben può riunirsi, durante le ore
notturne, in luoghi in cui non interferiscono con le altrui esigenze di riposo).
Pres. De Zotti, Est. Gabbricci - B. s.a.s. (avv. Zambelli) c. Comune di Verona
(avv. Volpe) - TAR VENETO, Sez. III - 22 maggio 2007, n. 1582
INQUINAMENTO ACUSTICO - Assembramenti rumorosi di avventori - Riduzione
dell’orario notturno di un pubblico esercizio - Strumento preventivo adeguato.
La riduzione dell’orario notturno di un pubblico esercizio operante nell’area in
cui si verificano rumorosi assembramenti di avventori costituisce uno strumento
preventivo adeguato a rimuovere il pregiudizio per la quiete pubblica, una volta
che sia stabilito un nesso causale tra gli assembramenti e il locale, a
prescindere da qualsiasi profilo di responsabilità soggettiva da parte del
gestore, e dalla riconducibilità degli stessi assembramenti al pubblico
esercizio per tale, ovvero alle aree pubbliche limitrofe. Pres. De Zotti, Est.
Gabbricci - B. s.a.s. (avv. Zambelli) c. Comune di Verona (avv. Volpe) - TAR
VENETO, Sez. III - 22 maggio 2007, n. 1582
INQUINAMENTO ACUSTICO - Limitazione agli orari di apertura dei locali -
Livelli di rumore previsti per una determinata zona - Superamento - Verifica
strumentale - Necessità - Esclusione - Condizioni - L.R. Veneto n. 40/94, artt.
4 e 5. La verifica strumentale del superamento dei livelli di rumore,
previsti per una determinata zona, realizza presuntivamente una violazione della
quiete pubblica, consentendo all’autorità comunale di disporre per ciò soltanto
una limitazione agli orari di apertura dei locali. Ciò non significa, peraltro,
che tale verifica sia la condizione necessaria per disporre restrizioni d’orario
nell’interesse della salute collettiva, vuoi perché l’art. 4 della l.r. Veneto
n. 40/94 non pone espressamente tale condizione, vuoi perché, comunque, il
relativo potere è agevolmente derivabile dal disposto del successivo art. 5, non
potendosi negare che nella materia siano presenti specifici profili d’interesse
pubblico. La mancanza di tali verifiche dovrà naturalmente essere colmata da
un’appropriata attività istruttoria, che accerti la lesione degli interessi
tutelati. Pres. De Zotti, Est. Gabbricci - B. s.a.s. (avv. Zambelli) c. Comune
di Verona (avv. Volpe) - TAR VENETO, Sez. III - 22 maggio 2007, n. 1582
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO,
terza Sezione
Ric. n. 1224/2006
Sent. n. 1582/07
con l'intervento dei signori magistrati:
Angelo De Zotti Presidente
Marco Buricelli Consigliere
Angelo Gabbricci Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio, introdotto con il ricorso n. 1224/2006, proposto da “Bar
Paninoteca Dal Colle di Genovese Enrico & C.” S.a.s., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. M.L. Tezza, con
domicilio eletto in Venezia Mestre, via Cavallotti 22, presso lo studio
dell’avv. F. Zambelli;
contro
il Comune di Verona, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. F. Volpe, con domicilio eletto in Venezia, S. Marco 2959, presso lo
studio dell’avv. M. De Giudici;
A. per l’annullamento dell’ordinanza 21 marzo 2006, n. 3376, notificata in data
3 aprile 2006, con la quale il dirigente del Settore commercio ed attività
produttive del Comune di Verona ha disposto che la ditta Bar Paninoteca Dal
Colle di Genovese Enrico & C. S.a.s., avrebbe effettuato la chiusura
dell’esercizio non oltre le ore 24 nelle giornate di venerdì, sabato e domenica,
a decorrere dal giorno immediatamente successivo a quello della notifica;
B. per il risarcimento del danno sofferto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’ atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 1 febbraio 2007 - relatore il consigliere avv.
A. Gabbricci - l’avv. Bertoldi in sostituzione di Tezza per la ricorrente;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Il bar - paninoteca Dal Colle svolge la sua attività di somministrazione di
alimenti e bevande in una piazza di Verona.
Nel 2004 e nel 2005, dopo le lagnanze dei vicini, che lo segnalavano come fonte
di disturbo nelle ore notturne, furono svolti alcuni successivi controlli dalla
locale polizia municipale, la quale confermò le proteste.
Nel giugno 2005, pertanto, il Comune informò l’interessato che era stato avviato
il procedimento per la modifica dell’orario d’apertura, poiché era stato
accertato che, in orario serale e notturno, “i numerosi avventori che affollano
l’esercizio e che stazionano all’esterno dello stesso, provocano una situazione
di rumorosità tale da pregiudicare il riposo delle persone”.
Dal Colle inviò le proprie deduzioni indicando alcune misure utili; e, sebbene
all’inizio del mese di agosto una relazione della polizia municipale avesse
confermato la persistenza del disturbo, l’Amministrazione, con la nota 25 agosto
2005 del Settore commercio, decise di sospendere il procedimento, la cui ripresa
venne correlata all’efficacia delle misure, adottate allo scopo sia di prevenire
ogni situazione di disturbo, causata “da vociare, schiamazzi, riproduzioni
musicali nell’area circostante il pubblico esercizio”, sia, inoltre, di
“eliminare il disturbo ed il disagio arrecato ai vicini”. Erano altresì
impartite alcune prescrizioni (ridurre a livelli da non arrecare disturbo il
volume dell’impianto musicale, che avrebbe dovuto essere spento alle 24, e
“conferire l’incarico a personale di sorveglianza affinché provveda a mantenere
il tono delle conversazioni dei clienti all’esterno del locale su toni
moderati”) rappresentando come l’inosservanza delle stesse avrebbe comportato
l’immediata adozione del provvedimento, senza ulteriori avvisi.
Alla fine di settembre 2005, la polizia municipale segnalò al settore commercio
che un nuovo sopralluogo aveva rivelato come la situazione fosse sostanzialmente
immutata: per cui, con l’ordinanza n. 88, emessa ex art. 54, III comma, d. lgs.
18 agosto 2000, n. 267, e comunicata il 24 ottobre 2005, il sindaco di Verona
ordinò alla Dal Colle di provvedere, per un periodo di sessanta giorni dalla
comunicazione del provvedimento, “alla chiusura dell’esercizio non oltre le ore
24 nelle giornate di venerdì, sabato e domenica”, con l’ulteriore precisazione
che, se tale provvedimento si fosse rivelato insufficiente ad assicurare il
rispetto e la tutela della pubblica tranquillità, si sarebbero adottate
ulteriori limitazioni dell’orario.
Appena scaduto il termine d’efficacia, il Settore commercio, richiamata
l’ordinanza sindacale, avviò, con nota 23 dicembre 2005, il procedimento per la
riduzione in via definitiva dell’orario, cui seguirono le nuove osservazioni
della ditta interessata, pervenute il giorno 11 gennaio 2006.
Peraltro, la polizia municipale trasmise, negli stessi giorni, un’ulteriore
relazione di servizio, riferita ad un sopralluogo del 20 gennaio, in cui fu
evidenziato “il riacutizzarsi”, dopo che l’ordinanza aveva esaurito i suoi
effetti, “della situazione di disturbo”.
Così, infine, il dirigente del settore adottò l’ordinanza 21 marzo 2006, n. 376,
la quale reiterò le limitazioni all’orario d’apertura fissate nella precedente
ordinanza sindacale, questa volta però senza alcun termine finale d’efficacia.
Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato con il ricorso in esame; il Comune
di Verona si è costituito in giudizio, concludendo per la reiezione.
DIRITTO
1.1. Il primo motivo è rubricato nella violazione del principio del
contraddittorio e del giusto procedimento, nonché degli artt. 7 e 10 della l.
241/90, e nel vizio di carenza di motivazione.
La censura s’incentra sull’avviso datato 23 dicembre 2005, con cui è stato
avviato il procedimento, conclusosi con il provvedimento impugnato.
Anzitutto, questo sarebbe stato formato prima che la precedente ordinanza
sindacale avesse cessato i suoi effetti, e, comunque, senza attendere un
ragionevole intervallo di tempo, in cui svolgere le opportune verifiche;
inoltre, lo stesso avviso mancherebbe dei contenuti necessari, poiché non
indicherebbe le norme applicabili, non chiarirebbe i presupposti e non
richiamerebbe alcun accertamento compiuto.
Esso si limiterebbe, invece, a far riferimento alla cessata ordinanza, peraltro
emessa a termine, in presenza di una situazione d’urgenza: e volerla confermare,
solo perché scaduta, sarebbe palesemente illegittimo ed inficerebbe il
provvedimento definitivo per sviamento.
L’unico accertamento eseguito dal Comune sarebbe peraltro avvenuto dopo l’avvio
del procedimento, e senza la partecipazione dell’interessato, i cui scritti
difensivi, depositati nel corso dello stesso procedimento, non sarebbero stati
presi minimamente in considerazione.
1.2. Il secondo motivo è poi rubricato nell’istruttoria carente, insufficiente
ed incongrua: il provvedimento, infatti, si fonderebbe su di un unico
sopralluogo, svolto un sabato, intorno alle ore 0.40, e perciò del tutto
insufficiente a giustificare limitazioni così ampie, e per l’intero fine
settimana.
D’altro canto (III motivo di ricorso: travisamento dei presupposti, motivazione
incongrua e carente, sviamento) nel relativo verbale si esporrebbe che, “in
seguito ad accertamenti effettuati (…) nel fine settimana sono tornati a
manifestarsi i fenomeni di disturbo in tutta la loro pesantezza riproponendo
pertanto il disagio patito da parte dei residenti”.
Viceversa, secondo la Dal Colle, durante quel sopralluogo non sarebbe stato
appurato nulla di simile, ma soltanto che il pubblico esercizio era “gremito di
avventori”, e “pressoché continuo era il via vai della clientela che si
alternava da e per il locale, prevalentemente per servirsi di bevande che poi
venivano consumate all’esterno”; qui s’intratteneva “una trentina di persone il
cui conversare si diffondeva a distanza risultando udibile anche dal lato
opposto della piazza”.
Tale situazione non sarebbe idonea ad integrare un disturbo per la quiete
pubblica, e, in ogni caso, non potrebbe essere imputata all’esercizio della
ricorrente.
1.3. Il quanto motivo è compendiato nell’omessa applicazione della normativa in
materia d’inquinamento acustico, nel difetto d’istruttoria e di motivazione.
Il pubblico esercizio de quo, come già detto, si trova in una piazza, in zona
classificata tra le aree ad intensa attività umana, per le quali il d.P.C.M. 1
marzo 1991 ha previsto un livello sonoro pari a 65 decibel nelle ore diurne e 55
decibel in quelle notturne.
Così, secondo la ricorrente, il Comune di Verona avrebbe dovuto svolgere
indagini tecniche e fonometriche per rilevare l’eventuale superamento dei limiti
fissati dal decreto, ovvero dall’eventuale piano comunale approvato.
Viceversa, l’ordinanza non contiene alcun riferimento a tali valori, ovvero ad
un qualsiasi metodo di misurazione del livello sonoro: non sarebbe stata svolta
alcuna oggettiva indagine tecnica, e tutto si ridurrebbe all’apprezzamento
soggettivo di due vigili, per i quali le conversazioni degli astanti sarebbero
state udibili anche dal lato opposto della piazza, senza neppure tener conto dei
rumori di fondo, conseguenza anche del traffico veicolare.
1.4. Nel V motivo le censure si riferiscono all’insussistenza dei presupposti di
fatto e di diritto, nonché alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4
e 5 della l.r. 14 aprile 1994, n. 40, la quale disciplina i criteri per la
determinazione degli orari degli esercizi che somministrano al pubblico alimenti
e bevande: disposizioni poste espressamente a fondamento del provvedimento
impugnato.
Invero, l’art. 4, in particolare, impone al sindaco, nella determinazione degli
orari dei detti esercizi, di “assicurare, all’esterno come all’interno dei
locali, il rispetto della normativa statale e regionale in materia di
inquinamento acustico, al fine di tutelare in via primaria la quiete pubblica”.
Orbene, nella fattispecie la rumorosità lamentata non sarebbe ricollegabile
all’esercizio, e ciò emergerebbe dalla relazione di sopralluogo, nella quale si
fa riferimento alle persone presenti all’esterno del locale, una trentina, “il
cui conversare si diffondeva a distanza”.
Ora, rileva la ricorrente, la piazza dove si affaccia il locale è un luogo di
sosta ed incontro del quartiere: la presenza costì di un locale potrà anche
costituire un ulteriore motivo d’incontro, ma non per questo “può imputarsi ad
un bar la causa del disturbo provocato dalle persone che si trovano per
chiacchierare negli spazi prospicienti”.
Inoltre, seguita il ricorso, l’ordine pubblico, cui si deve avere riguardo, ai
sensi del citato art. 5 per valutare l’opportunità dì modificare l’orario, “è
esclusivamente quello riferibile agli spazi concessi (interni o esterni) ai
locali”; la tutela dell’ordine pubblico al di fuori di spazi opportunamente
autorizzati “è infatti di stretta competenza degli organi a ciò preposti”, e non
si può certo attribuire ad un privato la responsabilità e l’obbligo di vigilanza
sull’ordine di spazi pubblici.
1.5. Nel VI motivo - eccesso di potere per sviamento - si rileva poi come i
comportamenti perseguiti con il provvedimento impugnato sono vietati e
sanzionati dalle norme in materia di polizia urbana, che al Comune spetta di far
osservare attraverso la polizia municipale e non delegando tali compiti ai
gestori dei pubblici esercizi: questi, dunque, non possono essere pregiudicati
dalla negligenza con cui l’Amministrazione svolge le sue funzioni istituzionali.
1.6. Il VII motivo censura poi il provvedimento per violazione del principio di
proporzionalità dell’azione amministrativa, nonché di quello dell’adeguatezza, e
per omessa comparazione degli interessi.
La chiusura alle 24.00, anziché alle 2.00, determina per la Dal Colle la lesione
del suo diritto ad esercitare la propria attività commerciale, ed è
sproporzionata rispetto al risultato da conseguire.
Il provvedimento non considera cioè minimamente “l’interesse di tutta quella
gioventù utente (ma non solo) del locale della ditta ricorrente nella fascia
serale dalle 24.00 alle 02.00”.
Il provvedimento medesimo sarebbe poi eccessivo anche con riferimento
all’accadimento che lo fonda: e, cioè, il rumore provocato dalla conversazione
di una trentina di persone, occasionalmente accertato in una sola occasione.
1.7. Infine, nell’ultimo motivo (sviamento di potere per difetto del presupposto
costituito dal pubblico interesse; mancata ponderazione degli interessi;
travisamento ed insussistenza dei presupposti di fatto) si rileva, anzitutto,
come il potere d’ordinanza debba essere finalizzato alla tutela di un interesse
pubblico, che peraltro non sarebbe qui possibile individuare.
Inoltre, non si potrebbe neppure circoscrivere un ipotetico interesse privato
(cui pure l’ordinamento appresta altri strumenti di tutela contro le immissioni
pregiudizievoli) pretesamente danneggiato dall’attività svolta, fra le 24.00 e
le 2.00, dalla ricorrente, la quale s’è anche accollata una serie d’interventi,
con cui sono stati eliminati i problemi di rumorosità, lamentati da alcuni
condomini; interventi pienamente efficaci, visto che, dopo la scadenza
dell’ordinanza sindacale, non è pervenuta alcuna lamentela dai condomini.
Infine, la ricorrente sottolinea come il locale rappresenti un punto di
aggregazione per i giovani - titolari di interessi pubblici che vanno anch’essi
considerati - ed idoneo a conferire vitalità alla piazza, come sarebbe
confermato da alcuni residenti nell’area.
2.1. Orbene, è anzitutto opportuno sottolineare, in termini generali, come la
quiete pubblica - intesa come limite di compatibilità delle emissioni sonore,
prodotte da una fonte determinata, con uno specifico ambito territoriale, in
relazioni alle caratteristiche di questo, secondo un criterio di media
tollerabilità - costituisca un bene collettivo, il quale si va facendo vieppiù
scarso, rispetto al passato, anche nelle ore notturne: e poiché questo è il
periodo della giornata che la massima parte della popolazione dedica al riposo,
è evidente che, con l’incremento dei rumori, per questa sono aumentati disagi
fisici e psicologici che, non di rado, sfociano in malattie vere e proprie.
La quiete costituisce, dunque, una condizione necessaria affinchè sia garantita
la salute, che deve essere tutelata “come fondamentale diritto dell’individuo ed
interesse della collettività” (art. 32 Cost.) dagli Enti pubblici competenti,
tra cui certamente i Comuni: e se questi ne hanno il dovere, certamente i
cittadini hanno a loro volta un interesse, variamente azionabile, a che le
Amministrazioni reprimano quei comportamenti che pregiudicano la quiete pubblica
e, per la conseguenza, la salute di un numero indeterminato di persone.
2.2. Il diritto alla quiete, come espressione del diritto alla salute
psicofisica, prevale certamente sugli interessi economici di quanti
costituiscano la causa diretta od indiretta del disturbo, svolgendo (come nel
caso) un’attività economica di cui essi soli percepiscono i proventi,
riversandone viceversa sulla collettività circostante i pregiudizi; egualmente,
tale diritto prevale su quello che, nel presente ricorso, viene definito
l’interesse della “gioventù utente” ad “aggregarsi” durante la notte in luoghi
pubblici, sia perché la socializzazione può svolgersi anche in altro orario,
sia, più realisticamente, perché quella ben può riunirsi, durante le ore
notturne, in luoghi in cui non interferiscono con le altrui esigenze di riposo,
mentre, ovviamente, non è vero l’opposto.
3.1. Tanto stabilito, si può passare all’esame della fattispecie concreta e,
così, ad uno dei profili di maggior rilievo, che concerne la carenza
dell’istruttoria svolta prima di emettere il provvedimento gravato: ciò che, in
qualche misura, la Sezione aveva inizialmente riconosciuto, ad un primo sommario
esame, nell’ordinanza 539/06, con la quale aveva sospeso il provvedimento
impugnato.
Orbene, riconsiderando la fattispecie, il Collegio deve invece convenire con le
difese dell’Amministrazione che l’accertamento svolto nel gennaio 2006 non
costituisce un controllo isolato, che sarebbe di per sé inidoneo a fondare il
provvedimento, quanto invece l’ultima di una serie di verifiche, svolte
nell’arco di circa due anni, di cui si è dato conto nella precedente
esposizione, e che avevano condotto sempre al medesimo risultato: e, cioè, che,
nel periodo d’interesse, il bar Dal Colle ha costituito, direttamente o
indirettamente una rilevante fonte di disturbo per gli abitanti della zona.
In altri termini, dunque, il provvedimento impugnato si fonda su di
un’istruttoria convenientemente approfondita, la quale ha condotto a risultati
omogenei e coerenti, che costituiscono a loro volta presupposto idoneo per la
decisione assunta dall’Amministrazione comunale.
3.2. Non pare poi revocabile in dubbio che un assembramento composto da decine
di giovani, riuniti a scopo ricreativo, determini oggettivamente, secondo
esperienza e ragionevolezza, una fonte di rumore, variabile ma comunque
ponderosa, la quale, soprattutto in orario notturno, può sicuramente impedire il
riposo di quanti, pur senza avere una particolare sensibilità, costì risiedono,
anche a svariate decine di metri, determinando così un concreto pregiudizio per
la quiete pubblica, che l’Amministrazione comunale è tenuta a rimuovere,
avvalendosi degli strumenti più opportuni, secondo valutazioni di convenienza ed
adeguatezza.
Uno tra questi è indubbiamente, come rileva la stessa ricorrente, la repressione
dei comportamenti di disturbo, nel momento in cui gli stessi si verifichino,
Ciò, peraltro, non esclude che a questi interventi si possa aggiungere
un’attività preventiva, per comune esperienza assai più efficace in tali
situazioni: e la riduzione dell’orario notturno di un pubblico esercizio,
operante nell’area in cui tali rumorosi assembramenti si verificano, costituisce
in tal senso uno strumento adeguato, una volta che sia stato stabilito un nesso
causale tra questi ed il locale, a prescindere da qualsiasi profilo di
responsabilità soggettiva da parte del gestore, e dalla riconducibilità degli
stessi al pubblico esercizio per tale, ovvero alle aree pubbliche limitrofe.
3.3. Quest’ultimo, è, in effetti, un aspetto che va in particolare sottolineato:
diversamente da quanto il ricorso sembra prospettare, il provvedimento che
limita l’orario di apertura, non ha un contenuto sanzionatorio, per cui è
insignificante stabilire se il gestore abbia operato o meno nel rispetto degli
obblighi prescritti dalle disposizioni vigenti: ciò che rileva, invece, è se la
riduzione d’orario possa ragionevolmente comportare un significativo e
persistente beneficio per la quiete pubblica, in misura tale da essere
prevalente rispetto al sacrificio richiesto al privato.
3.3. Ora, nella fattispecie, non pare possibile dubitare dell’esistenza di tale
nesso causale, se si esaminino le relazioni dei sopralluoghi svolte.
Da queste risulta infatti che gli avventori acquistavano, anche a più riprese,
presso il bar Dal Colle cibi e bevande, che poi consumano all’esterno,
nell’immediata prossimità dello stesso.
È dunque evidente che gli assembramenti sono, se non causati in via esclusiva,
comunque oggettivamente agevolati ed incentivati dalla presenza del locale: per
cui è del tutto ragionevole supporre che, a partire dall’ora di chiusura
dell’esercizio, gli stessi si sciolgano o almeno si riducano celermente,
riportando così le emissioni sonore pregiudizievoli entro limiti di
tollerabilità.
Pertanto, la limitazione dell’orario appare pienamente giustificata, né il
sacrificio imposto alla Dal Colle appare eccessivo, dato che le è stato comunque
permesso di continuare ad operare fino alle prime ore della notte.
3.4. D’altronde, il Collegio non ritiene che la determinazione assunta
dall’Amministrazione sia in qualche misura preclusa dalle norme citate dalla
ricorrente.
Invero, l’art. 4 della citata l.r. 40/94 dispone che, nella determinazione degli
orari, per gli esercizi che somministrano al pubblico alimenti e bevande,
l’Autorità comunale deve assicurare, “all’esterno come all’ interno dei locali,
il rispetto della normativa statale e regionale in materia di inquinamento
acustico, al fine di tutelare in via primaria la quiete pubblica”; inoltre, il
seguente art. 5 stabilisce che possono essere disposte, in via permanente o per
situazioni contingenti, limitazioni agli orari per ragioni di ordine pubblico,
di pubblica sicurezza, o comunque di interesse pubblico.
Ora, non v’è dubbio che la verifica strumentale del superamento dei livelli di
rumore, previsti per una determinata zona, realizzi presuntivamente una
violazione della quiete pubblica, e che ciò consenta all’autorità comunale di
disporre per ciò soltanto una limitazione agli orari d’apertura dei locali.
Ciò non significa, peraltro, che tale verifica sia la condizione necessaria per
disporre restrizioni d’orario nell’interesse della salute collettiva (cui, come
detto, la quiete pubblica è strettamente correlata) vuoi perché la norma non
pone espressamente tale condizione, vuoi perché, comunque, il relativo potere è
agevolmente derivabile dal disposto dell’ art. 5, non potendosi evidentemente
negare che nella materia siano presenti specifici profili d’interesse pubblico.
È evidente che la mancanza di tali verifiche dovrà essere colmata da
un’appropriata attività istruttoria, che accerti comunque la lesione degli
interessi tutelati, e che, in specie, come già osservato, si può ritenere
certamente convenientemente effettuata.
3.5. Resta così soltanto da considerare il primo motivo di ricorso, riferito al
procedimento svolto.
La censura, peraltro, tende in qualche modo ad identificare l’avviso di avvio
del procedimento con il provvedimento conclusivo, laddove ciò che conta, ai fini
della legittimità dell’azione amministrativa, è che quest’ultimo non sia stato
assunto immediatamente dopo la precedente ordinanza sindacale, e sia stato
preceduto da verifiche, svolte dopo che quella aveva esaurito i suoi effetti
come nel caso è accaduto: d’altronde, non è revocabile in dubbio che il momento,
in cui l’avviso d’avvio è stato emesso, non ha in sé pregiudicato i diritti
partecipativi dell’interessato, già da lungo tempo a piena conoscenza della
situazione esistente.
4. In conclusione, il ricorso va integralmente respinto: l’incertezza, anche in
giurisprudenza, delle questioni trattate, costituisce comunque motivo
sufficiente per disporre tra le parti l’integrale compensazione delle spese di
lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera
di consiglio addì 1 febbraio 2007.
Il Presidente
l’Estensore
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