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TAR VENETO, Sez. III, 12 dicembre 2007, sentenza n. 3963
RIFIUTI - Fanghi di depurazione e
residui agroalimentari - Recupero mediante spandimento in agricoltura -
Costituisce “trattamento” ai sensi dell’art. 49 delle N.T.A. del PAQE della
Regione Veneto . Ai fini di cui all’art. 49 del le N.T.A. del Piano d’Area
-Quadrante Europa (PAQE) della Regione Veneto, che vieta la collocazione di
impianti di trattamento e/o smaltimento dei rifiuti nelle zone individuate come
ambiti prioritari per la difesa del suolo, costituisce “trattamento” la
manipolazione di rifiuti, per ricavarne concimi o ammendanti, laddove
l’operazione che ne consegue (“spandimento sul suolo a beneficio
dell’agricoltura”) è un’operazione di recupero, per espressa statuizione
dell’allegato C al d.lgs. n. 22/97. Il termine “trattamento”, non è infatti
proprio del D.Lgs. n. 22/97, il cui art. 2, c. 2 fa riferimento alle sole
operazioni di recupero o smaltimento: pertanto sono operazioni di
trattamento/recupero tutte quelle che coinvolgono rifiuti, non qualificabili
come smaltimento. (Nella specie, la provincia aveva negato l’autorizzazione alla
realizzazione di un impianto di “condizionamento dei fanghi di depurazione ed
altri residui agroalimentari finalizzato al loro recupero mediante spandimento
in agricoltura”, sulla scorta della previsione di cui all’art. 49 sopra
riportato). Pres. De Zotti, Est. De Piero - A. s.r.l. (avv. ti Facciolo, Ferrari
e Pinello) c. Provincia di Verona (avv.ti Biancardi, Sorio e Sartori) -
T.A.R. VENETO, Sez. III - 12 dicembre 2007, n. 3963
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO,
terza Sezione
Ricorso n. 2796/05
Sent. 3963/07
con l'intervento dei signori magistrati
Angelo De Zotti Presidente
Rita De Piero Consigliere relatore
Angelo Gabbricci Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 2796/05, proposto da Agritec s.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Guido Facciolo,
Barbara Ferrari e Giorgio Pinello, con elezione di domicilio presso lo studio
dell’ultimo in Venezia, San Polo n. 3080/L;
contro
la Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv. Giancarlo Biancardi, Isabella Sorio e Antonio Sartori, con
domicilio eletto presso l’ultimo in Venezia Mestre, Calle del Sale n. 33;
e nei confronti
del Comune di Zevio, in persona del Sindaco pro tempore, costituito in giudizio
col patrocinio degli avv. Giovanni Sala e Franco Zambelli, presso il quale ha
eletto domicilio in Venezia Mestre, via Cavallotti n. 22; nonché del dott.
Pierantonio Turco, costituito in giudizio col patrocinio degli avv. Piero
Trabucchi, Nicola Manzini e Luigi Carponi Schittar, con elezione di domicilio
presso lo studio dell’ultimo, in Venezia Mestre, via Aleardi n. 41;
per l'annullamento
del provvedimento della Provincia di Verona n. 4258 del 2.8.05, di diniego
dell’autorizzazione per la realizzazione di un impianto di messa in riserva e
miscelazione di fanghi destinati allo spandimento sul suolo a beneficio
dell’agricoltura; e, ove occorra, del parere contrario della C.T.P.A n. 31 del
18.7.05; nonché per il risarcimento dei danni patiti.
Visto il ricorso, notificato il 15.11.05 e depositato presso la segreteria il
14.12.05, con i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione della Provincia di Verona, del Comune di Zevio e di
Pierantonio Turco, con i relativi allegati;
visti gli atti tutti della causa;
uditi - alla pubblica udienza dell’11.10.07 (relatore il cons. De Piero) -
l’avv. Ferrari, per la Società ricorrente; l’avv. Sartori, per la Provincia di
Verona; l’avv. Ruffo, in sostituzione di Sala, per il Comune di Zevio, nessuno
comparso per il controinteressato Pierantonio Turco;
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. - La Società ricorrente espone di aver presentato alla Provincia di Verona,
in data 23.2.04, una domanda (corredata da tutta la prescritta documentazione)
intesa ad ottenere l’approvazione del progetto - e l’autorizzazione
all’esercizio - di un impianto per l’attività di recupero di rifiuti non
pericolosi (in specie: fanghi di depurazione, residui agroalimentari, paglie
cereali ecc.) destinati allo spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura;
impianto da ubicare in via Fienil Bianco, in frazione Santa Maria del Comune di
Zevio, in zona E, utilizzando alcuni edifici ivi allocati, allo stato adibiti ad
annessi rustici.
1.1. - Dopo varie riunioni istruttorie presso la Provincia di Verona - presenti
i rappresentanti del Comune, dell’U.L.S.S. n. 21 e dell’A.R.P.A.V. competenti -
numerose richieste di integrazione documentale (prontamente evase),
l’espressione di svariati pareri, le contestazioni di un Comitato spontaneo di
cittadini e l’opposizione del dott. Pierantonio Turco (per tale ragione evocato
quale controinteressato), e financo l’emanazione - da parte della stessa
Provincia di Verona - dell’autorizzazione ad utilizzare il prodotto che sarebbe
derivato dalla miscelazione di fanghi nel progettato impianto, si giungeva
infine all’opposto diniego.
Contro il quale la ricorrente deduce i seguenti motivi di ricorso:
1) violazione dell’art. 10-bis della L. 241/90 e violazione del giusto
procedimento.
Il provvedimento di diniego è illegittimo in quanto non preceduto dal preavviso
di provvedimento negativo; ne è applicabile, nella specie, la “sanatoria” dei
vizi formali di cui all’art. 21-octies, trattandosi di atto discrezionale, in
relazione al quale le osservazioni della ricorrente avrebbero potuto portare ad
un risultato diverso.
2) Violazione dell’art. 1 della L. 241/90. Violazione del giusto procedimento.
La ricorrente ripercorre il complesso iter procedimentale posto in essere dalla
P.A., rilevando che esso è stato inutilmente aggravato da molteplici riunioni
istruttorie, che ne hanno allungato i tempi, e da richieste, pretestuose e non
necessarie, di integrazioni istruttorie, peraltro puntualmente ottemperate.
Tutto ciò, al solo scopo di pervenire, per un motivo qualsiasi, a giustificare
il diniego.
3) Contraddittorietà e travisamento di fatto. Contraddittorietà e della
motivazione.
Secondo l’Amministrazione, il progetto non può essere approvato per la mancanza
di compatibilità urbanistica ed ambientale.
Quanto all’aspetto ambientale, osserva l’istante che la Provincia di Verona, con
atto n. 48/05 (emesso in corso di procedimento), l’ha autorizzata a spandere sul
suolo i fanghi derivanti dalla miscelazione dei rifiuti, per effettuare la quale
è necessario realizzare l’impianto denegato con l’atto impugnato. Nel
provvedimento si precisa che detti fanghi - che, per le loro caratteristiche,
rientrano nei valori limite di cui al D.Lg. 99/92 e DGRV n. 3247/95 - hanno
“comprovata utilità ai fini agronomici”.
Se, dunque, i fanghi sono compatibili sotto il profilo ambientale, lo sarà anche
l’impianto ove “verrebbe svolta solo l’attività di miscelazione “ degli stessi e
null’altro.
La Società censura puntualmente anche altri aspetti della motivazione, ed
esattamente i punti in cui si sostiene che non è stata dimostrata la necessità -
a livello provinciale - di un impianto del tipo di quello per il quale era stata
richiesta l’autorizzazione; che il progetto non può essere assentito in quanto
l’impianto risulterebbe posizionato nelle vicinanze di un edificio del 1596 per
il quale la Soprintendenza di Verona sta formulando una proposta di vincolo; che
la pratica non è stata integrata per quanto concerne il Piano di Assetto
Idrogeologico del fiume Adige ed i siti di importanza comunitaria, delle zone di
protezione speciale; e, infine, che il progetto non contiene una sezione
dedicata alla stabilizzazione dei fanghi.
4) Violazione dell’art. 49 e dell’art. 51 delle N.T.A. del PAQU. Travisamento.
L’ultimo dei motivi del diniego è l’asserita non conformità del progetto con la
destinazione di zona, riferita al Piano d’Area -Quadrante Europa (PAQE), in
quanto l’impianto risulterebbe ubicato nell’ambito prioritario per la protezione
del suolo individuato nella tavola 2 del PAQE stesso, all’interno del quale, a
tenore degli artt. 49 e 51 delle N.T.A., non possono essere realizzati impianti
di trattamento e smaltimento di rifiuti.
Ad avviso della ricorrente, ciò non è, per svariati motivi: innanzi tutto
perché, nella riunione presso la Provincia di Verona del 7.4.04, il Comune di
Zevio aveva attestato la piena conformità urbanistica delle aree, site in zona
E, e ciò era stato ribadito dall’autorizzazione allo spandimento dei fanghi n.
48/05, ove si confermava la natura agricola dell’area, priva di vincoli di
natura paesaggistica o ambientale. Secondariamente, perché il Comune di Zevio
non ha ancora recepito le direttive del PAQE, adeguando lo strumento
urbanistico, con la conseguenza che - allo stato - non possono essere applicate
le prescrizioni e i vincoli che tale Piano pone agli ambiti prioritari per la
difesa del suolo (ma non alle zone agricole tout-court).
In ogni caso, anche a voler ritenere le prescrizioni del PAQE applicabili,
l’art. 49 vieta solamente la collocazione - negli ambiti prioritari per la
difesa del suolo - di impianti di trattamento e/o smaltimento rifiuti, laddove
quello di cui si controverte è un impianto di recupero, che prevede la sola
lavorazione di rifiuti recuperabili non pericolosi destinati a essere reinseriti
nel ciclo produttivo.
Infine, l’art. 51 del PAQE stabilisce che, nelle zone individuate come ambiti
prioritari per la difesa del suolo, i Comuni, in sede di adeguamento al PAQE
stesso attraverso apposito regolamento, forniscano indirizzi per la progressiva
eliminazione di colture che richiedono un robusto impiego di fertilizzanti e
antiparassitari, in favore della bioagricoltura; appare quindi ancora più
irrazionale negare la realizzazione di un impianto finalizzato alla produzione
di concimi naturali indispensabili proprio per la bioagricoltura.
2. - Si è costituita in giudizio la Provincia di Verona, che puntualmente
controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione.
3. - Anche il Comune di Zevio è presente in giudizio, e contrasta con ampie
argomentazioni le deduzioni della ricorrente.
3.1. - In limine - premesso di essere stato chiamato in causa solo per aver
espresso nel procedimento la propria contrarietà al progetto con un parere che
costituisce mero atto endoprocedimentale - chiede di essere estromesso dal
processo, in quanto non legittimato passivamente.
4. - Si è costituito in giudizio il dottor Pierantonio Turco, parimenti
eccependo il difetto di legittimazione passiva. Egli dichiara, infatti, di
essere il proprietario dell’edificio risalente al 1596 - nei confronti del quale
sta per essere attivata la procedura di vincolo - sito a circa 70 metri dal
progettato impianto, e di aver unicamente segnalato - nel normale rapporto di
collaborazione tra cittadino ed autorità - tale circostanza alla Provincia.
5. - Innanzi tutto vanno delibate le eccezioni di carenza di legittimazione
passiva sollevate dal Comune di Zevio e dal dott. Turco, che non appaiono
fondate.
Infatti, sia il Comune che il dottor Turco hanno espresso nel procedimento
parere contrario (per ragioni diverse) alla realizzazione del progettato
impianto di messa in riserva e miscelazione di fanghi destinati allo spandimento
sul suolo a beneficio dell’agricoltura, e sono direttamente interessati alla
conservazione del provvedimento di diniego qui impugnato. Quindi, agli stessi
non si può non riconoscere, quanto meno, la qualità di controinteressati
sostanziali, che essi hanno vieppiù confermato costituendosi in giudizio non al
mero fine di provocare la propria estromissione, bensì esperendo difese
sostanziali volte a sostenere la legittimità del provvedimento e a conservarne
gli effetti.
6. - Nel merito, peraltro, il ricorso non è fondato.
Il primo motivo eccepisce il mancato preavviso di provvedimento negativo, che,
ad avviso della ricorrente non potrebbe neppure essere superato con la
“sanatoria legale” di cui all’art. 21-octies, dato che il provvedimento non ha
contenuto vincolato.
La doglianza non ha fondamento.
Invero, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, le disposizioni in tema di
comunicazione di avvio del procedimento -ovvero di preavviso di provvedimento
negativo, per il quale valgono le medesime regole (cfr. :Tar Veneto, sez. II, n.
940/07) - non vanno applicate formalisticamente, ma tenendo conto della loro
ratio che è quella di porre il cittadino in condizione - rispettivamente - di
partecipare al procedimento ovvero di conoscere le ragioni della emananda
determinazione a lui sfavorevole, e di potervi contraddire già in fase
procedimentale. Se questo, come nel caso di specie, è di fatto avvenuto (come si
può agevolmente dedurre dalla documentazione in atti), cioè se il privato ha
partecipato o ha avuto la possibilità di partecipare, o di contraddire la
determinazione negativa già prima della sua emanazione, l’eventuale vizio
procedimentale (consistente nella mera omissione di un atto, ma non nella
privazione delle facoltà cui esso atto è funzionalizzato) non appare idoneo ad
arrecare alcuna effettiva lesione della posizione giuridica soggettiva
dell’interessato, cosicché l’annullamento sarebbe un rimedio del tutto
sproporzionato (Tar Lombardia, Milano, n. 1396/07). Oltre a ciò, va ricordato
che, in ogni caso, il vizio di omessa comunicazione di provvedimento negativo,
deve ritenersi superato ogni qual volta l’Amministrazione possa dimostrare in
giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso da quello
concretamente emanato (cfr., da ultimo, C.S., sez. III, n. 1302/06; Tar Lazio,
sez. III bis, n. 259/07). Nella specie, come si preciserà più oltre, è proprio
così.
Il primo motivo di ricorso va quindi respinto.
6.1. - Neppure il secondo, con cui si lamenta un illegittimo aggravio del
procedimento (dovuto alla sua eccessiva durata e ad asseritamente ingiustificate
richieste di integrazioni documentali, miranti solo a ricercare una ragione per
denegare l’approvazione del progetto), può essere accolto.
La formula organizzatoria della conferenza di servizi di cui all’art. 23, comma
2, lett. c) della L.r. 3/2000, che la P.A. ha utilizzato, ha lo scopo di
snellire il procedimento riunendo in un unico corpus, con funzioni istruttorie
e/o deliberative, tutti i soggetti chiamati ad intervenire - con poteri diversi
- in un determinato procedimento. La vicenda all’esame ha richiesto ben quattro
sedute istruttorie sia per la complessità degli elementi da acquisire e
valutare, sia perché sono state portate nel procedimento istanze di ulteriori
soggetti (quali il Comitato dei Residenti di S. Maria di Zevio e il dottor
Turco), portatori di interessi comunque meritevoli di disamina e di tutela, sia
perché è risultato necessario chiedere alla Ditta istante chiarimenti e altra
documentazione in esito alle osservazioni di carattere tecnico dell’U.L.S.S. n.
21 e dell’A.R.P.A.V., che hanno determinato la sospensione dei termini.
In definitiva, la durata del procedimento, in relazione a quanto esposto, appare
congrua e le richieste istruttorie non eccedenti le necessità tecniche, né
pretestuose.
6.2. - Quanto alle ulteriori doglianze, appare opportuno richiamare le
motivazioni del provvedimento n. 4258 del 2.8.05 della Provincia di Verona, a
tenore del quale “la decisione si fonda sull’istruttoria dell’ufficio competente
che ha verificato il rispetto dei requisiti stabiliti dalla normativa di settore
richiamata nel parere n. 31 espresso dalla C.T.P.A. in data 18.7.05 che viene
richiamato e forma parte integrante del presente provvedimento”. E’ quindi a
tale ulteriore atto, cioè al parere negativo della Commissione Tecnica
Provinciale per l’Ambiente che va fatto riferimento per ricercare le ragioni del
diniego, che sono così formulate:
1) l’ambito di intervento del progetto ricade nelle previsioni dell’art. 51
“ambiti prioritari per la protezione del suolo” delle N.T.A. del PAQE; e l’art.
49 delle stesse N.T.A. “siti con impianti di lavorazione e/o trattamento dei
rifiuti” stabilisce che nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti
non possono essere ubicati in fregio e all’interno di detto ambito;
2) l’impianto in oggetto è compreso nella tipologia di impianti di trattamento
di cui all’art. 49 delle N.T.A. del PAQE anche se trattasi di un impianto di
recupero;
3) il progetto non contiene dati che dimostrino la necessità, a livello
provinciale, di un impianto di trattamento fanghi, così come non risulta
comprovata la pubblica utilità derivante dalla sua realizzazione;
4) nelle immediate vicinanze (circa 70 metri) esiste un edificio risalente al
1596, in riferimento al quale la Soprintendenza sta formulando una proposta di
vincolo monumentale che renderebbe ancora più incongrua la realizzazione di un
impianto di trattameno rifiuti che contrasterebbe con la necessità di
preservazione dell’immobile e del contesto rurale in cui esso sorge;
5) la pratica non è stata integrata secondo al normativa relativa al Piano di
Assetto Idrogeologico del fiume Adige, ai Siti di Importanza Comunitaria, alle
zone di protezione speciale;
6) il progetto attualmente non prevede una sezione specificatamente dedicata
alla stabilizzazione dei fanghi secondo le indicazioni della D.G.R.V. n. 338
dell’11.2.05 e successive modifiche e integrazioni”.
Sussiste quindi, nella specie, una pluralità di ragioni che sostengono il
diniego e, come ribadito da consolidata giurisprudenza: “in base al principio di
resistenza, la validità anche di una sola delle argomentazioni autonomamente
poste a base del provvedimento è sufficiente ex se a sorreggere il dispositivo
(cfr., da ultimo: C.G.A., n. 31/04; Tar Puglia Bari n. 686/07 e Tar Campania,
Napoli n. 7598/06)”.
6.2.1. - Il Collegio ritiene sussista il contrasto del progetto con l’art. 49
del PAQE, e che esso sia sufficiente a giustificare il diniego di autorizzazione
qui impugnato.
Il PAQE (approvato con D.C.R. n. 69 del 20.10.99) è uno strumento urbanistico
(ed esattamente un Piano d’Area) di livello superiore rispetto ai P.R.G.,
equiparato, dall’art. 3 della L.r. 61/85, al P.T.R.C.. L’art. 103 delle N.T.A.
relativo all’adeguamento degli strumenti territoriali ed urbanistici, fornisce
le necessarie prescrizioni per il recepimento, del Piano stesso, da parte degli
Enti locali “sottordinati”, stabilendo, per quanto qui rileva, che i Comuni
adegueranno i propri strumenti urbanistici alle previsioni del PAQE entro 6 mesi
dalla sua entrata in vigore, recependone peraltro - sin dalla sua entrata in
vigore - “prescrizioni e vincoli”, prevedendo inoltre il ricorso ai poteri
sostitutivi di cui all’art. 69 della L.r. 61/85, in caso di inottemperanza.
All’ultimo comma, stabilisce che “in caso di contrasto con i contenuti di
strumenti urbanistici territoriali e di settore degli enti locali adottati,
prevalgono le disposizioni del presente piano di area”.
E’ quindi chiaro (anche se non ottimamente espresso) che le prescrizioni ed i
vincoli del PAQE si impongono sin dal momento della sua entrata in vigore, nel
1999, e, laddove vi sia contrasto tra quanto previsto dagli strumenti di
pianificazione esistenti e adottati e le prescrizioni e vincoli del PAQE, questi
ultimi sono destinati a prevalere. Sul punto, si è già espressa la
giurisprudenza, in particolare il Tar Veneto, sez. II, con la sentenza n.
6526/02, confermata in appello con decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, n.
5927/03, ove si precisa che “essendo i Piani d’Area collocati dal legislatore
nello stesso livello (orizzontale) del Piano Territoriale Regionale di
Coordinamento … ad essi va riconosciuta la stessa forza modificativa attribuita
a quest’ultimo dall’art. 36 della L.R. n. 61/85, che, ancorché riferito
letteralmente solo al P.T.R.C., non può non considerarsi applicabile anche agli
altri equipollenti strumenti di pianificazione regionale, relativamente alle
clausole immediatamente prescrittive ed impositive di vincoli”; il che significa
che anche l’approvazione del PAQE comporta, a tenore dell’art. 36 della L.r.
61/85, nei riguardi del P.R.G. e degli strumenti urbanistici attuativi, per
quanto concerne le “direttive”: “l’obbligo di adottare la variante di
adeguamento”, e, per quanto riguarda “le prescrizioni e vincoli”: “l’automatica
variazione di Piani comunali e dei relativi elaborati in corrispondenza alle
prescrizioni o a i vincoli approvati, salva la facoltà del Comune di introdurre
gli adattamenti conseguenti”.
6.2.2. - Orbene, il PAQE, all’art. 49 - che si occupa dei siti con impianti di
lavorazione e/o trattamento di rifiuti prevede, tra le “direttive”, che i Comuni
interessati, in sede di adeguamento, prevedano la localizzazione o
rilocalizzazione degli impianti di cui trattasi, privilegiando sistemi di
raccolta differenziata e di recupero delle materie prime; e, tra le
“prescrizioni e vincoli” (immediatamente operativi, per quanto sopra esposto)
che nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti non possono essere
ubicati in fregio e all’interno, tra l’altro “dell’ambito prioritario di
protezione del suolo”.
E’ incontroverso che l’area ove è prevista la realizzazione dell’impianto è
ricompresa nella Tav. n. 2 del Piano d’Area Quadrante Europa, cioè in un ambito
prioritario per la protezione del suolo.
Ne consegue che non è possibile ubicarvi un nuovo impianto di trattamento e
smaltimento dei rifiuti.
6.2.3. - Eccepisce la ricorrente che il progetto de quo non riguarderebbe un
impianto di trattamento e/o smaltimento di rifiuti, bensì di recupero, come tale
escluso dal divieto.
E’ agevole obiettare che il termine “trattamento” usato dall’art. 49 ha una
valenza generale e onnicomprensiva di tutte le operazioni che coinvolgono i
rifiuti, con la conseguenza che, in ogni caso, la miscelazione ed il
condizionamento di fanghi a fini di utilizzo in agricoltura viene a costituire
una modalità di trattamento di rifiuti.
Il termine “trattamento” non è proprio del D.Lg. 22/97, il cui art. 2, comma 2,
così recita: “i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti”; pertanto sono
operazioni di trattamento/recupero tutte quelle che coinvolgono i rifiuti, ma
non sono qualificabili come smaltimento. L’all. C al D.Lg. medesimo, colloca tra
le “operazioni di recupero” il “riciclo/recupero”, cioè il trattamento, delle
sostanze organiche ed inorganiche, e, con la sigla R10, lo “spandimento sul
suolo a beneficio dell’agricoltura”.
Ne consegue che la manipolazione dei rifiuti, per ricavarne concimi o emendanti
costituisce “trattamento” (e la struttura in cui ciò avviene non può essere
altro che un impianto di trattamento) laddove l’operazione che ne consegue
(“spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura”) è, per l’appunto,
un’operazione di recupero.
Conferma quanto esposto anche l’art. 8 del D.Lg. 99/92, - relativo
all’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura - per il quale “le
attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento dei fanghi sono
disciplinate e autorizzate ai sensi della normativa prevista dal decreto del
Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, e successive
integrazioni, dalla legge 20 ottobre 1987, n. 441, dalla legge 9 novembre 1988,
n. 475, e dal presente decreto. Coloro che svolgono o intendono svolgere le
attività sopra indicate, al fine del rilascio dell'autorizzazione di cui sopra,
sono tenuti all'iscrizione all'Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di
smaltimento rifiuti”.
La struttura di cui trattasi - come precisato dalla relazione tecnica - è, per
l’appunto, un “impianto di condizionamento dei fanghi di depurazione ed altri
residui agroalimentari finalizzato al loro recupero mediante spandimento in
agricoltura”, quindi rientra appieno nel novero degli impianti di trattamento
dei rifiuti.
Il ricorso va quindi respinto.
7. - Sussistono, tuttavia, le ragioni di legge per compensare integralmente, tra
le parti tutte, le spese e competenze di causa.
P. Q. M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, l’11.10.07.
Il Presidente
L’Estensore
Il Segretario
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