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TAR VENETO, Sez. II, 18 dicembre 2007, sentenza n. 4029
CAVE E MINIERE - Regione Veneto -
L.R. 44/82 - Apposizione di sigilli ex art. 32 - Natura - Carattere
amministrativo non sanzionatorio - Compentenza comunale - Comunicazione di avvio
del procedimento - Necessità - Esclusione. L’apposizione di sigilli ex art.
32 L.R. Veneto n. 44/82, giustificata dalla violazione di un’ordinanza di
sospensione dei lavori, riveste carattere amministrativo e non sanzionatorio,
per cui va esclusa l’applicazione della L. n. 689/81. Essa trova fondamento nel
potere di vigilanza sull’eventuale abusività o difformità dei lavori dal
permesso di ricerca, dall’autorizzazione o dalla concessione di cava, che, ai
sensi dell’art. 28 della L.R. citata, spetta al Comune territorialmente
interessati, salva trasmissione al presidente della Provincia (o Regionale,
vigendo il regime transitorio ex art. 43) per l'adozione dei provvedimenti di
competenza. L’apposizione di sigilli non necessita peraltro di comunicazione di
avvio del procedimento, trattandosi di provvedimento che va assunto con urgenza
a fronte del rischio di alterazione dello stato dei luoghi su un sito che si
sospetta gravemente inquinato. Pres. ed Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv.
Prandstraller) c. Provincia di Padova (n.c.) e Comune di San Martino in Lupari
(avv.ti Borella e Stivanello Gussoni ), riunito ad altri ric. - T.A.R.
VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007, n. 4029
CAVE E MINIERE - Regione Veneto - L.R. n. 44/82 - Provvedimento revocatorio
ex art. 31 - Presupposti - Fatti naturali - Eventi addebitabili all’attività
imprenditoriale. In materia di cave, il provvedimento revocatorio ex art. 31
della L.R. Veneto n. 44/82 può essere assunto in ragione di eventi che abbiano
comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione
geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed
ampiezza da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava. I fatti
che possono portare ad una revoca possono discendere, oltre che da eventi
naturali, anche da eventi addebitabili alla stessa attività dell'imprenditore,
tra cui irregolarità o gravi inadempienze nella conduzione dell'attività
estrattiva. Pres. ed Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c. Provincia
di Padova (n.c.) e Comune di San Martino in Lupari (avv.ti Borella e Stivanello
Gussoni ), riunito ad altri ric. - T.A.R. VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007,
n. 4029
CAVE E MINIERE - Tutela dell’ambiente - Regioni - Potestà concorrente ex art.
117, Cost. - Potestà di reprimere l’uso scorretto delle risorse in occazione
dell’estrazioen di cava - L.R. Veneto n. 44/82 - Devoluzione alla Regione.
La "tutela dell'ambiente", più che una "materia" in senso stretto, rappresenta
un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare
standard di protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da
queste; ma ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate
nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, comma 3, della
Costituzione, o di quella "residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano
assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale. Peraltro, la
materia del "governo del territorio", rientrante nella potestà legislativa
concorrente ex art. 117, c. 3, Cost. comprende, in linea di principio, tutto ciò
che attiene all'uso del territorio, compresa la localizzazione di impianti o
attività. Sicchè, nello specifico, la potestà di reprimere lo "scorretto" uso
delle risorse in occasione dell'estrazione di cava è correttamente devoluta (L.R.
Veneto n. 44/82) alla Regione, legittimata ad attribuire le relative competenze
alla Provincia. Pres. ed Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c.
Provincia di Padova (n.c.) e Comune di San Martino in Lupari (avv.ti Borella e
Stivanello Gussoni ), riunito ad altri ric. - T.A.R. VENETO, Sez. II - 18
dicembre 2007, n. 4029
DANNO AMBIENTALE - Quantificazione - Competenza - Giunta provinciale -
Rimessione a consulenti esterni - Legittimità. I provvedimenti di
quantificazione del danno ambientale, anche per la valenza discrezionale delle
valutazioni sottese, rientrano nella sfera di competenza della Giunta
provinciale, esulando dai compiti del funzionario dirigente ex art. 107 del
D.lgs 267 del 2000; in considerazione della complessità degli accertamenti e dei
calcoli da effettuare, è peraltro giustificabile la rimessione della
quantificazione del danno a consulenti esterni all’Amministrazione. Pres. ed
Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c. Provincia di Padova (n.c.) e
Comune di San Martino in Lupari (avv.ti Borella e Stivanello Gussoni ), riunito
ad altri ric. - T.A.R. VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007, n. 4029
DANNO AMBIENTALE - Illeciti commessi anteriormente all’entrata in vigore
dell’art. 18 della L. n. 349/1986 - Riconducibilità all’art. 2043 c.c. Il
danno ambientale, anche anteriormente all’art. 18 della L. n. 349/1986, era
riconducibile alla previsione di cui all’art. 2043 c.c., quale illecito
extracontrattuale imputabile al responsabile (nel caso di specie, correlato alla
condotta negligente della ditta che non aveva proceduto alla ricomposizione
ambientale - ex art. 31 L.R. Veneto n. 44/82 - dell’area in cui era subentrata
ad altra impresa). Pres. ed Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c.
Provincia di Padova (n.c.) e Comune di San Martino in Lupari (avv.ti Borella e
Stivanello Gussoni ), riunito ad altri ric. - T.A.R. VENETO, Sez. II - 18
dicembre 2007, n. 4029
DANNO AMBIENTALE - Carattere permanente - Inopponibilità della prescrizione.
Le conseguenze della condotta giuridica fonte di danno ambientale hanno
carattere permanente, e anzi, data la loro natura di compromissione
dell’ambiente, si aggravano con il trascorrere del tempo: al provvedimento di
quantificazione del danno ambientale non è pertanto opponibile la prescrizione.
Pres. ed Est. Zuballi - C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c. Provincia di Padova (n.c.)
e Comune di San Martino in Lupari (avv.ti Borella e Stivanello Gussoni ),
riunito ad altri ric. - T.A.R. VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007, n. 4029
DANNO AMBIENTALE - Sito interessato - Assenza di pregio paesaggistico -
Irrilevanza. Il danno ambientale, per sua natura, può sussistere a
prescindere dal pregio paesaggistico del sito interessato. Pres. ed Est. Zuballi
- C. s.r.l. (avv. Prandstraller) c. Provincia di Padova (n.c.) e Comune di San
Martino in Lupari (avv.ti Borella e Stivanello Gussoni ), riunito ad altri ric.
- T.A.R. VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007, n. 4029
DANNO AMBIENTALE - Coltivazione di cave - L.R. Veneto n. 44/82 - Sanzione
degli illeciti amministrativi conseguenti alla violazione delle disposizioni ex
art 33 L.R. 44/82 - Revoca ex art. 31 - Risarcimento del danno ambientale -
Differenze tra i tre istituti. In materia di coltivazione di cave, la L. R.
Veneto n. 44 del 1982, demanda alla provincia la potestà di sanzionare gli
illeciti amministrativi ex art. 33 conseguenti anche alla violazione delle
prescrizioni dettate in sede di autorizzazione alla coltivazione o di
ricomposizione ambientale. Rimane la possibilità per la Regione - in virtù del
regime transitorio ex art. 43, L.R. n. 44 del 1982 - di ricorrere al diverso
istituto della revoca ex art. 31, qualora il mutamento della situazione
idrogeologica ed ambientale della zona di cava non possa trovare ristoro con la
mera irrogazione delle sanzioni provinciali. Altra cosa dagli art. 31 e 33
ricordati è l’istituto del risarcimento del danno ambientale. Invero, mentre il
decreto di revoca ex art. 31 soddisfa l’interesse pubblico alla cessazione del
rapporto tra l’amministrazione concedente e la ditta titolare di cava, la
liquidazione del danno ambientale mira alla "riparazione" dei danni al bene
ambiente arrecati nell'esercizio dell'attività imprenditoriale: le attività non
corrispondenti alle limitazioni amministrative possono infatti essere tali da
ledere l'ambiente, quale res communis omnium, configurando la
responsabilità extracontrattuale della ditta, con conseguente obbligo di
risarcire il danno arrecato (nella specie, il Tar ha ritenuto configurabili gli
estremi dell’illecito ex art. 2043 c.c. , fonte di responsabilità
extracontrattuale e produttivo di danni ambientali risarcibili, nella
prosecuzione dell’attività di scavo in violazione delle prescrizioni regionali,
unitamente allo scarico di rifiuti non autorizzati). Pres. ed Est. Zuballi - C.
s.r.l. (avv. Prandstraller) c. Provincia di Padova (n.c.) e Comune di San
Martino in Lupari (avv.ti Borella e Stivanello Gussoni ), riunito ad altri ric.
- T.A.R. VENETO, Sez. II - 18 dicembre 2007, n. 4029
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO,
seconda sezione
Ricorsi 2256/01, 2257/01, 2671/01, 494/02, 1047/03, 2846/03, 3090/03, 268/05,
2140/06 e 2295/06
Sent. 4029/07
con l'intervento dei signori magistrati
Umberto Zuballi Presidente relatore
Claudio Rovis Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui seguenti dieci ricorsi riuniti, tutti proposti dalla società Ca’ Vico srl:
n. 1.
ricorso n. 2256/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e
domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia,
Santa Croce 444;
CONTRO
la Provincia di Padova, in persona del Presidente in carica, non costituitasi;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello
Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
del provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5
ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque
reflue industriali;
del provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del Comune di San Martino di
Lupari recante diniego di concessione in sanatoria;
Visto il ricorso, notificato il 19 ottobre 2001 e depositato presso la
Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 novembre
2001;
n. 2.
ricorso n. 2257/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e
domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia,
Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 310 del 28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di
sospensione lavori;
dell’ordinanza 341 del 1 ottobre 2001 della Regione Veneto recante anch’essa
ordine di sospensione lavori di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 16 ottobre 2001 e depositato presso la
Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 21
novembre 2001;
n. 3.
ricorso n. 2671/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e
domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia,
Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 375 del 2 novembre 2001 della Regione Veneto recante l’ordine
di sospendere ogni attività di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2001 e depositato presso la
Segreteria il 5 dicembre 2001, con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 29 gennaio
2002;
n. 4.
ricorso n. 494/02, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e
domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia,
Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello
Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
dell’ordinanza 14 gennaio 2002 prot. 502 n.3 con la quale il Responsabile
dell'area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari le ha prescritto di
presentare, entro trenta giorni, il programma di smaltimento dei rifiuti
abbandonati presso l'area di cava coltivata dalla ricorrente.
Visto il ricorso, notificato il 14 febbraio 2002 e depositato presso la
Segreteria il 28 febbraio 2002, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 13 marzo
2002;
n. 5.
ricorso n. 1047/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e
Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via
Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e
Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro
3593;
per l’annullamento:
della ordinanza n. 81, in data 27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale
della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico
s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino
di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982";
della nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e della relazione
ad essa allegata;
della lettera in data 31.3.2003, prot. n. 2633/46.02 a firma del Dirigente
Regionale avente ad oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in
Comune di San Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione
documentazione";
del verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003;
sui motivi aggiunti al ricorso 1047/03
per l’annullamento:
della relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003;
della nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003;
Visto il ricorso, notificato il 10 maggio 2003 e depositato presso la Segreteria
il 14 maggio 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 settembre
2003 e quello della Regione, depositato il 3 ottobre 2003;
Visti i motivi aggiunti depositati il 24 settembre 2007;
n. 6.
ricorso n. 2846/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e
Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via
Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e
Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro
3593;
Giovanni Battista Pisani, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Perona e
Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro
3593;
per l’annullamento:
della deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data
27.9.2003, del Commissario ad Acta, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il
Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. Diniego
approvazione";
del decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta
Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi
dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
del parere di regolarità tecnica;
della nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area
Tecnica del Comune di San Martino di Lupari;
e condanna
a mente dell'art. 35 del d.lvo 98/80 del Commissario ad Acta arch. Giovanni
Battista Pisani, del Comune di San Martino di Lupari e della Regione Veneto al
risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi per effetto della mancata
approvazione del "Piano attuativo per il recupero ambientale della Cava di
Campagnalta";
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2003 e depositato presso la
Segreteria il 4 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 22 febbraio
2005 e quello della Regione, depositato il 11 marzo 2006 e del controinteressato,
depositato il 22 febbraio 2005;
n. 7.
ricorso n. 3090/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e
Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via
Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e
difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo
Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e
Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro
3593;
l’ARPAV, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avvocati Isabella Andreasi Bassi e Chiara Sigismondi e domiciliata
presso la propria sede in Venezia Mestre via Lissa 6;
per l’annullamento:
del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio
postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente
regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto:
"Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia,
denominata "Campagnalta", sita in Comune di San martino di Lupari;
della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno
06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio
del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli
artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai
dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla
presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale
il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un
apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata
07.10.2002;
del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo
di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN.
Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di
trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di
Padova;
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la
quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta"
da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di
estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V
7499/02 in data 04.10.2001;
della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
della nota comunale n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002;
della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San
Martino di Lupari;
del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982,
della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova
espresso nella seduta del 04.02.2003;
dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.)
nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di
Padova, nella misura che sarà loro addebitata al pagamento dei danni tutti
patiti e patiendi.
sui motivi aggiunti al ricorso 3090/03 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la
quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta"
da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di
estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca
ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale
attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.)
nella seduta del 16.01.003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
del verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
del verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di
Padova e Comune di San Martino di Lupari;
Visto il ricorso, notificato il 1 dicembre 2003 e depositato presso la
Segreteria il 11 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 16 novembre
2004, della Provincia, depositato il 12 aprile 2006, quello della Regione,
depositato il 17 gennaio 2004 e dell’ARPAV, depositato il 6 febbraio 2004;
Visti i motivi aggiunti, depostati il 2 ottobre 2007;
n. 8.
ricorso n. 268/05, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e
Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via
Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex
lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e
difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo
Voci ed selettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, non
costituitosi in giudizio;
per l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di
Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S.
Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15
giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del
Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del
Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente
ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto.
Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
e condanna
della Provincia di Padova al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi ex
artt 34 e 35 del d.1 98/80;
Visto il ricorso, notificato il 31 gennaio 2005 e depositato presso la
Segreteria il 5 febbraio 2005, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia, depositato il 4
ottobre 2005 e quello della Regione, depositato il 10 marzo 2005;
n. 9.
ricorso n. 2140/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e
domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia,
Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello
Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
e nei confronti di
Pietro Zorzato,Giuseppe Rigo, Paolo Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio non
costituitisi;
PER
il risarcimento danni nei confronti del Comune e dell’ex sindaco Pietro Zorzato
e dei tre funzionari comunali sopra citati;
Visto il ricorso, notificato il 31 ottobre 2006 e depositato presso la
Segreteria il 9 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio
2007;
n. 10.
ricorso n. 2295/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e
Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via
Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e
difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo
Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e
Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro
3593;
la Commissione tecnica provinciale per le attività estrattive, non costituitasi;
il Dirigente Servizio Cave della Provincia di Padova, non costituitosi;
per l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di
Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif.
C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto:
"Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova).
Quantificazione del danno ambientale";
dell' atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot.
n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno
ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di
Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif.
C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto:
"Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di
Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova
non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Silani e dall'ing. Giuseppe Magro,
acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n.
0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno
ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel
Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed
abbandono di rifiuti";
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di
Padova, nella misura che sarà loro addebitata, al risarcimento dei danni tutti
patiti e patiendi, ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo n 80/98, come
modificato dall'art 7 della legge 205/2000.
e sui motivi aggiunti al ricorso 2295/06 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, in data 15.12.2006, avente
il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R.
5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV
del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2, del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.)
nella seduta del 16.01.003;
Visto il ricorso, notificato il 16 novembre 2006 e depositato presso la
Segreteria il 23 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio
2007, della Provincia, depositato il 19 dicembre 2006 e quello della Regione,
depositato il 7 dicembre 2006,
Visti i motivi aggiunti depositati il 5 ottobre 2007;
*****
Viste le memorie prodotte dalle parti in tutti i ricorsi;
Visti gli atti tutti delle cause;
Uditi nella pubblica udienza del 15 novembre 2007 - relatore il presidente
Zuballi – gli avvocati Prandstraller e Zambelli per la ricorrente ditta Ca’
Vico, Brunetti per la Regione, Dal Prà e Voci per la Provincia, Borella e
Piovesan per il Comune, Andreasi per l’ARPAV e Piovesan in sostituzione di
Stivanello Gussoni per il controinteressato Giovanni Battista Pisani;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
1. Con il primo ricorso, rubricato al n. 2256/01, la società ricorrente impugna
il provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5
ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque
reflue industriali nonché il provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del
Comune di San Martino di Lupari recante diniego di concessione in sanatoria.
Fa presente di essere subentrata ad altra ditta, e di essersi vista revocare
l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati
inquinanti. In seguito chiese alcune concessioni in sanatoria per alcune vasche
di decantazione. Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il
rilascio delle concessioni in sanatoria, mentre la Provincia ha sospeso
l'autorizzazione allo scarico nel suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto i loro presupposti fattuali non
corrisponderebbero ai dati reali; secondo la ricorrente ditta invero gli
impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano già esistenti.
Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente motivato, e
comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già costruite.
Più in dettaglio la prima censura, rivolta avverso il diniego di sanatoria,
sottolinea che il provvedimento contrasterebbe con la concessione n. 102/88
rilasciata alla ditta EMI – dante causa della ricorrente - nel 1988 da cui
risulterebbe l’esistenza delle vasche e la loro natura di scavi in terra per la
decantazione di liquidi di lavaggio.
Il secondo motivo, riguardante il decreto provinciale di sospensione provvisoria
alla scarico, muove anch’esso dalla constatazione che le vasche sarebbero già
state autorizzate e comunque che esse erano connesse con l’attività estrattiva.
La Provincia resiste in giudizio contestando le tesi attoree.
*****
2. Con il ricorso rubricato al n 2257/01 la ditta impugna l’ordinanza n 31 del
28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospensione lavori e
l’ordinanza n. 341 del 1 ottobre 2001 sempre della Regione Veneto recante
anch’essa ordine di sospensione lavori di escavazione.
I motivi di ricorso sono i seguenti.
1. Mancata indicazione nell'ambito preciso delle presunte escavazioni non
autorizzate in relazione ai precedenti provvedimenti autorizzativi. La Regione
avrebbe fatto confusione tra la zona di escavazione e l'area di recupero
ambientale.
2. Erronea e arbitraria applicazione dell'articolo 29 della legge regionale
veneta n. 44 del 1982; ad avviso dell’interessata il sopralluogo del 21 giugno
del 2001 effettuato dall'agenzia regionale preposta ARPAV dopo una campionatura
faceva emergere la mancanza di inquinamenti. Quanto all'escavazione abusiva essa
non è stata affatto dimostrata.
Resiste in giudizio la Regione confutando in fatto e diritto le tesi attoree.
*****
3. Con il terzo ricorso, rubricato al n. 2671/01 la medesima ditta impugna
l'ordinanza n. 375 della regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato
qualsiasi lavoro di coltivazione della cava. Il presente ricorso viene proposto
anche come motivi aggiunti al precedente ricorso numero 2257 del 2001.
La ditta fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non
sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato,
laddove i valori rientrano nella norma e il valore di arsenico in particolare
dipende dalla situazione del territorio.
I campioni poi risultano inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda gli
scarichi inquinanti.
L’Avvocatura dello Stato, che difende la Regione Veneto, eccepisce
l’inammissibilità del ricorso 2671/01 che conterrebbe solo censure di merito.
Contesta in ogni caso le asserzioni di parte ricorrente.
*****
4. Con il quarto ricorso, sub. n 494/02, la società Ca’ Vico impugna l'ordinanza
del comune in cui le si ordina di presentare un programma di smaltimento dei
rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1 Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre
del 1999. L'ordinanza del sindaco deve essere preceduta da un'accurata indagine
conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla
rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
Resiste in giudizio il Comune che confuta entrambi i motivi di gravame.
*****
5. Con il ricorso 1047/03 la ditta Ca’ Vico impugna l’ordinanza n. 81, di data
27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale, ing. Andrea Costantini della
Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico
s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino
di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982";
impugna altresì la nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e la
relazione ad essa allegata nonché la lettera in data 31.3.2003, prot. n.
2633/46.02 a firma del Dirigente Regionale ing. Andrea Costantini, avente ad
oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in Comune di San
Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione documentazione"; e
infine il verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003.
In via di fatto la ditta ricorrente espone che, avendo il Comune di San Martino
di Lupari esperito un sopralluogo nell'ambito della cava ed avendo constatato
che erano in corso operazioni di pulizia e di decespugliamento di alcuni alberi
posizionati sulla sponda sud, e segnalato il fatto alla Regione, il Dirigente
Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul presupposto che
sarebbero state disattese le precedenti ordinanze. Seguiva poi, previa redazione
del relativo verbale, l'apposizione materiale dei sigilli.
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione dell'art. 32 della L.R. 1982/44 e successive modificazioni ed
integrazioni. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di
motivazione. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente in tanto può essere statuita l’apposizione dei
sigilli in quanto vi sia un'accertata inadempienza al provvedimento di
sospensione. Nella specie, entrambe le ordinanze, quella n. 310 del 28 agosto
2001 e quella n. 375 del 2 novembre 2001, impongono la immediata sospensione dei
lavori di coltivazione del bacino interessato, intesi quale attività di
estrazione e di sistemazione ambientale, laddove la pulizia del terreno e il
decespugliamento di alcuni alberi, non si traduce in alcun mancato rispetto
dell'ordine di sospensione dei lavori di coltivazione, intesi quali interventi
di estrazione ovvero di ricomposizione ambientale.
2) Eccesso di potere per illogicità ed inadeguatezza sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente l’apposizione dei sigilli presuppone l’accertata
inadempienza all'ordine di sospensione, per cui deve essere assunta solo una
volta che vi sia la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
3) Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990. Violazione
della procedura.
Secondo la ditta ricorrente il provvedimento di apposizione dei sigilli avrebbe
dovuto essere preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento.
Resistono in giudizio la Regione e il Comune contestando le tesi avversarie.
Il Comune in particolare eccepisce l’inammissibilità del ricorso per quanto
concerne gli atti imputabili al Comune, che non avrebbero contenuto
provvedimentale e non risulterebbero quindi lesivi. Il ricorso sarebbe poi
improcedibile perché l’ordinanza di apposizione dei sigilli non sarebbe più
efficace.
Con appositi motivi aggiunti la ditta ricorrente impugna la relazione di
sopralluogo del 22 marzo 2003 e la nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003
deducendo le seguenti censure:
1. Violazione dei principi di imparzialità, correttezza, buona amministrazione e
trasparenza, del giusto procedimento, del principio del contraddittorio, degli
articoli 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e carenza di motivazione.
Il sopralluogo è avvenuto senza alcun previo avviso e senza alcun
contraddittorio.
2. Violazione della legge 689/81 e del principio della personalità della
responsabilità.
3. Carenza di istruttoria.
Sui motivi aggiunti, il Comune ne eccepisce l’inammissibilità trattandosi di
atti privi di contenuto provvedimentale.
*****
6. Con il ricorso 2846/03 la ditta Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data
27.9.2003, del Commissario ad Acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente
ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di
Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd). Diniego approvazione";
il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta
Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi
dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica
del Comune di San Martino di Lupari.
Dopo aver ricostruito in fatto la vicenda, la ditta illustra i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 7-8-9-10-13 della legge 1150 del 1942. Violazione
degli artt. 28-29-30 della legge 5 agosto 1978 n. 457. Violazione degli artt.
8-9-10-11-15 della L.R. 85/61. Illogicità. Sviamento di potere. Carenza di
motivazione. Difetto di istruttoria.
Osserva la ditta che il Commissario ad Acta, ha respinto il Piano Attuativo per
il recupero ambientale della Cava Campagnalta, di iniziativa privata, previsto
dal 3° comma dell'art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Martino di
Lupari, sul duplice presupposto della incompatibile coesistenza dell'attività di
cava, con l'impegno della ricomposizione ambientale imposta dal decreto n. 227
del 18 settembre 2003 di revoca ex art. 31 della L.R. n. 44 del 1982
dell'autorizzazione estrattiva e con l'onere del risanamento del sito, a seguito
della messa a dimora di rifiuti e di limi inquinanti sul fondale, ed alla
precarietà della stabilità delle sponde e della carenza di elementi essenziali
per una corretta elaborazione del Piano attuativo.
Secondo la ditta ricorrente, il ragionamento sarebbe illegittimo proprio in
ragione di entrambi i presupposti invocati.
Secondo la ditta ricorrente, quanto al primo elemento (copresenza dell'attività
di cava e onere di rispettare gli interventi di ricomposizione stabiliti
dell'Amministrazione Provinciale di Padova), non andrebbe dimenticato che gli
strumenti urbanistici, nell'assolvere alle funzioni di pianificazione del
territorio, hanno la potestà di disciplinare, anche attraverso norme e
prescrizioni direttamente vincolanti, l'attività estrattiva.
Ne consegue che la compresenza dell'attività estrattiva non costituisce né può
costituire ostacolo alla disciplina urbanistica.
2 Eccesso di potere per illogicità. Sviamento di potere. Vizio della funzione.
Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'assunto del Commissario ad acta appare
maggiormente incongruo, qualora si ponga a mente che la cava Campagnalta ha
costituito oggetto di provvedimento revocativo dell'autorizzazione a suo tempo
rilasciata.
L'attività estrattiva è, quindi, venuta meno per cui sarebbe venuta meno la
paventata incompatibilità tra l'inizio dei lavori attuativi del Piano di
recupero e la prosecuzione di quelli estrattivi.
3. Eccesso di potere per ulteriore illogicità. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad Acta si sarebbe limitato a
registrare la adozione dei provvedimenti relativi all'intervento estrattivo,
attribuendo, peraltro, loro valenza preclusiva sull'approvazione - richiesta -
del Piano attuativo, senza in alcun modo verificarne la fondatezza e senza
neppure domandarsi in che misura fossero o meno compatibili con un Piano di
Recupero.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Erroneità di
presupposto. Carenza di motivazione.
Osserva la ditta che il Piano di recupero in questione è stato presentato al
protocollo del Comune di S. Martino di Lupari nel lontano 1998.
Secondo la ditta ricorrente, la pratica, sotto il profilo tecnico, era, quindi,
da ritenersi perfezionata per cui sarebbe illogico ed illegittimo, che il
Commissario ad acta abbia ritenuto incompleto e non approvabile un piano che il
Comune e per esso gli uffici competenti avevano qualificato meritevole di essere
trasmesso al Consiglio per l'approvazione.
5) Eccesso di potere per sviamento. Illogicità. Carenza di motivazione.
Erroneità di presupposto e di interpretazione. Violazione della procedura.
Secondo la ditta ricorrente, la pretesa di fondare il diniego dell'approvazione
del Piano di recupero sulla carenza di elaborati del Piano stesso non sarebbe
tale da giustificare il diniego.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad acta confonderebbe il proprio
ruolo e la propria funzione con quello di un organo deputato non già
all'approvazione, in via esclusiva, del Piano Attuativo, ma ad un suo controllo,
quasi di legittimità.
Inoltre l'aggiornamento del Piano quotato avrebbe dovuto essere richiesto in via
istruttoria ovvero disposto quale condizione di adeguamento.
Inoltre, secondo la ditta ricorrente, anche la corrispondenza del piano quotato
finale, con il risanamento e del fondale della cava e della precarietà delle
sponde avrebbe dovuto costituire oggetto di prescrizione.
Analogo discorso vale per il testo della convenzione il cui perfezionamento era
rimesso, in fase approvativa, al Commissario ad acta.
Secondo la ditta ricorrente, non dissimile è il discorso, anch'esso del tutto
marginale, concernente l'integrazione del sistema di piste ciclo-pedonali con
quelle da prevedere nel quadrante nord-est.
6. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo.
98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge 205 del 2000.
Secondo la ditta ricorrente, la mancata approvazione del Piano di recupero
presentato dalla ditta Cà Vico da oltre cinque anni, comporterebbe un danno
gravissimo non potendo venire l'area in questione utilizzata secondo le
prescrizioni contenute nel P.R.G.
Resistono in giudizio la Regione, il Comune e il commissario ad acta architetto
Giovanni Battista Pisani, che eccepisce la propria carenza di legittimazione
passiva, trattandosi di atti propri del Comune e ad esso imputabili.
*****
7. Va ora esaminato il ricorso n. 3090/03 proposto per:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo
del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini,
Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad
oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava
di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari
(art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata
il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L.
l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di
cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai
dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari,
tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del
Comune;
l’annullamento della nota n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta,
con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha
nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione
datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di
Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i
relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del
27.11.2001;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002
di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale
di Padova;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data
23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti
relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il
sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671
metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n.
D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di
Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del
25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del
Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della
L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.)
di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività
Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003,
08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
I motivi del ricorso sono i seguenti:
1.Violazione degli artt. 7 e segg. della legge 241 del 1990. Violazione della
procedura. Carenza di motivazione.
La ditta Ca’ Vico fa presente che con nota regionale n. 1174/4602, in data
5.2.2002, notificata il 6.02.2002, le è stato comunicato "l'avvio del
procedimento relativo alla cava "Campagnalta" con le finalità di cui agli artt.
28, 29, 30, 31, 32 e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza al disposto
dell'art. 7 della L.N. 241/90."
Dalla disamina della nota, emerge, quindi, che si è data comunicazione
dell'avvio del procedimento in ordine, ai provvedimenti di sospensione,
decadenza, revoca, apposizione di sigilli e sanzioni. Secondo la ricorrente
ditta, il ventaglio dei provvedimenti da assumere, ciascuno diverso dall'altro,
con il richiamo, altresì, al procedimento sanzionatorio che costituisce fase
autonoma rispetto agli altri provvedimenti, non la avrebbe posta in grado di
conoscere quale procedimento in effetti intendesse instaurare la Regione Veneto
ed in relazione ad esso quale provvedimento intendesse assumere. Risulterebbe,
in tal modo violata la procedura di garanzia e le finalità proprie degli artt. 7
e seguenti della legge n 241 del 1990.
2. Violazione dell'art 31 della L.R. 44 del 1982. Incompetenza. Erroneità di
presupposto. Carenza di motivazione.
Nella specie, il provvedimento revocatorio è stato assunto dal Dirigente della
Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua e non dall’organo politico.
Secondo la Ca’ Vico, in contrario, non varrebbe il richiamo alla delibera della
Giunta regionale n. 400 dell'8 febbraio 2000 di delega al Dirigente Regionale
della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua del potere di emanazione del
provvedimento di revoca dell'autorizzazione dell'attività di cava, di cui al
procedimento previsto dalla L.R. 44/82, in quanto la Regione Veneto, non
potrebbe discostarsi dal dettato normativo e quindi non potrebbe ritualmente
conferire a propri funzionari una competenza riservata per legge agli organi
politici.
3. Violazione dell'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982 e successive modificazioni
ed integrazioni. Sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza di
istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento revocatorio non potrebbe essere
assunto per mere ragioni di opportunità ma trova titolo giustificativo in
situazioni eccezionali, cioè in ragione della sopravvenuta manifestazione di
fenomeni naturali, non imputabili al titolare della attività estrattiva che
abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della
situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura
ed ampiezza nell'uno e/ o nell'altro caso da rendere pericoloso il proseguimento
dell'attività di cava.
Secondo la ditta, i fatti che possono portare ad una revoca discendono da
evenienze naturali, neppure prevedibili al momento del rilascio
dell'autorizzazione; in ogni caso non addebitabili alla attività
dell'imprenditore e, altresì, estranei alla fase progettuale e alle
autorizzazioni intervenute, per cui è prevista la determinazione di un
indennizzo a favore del soggetto che subisce il provvedimento revocatorio.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento assunto dalla Regione Veneto, che
muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva,
esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così come delineato
dall'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza
di istruttoria. Difetto di motivazione.
Con tale motivo la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base
del provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni
abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo
scarico non consentito.
Secondo la ditta ricorrente le argomentazioni svolte dimostrano due cose: in
primo luogo, come erroneamente la Regione Veneto abbia dato applicazione al
dettato dell'art. 31 della L.R. 82/44; in secondo luogo come tutte le censure
siano pressoché prive di fondamento.
Il che conduce, sotto altro profilo, a ritenere illegittima la procedura
applicata nella fattispecie de qua.
Secondo la ricorrente ditta, si vorrebbe sanzionare la inaffidabilità della
ditta Ca' Vico nella prosecuzione della attività per estrazione ed illeciti non
verificatisi, per il pericolo e non per il superamento dei limiti di
accettabilità della contaminazione, per addebiti che riguardano altre imprese
diverse dalla Ca' Vico.
5. Violazione sotto altro profilo della procedura. Violazione dell'art. 10 della
legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni.
L'art. 10, della legge n. 241 del 1990, stabilisce che i soggetti di cui
all'art.7 e quelli intervenuti ai sensi dell'art. 9 hanno diritto di presentare
memorie e documenti, che l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano
pertinenti all' oggetto del procedimento.
Nella specie non risulterebbe alcuna disamina delle deduzioni, anche scritte,
fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l. nelle sedute della C.T.R.A.E..
6. Eccesso di potere per sviamento di potere. Ulteriore violazione dell'art. 31
della L.R. n. 44 del 1982. Erroneità di presupposto. Indeterminatezza. Carenza
di motivazione.
La Regione ipotizza un danno ambientale e un onere economico per il risanamento
demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova e "da ritenersi
comunque, interamente, a carico dei responsabili".
Si tratta – secondo la Ca’ Vico, di un’ipotesi sanzionatoria non prevista dal
legislatore ex art. 31 e che non rientra nella competenza valutativa della
Regione Veneto.
7. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo.
98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000.
La disposta revoca dell'autorizzazione alla coltivazione della cava comporta un
grave pregiudizio economico per la Società ricorrente, di cui chiede il ristoro.
Con appositi motivi aggiunti al ricorso 3090/03 vengono impugnati:
la nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale
è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta"
da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di
estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
la nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca ai
sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale
attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
il parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.)
nella seduta del 16.01.003;
la delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
il verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
la nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
il verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di Padova
e Comune di San Martino di Lupari.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Violazione degli articoli 23 e 28 della lr n. 1 del 1997, degli articoli 31 e
43 della lr n. 44 del 1982 e del principio di legalità.
2. Errore di fatto, travisamento, difetto di istruttoria, violazione
dell’articolo 33 della lr 44 del 1982 perplessità, violazione art 117 dei
principi di cui alla legge n. 349 del 1986.
3. Si insiste sulla risarcibilità del danno.
Resistono in giudizio la Regione, la Provincia, il Comune e l’ARPAV.
Quanto ai motivi aggiunti il Comune ne contesta la stessa ammissibilità, in
quanto non riguarderebbero atti lesivi.
*****
8. Con il ricorso n. 268/05 viene chiesto:
l’annullamento della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta
provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in
Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale",
pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
annullamento, altresì dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del
visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta
delibera;
annullamento, del pari, della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a
firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott.
Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del
15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art.
8 L. 241/90";
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione di legge. Violazione del titolo IV della L.R. n. 44 del 1982 e
successive modificazioni ed integrazioni. Violazione della procedura.
Incompetenza.
L'Amministrazione provinciale intende procedere alla quantificazione del danno
ambientale che, a suo dire, sarebbe conseguenza degli interventi abusivi
perpetrati dalla ditta Cà Vico. Sennonché la l.r. n. 44 del 1982 e,
segnatamente, il suo titolo IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea
le sanzioni da applicare, non ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i
criteri di quantificazione dello stesso.
Secondo la ditta, il primo comma del citato art. 31 nel mentre stabilisce la
corresponsione di un equo indennizzo a favore del soggetto costretto a subire la
revoca dell'autorizzazione, mantiene fermo per il titolare solo l'obbligo di
procedere alla ricomposizione del sito secondo le prescrizioni contenute
nell'atto autorizzatorio. Non sarebbe previsto altro onere, visto che il
beneficiario dell'autorizzazione subisce già il danno della revoca del proprio
titolo.
In ogni caso il danno ambientale non può che essere accertato o definito nei
suoi elementi attuativi dalla Regione Veneto essendo quest'ultimo l'ente che ha
provveduto al rilascio e alla revoca del titolo autorizzatorio.
Donde, nel caso di specie, l'incompetenza (assoluta) della Provincia.
Invero la Ca’ Vico rileva che l'art. 43 della L.R. n. 44 del 1982, nell'indicare
le funzioni amministrative che in regime transitorio permangono in capo alla
Regione, individua anche l'istituto della revoca ex art. 31. Viene esclusa
pertanto una potestà sanzionatrice che investe in un soggetto diverso dalla
Regione.
2) Eccesso di potere per incompetenza. Violazione dell'art. 107 del D.lgs 267
del 2000.
I provvedimenti di quantificazione del danno ambientale, volendone ammettere
l'adozione, non rientrerebbero nella sfera di competenza di un organo collegiale
quale la Giunta (provinciale), bensì in quella del funzionario dirigente ex art.
107 del D.lgs 2000/267.
La delibera della Giunta appare, quindi, sotto tale profilo illegittima.
3) Violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r. 82/44. Violazione
della procedura. Difetto di istruttoria. Erroneità di presupposto. Carenza di
motivazione.
L'onere del ripristino ambientale insorge, secondo l'esplicita dizione dell'art.
33 della L.R. n. 44 del 1982, solo una volta che sia stato ingiunto il pagamento
della sanzione pecuniaria e ancora solo allorquando tale addebito, nella sua
precisa quantificazione, sia ascritto dal Giudice all'imprenditore che ha agito
senza o in violazione totale o parziale del titolo di escavo.
Secondo la Ca’ Vico, mancando l'abuso ovvero sussistendo fondati elementi che lo
fanno ritenere inesistente, e, comunque, essendo incerto l'ammontare della
sanzione, non può essere neppure statuito il ripristino e, a maggior ragione,
non può essere preteso alcun danno ambientale.
Analogo discorso varrebbe per l'accertamento di mc. 213.718 di asporto di
materiale abusivo al quale non è seguita alcuna ingiunzione. Anzi da parte della
Procura della Repubblica di Venezia, che ha archiviato gli esposti avanzati, è
stato ritenuto insussistente qualsiasi abuso.
Con la conseguenza che mancando in entrambe le ipotesi l'abuso ed anzi, per una
di esse, non figurando neppure iniziate alcune delle fasi statuite dagli artt.
14 - 16 - 18 della legge 689/1981 non solo non si potrebbe accertare la
sussistenza di un danno ambientale, ma neppure ipotizzarlo visto che ne
difettano i presupposti sostanziali e formali.
4. Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e successive
modificazioni ed integrazioni.
La Provincia di Padova ha adottato la delibera n. 608 del 22/11/2004 volta alla
quantificazione del danno ambientale e con lettera in data 15/12/2004 è stata
data comunicazione dell'avvio del procedimento.
Secondo la Ca’ Vico tale comunicazione avrebbe dovuto precedere e non già
seguire, come, invece, è avvenuto, la citata delibera giuntale.
5. Eccesso di potere per sviamento. Carenza di istruttoria. Difetto di
motivazione.
Secondo la ditta la P.A., in presenza di abusi appartenenti a materie ed ambiti
differenziati, avrebbe dovuto specificare i criteri e le disposizioni normative
da applicare. Né sarebbe ammissibile che la definizione della quantificazione
del danno ambientale sia rimessa a soggetti estranei all'Amministrazione.
Secondo la ditta il procedimento sanzionatorio per rispondere a criteri di
obiettività deve nascere da un'istruttoria compiuta dagli uffici della P.A. e
non da soggetti esterni. Si sarebbe, pur sempre, dovuto accertare se il piano di
ripristino, che ex secondo comma lett. c dell'art. 15 della L.R. 44 del 1982 ha
accompagnato il progetto per il rilascio del titolo autorizzatorio ed è stato
sussunto nella relativa delibera della Regione Veneto, anch'esso da attuare,
fosse o meno tale da superare in tutto o in parte i danni ambientali
preconizzati.
6) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di
istruttoria. Difetto di motivazione. La ditta contesta in dettaglio e nel merito
gli abusi contestati.
7) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di
presupposto. Difetto di istruttoria e di motivazione.
La contestazione di mc. 40.583 riguardante l'area fuori cava già di proprietà
Pollon s.r.l. non avrebbe nulla a che vedere con il sito della cava Campagnalta
dal quale è stato stralciato con la D.G.R. n. 2427 del 26/05/94. Le due aree
sono diverse l'una dall'altra, ma soprattutto la prima ha costituito oggetto di
cava in tempi remotissimi.
8) Incoerenza. Insussistenza dei fatti. Carenza di istruttoria. Difetto di
motivazione.
Addebita la Provincia di Padova alla Ca' Vico di sedimentare sul fondo cava
materiale limoso per uno spessore di mt. 1,20 circa proveniente dal vaglio e
frantumazione della ghiaia.
Si tratta di materiale già esistente dai primordi dell'apertura della cava in
questione. L'addebito, pertanto, della Provincia oltre che assolutamente
pretestuoso risulterebbe giuridicamente infondato.
9) Ulteriore carenza di presupposto. Insussistenza di ogni addebito. Mancata
valutazione delle relazioni. Illogicità. Carenza di istruttoria. Difetto di
motivazione.
La ditta contesta le misurazioni relative al materiale inquinante invenuto, in
particolare l’arsenico il cui valore è comparabile con quello riscontrato nei
terreni agricoli circostanti la cava.
Le analisi dell'A.R.P.A.V. dimostrano che la Ca' Vico non ha provocato o dato
effetto a nessun tipo di inquinamento.
10 Sulla risarcibilità del danno.
La ditta sottolinea, come la P.A. e, segnatamente, l'Amministrazione provinciale
di Padova, saranno chiamate a risarcire i danni subiti.
*****
9. Con il ricorso n. 2140/06 la ditta chiede il risarcimento dei danni derivanti
dal comportamento della Regione e di quattro funzionari comunali.
Formula le seguenti richieste istruttorie:
- ordine di produzione al Comune di San Martino di Lupari, ai sensi dell'art. 21
comma IV della L 1034/71, dei fascicoli esistenti presso il Comune degli atti
amministrativi riguardanti: a) le Ordinanze contro Ca' Vico n. 51 prot. 9088 del
02.08.1999 e n. 70 prot. 14708 del 26.11.1999; b) verbale del sopralluogo
21.06.2001 effettuato presso la cava "Campagnalta", di proprietà Ca' Vico, dal
Comune di San Martino di Lupari; c) Nota 9995 in data 27.08.2001 del Sindaco
Pietro Zorzato alla Regione Veneto; d) Verbale della riunione 29.10.2001 prot.
n. 12684 awenuta presso il Comune di San Martino di Lupari, contenente la
dichiarazione del Direttore Generale dott. Giuseppe Bortolini e del geom.
Giuseppe Stefano Baggio ai funzionari della Provincia di Padova che Ca' Vico
aveva asportato dalla cava "Campagnalta" mc 300.000 più del consentito
dall'autorizzazione regionale; e) Verbali degli accessi nella cava Campagnalta
effettuati dal Comune di San Martino di Lupari attraverso i funzionari Paolo
Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio avvenuti il 10.07.01, 28.08.01, 03.09.01,
11.09.01, 20.09.01 - o nelle date degli accessi risultanti al Comune; f)
fascicolo del sopralluogo contenente il sopralluogo effettuato il 20.12.2001
nella cava "Campagnalta" con prelevamento di campioni che ARPAV ritenne non
regolarmente prelevati e richiesta del Sindaco all'ARPAV che le analisi fossero
fatte ugualmente per poterle usare contro Ca' Vico; g) Trasmissione completa
della corrispondenza intercorsa tra il Sindaco di San Mattino di Lupari e
Regione Veneto avente ad oggetto le ripetute richieste comunali di bloccare in
sede regionale le attività estrattive e lavorative di Ca' Vico nella cava "Campagnalta"
prima e dopo l'emissione dell'Ordinanza regionale n. 375 del 02.11.2001 con cui
veniva sospesa dalla Regione qualsiasi attività lavorativa di coltivazione
estrazione e sistemazione ambientale della cava "Campagnalta".
Chiede che venga disposta l'acquisizione dei Fascicoli d'Ufficio relativi ai
ricorsi n. 2139/99, n. 3068/99, n. 256/00 giacenti presso la sez. II del TAR del
Veneto, promossi da Ca' Vico contro il Comune di San Martino di Lupari (PD) e
rinunciati in seguito all'accordo intervenuto tra il Comune e la soc. Ca' Vico
s.r.l., con cui il Comune avrebbe rilasciato l'autorizzazione di ricupero
ambientale di un settore della cava "Campagnalta" e Ca' Vico avrebbe rinunciato
agli atti della causa civile n.80575/99 R.G. Trib. Padova-Sez. Dist. Cittadella
e di ricorsi di cui sopra.
La ditta chiede che si voglia ordinare al Comune di San Martino di Lupari la
trasmissione dei fascicoli corrispondenti ai documenti sopra indicati ai sensi
dell'art. 21co. VI L 1034 del 1971 e art. 35 D.Lgs 80/98 nonché l'acquisizione
al processo da parte della Segreteria dei fascicoli sopra indicati.
La ditta in successiva memoria ha rinunciato all'ammissione dei mezzi di prova
per testi dedotti nel ricorso in quanto ritiene che dai documenti già acquisiti
al processo, eventualmente integrati con quelli che il Comune è tenuto ad
esibire, la prova delle circostanze di fatto su cui si basa il ricorso per
risarcimento danni si possano tranquillamente ricostruire.
Mantiene invece l'istanza di C.T.U. sull'entità dei danni subiti dalla soc. Ca'
Vico in seguito all'arresto completo di tutti i lavori, avvenuto per specifica
volontà del Comune anche mediante istanza rivolta dal medesimo alla Regione
Veneto.
*****
10. Con il ricorso n. 2295/06 la ditta Ca’ Vico chiede:
l’annullamento, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della
Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n.
106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad
oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova).
Quantificazione del danno ambientale";
l’annullamento, se ed in quanto necessario, dell'atto di comunicazione con
lettera in data 17.8.2006;
l’annullamento, ancora, della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova
datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la
quantificazione del danno ambientale;
l’annullamento, altresì, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave"
della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n.
106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad
oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino
di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
l’annullamento della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della
Provincia di Padova non conosciuta;
l’annullamento, altresì, se ed in quanto necessario, della delibera della Giunta
provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
l’annullamento della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing.
Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al
prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del
danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta»
nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed
abbandono di rifiuti".
I motivi di ricorso sono i seguenti:
La ditta ricorrente riproduce i motivi già dedotti avverso la revoca
dell’autorizzazione.
Deduce poi i seguenti motivi di illegittimità in via autonoma.
Quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno
ambientale.
1) Incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, tuttavia, non ha
alcuna competenza in merito alla determinazione del danno ambientale né è
legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria in sede giudiziale o
stragiudiziale, come, invece, è avvenuto nel caso di specie.
In particolare, l'art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero
dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se
esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli
enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo
secondario.
La legittimazione all'azione di risarcimento del danno ambientale e le relative
competenze in materia spettano, quindi, al Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, laddove il ruolo delle Regioni e degli Enti locali è solo
di supporto (e di delega).
2) Violazione dell'art. 11 delle preleggi. Violazione del principio di
irretroattività. Violazione del principio tempus regit actum. Difetto di
istruttoria.
Il risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal
menzionato art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente.
Prima del 1986 la risarcibilità del danno all'ambiente non era prevista dalla
legge.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento è, peraltro, viziato anche per
eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto il consulente della
Provincia ( e la Provincia stessa) ha erroneamente ritenuto che le violazioni
fossero tutte posteriori al 1986. II che sarebbe smentito per tabulas dal
contenuto della delibera di Giunta regionale n. 1313/1979, con cui è stata
autorizzata la prosecuzione dell'attività di cava.
3) Prescrizione.
Nella relazione tecnica dell'arch. Sillani - e, quindi, nel provvedimento della
Provincia che ad essa relazione si richiama - vengono assunte a base del calcolo
del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una
contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio
degli inerti.
Ora, se si esclude la violazione A 1.12 che è stata contestata nell'anno 2002,
tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo prima della notificazione del
provvedimento che quantifica il danno ambientale, impugnato nella presente sede.
Trattandosi di (asserito) illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione
quinquennale risulta, pertanto, ampiamente decorso per tutte le altre violazioni
oggetto di contestazione.
4) Erronea interpretazione dell'art. 33 L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 legge
349 del 1986.
Ferme ed assorbenti le considerazioni precedenti, va osservato che la
contestazione del danno ambientale presenta, nel caso di specie, caratteristiche
di assoluta originalità.
Infatti, non risulta nella casistica giurisprudenza che si sia ravvisato, né
contestato alcun danno ambientale in presenza di scavi abusivi. L'ipotesi tipica
di danno ambientale è rappresentata, invece, dall'inquinamento atmosferico con
fumi tossici o dallo sversamento di rifiuti che intaccano, ad esempio, una falda
acquifera.
Infatti, non vi è alcuna compromissione di una res communis omnium, in quanto le
cave, come si desume dall'art. 826 cod. civ., possono appartenere allo Stato o
al privato e, nel caso di specie, appartengono al privato. Quindi non è stato
sottratto alcun bene collettivo.
Donde l'insussistenza del danno ambientale.
5) Difetto ed illogicità della motivazione.
Le considerazioni svolte nella precedente censura evidenziano l'illegittimità
del provvedimento di quantificazione del danno ambientale sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente, infatti, l'arch. Sillani, per fondare l'esistenza
di un danno ambientale, tenta di attribuire al sito in questione un particolare
pregio, con una motivazione e con argomentazioni, tuttavia, spesso
contraddittorie e, comunque, parziali.
Donde l'ulteriore illegittimità del provvedimento di quantificazione del danno
ambientale.
6) Violazione dell'art. 10 della legge 241/1990. Difetto ed illogicità della
motivazione sotto altro profilo.
La ditta Ca' Vico, notiziata del procedimento di determinazione del danno
ambientale, ha presentato osservazioni, con cui esponeva le ragioni per cui non
poteva configurarsi alcun danno ambientale. La Provincia, nell'impugnato
provvedimento, si è limitata ad affermare che le osservazioni non erano
accoglibili "per le conclusioni cui perviene la relazione di quantificazione del
danno nonché per quanto disposto col presente provvedimento".
Secondo la ditta ricorrente, la cripticità della motivazione addotta - da
ritenersi inesistente - comporta l'ulteriore illegittimità degli impugnati
provvedimenti per difetto di motivazione e per violazione dell'art. 10 della
legge 241/1990.
Donde anche l'illogicità delle motivazioni addotte.
7) Insussistenza, sotto il profilo soggettivo, degli elementi costitutivi del
danno ambientale.
L'art. 18 della L.N. 349/1986 richiede, ai fini della determinazione del danno
ambientale, la sussistenza di un fatto doloso o colposo (analogamente dispone,
per le sanzioni amministrative, l'art. 689/1981).
Elemento soggettivo che, nel caso di specie, difetta completamente.
8) Erronea quantificazione del danno. Illogicità. Difetto di istruttoria e di
motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, ove si ritenessero infondate le contestazioni
svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un danno
ambientale, comunque sarebbe erroneamente calcolato, per eccesso, il quantum
dovuto dalla ditta Ca'Vico.
Si tratta di contestazioni prive di un supporto logico, del tutto apodittiche,
fondate su parametri inconsistenti, avulsi dai valori di mercato, di cui non è
stata fornita alcuna indicazione.
Quanto al provvedimento prot. 106038/2006 con cui sono state disposte direttive
e tempi per la ricomposizione ambientale la Ca’ Vico deduce.
1) Violazione degli articoli 31, 33 e 43 della L.R. 44/1982. Incompetenza.
Eccesso di potere per contraddittorietà. Violazione della legge 689/1981.
Prescrizione. Violazione degli articoli 3 e 7 della legge 241/1990. Mancato
avviso di avvio del procedimento. Violazione dell'art. 48 L.R. 11/2001.
Secondo la ditta ricorrente, se si è inteso demandare alla Provincia la
determinazione delle prescrizioni sulla ricomposizione ambientale ex art. 31
L.R. 44/1982, è giocoforza escludere l'applicazione delle sanzioni
amministrative ex art. 33 stessa legge.
Risulta, pertanto, incomprensibile che nelle premesse dell'atto impugnato si
affermi la competenza provinciale ai sensi dell'art. 33 L.R. 44/1982. Il che
evidenzia il difetto di motivazione, di istruttoria e lo sviamento che affligge
gli atti impugnati.
2) Violazione, sotto altro profilo, dell'art. 31 L.R. 44/1982. Difetto di
motivazione.
L'art. 32 L.R. 44/1982 prevede, quale compensazione per la revoca del titolo
estrattivo, un'indennità commisurata - è da ritenere - al mancato guadagno
conseguente all'impossibilità di ulteriormente coltivare il giacimento.
L'Amministrazione non ha provveduto a quantificare alcun indennizzo né ha
motivato le ragioni per le quali non intendeva procedervi, contro il chiaro
disposto dell'art. 31.
Donde il difetto di motivazione oltre che la violazione dell'art. 31 L.R.
44/1982.
3) Violazione dell'art. 10 L.N. 241/1990. Difetto di motivazione sotto altro
profilo.
Sulle osservazioni presentate dalla ditta Ca' Vico e dal Sig. Meneghini
(protocollate al n. 4276 della Provincia), l'Amministrazione non ha
controdedotto, pur essendovi tenuta ai sensi dell'art. 10 L.N. 241/1990.
4. Sul risarcimento del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgs. 98/80 e
dell' art. 7 della legge n. 205 del 2000.
Le Amministrazioni con il provvedimento di revoca da un lato, con quello
intimatorio e ripristinatorio dall'altro, hanno ingenerato un danno gravissimo
in capo ai ricorrenti.
La ditta con appositi motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento dei seguenti
atti:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, ín data 15.12.2006, avente
il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R.
5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV
del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2,del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.)
nella seduta del 16.01.003.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Incompetenza e difetto di legittimazione, contraddittorietà manifesta. La
censura ricalca quella analoga di cui al ricorso principale.
2. Errore di fatto, contraddittorietà, travisamento e difetto di istruttoria. La
ditta contesta i risultati cui è pervenuta la commissione tecnica regionale.
3. Insussistenza di un pregiudizio ambientale risarcibile.
4. Infine la ditta insiste per il risarcimento del danno subito.
Anche nell’ultimo ricorso rubricato al n. 2295/06 resistono in giudizio la
Provincia e il Comune confutando in fatto e diritto le tesi avversarie.
*****
11. Dopo ampia, approfondita e animata discussione svoltasi nella pubblica
udienza del 15 novembre 2007, la causa è stata introitata per la decisione.
D I R I T T O
1.0. I ricorsi in epigrafe vanno tutti riuniti per evidenti ragioni di
connessione oggettiva e soggettiva, come del resto auspicato sia da parte
ricorrente sia dalle parti resistenti. In particolare le richieste di
risarcimento danni proposte dalla Ca’ Vico srl, sia in via autonoma nel ricorso
2140/06 sia nell’ambito dei restanti ricorsi, presuppongono l’esame congiunto di
tutte le cause in epigrafe.
Invero, la causa cardine risulta quella relativa alla revoca dell’autorizzazione
alla coltivazione della cava, di cui al ricorso 3090/03, laddove le cause
precedenti, riguardando sospensioni cautelative dell’attività e l’apposizione di
sigilli, in qualche modo appaiono prodromiche a detta revoca, mentre le cause
successive, relative alla quantificazione del danno ambientale e alla richiesta
di risarcimento danni da parte della ditta, ne risultano in qualche modo
consequenziali.
Occorre appena aggiungere che le questioni degli accertamenti tecnici risultano
decisive nella presente controversia, che in ultima analisi riguarda una
compromissione ambientale.
1.1. Ciò detto, per ragioni di economia espositiva, prima di affrontare l’esame
dei singoli ricorsi, conviene esaminare le più rilevanti questioni che
concernono in vario modo tutti i gravami.
Va premesso che la cava di cui si controverte si colloca in una zona
particolarmente sensibile dal punto di vista ambientale, sia in quanto situata
nell’ambito della “fascia di ricarica degli acquiferi” alla cui falda freatica
attingono numerosi acquedotti veneti, sia in quanto essa risulta inclusa nel
bacino afferente alla laguna veneta, ambiente la cui delicatezza non deve essere
sottolineata.
*****
2.0 Venendo alla storia della cava, si rileva che, come risulta dalla
documentazione in atti, nel comparto "Campagnalta" insistevano originariamente
due cave, separate da un istmo, ed intestate rispettivamente alle ditte E.M.I.
s.n.c. (D.G.R. 1313 del 13 marzo 1979) e al consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 342 del
22 gennaio 1980), le quali avrebbero dovuto concludere la coltivazione e
correlativamente la sistemazione ambientale entro il 31.12.1988.
Entrambe le cave avevano ottenuto numerose proroghe; invero con D.G.R. 9043 del
28.12.1988 e con D.G.R. 7980 del 22.12.1989 erano stati procrastinati i termini
per la coltivazione dell'area C.E.M.I.C., dapprima dal 31.12.1989 al 30.06.1990,
e poi dal 31.12.1990 al 31.03.1991; con D.G.R. 9026 del 28.12.1988, i termini
per l'estrazione nell'area E.M.I. erano stati prorogati dal 31.12.1989 al
30.06.1990, per essere poi ulteriormente differiti con D.G.R. 7127 del
12.12.1989 (dal 31.12.1990 al 30.06.1991).
La D.G.R. 7118 del 18.12.1990, che assentiva alla proroga dei lavori di
sistemazione ambientale al 30.06.1995, era stata annullata dal TAR Veneto su
istanza del Comune di San Martino di Lupari (sentenza n. 10/93, confermata dal
Consiglio di Stato, n. 804/99).
Infine, con D.G.R. 2315 del 17.05.1993, la ricorrente Ca' Vico s.r.l. era
subentrata nell'autorizzazione di cava già rilasciata a favore di E.M.I., per
poi subentrare anche nell'attività del consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 4630 del
4.10.1994).
Successivamente, a seguito della frana dell’istmo che separava le due cave, la
Regione, con D.G.R. 2427 del 26.05.1994 (relativa all'area E.M.I., già
appartenente a Ca' Vico) e con D.G.R. 2728 del 26.05.1994 (per quanto riguarda
l'area C.E.M.I.C.), attestava l'esistenza di un "unico e omogeneo comparto
estrattivo, sede di un laghetto di cava", sollecitando la presentazione di un
unico progetto di ricomposizione ambientale "finalizzato prioritariamente al
recupero in senso naturalistico del bacino lacustre, attraverso la
rimodellazione delle sponde e una riprofilatura delle scarpate" e “fondato su
capisaldi certi e riconoscibili".
Infine con D.G.R. 5609 del 22.11.1994 la Regione autorizzava il progetto di
ricomposizione presentato dalla Ca' Vico in data 08.09.1994, vincolando la
movimentazione del materiale di risulta disponibile al recupero in senso
naturalistico del bacino, per la restituzione delle caratteristiche ambientali
originarie. Si prevedeva altresì l'inclusione nell’area di cava di ulteriori
mappali, precedentemente non autorizzati per favorire una migliore
ricomposizione ambientale globale.
Veniva inoltre concessa la proroga del termine per la conclusione dei lavori di
coltivazione (estrazione e sistemazione) al 30.06.1998.
Successivamente il decreto regionale- Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, n.
311 del 17.07.1998, accoglieva l'istanza di proroga di Ca' Vico, concedendo
termine fino al 30.06.2003.
2.1. Sorge a questo punto la questione, decisiva nelle cause in discussione,
circa la natura della citata autorizzazione regionale n. 5609 del 22 novembre
1994. Si tratta invero di qualificarla come un’autorizzazione alla coltivazione
di cava ovvero di riqualificazione ambientale con contestuale possibilità di
utilizzo commerciale del materiale in esubero rispetto a quello necessario per
la ricomposizione stessa.
Va premesso che sussistono margini di ambiguità contenuti nell’autorizzazione de
qua.
Da un lato invero nelle premesse si richiama il DGR n 2427 del 26 maggio 1994
che contestualmente prorogava il termine dei lavori di coltivazione e ordinava
alla ditta di presentare un progetto di ricomposizione ambientale. Inoltre nel
medesimo DGR 5609 si sottolineano a pagina 4 punti 1, 2 e 3 le finalità e
modalità del ripristino ambientale.
Nel dispositivo si parla invece di proroga dei termini di coltivazione, intesi
come estrazione e sistemazione, sia pure con le prescrizioni e condizioni
previste, tra cui preminente risulta l’obbligo di ripristino ambientale.
Rimangono invero elementi apparentemente contraddittori nel citato
provvedimento, anche perché il materiale asportabile e quindi commerciabile era
comunque notevole. Tuttavia questo Collegio è giunto alla conclusione che si
trattava di un progetto di ricomposizione ambientale con contestuale
autorizzazione all’estrazione di ulteriore materiale, non già di un ampliamento
della cava in atto. Invero tale qualificazione è l’unica conforme alla normativa
vigente e applicabile, per cui nell’oggettiva incertezza va scelta – adottando
gli usuali canoni ermeneutici in tema di interpretazione degli atti
amministrativi - una qualificazione che renda conforme a norma l’autorizzazione.
Invero, la qualificazione dell’autorizzazione de qua come ripristino appare
rispettosa dell'art. 44, comma 1, lettera a), della L.R. 44 del 1982, il quale
stabilisce che - fino all'entrata in vigore del PRAC - le autorizzazioni o
concessioni per l'ampliamento delle cave in atto o per l'apertura di nuove cave
destinate all'estrazione di materiale del gruppo A (sabbia e ghiaia) possano
essere rilasciate esclusivamente nei Comuni elencati nell'allegato n. 1 della
stessa legge regionale, tra i quali non è incluso il Comune di San Martino di
Lupari.
Va poi aggiunto che il piano regolatore del Comune di San Martino di Lupari,
include la cava nella zona F, "Area a verde attrezzato per la pesca sportiva" e
non già nella zona adibita a cave.
Ne discende che la D.G.R. 5609/94 non può essere considerata come una mera
autorizzazione alla coltivazione di cava in senso proprio, ma come un progetto
di ricomposizione ambientale con contestuale prelievo di materiale.
Del resto tale natura risulta l’unica possibile e appare comunque favorevole
alla Ca’ Vico, che altrimenti non avrebbe potuto legittimamente operare.
Le conseguenze appaiono ovvie; se si tratta di un progetto di ricomposizione
ambientale, gli aspetti relativi alla protezione dagli inquinamenti e
ricostruzione di un habitat accettabile vanno ritenuti prevalenti rispetto alla
pur consentita estrazione di materiale.
*****
3.0. Altra rilevante questione riguarda le escavazioni non autorizzate, connesse
ad una erronea rappresentazione dello stato dei luoghi nel progetto di
ricomposizione ambientale autorizzato con D.G.R. 5604/94.
Appare ovvia la considerazione relativa alla difficoltà di ricostruire in fatto
lo stato dei luoghi, compromesso dalla protratta coltivazione della cava;
infatti numerose e spesso contrastanti tra di loro sono le perizie prodotte in
causa, per cui questo giudice ha dovuto necessariamente selezionare i vari
accertamenti tecnici privilegiando, secondo gli usuali criteri, quelli di
provenienza da parti pubbliche che, per l’autorevolezza dei redattori, per le
argomentazioni utilizzate e per la qualità intrinseca sono apparsi i più
attendibili.
3.1. La questione centrale riguarda a tutta evidenza la quota da cui calcolare
l’escavazione e la coltivazione della cava, e quindi di conseguenza l’eventuale
abusività delle escavazioni.
In questo quadro assume un rilievo particolare la posizione del caposaldo, anche
se questo Collegio non può fare a meno di sottolineare come il suo valore non
possa essere considerato assoluto, ma vada rapportato alle considerazioni
relative al piano di campagna circostante.
In definitiva, il caposaldo costituisce solo un mezzo, importante ma non certo
l’unico, per valutare la quota di partenza della cava da cui calcolare le
escavazioni autorizzate o meno. Invero, quale che sia la carta utilizzata, il
caposaldo assolve la sola funzione di riferimento per tracciare le curve di
livello.
Va rammentato che il progetto di ricomposizione presentato in data 8.09.1994 ai
fini dell'autorizzazione regionale non conteneva alcuna indicazione del
caposaldo, da utilizzare per il computo delle quote, laddove negli allegati
grafici successivamente depositati in Regione in data 1.12.1994, compariva un
caposaldo a 47,50 m.
3.2. Peraltro, essendo emerso che detto caposaldo non era compatibile con la
rappresentazione delle curve altimetriche indicate nel medesimo progetto, la
Provincia di Padova provvide a calcolare i quantitativi estratti facendo
riferimento al piano di campagna preesistente alle escavazioni e quotato a
livello mare (m 45,73), accertando di conseguenza la quantità di materiale
estratto non autorizzato.
Sul punto si rileva poi come la materiale esistenza di un cippo di cemento a
47,50 slm, non è sufficiente a sostenere che le curve altimetriche designate
nelle tavole progettuali fossero state calcolate a partire proprio da quel punto
di riferimento.
Infatti, a parte che la dimenticanza dell’evidenziazione del caposaldo nelle
tavole progettuali prodotte dalla ditta appare imputabile alla stessa, in ogni
caso detto caposaldo va rapportato al piano di campagna contermine.
La questione si complica in quanto le cartografie utilizzate nel tempo dalle
parti in causa non risultano omogenee, in quanto le carte topografiche
dell’Istituto geografico militare e quelle della Carta tecnica regionale per lo
stesso luogo danno quote sul livello del mare differenziate di circa 2 metri.
3.3. Tornando al caposaldo, il tecnico professionista incaricato dalla Provincia
di Padova - p.i. Mosca - per accertare possibili infrazioni addebitabili alla
Ca' Vico, ha posto a fondamento della propria relazione non già i dati
discendenti dalle quote progettuali e da quelle del caposaldo, bensì deduzioni
ricavate dalle sezioni dei progetti stessi, proprio per la non assoluta valenza
probatoria del caposaldo stesso e della cartografia disponibile.
Lo stesso tecnico ha, inoltre, preso a riferimento il piano di campagna
circostante deducendone la quota generale altimetrica.
In conclusione sul punto, la presenza e l’attendibilità del caposaldo non
risultano assolute, ma vanno rapportate alla concreta situazione del terreno, il
che rende corretta la constatazione di materiale abusivamente estratto dalla
ricorrente, che costituisce una delle fondamentali ragioni poste a fondamento di
vari provvedimenti impugnati e in particolare della revoca dell’autorizzazione.
3.4. Risulta quindi necessario rifarsi alle valutazioni tecniche, tra cui spicca
per la sua esaustività e completezza la relazione della ditta AGEPI sas di data
5 dicembre 2002, nonché la nota della Provincia di Padova n 6272/2003 di data 23
gennaio 2003 che elenca ben 14 accertamenti da cui emerge la esistenza di
escavazioni abusive.
Come già spiegato, le indagini peritali, effettuate per conto della Provincia di
Padova, stabiliscono che la mera indicazione del "caposaldo" presente in loco-
sia pure con l'attribuzione di una certa quota - è insufficiente a dimostrare
che le curve di livello disegnate nelle tavole del 1.12.1994 siano calcolate a
decorrere da quel punto di riferimento.
Inoltre il verbale di riunione tra Comune, Provincia e Regione del 01.02,2002
attesta che "da un immediato confronto tra la rappresentazione progettuale e la
Carta Tecnica Regionale che risale ai rilievi aerofotogrammetrici” risulta che
“le quote di terreno circostante la cava non corrispondono alle quote indicate
nel progetto ai limiti dello scavo con differenze variabili da 50 centimetri a 4
metri”.
Infine l'arch. Dario Brigo - consulente della Regione Veneto in forza della
D.G.R. 3884 del 13.12.2005, incaricato di produrre un'adeguata relazione
tecnica, - al termine del lavoro di accertamento dichiara che gli allegati al
progetto approvato con D.R.G. 5609/1994 offrono una ricostruzione meramente
teorica dello stato dei luoghi, anziché una corretta rappresentazione della
realtà.
3.5. Le escavazioni abusive - cioè eccedenti i limiti autorizzati - hanno
formato poi oggetto di accurato esame da parte della Commissione tecnica
provinciale attività di cava (CTPAC) di Padova, in particolare nel parere reso
in data 4 febbraio 2003, nelle sedute del 16 gennaio 2003, 6 febbraio 2003, 13
marzo 2003, nel sopralluogo del 27 marzo 2003 e infine nella seduta conclusiva
dell’ 8 maggio 2003.
Appare logico quindi sostenere che l’esame di un organo tecnico qualificato,
effettuato tra l’altro in numerose sedute e in contraddittorio con la ditta
ricorrente, abbia acclarato con sufficiente certezza l’abusività di alcune
escavazioni, a nulla rilevando in questa sede l’ammontare esatto del materiale
abusivamente estratto, dato questo di difficile calcolo in una situazione
compromessa e alterata.
Ne consegue che sussistono indizi plurimi, sufficienti, precisi e concordanti
sulla correttezza dell’assunto provinciale secondo cui la ditta, anziché
movimentare la quantità di terreno autorizzata al fine della ricomposizione
ambientale, aveva asportato anche un’ulteriore consistente quantità di ghiaia.
*****
4.0. Altra rilevante questione da esaminare in via preliminare riguarda gli
scarichi abusivi di reflui industriali e il conseguente pericolo di
contaminazione.
Occorre appena rilevare come lo scarico non autorizzato di liquidi reflui,
provenienti dal lavaggio degli inerti, direttamente nel lago di cava, può essere
fonte di pregiudizi irreparabili, in una zona dove la falda idrica, da cui si
ricavano acque destinate al consumo umano, si trova a soli due metri di
profondità dal terreno.
Dagli atti di causa risulta che la ditta ha attivato uno scarico non autorizzato
di acque reflue industriali, originarie dalle attività di estrazione e
lavorazione degli inerti, e riversate nel laghetto di cava a mezzo di una
tubazione sporgente.
In particolare ciò emerge dalle relazioni ARPAV- Dipartimento Provinciale di
Padova- DPA/08550/T3602/A2 del 4.11.1999; n. 84/99/gpz/GPZ/ARPAV del 22.10.1999,
e dalla nota del medesimo ARPAV del 4 ottobre 2001.
Va poi ricordata tra i numerosi documenti la relazione di sopralluogo del Comune
di San Martino di Lupari del 27 luglio 1999 da cui sono emerse palesi
irregolarità nello scarico di acque reflue, tra cui vasche di decantazione
rivestite da materiale difettoso e quindi non impermeabili, oltre alla mancanza
di un registro di carico e scarico delle stesse acque reflue stoccate nelle
vasche.
La successiva relazione datata 30 luglio 1999 ha ulteriormente precisato che il
fossato in cui confluiscono le acque reflue era privo di ogni protezione
impermeabile risultando “un vero e proprio scarico sul terreno”, che non era
noto lo scarico terminale di dette acque, che nella parte ovest del bacino di
cava risultavano depositati materiali inerti, limi e materiale proveniente da
demolizioni.
4.1. E’ ben vero che la Provincia di Padova in data 23.3.2000, vista la
documentazione presentata, nonché sentito il parere dell'A.R.P.A.V., ha
autorizzato la ditta Ca' Vico allo scarico delle acque, ma detta autorizzazione
con validità sino al 20.3.2004 è stata sospesa con provvedimento n. 728/DEP/
2001. Va rilevato che detta autorizzazione è successiva alle ispezioni comunali
sopra citate e comunque non consentiva lo scarico nel terreno con le modalità
riscontrate.
Lo scarico di acque reflue industriali nel laghetto di cava senza autorizzazione
è stato tra l’altro oggetto della vicenda penale a carico del legale
rappresentate della Ca’ Vico conclusasi con un patteggiamento di cui alla
sentenza n. 21 del 2003 depositata il 31 marzo 2003 del Tribunale ordinario di
Padova – Sezione di Cittadella.
Certamente questo Collegio non ignora che da una sentenza patteggiata non può
desumersi alcuna prova della sussistenza dei fatti contestati all’imputato, ma
tuttavia tale pronuncia costituisce pur sempre un indizio nel senso della
presenza di scarichi abusivi.
*****
5.0. Correlata strettamente alla questione precedente, almeno dal punto di vista
causale, è quella riguardante l'elevata concentrazione di sostanze chimiche
nocive.
Numerose sono le indagini effettuate sul sito di cava che attestano come nei
campioni di terreno, nel limo e nel fondale del lago siano sedimentate sostanze
chimiche dannose, in percentuali che si discostano dai valori medi.
Tra le altre di particolare rilevanza la relazione del dott. Avola ("Indagine
ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul terreno situato in
zona limitrofa cava Campagnalta") sui campioni prelevati il 15.11.2001, da cui
emerge che, sulla base della classificazione di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n.
47, superano i valori della concentrazione limite vari campioni per quanto
riguarda l'arsenico e uno per quanto riguarda il cadmio.
Per quanto concerne il cadmio, l'alta concentrazione è confermata dalla
Relazione Tecnica AGEPI del 5 agosto 2002.
Altresì la percentuale di alluminio supera i valori massimi consentiti, come
risulta dalla nota della Provincia di Padova, n. 118222 del 26.11.2002, che
recepisce i rapporti di prova effettuati dall'ARPAV in data 08.07.2002. Anche la
percentuale massima di magnesio superava i limiti di norma.
A tale proposito va poi aggiunto che dalle analisi eseguite da ARPAV non può in
alcun modo desumersi, come invece sostiene la ricorrente, "la correttezza dei
lavori effettuati dalla CA' Vico S.r.l.".
Inoltre in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società
ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e
dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari
a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto
dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15
mg/kg.. Se ne desume che il terreno originario della cava e quindi il limo
residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori
ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto
endemico.
5.1. Inoltre, i certificati di analisi in questione, evidenziano sia un
superamento dei valori limite di emissione dei materiali in sospensione totale
previsti dalla tab. 3 allegata ai D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, - colonna
relativa allo scarico in acque superficiali - sia la presenza, se pur minima, di
idrocarburi, in contrasto con quanto previsto dall'autorizzazione emessa dalla
Provincia di Padova n. 544/DFP/2000, prot. 17883 del 23 marzo 2000; detta
autorizzazione, rilasciata sulla base della documentazione allegata alla domanda
dalla ditta Ca' Vico S.r.l., prevede che le acque reflue dell'attività di
lavaggio inerti vengano avviate ad un impianto di sedimentazione all'interno di
un bacino chiuso.
Orbene, dalle analisi eseguite sulle acque di scarico all'interno del tubo di
acciaio che veicola le acque di lavaggio nel laghetto di cava, nel laghetto a
nord dell'impianto di dragaggio, in una cisterna di acciaio con deflusso al
piazzale e nel bacino di raccolta e depurazione delle acque, risulta, invece, la
presenza di un ulteriore scarico di acque di lavaggio, immesse direttamente
nelle vasche della cava, nonché uno scarico sul suolo, con deflusso nelle acque
della cava, evidentemente non autorizzati. Ciò è evidenziato anche dalla
presenza di idrocarburi che non avrebbero dovuto essere presenti nei campioni di
acqua prelevati.
5.2. Per completezza, va aggiunto che la Regione Veneto, avvalendosi della
consulenza dell'ingegnere ambientale Mariacristina Armellin (D.G.R. 3884 del
13.12.2005), ha ulteriormente esaminato la questione ambientale; il sopralluogo
eseguito nella cava in data 19.02.2007 ha evidenziato un peggioramento della
situazione, anche per la mancanza di manutenzione.
5.3. La questione dell’arsenico merita un ulteriore approfondimento.
Sulla concentrazione di arsenico, la ditta ricorrente sostiene la sua natura
endemica nella zona, citando a sostegno la nota dell’Arpav - Centro
agroambientale - del 5 febbraio 2002. Sennonché la cartina allegata a detta nota
evidenzia per il Comune di San Martino di Lupari una concentrazione media di
12.1, ben inferiore a quella riscontrata nei campioni.
Appare quindi ragionevole sostenere che elementi chimici possono venire a
contatto con l'acqua accumulata nella falda idrica, con evidente pericolo per i
numerosi pozzi privati e l’intero sistema acquedottistico esistente nell'area.
*****
6.0 Altra questione concerne il limo.
La documentazione depositata evidenzia la presenza di limi sepolti nel lago di
cava e limi sepolti nel piazzale di cava.
Sul punto va detto che se il limo si può considerare un prodotto naturale
dell’escavazione di ghiaia, tuttavia era obbligo per la ditta asportarlo e
pulirlo, né era consentito il suo stoccaggio in ogni zona dell’ambito di cava.
Inoltre l'autorizzazione di cava consentiva l'estrazione di ghiaia fino ad una
profondità massima di circa trenta metri: ne discende che la profondità della
ghiaia rispetto al piano di campagna circostante non deve essere a meno di
trenta metri; risulta invece dalla documentazione in atti che ad una profondità
di trenta metri, nel laghetto, non vi è ghiaia ma uno strato di limo dello
spessore di 5/8 metri, sicché appare ragionevole dedurne che è stato estratto un
ulteriore strato di ghiaia dello spessore di altrettanti metri, per l'intero
fondo del laghetto, ed al posto del materiale estratto è stato posto limo. Non è
poi possibile che il limo sia prodotto dal lavaggio della ghiaia, perché a tale
scopo la ditta ha sempre sostenuto di aver predisposto apposite vasche.
6.1. Nella zona è stata altresì riscontrata una presenza anomala di idrocarburi,
come emerge dalla relazione dell’ARPAV Dipartimento provinciale di Padova del 4
ottobre 2001.
6.2. Nella cava sono stati poi trovati tre bidoni galleggianti, di cui uno con
numerose fessure e perdite.
La presenza nella cava di materiale estraneo, come materiale edile e rifiuti in
genere, non viene negata da parte ricorrente, anche se ne minimizza la quantità;
si tratta comunque di materiale trovato in numerose ispezioni, e che la ditta
non era certo autorizzata a collocare nella zona. La presenza di tale materiale
denota almeno una negligenza in vigilando da parte della Ca’ Vico.
In particolare l'ARPAV nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre 1999
rilevò "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in superficie la
presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile provenienza esterna al
bacino di cava".
I tecnici comunali in un sopralluogo del luglio 1999 rilevavano che era stata
eseguita "una operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non
autorizzato e si notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a
inerti, limi e in alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto 1999
con la quale vietò a Cà Vico di depositare nella cava materiale di risulta
proveniente dall'esterno. La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso
2139/99, ora estinto per rinuncia, per cui non risulta più contestabile
l’accumulo nella zona di materiale di risulta proveniente dall'esterno.
*****
7.0. Per quanto concerne le scarpate prospicienti il laghetto di cava, vari
accertamenti tecnici, non contestati sul punto dalla ricorrente, ne hanno
accertato la difformità rispetto agli obblighi di ricomposizione assunti dalla
ditta. In particolare viene in rilievo la relazione integrativa AGEPI del 5
dicembre 2002.
7.1. Conclusivamente sulle questioni generali, risulta dimostrato al di la di
ogni ragionevole dubbio che la ditta Ca’ Vico ha scavato ghiaia in quantità
superiori a quelle autorizzate, ha proceduto a scaricare le acque reflue in siti
e con modalità non consentite, ha accumulato vari rifiuti nell’area di cava, ha
versato sul terreno sostanze inquinanti, non ha proceduto a una corretta
ricomposizione delle scarpate.
*****
8.0. Si passa ora all’esame del primo ricorso rubricato sub 2256/01.
La società ricorrente, subentrata ad altra ditta, si vide revocare
l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati
inquinanti. In seguito chiese una concessione in sanatoria per alcune vasche di
decantazione.
Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il rilascio della
concessione in sanatoria, mentre la provincia ha sospeso l'autorizzazione allo
scarico del suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto, ad avviso della Ca’ Vico,
sostanzialmente non corrisponderebbero ai dati reali; infatti secondo la
ricorrente gli impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano
già esistenti. Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente
motivato, e comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già
costruite.
In questa vicenda evidentemente assumono particolare rilievo i presupposti di
fatto, come documentati in causa.
Esaminando per primo il provvedimento comunale gravato conviene riprodurne
alcuni aspetti salienti:
“la ditta Ca' Vico in data 24.12.1999 ha presentato istanza a sanatoria di n. 2
vasche di decantazione e rispettivi impianti tecnologici;
in data 9 febbraio 2000 a nome e per conto della ditta Ca' Vico il geom.
Domenico Borgo ha richiesto la sostituzione degli elaborati grafici presentati
in data 22 febbraio 2000;
il sottoscritto ha chiesto con formale comunicazione l'epoca di realizzazione
delle vasche e annessi.
La succitata richiesta è da intendersi come fatto sostanziale e non formale in
quanto con verbali di accertamento dell'ufficio ecologia comunale e della
polizia municipale in data 23 luglio 1999 e 27 luglio 1999 si constatava
l'inesistenza della vasche così come riportate dagli elaborati grafici
presentati.
In risposta a tale richiesta la ditta Ca' Vico con nota del 4 marzo 2000
comunica che la costruzione delle vasche come risulta da documenti della ditta
EMI sono in essere dal 12.08.1988, e ciò in palese contrasto con i verbali di
sopralluogo della Polizia Municipale;
Detta risposta è ritenuta da Questo Ufficio evasiva e contraddittoria non
risultando in atti né denuncia di inizio lavori né indicazione del direttore
lavori né, tantomeno, la fine dei suddetti lavori.
Si chiedeva, pertanto, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà al
fine di poter procedere alla richiesta di sanatoria”;
In data 17 aprile 2000 la ditta Cà Vico ribadisce che le vasche risultano in
essere dal 1988 e non produce alcuna dichiarazione sostitutiva;
A questo punto non era possibile per il Comune procedere al rilascio della
concessione in sanatoria emergendo chiaramente la contraddizione tra i verbali
di sopralluogo e la comunicazione della Cà Vico: per sanare l'opera la
conoscenza dell'epoca di realizzo è prevista dall'art. 97 comma 3 della L. 61/85
al fine di accertare la doppia conformità (epoca di realizzo ed epoca della
domanda).
Per quanto riguarda la domanda di autorizzazione allo scarico la stessa,
presentata alla provincia di Padova come previsto dalla legge regionale n. 33/85
e D.Lgs. 152/99, è da intendersi quale domanda preventiva in quanto i lavori per
la costruzione dei manufatti presuppongono un provvedimento autorizzativo
comunale.
Infatti l'autorizzazione preventiva provinciale prevede testualmente: "La
presente autorizzazione è rilasciata a soli fini della legislazione per la
tutela delle acque dall'inquinamento di esclusiva competenza provinciale e non
sostituisce i provvedimenti di competenza di altri Enti; con particolare
riferimento ai provvedimenti dei Comuni in materia urbanistica ed igienico
sanitaria e dell'ente gestore del corpo idrico ricettore (Genio Civile,
Magistrato delle acque, consorzi di bonifica) in materia di concessioni
idrauliche":
Il certificato di regolare esecuzione del direttore dei lavori presuppone
quindi:
la concessione edilizia come previsto dalle leggi regionali 61/85 e L.R. 44/82,
la figura del Direttore dei lavori, la data di inizio e termine lavori, la
rispondenza del progetto approvato alle opere eseguite.
Pertanto, il Comune vista anche la nota pervenuta a questa Amministrazione in
data 29.09.2001 a firma dell'ing. Aldo Lorenzetto, il quale precisa che la sua
dichiarazione non deve intendersi quale "certificato di regolare esecuzione" non
comparendo egli quale direttore dei lavori né tantomeno come collaudatore, ha
ritenuto che la ditta Ca' Vico non fosse in possesso dei requisiti di legge per
l'avvio dell'impianto di sedimento e trattamento e lavorazioni ghiaie sito in
Via Castellana n. 64 così come ribadito dalla Provincia di Padova con
comunicazione del 1 ottobre 2001 prot.n. 82199.”
Il Collegio rileva innanzi tutto che la domanda di sanatoria implica di per sé
l'ammissione implicita dell'abusività delle vasche; inoltre, il comune aveva
accertato con apposite ispezioni e relativi verbali in data 23 luglio 1999 e 27
luglio 1999 l'inesistenza delle vasche come riportate negli elaborati grafici
annessi alla domanda di sanatoria.
Si veda in particolare la cartografia depositata in causa dalla Provincia in
data 21 novembre 2001 dalla quale emerge una completa discrasia tra la posizione
delle vasche indicata dalla ditta e quella accertata dal Comune.
L'asserzione della ditta che le vasche fossero esistenti alla data del 12 agosto
1988 non risulta poi sorretta da alcuna idonea documentazione, che pure era
facilmente reperibile presso la ditta dante causa, come le comunicazioni di
inizio lavori, i certificati di ultimazione e collaudo.
A questo punto il diniego di concessione in sanatoria appare un atto dovuto, in
quanto non risultava comprovato il momento di edificazione di dette vasche,
necessario ai fini dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità,
prevista dall'articolo 97 della legge regionale n. 61 del 1985.
8.1. Risulta poi dalla documentazione in atti che la ditta aveva scaricato le
acque reflue in una vasca priva di tenuta stagna, come è emerso
dall'accertamento in contraddittorio disposto dal Tar del Veneto ed eseguito in
data 8 febbraio del 2000 (e ancor prima dalla relazione di sopralluogo redatta
dal Comune in data 30 luglio 1999).
Sempre sulla questione delle sanatoria, si osserva che gli ispettori dell'ARPAV
avevano accertato la presenza di una vasca di recente realizzazione, affatto
diversa da quella autorizzata dall'originaria concessione edilizia del 1988.
8.2. Passando ora al decreto provinciale, conviene riprodurne i tratti salienti:
omissis
“RICHIAMATO il decreto n' 544/DEP del 23.03.2000 con il quale la ditta Cà Vico è
stata autorizzata preventivamente allo scarico su suolo di acque reflue
industriali dell'insediamento produttivo sopraindicato;
VISTA la nota datata 18.06.2001 (prot. Prov n. 52289 del 4.07. 2001), con la
quale la ditta ha trasmesso ìl certificato di regolare esecuzione delle opere
datato 15.05.2001, rilasciato dal Direttore dei Lavori ing. Aldo Lorenzetto.
VISTA la nota datata 28.09.2001 (proc. Prov n. 80494 del 1 10.2001), trasmessa
via fax, con la quale l'ing. Aldo Lorenzetto comunica che il documento del 15
05.2001 è stato erroneamente intitolato "Certificato di regolare esecuzione" e
che deve intendersi come "Verbale di stato del luoghi" in merito alla presenza
nel cantiere in oggetto di vasche di decantazione.
VISTA la nota della Provincia prot. n. 81299 del 1 10.2001, con la quale la
Ditta è stata invitata a presentare il Certificato di regolare esecuzione delle
opere;
VISTA la nota del 28 09 2001, prot. n 81457, pervenuta alla Provincia in data
2.10.2001, prot n° 81457, del Comune di S.Martino di Lupari con la quale si
comunica che il certificato di regolare esecuzione del 15.052001 non corrisponde
ad alcun progetto depositato presso il Comune e mai assentito con il rilascio
della prevista concessione edilizia;
PRESO ATTO delle note del 1. 10. 2001 e 2.10.2001 con le quali la Ditta ha
esposto al Comune, alla Regione e alla Provincia la propria situazione in merito
al rilascio della concessione edilizia:”
omissis
Il decreto provinciale quindi risulta motivato con un duplice ordine di motivi:
il primo, la mancanza di un vero e proprio certificato di regolare esecuzione
delle opere; invero, correttamente la provincia ha qualificato il certificato
così denominato come verbale di stato dei luoghi, conformente a quanto precisato
dallo stesso redattore ingegnere Aldo Lorenzetto con apposita nota di data 29
settembre 2001.
In secondo luogo, la provincia fa presente che detto certificato non
corrispondeva ad alcun progetto depositato presso il comune e nemmeno a quanto
assentito dalla concessione edilizia. In sostanza, la mancanza di un certificato
di regolare esecuzione rendeva impossibile l'autorizzazione allo scarico,
subordinata proprio a tale documentazione.
La sospensione quindi dell'autorizzazione risultava un atto dovuto da parte
della provincia di Padova, in ultima analisi fondata sulla medesima questione e
quindi sull’inesistenza delle vasche come realizzate e sulla loro non conformità
con l’originaria concessione edilizia.
8.3. Conclusivamente sul ricorso n 2256/01, per quanto detto esso risulta
infondato, in primo luogo in quanto i presupposti fattuali dei due provvedimenti
impugnati risultano corroborati da idonea e univoca documentazione e in secondo
luogo in quanto la stessa ditta Ca’ Vico, con la domanda di sanatoria, dimostra
di ritenere abusivi i manufatti.
Infine lo stesso tecnico incaricato dalla ditta dichiara di non aver redatto un
certificato di regolare esecuzione dei lavori ma un certificato di stato dei
luoghi, con il che viene meno ogni dimostrazione della conformità delle vasche
alla originaria concessione.
*****
9.0. Con il ricorso rubricato al n. 2257/01 la ditta impugna due ordinanze della
regione Veneto con cui si ordina la sospensione dei lavori di estrazione della
cava e in generale di qualsiasi attività estrattiva.
Va premesso che le ordinanze impugnate, che sospendono l’attività di cava in via
temporanea e cautelativa, risultano superate dalla successiva ordinanza n 375
del 2 novembre 2001 impugnata con il ricorso n 2671/01 che ha sospeso l’attività
della cava sempre in via cautelativa ma a tempo indeterminato.
Dal momento però che parte ricorrente argomenta la richiesta del risarcimento
danni anche dal comportamento a suo dire “persecutorio” della pubblica
amministrazione, di cui sarebbero sintomo anche i due atti gravati con il
presente ricorso, appare utile esaminarlo anche nel merito.
Le censure come visto in fatto sono due:
la prima, sostanzialmente di carenza dei presupposti, riguarda la mancata
indicazione nelle due delibere impugnate dell'ambito preciso delle presunte
escavazioni non autorizzate, in riferimento ai provvedimenti autorizzativi. In
particolare vi sarebbe una confusione tra l'area di escavazione e l’area di
recupero ambientale.
9.1. L’assunto della ditta ricorrente non può essere condiviso.
Invero, la prima ordinanza gravata del 28 agosto 2001 richiama il verbale di
sopralluogo effettuato in data 21 giugno 2001 congiuntamente da personale della
Provincia, dell’ARPAV e del Comune, e che conviene riprodurre nelle parti che
qui interessano:
“L’area interessata, della superficie di circa 40-50.000 m2, si presenta coperta
da fitta vegetazione spontanea, erbacea ed arbustiva.
Sul posto si è proceduto all'effettuazione di scavi e trincee mediante
escavatore meccanico, fino alla profondità programmata di 6 mt., secondo la
numerazione riportata nella planimetria allegata, che individua la collocazione
di massima delle trincee.
Trincea n. 1 Si evidenzia terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia.
Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 2 Terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia. Non si rileva
il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 3 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; da 1 a 5 mt. circa è
presente uno strato di materiale limoso, presumibilmente limi da lavaggio
inerti. Oltre 5 mt. ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato
ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea, presenta una marcata
tendenza a franare.
E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V. un campionamento di tale materiale, per
verificare la presenza di eventuali composti inquinanti.
Trincea n. 4 Terreno di riporto fino a circa 1 mt., quindi limi fino alla
profondità di circa 5 mt.. Successivamente ghiaia. Non si rileva il tetto di
falda sopra lo strato ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea,
manifesta una marcata tendenza a franare.
Sono stati rinvenuti nel materiale escavato rifiuti vari quali stoffe, inerti,
fili plastici.
Trincea n. 5 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; presenza di limo da 1 a 5 mt.
circa, quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta una marcata tendenza a
franare. Nel materiale escavato è stato rinvenuto un significativo blocco di
cemento, con presenza di pezzi d'asfalto. E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V.,
un campionamento del materiale limoso, per verificare la presenza di eventuali
composti inquinanti.
Trincea n. 6 Terreno di riporto fino ad 1.5-2 mt.. Presenza di uno strato di
materiale limoso sottostante fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il
tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta tendenza a franare.
Trincea n. 7 Terreno di riporto fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva
il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 8 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si
rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 9 Terreno di riporto fino a circa 3.2 mt., quindi ghiaia. Non si
rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 10 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si
rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti frammenti di
rifiuti inerti, seppure in modeste quantità.
Trincea n. 11 Terreno di riporto fino a circa 4 mt., quindi ghiaia Non si rileva
il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti, seppure in modeste
quantità frammenti di rifiuti inerti in superficie.
Trincea n. 12 La trincea è realizzata in corrispondenza della rampa posta in
prossimità del laghetto. Terreno di riporto fino a circa 3.5 mt., quindi ghiaia.
Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 13 Terreno di riporto fino a circa 1.5 mt., quindi ghiaia Non si
rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 14 Terreno di riporto fino a circa 2 mt., quindi ghiaia. Non si
rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
L'insieme del sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di
4-5.7 mt. dal p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità
minore (1.5-2 mt.) in vicinanza del laghetto, ove il piano di campagna si
presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt.
rispetto all'area circostante esterna al perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenze di rifiuti derivanti dalle attività
di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S-0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 3, 4, 5
e 6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale
presumibilmente limi da lavaggio inerti. Si rimane in attesa degli esiti
analitici sui campioni effettuati per una valutazione sull'eventuale
caratteristica contaminante di tali materiali.”
9.2. Inoltre si evidenzia che in allegato al verbale anzidetto è riportata una
planimetria da cui si evincono i punti precisi in cui sono state realizzate le
trincee esplorative, tutte collocate all'interno del perimetro dell'area di
intervento autorizzato.
Risulta poi che il piano di campagna del sito sondato era più basso di circa tre
metri rispetto all'area circostante. Infine il substrato ghiaioso è stato
rinvenuto a circa otto metri di profondità rispetto alla quota del piano di
campagna circostante.
Sussistevano quindi fondati dubbi di escavazione non autorizzata, non solo in
quanto effettuata oltre i limiti concessi, ma altresì in una zona che non
prevedeva l'asportazione di alcun tipo di materiale di scavo.
9.3. Inoltre, con provvedimento prot. n. 92208 del 6.11.2000, la Provincia di
Padova aveva contestato alla ditta di aver effettuato lavori di coltivazione dí
cava in assenza ed in difformità dall'autorizzazione.
Emerge inoltre che l'escavazione ha interessato anche il mappale n. 120, senza
che l'estrazione del relativo materiale in esso ricadente fosse mai stata
oggetto di alcuna autorizzazione.
Va aggiunto che un’ulteriore escavazione abusiva è stata rilevata a seguito
dell'indagine condotta dal Dott. Fernando Ronco, nel novembre 2000, dalla cui
relazione risulta, tra l'altro, che i terreni in loco sono caratterizzati da
ghiaie, sabbie e sabbie con ghiaia diffuse in tutto il territorio oggetto
dell'indagine, evidenziando una situazione del tutto anomala.
9.4. La seconda ordinanza impugnata, recante la reiterazione della sospensione
per ulteriori 30 giorni, afferma che “persistono le ragioni già espresse” nella
precedente ordinanza; richiama poi la nota 1 ottobre 2001 della Provincia che
comunica l’effettuazione di ulteriori rilievi da cui risulta la necessità di
altri accertamenti al fine di verificare la presenza di eventuali escavazioni
non autorizzate.
La seconda ordinanza appare poi corroborata da ulteriori indagini, successive a
quelle sopra citate, in particolare i sopralluoghi effettuati dal Comune nelle
date del 3 settembre 2001, 11 settembre 2001 e 20 settembre 2001.
9.5. In sostanza, la prima censura risulta smentita dalla documentazione in
atti, non solo in quanto l'area in cui sono state effettuate le indagini e
rilevate le anomalie appare individuata con precisione, ma altresì in quanto la
decisione di sospendere l’attività, ripetesi solo temporaneamente e in via
cautelativa, risulta congruamente motivata in entrambe le ordinanze.
9.6. Va ora esaminata la seconda censura, relativa alla presunta erronea ed
arbitraria applicazione dell'art. 29 della L.R. Veneto n. 44 del 1982.
Invero, detto articolo 29 prevede la possibilità di ricorrere alla sospensione
cautelativa dei lavori in caso di inosservanza dell’autorizzazione, quando siano
necessari ulteriori accertamenti ed in ogni caso quando si tratti di interventi
abusivi.
Nel caso invero ricorre pacificamente l’ipotesi di necessità di ulteriori
accertamenti, a seguito di ripetute verifiche, in quanto dai verbali dei
sopralluoghi effettuati emergeva un’inosservanza dell’autorizzazione se non già
l’abusivita di alcune escavazioni.
Inoltre è stata accertata la presenza di materiali di rifiuto, per cui
sussisteva la necessità di procedere alla temporanea sospensione dei lavori allo
scopo di effettuare tutti i necessari e complessi accertamenti tecnici al fine
della tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
Il ricorso si appalesa quindi infondato.
*****
10.0. Con il ricorso n. 2671/01 la medesima ditta impugna l'ordinanza 375 della
regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato qualsiasi lavoro di
coltivazione della cava. Il presente ricorso viene presentato anche come motivi
aggiunti al precedente ricorso n. 2257 del 2001.
L’istante fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non
sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato,
laddove i valori riscontrati rientrerebbero nella norma e il valore di arsenico
in particolare dipenderebbe dalla situazione del territorio. I campioni
prelevati poi risulterebbero inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda
gli scarichi inquinanti.
10.1. Conviene riportare di seguito l’ordinanza 375 impugnata:
PREMESSO che con deliberazione della Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994,
intestata alla ditta Cà Vico srl con sede. in via A. Velo n. 55 - Fontaniva (PD),
prorogata con Decreto n. 311 del 17.07.1998, è stato approvato un intervento
presso un bacino estrattivo in Comune di San Martino di Lupari -(PD), già
interessato da precedenti provvedimenti autorizzativi;
VISTO il verbale relativo al sopralluogo congiunto del 21.06.2001, per
verificare la presenza di eventuali rifiuti interrati nell'area posta ad ovest
del laghetto, dal quale è emerso, tra l'altro; quanto segue: "L'insieme dei
sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di 4-- 5.7 mt. dal
p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità minore (1.5 – 2 mt.)
in vicinanza del laghetto, ove il piano dí campagna si presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt.
rispetto all'area circostante esterna la perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenza di rifiuti derivanti dalle attività
di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S--0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 4, 5 e
6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale
presumibilmente limi da lavaggio inerti. -(omissis}
Con riferimento all'abbassamento del piano di campagna dell'area interessata,-
rispetto a quello esterno al perimetro della Ditta ed al rilevamento di ghiaia
solo ad una significativa profondità dal piano di campagna, il geom. S. Baggio
del Comune e l'Arch. M. Rossetto della Provincia Serv. Cave, si aggiorneranno
per verificare l'eventuale presenza di attività di escavazione abusiva.'
VISTA l'ordinanza, n. 310; del 28/08/2001, con la quale è stato immediatamente
sospeso in via cautelativa, alla ditta Ca' Vico s.r.1, qualsiasi lavoro
estrattivo nella cava di sabbia e ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA”;
VISTA l'ordinanza n. 341 in data 01.10.2001 del Dirigente regionale, con cui il
termine di sospensione dei lavori imposto con la precedente ordinanza n 310 in
data 28.08-.2001 è stata prorogato di ulteriori trenta giorni;
VISTA la nota in data 04.10.2001 n. D/11593/ST.V7499/a2 dell'ARPAV Prov. PD,
dalla quale emerge, tra l'altro, che le acque di lavaggio vengono immesse nel
laghetto nonchè sul suolo con deflusso nello stesso laghetto di cava e tali
scariche non risultano essere autorizzati;
lo scarico non autorizzato delle acque reflue nel Laghetto è stato segnalato
all'Autorità Giudiziaria: in tutti i campioni prelevati, sia di acque
superficiali che di acque reflue, si riscontra la presenza di idrocarburi
totali;
nello scarico nel laghetto e sul suolo è stato evidenziato il superamento dei
limiti stabiliti dalla tab. 3, allegato 5, colonna acque superficiali del D.Lgs.
152/99, relativamente al parametro solidi sospesi totali;
in entrambi i campioni di terreno (limo) prelevati è stato riscontrato un valore
di Arsenico leggermente superiore ai limiti previsti dalla tabella A del D. M.
471/99, riferita peraltro ai siti contaminati;
VISTA l'ordinanza di convalida sequestro preventivo emessa dal Tribunale di
Padova in data 11.10.2001 (n. 8859/99 r nr e n. 8456/01 r p), relativa agli
impianti per la lavorazione degli inerti (barcone, nastri, vaglio, frantoio)
presso la cava "CAMPAGNALTA";
VISTO il verbale in data 15.10.2001, relativo alla riunione tenutasi alla
presenza di incaricati della Regione Veneto, della Provincia di Padova e del
Comune di San Martino di Lupari, cui ha fatto seguito un sopralluogo in cava,
dal quale emerge che è stato convenuto un programma di accertamenti che comporta
quanto segue:
verifica planoaltimetrica dello scavo sotto falda;
verifica delle condizioni delle sponde in ordine alla loro geometria ed
all'eventuale presenza di materiali di riporto, con relativa campionatura;
prelievo di campioni dal fondo, allo scopo di evidenziare la natura del
materiale ed il contatto con il sedime naturale originariamente in posto;
verifica della geometria delle sponde sotto falda, in relazione all'eventuale
presenza di sottostavi, con possibile formazione di profili a sbalzo;
verifica della corrispondenza tra gli scavi ed il progetto autorizzato, in
termini planimetrici;
VISTA la relazione di sopralluogo tenutosi presso l'insediamento della ditta Cà
Vico srl in via Castellana n- 64 - San Martino di Lupari il giorno 26.10.2001 da
parte di incaricati del Comune di San Martino di Lupari, dal quale risulta, tra
l'altro, che alcuni dipendenti "con l'ausilio di mezzi meccanici, stavano
eseguendo lavori di sistemazione delle sponde con terreno di risulta depositato
in loco.". Da tale verbale risulta inoltre che "detti lavori erano stati
eseguiti sulle sponde nord, est e su quasi tutta la sud del laghetto di cava";
VISTO il verbale della riunione in data 29.10.2001 (prot. n. 12684), tenutasi
presso il Comune di San Martino di Lupari alla presenza di incaricati della
Provincia di Padova e del Comune di San Martino di Lupari, dal quale emerge, tra
l'altro, che:
"1. gli scavi sono stati effettuati sull'area catastalmente censita non solo al
mappale 119 - t. 8, ma anche interessando il mappale 118 - fg. 8, escluso dalla
ricomposizione ambientale. Il mappale 119 fg. 8, interessato parzialmente al
progetto di ricomposizione ambientale per interventi che prevedevano "l'asporto
di circa 50.000. mc" -(punto 41.1.2. del progetto di ricomposizione ambientale
approvato con D.G.R. n. 5609 del 22.11.1994), è stato invece oggetto di
escavazioni e asporti ben superiori per circa 300.000 mc emersi già nel
sopralluogo congiunto eseguito in data 21.06.2001 allo scopo principale di
verificare la natura dei riporti effettuati. Tale evidenza ha richiesto e
richiederà l'effettuazione di accertamenti ulteriori e più precisi al fine di
determinare le quantità di materiale escavato in difformità; in tempi brevi la
provincia dí Padova contesterà alla ditta l'escavazione in difformità e
applicherà la relativa sanzione."
VISTA la nota fax in data 31.10.2001 a. 90887 della Provincia di Padova, con la
quale è stato fatto presente che gli accertamenti di competenza sulla parte
emersa oggetto di ricomposizione ambientale sono stati conclusi e che si sta
provvedendo alla relativa contestazione nei confronti della ditta. La Provincia.
di Padova, richiamando quanto emerso nella sopracimta riunione. del 15.10.2001,
ha altresì. chiesto la reiterazione dell'ordinanza dí sospensione. lavori n.
310/01;
Considerato che da quanto sopra esposto si configurano le ipotesi di scavo
abusivo sul mappale n. 118 fg. 8 e di scavo difforme sul mappale n. 119 fg. 8
del Comune di San Martino di Lupari;
RITENUTO condivisibile il programma di accertamenti nell'ambito delle competenze
di cui alla L.R. n. 44/82, espresso nel sopracitato verbale del 15.10.2001, allo
scopo di verificare esaustivamente le condizioni generali del sito estranivo,
con particolare riferimento alla condizione degli scavi sotto falda ed
all'eventuale presenza di materiali incompatibili con la destinazione d'uso del
sito;
CONSIDERATO che eventuali attività all'interno dell'area autorizzata possono
arrecare una sostanziale alterazione allo stato dei luoghi, in rapporto
all'estensione dell'area stessa ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento
delle indagini prospettate, anche in vista di possibili contestazioni di natura
tecnica;
TENUTO CONTO che gli impianti di cava sono comunque sottoposti a sequestro
preventivo giudiziario;
ATTESO CHE l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver
accertato che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che
non è interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o
comunque incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la
destinazione d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di
consentire al Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a
questa Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le
opportune e necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato
dalla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica;
CONSIDERATO che nel caso di riconosciute alterazioni ambientali o di presenze
inquinanti il sito deve essere sottoposto con urgenza ad interventi specifici di
risanamento, valutati e progettati in base allo stato dei luoghi al momento
degli accertamenti. Data la complessità di tali accertamenti, che richiedono
cognizioni multidisciplinari, da coordinare sia dal punto di vista della
raccolta dei dati informativi sullo stato dei luoghi, sia nell'individuazione
degli elementi analitici, entrambi valutati in un quadro ambientale e
regolamentare.
RILEVATO che l'indagine di cui al punto precedente, da condurre in un ambito
territoriale esteso ed interessato per la maggior parte da un battente d'acqua
di alcune decine di metri, necessita di un notevole impiego di risorse umane,
economiche e tecnologiche da approntare in un arco di tempo difficilmente
prevedibile;
RITENUTO necessario di avvalersi di quanto disposto dal I° comma dell'art. 29
della L.R. 7.9.1982, n. 44, che concede la facoltà cautelativa di sospendere i
lavori quando si verifichi sia l'inosservanza delle prescrizioni del
provvedimento autorizzativo, nonché quando siano necessari ulteriori
accertamenti in vista dell'adozione di specifici provvedimenti;
PRESO ATTO che a norma dell'art. 29 della L.R. n. 44/82 l'ordine di sospensione
dei lavori è comunque disposto, quando si tratti di lavori abusivi;
VISTI la L.R. 7.9.1982, n. 44, e l'art. 42, 3° comma, della L.R. 5:2.1996, n. 6,
con cui è. stato stabilito che, sino alla entrata in vigore del piano
provinciale dell'attività di cava, le funzioni attribuite a Presidente della
Giunta Regionale sono esercitate dal Dirigente del Dipartimento per la Geologia
e le Attività Estrattive ora Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua;
ORDINA
1) di sospendere immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa
qualsiasi lavoro di coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale)
nell'ambito del perimetro dell'intervento autorizzato con deliberazione della
Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994, intestata alla ditta Ca’ Vico con sede
in Fontaniva (PD), nonchè sul mappale n. 118 fg. 8 del Comune di San Martino di
Lupari (PD);
di stabilire che il presente provvedimento ha efficacia a tempo indeterminato,
fino all'ultimazione delle necessarie indagini ed all'adozione di un apposito
conseguente provvedimento;
3) di consentire comunque agli Enti competenti qualsiasi intervento di
vigilanza, controllo o verifica nell'ambito delle proprie competenze, sia con
personale proprio che a mezzo di appositi incaricati;
4) di provvedere alla notifica del presente provvedimento alla ditta Ca' Vico
S.r.L. a mezzo di un incaricato regionale, oppure a mezzo del messo comunale di
Fontaniva e di trasmetterlo al Presidente della Provincia di Padova ed al
Sindaco del Comune di San Martino di Lupari, nonché di pubblicarlo, per
estratto, sul B.U.R. della Regione Veneto;
INVITA
la Provincia di Padova ed il Comune di San Martino di Lupari, per quanto di
rispettiva competenza a trasmettere tempestivamente i risultati degli
accertamenti in corso e di eventuali ulteriori iniziative in tal senso.”
10.2. Da quanto testé riportato emerge che l’ordinanza gravata fa riferimento
sostanzialmente a cinque aspetti, tutti emergenti dagli accertamenti tecnici
citati:
l’abbassamento del piano di campagna rispetto alla zona circostante, e quindi il
sospetto di escavazioni abusive;
la rilevata presenza di rifiuti derivanti da attività di demolizione,
costruzione e scavi;
la presenza di rilevanti quantità di limi;
la presenza di scarichi non autorizzati di acque reflue nel laghetto;
il superamento del limite di arsenico previsto.
Nell’atto gravato viene poi menzionato il verbale della riunione di data 29
ottobre 2001 da cui emerge un asporto superiore a quello consentito nei mappali
118 e 119.
In conclusione viene ordinato alla ditta di sospendere a tempo indeterminato e
in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione della cava, cioè sia
l’estrazione di materiale sia la sistemazione ambientale.
10.3. Viene in sostanza fatta applicazione dell’articolo 29 della legge
regionale n. 44 del 1982 che prevede in caso di attività abusiva la sospensione
di ogni attività.
Si tratta di una sospensione a tempo indeterminato, ma pur sempre cautelativa,
in attesa cioè di ulteriori accertamenti tecnici.
Infatti il presupposto giuridico dellì’applicazione dell’articolo 29 della
ripetuta lr 44 del 1982 è non già la certezza che le violazioni vi siano state,
il che sarà oggetto di ulteriori accertamenti, ma l’esigenza di non
compromettere medio tempore gli interessi ambientali e di salute in presenza di
consistenti indizi del mancato rispetto di quanto stabilito dalla normativa e
dall’autorizzazione alla coltivazione della cava.
Appare quindi arduo contestare che la Regione, in presenza di plurimi
accertamenti i quali evidenziavano un fondato sospetto del mancato rispetto di
rilevanti obblighi incombenti sulla Ca’ Vico, dovesse procedere alla
sospensione.
10.4. Invero anche l’ordinanza n 375 costituisce una tappa di avvicinamento a
quello che sarà il provvedimento fondamentale della complessa vicenda, cioè la
revoca dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, oggetto del ricorso n.
3090/03.
Va poi rilevato che risulterebbe sufficiente uno solo dei cinque aspetti
menzionati nell’ordinanza impugnata per sorreggerla, vale a dire l’escavazione
superiore a quella consentita, la presenza di rifiuti, quella di sostanze
inquinanti, gli scarichi non conformi e infine la questione dei limi.
Per quanto detto il ricorso 2671/01 risulta infondato, laddove i profili sopra
indicati, già sopra oggetto di considerazioni introduttive alla parte di
diritto, verranno esaminati in dettaglio nel corso dell’esame dei successivi
ricorsi, in particolare del n 3090/03, in quanto in questa sede preme rilevare
non già l’esattezza dei rilievi ma la loro plausibilità, unico elemento
necessario per giustificare l’ordinanza impugnata, avente valore meramente
cautelativo in attesa di ulteriori accertamenti.
*****
11.0. Con il ricorso rubricato al n. 494/02 la società Ca’ Vico impugna
l'ordinanza del comune in cui le si ordina di presentare un programma di
smaltimento dei rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1. Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre
1999. Secondo la ditta ricorrente, l'ordinanza del sindaco dovrebbe essere
preceduta da un'accurata indagine conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla
rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
11.1. Conviene riprodurre le parti salienti dell’ordinanza qui impugnata:
“Vista la D.G.R.V. n. 3560 del 16.11.1999, concernente "Criteri e modalità di
carattere operativo da seguire per l'adozione e l'attuazione dei provvedimenti
amministrativi di cui agli arti. 14 e 17 del D. Lgs. N. 22/1997 di competenza
del Sindaco";
Visto il verbale di sopralluogo in data 21.06.2001, sottoscritto da personale
ispettivo della Provincia, del Comune e dell'ARPAV in cui viene evidenziata la
presenza, presso l'area di proprietà della società Cà Vico S.r.l., sita in Via
Castellana, n. 64, di rifiuti derivanti da attività dí demolizione, costruzione
e scavi, con presenza di asfalto e rilevanti quantità di limi;
Vista la nota dell'A.R.P.A.V. — Dipartimento Provinciale di Padova, prot. n.
D/11593/ST.V7499/a2 del 04.10.2001, in cui a seguito degli accertamenti svolti,
si evidenzia che in entrambi i campioni di limo prelevati nel corso del
sopralluogo del 21.06.2001, è stato riscontrato un valore di Arsenico superiore
ai limiti previsti dalla tabella A del D.M 471/1999, riferita peraltro ai siti
contaminati;
Vista la nota prot. n. 83418, del 08.10.2001, della Provincia di Padova —
Settore Ambiente, in cui a seguito dell'accertamento della presenza di rifiuti e
la presenza su campioni di materiale prelevato di concentrazioni di arsenico
superiori ai limiti di cui al D.M.A. n. 471/1999 si suggerisce l'emissione di
apposita ordinanza per la rimozione, l'avvio a recupero o smaltimento dei
rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi;”
Da quanto riprodotto emerge che l’ordinanza ha a presupposto il sopralluogo di
data 21 giugno 2001 da cui emergeva tra l’altro la presenza di rifiuti e di
rilevanti quantità di limi. Viene inoltre citata la nota dell’ARPAV del 4
ottobre 2001 in cui si evidenziava che nei campioni di limo si era riscontrato
un valore di arsenico superiore a quello consentito.
Va quindi rilevato che, contrariamente a quanto assume la ditta ricorrente,
l’ordinanza risulta preceduta da un’adeguata attività istruttoria, in
particolare da un sopralluogo.
11.2. Si rileva poi come la responsabilità di Cà Vico nell'abbandono dei rifiuti
sull'area sia stata puntualmente accertata dal Comune.
Invero i tecnici dell'ARPAV, nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre
1999, rilevarono "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in
superficie la presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile
provenienza esterna al bacino di cava".
Analoga circostanza era già stata segnalata dai tecnici comunali a seguito di un
sopralluogo del luglio 1999 nel quale si precisava che era stata eseguita "una
operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non autorizzato e si
notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a inerti, limi e in
alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
11.3. Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto
1999 con la quale vietò alla Cà Vico di depositare nella cava materiale di
risulta proveniente dall'esterno.
La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso 2139/99, ora estinto per
rinuncia, per cui non risulta contestabile l’accumulo nella zona di materiale di
risulta proveniente dall'esterno.
Ne discende come l'ordinanza oggetto del ricorso non sia che la mera conseguenza
del procedimento apertosi nel 1999 con l’accertamento dell'esecuzione da parte
di Cà Vico di lavori di sbancamento non autorizzati sul terreno a sud ovest
della cava, lavori seguiti dal deposito di cumuli di materiale da demolizione e
scavi.
Inoltre l'ARPAV ha rilevato, con verbale del 21 giugno 2001, che per il
riempimento dell'area in precedenza sbancata erano stati utilizzati rifiuti di
vario tipo: inerti da demolizioni e scavo con presenza di asfalto, blocchi di
cemento, stoffe, fili plastici e limo da lavaggio di inerti.
Il tentativo della ricorrente di accollare ad altri la responsabilità del
deposito dei rifiuti risulta infondato, atteso che gli accertamenti compiuti dal
Comune e dall'ARPAV le hanno attribuito la responsabilità dell'interramento dei
rifiuti, a parte l’ovvia responsabilità in vigilando di chi gestisce la cava.
Risulta quindi evidente che è stata effettuata un’accurata istruttoria e la
prima censura quindi risulta infondata.
11.4. Quanto alla seconda censura, relativa ad una presunta erroneità ed
arbitrarietà della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla
rilevanza delle altre sostanze rinvenute, oltre a quanto osservato più sopra in
via generale, si rileva quanto segue.
Innanzi tutto i sondaggi sono stati eseguiti a campione e non si conosce il
quantitativo esatto di rifiuti speciali (come fili plastici, stoffe, cemento e
asfalto) interrati nell'area; ma anche ove si trattasse di una scarsa quantità,
comunque essi andavano rimossi e smaltiti in una discarica autorizzata e ciò
sarebbe sufficiente a rendere legittimo il provvedimento.
11.5. Va ribadito poi che nel mappale dove vennero rinvenuti i rifiuti non
doveva essere effettuato alcun interramento di materiali di risulta, considerato
che non vi era stata autorizzata alcuna attività estrattiva.
Infine la DGR 24 marzo 1998, n. 924 autorizza a smaltire nella cava solo ed
esclusivamente i residui della lavorazione della ghiaia presente in quella cava,
ma non materiale di altra provenienza.
11.6. Quanto poi alla presenza di arsenico si richiama quanto sopra illustrato.
Inoltre, in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società
ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e
dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari
a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto
dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15
mg/kg.. Se ne deduce che il terreno originario della cava e quindi il limo
residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori
ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto
endemico.
Anche il ricorso 494 risulta quindi infondato.
*****
12.0. Nel ricorso n 1047/03, come illustrato in fatto, la ditta Ca’ Vico espone
che, avendo il Comune di San Martino di Lupari, a mezzo dei propri funzionari,
esperito un sopralluogo nell'ambito della cava e segnalato l’esito alla Regione,
il Dirigente Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul
presupposto che sarebbero state disattese le precedenti ordinanze; seguiva,
previa redazione del relativo verbale, l'apposizione dei sigilli.
12.1. Conviene esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune in
relazione agli atti comunali che non avrebbero contenuto provvedimentale e
pertanto non sarebbero idonei a ledere gli interessi della ricorrente.
L’eccezione risulta parzialmente fondata per quanto concerne la nota prot. 4017
del 26 marzo 2003, che è una mera lettera di accompagnamento, e quanto al
verbale del 27 marzo 2003 che contiene la descrizione delle operazioni materiali
compiute per apporre i sigilli.
Invece la relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003 contiene la descrizione di
quanto rilevato da personale del Comune, ma costituisce sicuramente il
fondamento dell’ordinanza regionale n 81 del 27 marzo 2003, cioè
dell’apposizione dei sigilli e quindi ben poteva essere impugnata assieme
all’atto che ne ha fatto propri i contenuti.
Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace, né produttiva
di effetto alcuno l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, essendo
stato adottato il decreto n. 227 del 18 settembre 2003 (impugnato con ricorso n.
3090/2003) che ha revocato alla Cà Vico l'autorizzazione a coltivare la cava, si
osserva come l’interesse sussista se non altro per il risarcimento dei danni,
che - nella prospettazione dell’interessata - riguarda tutti gli atti gravati
con l’intera serie dei ricorsi.
Il ricorso va quindi esaminato nel merito.
12.2. Il primo motivo censura l'ordinanza regionale per violazione dell'articolo
32 della L.R. 44 del 1982, nonché per erroneità del presupposto, carenza di
istruttoria, difetto di motivazione e sviamento di potere.
Invero, l'apposizione dei sigilli è prevista dall'art.32 della L.R.44 del 1982
come sanzione da adottare quando il privato violi l'ordine di sospensione dei
lavori emesso dalla Regione, per cui per stabilire se vi sia stata violazione
dell'ordine di sospensione se ne deve verificare in concreto il contenuto.
Ergo la questione riguarda quanto disposto dall’ordinanza n. 375 del 2001 la cui
violazione è stata la ragione dell’apposizione dei sigilli.
Detta ordinanza, oggetto del precedente ricorso 2671/01, sospendeva
"immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa qualsiasi lavoro di
coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale) nell'ambito del perimetro
della cava”.
Nella motivazione dell'ordinanza di sospensione si precisava che "eventuali
attività all'interno dell'area autorizzata possono arrecare una sostanziale
alterazione dello stato dei luoghi, in rapporto all'estensione dell'area stessa
ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento delle indagini prospettate,
anche in vista di possibili contestazioni dí natura tecnica" e ancora che
"l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver accertato
che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che non è
interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o comunque
incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la destinazione
d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di consentire al
Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a questa
Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le opportune e
necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato dalla
salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica..".
12.3. Ad avviso di questo Collegio i lavori fatti eseguire dalla ricorrente,
anche se consistenti in una pulizia della vegetazione, si ponevano in contrasto
con l'ordinanza di sospensione n. 375 del 2001, anche per la ragione che
potevano risultare prodromici se non altro alla sistemazione ambientale,
espressamente vietata, sicchè la Regione ha legittimamente disposto
l'apposizione dei sigilli.
Inoltre risulta dal verbale che l’operatore incaricato dalla ditta ha dichiarato
di aver asportato “qualche sacchetto di rifiuti indifferenziati" con ciò
provvedendo alla ricomposizione ambientale, rimuovendo rifiuti abusivamente
collocati sul terreno di cava, e quindi in violazione dell’ordinanza succitata.
12.4. In sostanza la nota comunale prot. n. 4017 del 26.03.2003 documenta
l'avvio di un programma di rimozione dei rifiuti in assenza di un programma di
smaltimento, contrariamente all'ordinanza del Comune n. 3 del 14.01.2002 e alla
diffida prot. 502/10556 del 30.08.2002, l'inizio delle operazioni di
sistemazione ambientale, malgrado la sospensione dei lavori di cui all’ordinanza
n. 375/2001 che lo vietava in via cautelativa e infine la violazione dell'art.
51, comma 1, d.lgs. 22/1997 per aver attivato la raccolta e il trasporto di
rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione.
Ne discende l’infondatezza della doglianza.
12.5. La seconda censura lamenta un eccesso di potere per illogicità ed
inadeguatezza sotto altro profilo.
Sostiene invero la ditta istante che l’apposizione dei sigilli costituisce un
provvedimento che menoma gravemente la sfera di autonomia dell'imprenditore, e
che presuppone la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
In sostanza non si sarebbe accertato se i lavori abbiano violato le finalità
dell'ordinanza di sospensione e che la ditta fosse consapevole di violarla.
Quanto al contrasto con l'ordinanza di sospensione, la censura ricalca quella
precedente, sopra confutata.
Quanto alla riferibilità dell’attività alla responsabilità della ditta
ricorrente, gli esecutori dei lavori hanno dichiarato di essere stati incaricati
di eseguirli dal vicepresidente della Cà Vico. Inoltre essi hanno esibito il
registro di carico e scarico dei rifiuti della società.
Si aggiunga che il legale rappresentante di Cà Vico, pur informato del
sopralluogo, ha rifiutato di parteciparvi e nel contempo non ha contestato
l'operato di quanti erano presenti nella cava.
12.6. Con il terzo motivo di ricorso si censura l'ordinanza di apposizione dei
sigilli per omessa comunicazione di avvio del procedimento.
La doglianza non ha pregio, trattandosi di un provvedimento che va assunto con
urgenza a fronte del rischio di alterazione dello stato dei luoghi su di un sito
che si sospetta gravemente inquinato.
Riassumendo, l'ordinanza comunale trova fondamento nel potere di vigilanza
sull'eventuale abusività o difformità dei lavori dal permesso di ricerca,
dall'autorizzazione o dalla concessione di cava, che ai sensi dell'art. 28, L.R.
44/82 spetta al Comune territorialmente interessato, salva trasmissione al
presidente della Provincia (o Regionale, vigendo il regime transitorio ex art.
43) per l'adozione dei provvedimenti di competenza.
12.7. Per completezza va rilevato che il provvedimento comunale assunto a
fondamento del decreto n. 81/2003 rivestiva carattere amministrativo e non
sanzionatorio, per cui va esclusa la stessa applicazione della legge n. 689/81.
Sulla base di tale legge l'apposizione dei sigilli ex art. 260 ha lo scopo si
assicurare la conservazione delle cose sequestrate, previa sottoscrizione
dell'autorità giudiziaria.
Nel caso di specie invece il decreto dirigenziale n. 81/2003 assolveva a
finalità cautelari e non afflittive.
Come visto l'apposizione dei sigilli ex art. 32 L.R. 44/82 era giustificata
dalla violazione di un'ordinanza di sospensione dei lavori, motivata a sua volta
dall'urgenza di ulteriori accertamenti in vista dell'adozione di un
provvedimento di decadenza o di revoca del premesso di intervenire nel sito di
cava.
12.8. Vanno ora esaminati i motivi aggiunti al ricorso 1047/03. con cui vengono
impugnati il verbale di sopralluogo del 22 marzo 2003 redatto da un agente di
polizia municipale e dal responsabile del settore ecologia del Comune di San
Martino di Lupari e la lettera di accompagnamento del 26 marzo 2003, n. 4017 con
la quale il verbale di cui sopra è stato inviato agli enti competenti.
12.9. Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace
l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, si richiama quanto sopra
evidenziato sul ricorso principale.
Per quanto riguarda poi gli atti comunali oggetto dei motivi aggiunti, il Comune
ne eccepisce l'inammissibilità trattandosi di atti non aventi natura
provvedimentale.
L’eccezione va accolta per quanto concerne la nota prot. 4017 del 26 marzo 2003
che risulta una lettera di accompagnamento, laddove l'atto del 22 marzo 2003,
qualificabile come un verbale di sopralluogo, è un atto presupposto
all’apposizione dei sigilli di cui all’ordinanza regionale 81/03, per cui può
essere impugnato assieme alla stessa.
12.10. Nel primo motivo aggiunto la ricorrente si lamenta di non essere stata
informata preventivamente del sopralluogo; inoltre il relativo verbale le
sarebbe dovuto essere notificato prima dell'inoltro all'autorità competente per
darle modo di contraddire.
Sulla prima questione si osserva che nessuna disposizione di legge – del resto
nemmeno invocata dalla ditta ricorrente - impone di preannunciare l'esecuzione
di sopralluoghi, in quanto trattasi di attività di vigilanza che deve essere
svolta senza alcun preavviso proprio per risultare efficace.
Circa la pretesa di ricevere copia del verbale prima del suo inoltro agli organi
competenti, si osserva che l’accertatore deve solo riferire quanto accertato a
chi è titolare del potere di assumere provvedimenti.
12.11. Il secondo motivo aggiunto riguarda la pretesa violazione della legge n.
689/81 e del principio di personalità della responsabilità.
A parte quanto sopra evidenziato sulla non applicabilità della legge invocata,
che non riguarda la fattispecie, si osserva che la questione riguarda invero il
procedimento penale e non comporta alcuna illegittimità degli atti di
accertamento compiuti. Quanto alla responsabilità della ditta essa emerge da
quanto fin qui evidenziato in relazione al ricorso principale.
12.12. Con il terzo motivo aggiunto si censura il verbale del 22 marzo 2003 per
carenza di istruttoria, in quanto gli accertamenti non sarebbero stati
effettuati alla presenza di un responsabile della ditta e la carenza di
contraddittorio avrebbe impedito di acquisire tutti gli elementi utili per
valutare il caso.
La doglianza appare infondata in via di fatto ancor prima che di diritto;
risulta dagli atti di causa che i verbalizzanti hanno chiesto la presenza del
legale rappresentante di Cà Vico, che si è rifiutato di presenziare al
sopralluogo, ma che non ha mai disconosciuto d'aver dato l'incarico agli addetti
di eseguire i lavori.
Conclusivamente sia il ricorso n 1047/03 sia i relativi motivi aggiunti
risultano infondati.
*****
13.0. Con il ricorso n. 2846/03 la Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data
27.9.2003, del commissario ad acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente
ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di
Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd) - Via Velo. Diniego
approvazione";
se ed in quanto necessario, il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale
il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni
Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione
del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica, allegato sub A;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica
del Comune di San Martino di Lupari;
Va innanzi tutto estromesso dal presente ricorso il Commissario ad acta, che non
presenta alcuna legittimazione passiva in quanto i suoi atti sono direttamente
imputabili all’ente per cui opera.
13.1. Il diniego gravato nella parte motiva riporta la nota comunale del 23
luglio 2003 che conteneva alcune prescrizioni alla Ca’ Vico tra cui quelle di
seguito riportate:
"5) Dovrà essere rivisto lo schema di convenzione allegato al progetto
concordando con l'amministrazione comunale tempi e modi di attuazione e
subordinando, inoltre, l'inizio dei lavori all'avvenuta dichiarazione di
estinzione della cava ai sensi dell'art. 25 della l.r. 44/1982;
6) per quanto riguarda il perimetro di cava dovrà essere presentato un progetto
"definitivo" per le opere di consolidamento delle sponde, dovrà essere previsto
inoltre l'arretramento del fronte di scavo degli edifici progettati e per quanto
riguarda i lidi ovest ed est dovrà essere prevista la possibilità dí balneazione
per una trentina di metri, il tutto dovrà essere corredato da una perizia
geologica che l'amministrazione sí riserva di far verificare da un geologo di
propria fiducia”.
Sostanzialmente il provvedimento viene assunto per la mancata ottemperanza alle
testé riportate prescrizioni.
13.2. A tale proposito rileva altresì la relazione istruttoria che si riporta in
parte qua:
"In proposito si rileva che la bozza di schema di convenzione allegata al
progetto presentato in data 04.07.2001, non contiene la clausola indicata al
punto 5 della nota del Comune del 30.03.2001, non contemplando, in particolare,
la clausola subordinante l'inizio dei lavori, previsti dal piano di recupero,
all'avvenuta dichiarazione di estinzione della cava, ai sensi dell'art. 25 della
l. r. n, 44/1982, estinzione che presuppone l'avvenuta ultimazione dei lavori di
ricomposizione ambientale della cava, conformemente alle prescrizioni contenute
nell'autorizzazione regionale.
Infatti lo schema di convenzione si limita a prevedere l'intenzione della Cà
Vico di cessare l’attività di cava impegnandosi a riconvertirla ad altri usi,
senza per altro assumere il preciso impegno previsto al punto 5 della nota
comunale del 30.01.2001.
omissis
Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, il piano di recupero,
presentato il 04.072001, non è suscettibile dí approvazione per il mancato
rispetto delle prescrizioni contenute nella più volte richiamata nota del
30.03.2001",
Si rileva poi come il commissario ad acta, esaminato attentamente il contenuto
del piano di recupero, ne ha rilevato varie carenze (pag. 9 e 10 della
deliberazione impugnata, lettere da c) ad f)) spiegando altresì le ragioni del
diniego a pag. 10-11.
In particolare il commissario ha ritenuto indispensabile l'ottemperanza ai
contenuti del decreto n. 227 del 18 settembre 2003 emesso dal dirigente
regionale della direzione geologia e ciclo dell'acqua, e cioè:
"La realizzazione da parte della ditta Cà Vico ai sensi dell'art. 32 della I.
44/1982, di tutti gli interventi necessari alla ricomposizione ambientale della
cava 'Campagnalta" anzidetta, secondo le direttive ed i tempi stabiliti
dall'amministrazione provinciale di Padova;
quantificazione da parte della Provincia di Padova del danno ambientale prodotto
in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla messa a dimora di rifiuti
di vario genere, alla presenza sul fondale di limo contenente sostanze
inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle sponde, il cui onere
economico di risanamento è da ritenersi comunque interamente a carico dei
responsabili'”.
Per queste ragioni, dunque, il commissario ha ritenuto che "il piano urbanistico
attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta interessata
abbia ottemperato a quanto contenuto nel precedente considerato e cioè alla
ricomposizione ambientale della cava ed al suo risanamento".
13.3. In secondo luogo il commissario ha rilevato le deficienze degli elaborati
cartografici, con particolare riferimento al "piano quotato attuale".
Ciò premesso risulta agevole l’esame delle censure.
13.4. Con il primo motivo la Ca' Vico si lamenta del fatto che il commissario
abbia subordinato l'approvazione al piano di recupero alla previa ricomposizione
ambientale, prescritta dalla legge regionale che disciplina l'attività
estrattiva.
Invero le dotte disquisizioni di parte ricorrente, corredate da una dovizia di
riferimenti giurisprudenziali, circa l’autonomia degli strumenti urbanistici che
astrattamente possono disciplinare anche l’attività estrattiva, non colgono nel
segno, sia in quanto ignorano l’obbligo giuridico di ricomposizione ambientale
della zona, sia in quanto nel caso il piano di recupero era espressamente
condizionato da numerose prescrizioni.
Invero la ricomposizione ambientale è prescritta dall'art. 25 della lr 44 del
1982 ed è imposta, nel caso concreto, dall'autorizzazione regionale e ribadita
dal decreto regionale.
Appare quindi corretta la decisione del commissario di stabilire che "il piano
urbanistico attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta
interessata abbia ottemperato .... alla ricomposízione ambientale della cava ed
al suo risanamento”.
Va poi aggiunto che le ragioni ostative all'approvazione sono plurime, ciascuna
delle quali in grado di per sè sola di sorreggere la mancata approvazione del
piano.
13.5. Con il secondo motivo la delibera commissariale viene impugnata sotto il
profilo dell'illogicità e dello sviamento in quanto il commissario ad acta
avrebbe omesso di considerare che l'attività estrattiva è venuta meno per
effetto del provvedimento di revoca da parte della giunta regionale.
A parte che la censura ove fondata porterebbe all’inammissibilità del ricorso
per carenza di interesse, e che la revoca è stata impugnata da Ca' Vico con il
ricorso n. 3090/03, il Comune non può interferire sull'attività di controllo
della coltivazione e della ricomposizione ambientale che appartiene alla
competenza di altri enti. Inoltre è stata la ditta a presentare il piano di
ricomposizione ambientale, per cui la sua approvazione le avrebbe consentito di
realizzarlo indipendentemente dalla revoca. In sostanza la revoca opera su di un
piano diverso rispetto alla ricomposizione ambientale e altresì rispetto al
risarcimento del danno ambientale.
13.6. La terza censura ripropone in altra forma quanto esposto con la seconda
doglianza.
13.7. Con il quarto motivo la Ca' Vico denuncia uno sviamento e illogicità per
il fatto che il commissario ha negato l'approvazione del piano di recupero che
l'ufficio tecnico aveva dichiarato "meritevole di approvazione"; la ricorrente
sul punto omette di considerare la nutrita serie di condizioni che la ditta non
ha minimamente rispettato e le congrue motivazioni addotte nel provvedimento.
Inoltre, come ben noto, l’organo decidente non è affatto vincolato dalle
risultanze degli uffici tecnici, i cui compiti sono meramente preparatori e
istruttori.
13.8. Con la quinta censura vengono passate in rassegna le altre ragioni
ostative all'approvazione del piano di recupero, individuate dal commissario, in
particolare relative alla documentazione prodotta; si tratta anche in tal caso
di una reiterazione delle doglianze già proposte.
L’infondatezza delle varie censure comporta che la richiesta di risarcimento
danni non può essere accolta.
In conclusione sul ricorso, il diniego di approvazione del piano di recupero
appare diretta conseguenza del comportamento di Ca' Vico, che non ha adempiuto
alle varie prescrizioni emesse via via da Regione, Provincia e Comune.
*****
14.0. Con il ricorso n 3090/03 la ditta chiede:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo
del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini,
Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad
oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava
di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD)
(art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento, se ed in quanto necessario della nota regionale n. 1174/46.02 in
data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato
alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta",
con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82,
in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari,
tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del
Comune;
l’annullamento della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non
conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della
Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la
conseguente relazione datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di
Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i
relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del
27.11.2001;
l’annullamento egualmente della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data
26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento
Provinciale di Padova;
l’annullamento, sempre se ed in quanto necessario, della nota della Provincia di
Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco
di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra
l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive
per un totale di 694.671 metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n.
D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di
Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del
25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del
Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della
L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.)
di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività
Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003,
08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000.
14.1. Il ricorso, come visto centrale in tutta la complessa vicenda, va
esaminato in dettaglio.
La prima censura concerne una presunta violazione degli articoli 7 e seguenti
della legge 241 del 1990, oltre che violazione della procedura e carenza di
motivazione, in quanto la nota di avvio del procedimento sarebbe talmente
generica, menzionando varie tipologie di procedimento, da non consentire una
adeguata partecipazione.
Su tale aspetto si rileva che la nota del Servizio Cave della Provincia datata
15 dicembre 2004 n. 128286 si riferisce al procedimento di quantificazione del
danno ambientale. Ci si trova poi in una fase prodromica rispetto alla
quantificazione vera e propria del danno ambientale, per cui alla Ca’ Vico
vengono garantite le esigenze di partecipazione previste dalla legge 241 del
1990.
14.2. Venendo al secondo motivo, secondo la Ca' Vico, il decreto di revoca
sarebbe inficiato dal vizio di incompetenza e di violazione dell’articolo 31
della LR 44 del 1982, poiché emanato dal Dirigente Regionale della Direzione
Geologia e Ciclo dell'Acqua anziché dalla Giunta Regionale, nelle cui
attribuzioni rientrerebbe la revoca di autorizzazione alla coltivazione di cava
ai sensi del combinato disposto degli artt. 31, c. 2 e 43, della L.R. n. 44 del
1982.
Ritiene questo Collegio che alla fattispecie sia applicabile l'art. 28, c. 2,
L.R. 1/97, il quale, lasciando 'ferme le attribuzioni e le funzioni degli organi
elettivi regionali come previste dalla Costituzione, dallo Statuto, dalle leggi
e in particolare dalle disposizioni del Titolo II della presente legge", in
tutti i procedimenti amministrativi già disciplinati dalla vigente legislazione
regionale sostituisce i Dirigenti alla Giunta e al suo Presidente, ai fini
dell'adozione del provvedimento finale nell'esercizio dei compiti di gestione
tecnica, amministrativa e finanziaria. Correlativamente l'art. 23, c. 2, lettera
c), delle medesima L.R. 1/97, stabilisce che all'organo dirigenziale spettano
infatti "tutti gli atti e i provvedimenti di diretta competenza, ivi compresi
quelli relativi a progetti interessanti l'attività di ogni servizio della
direzione regionale".
La citata disciplina regionale, si conforma ai principi cardine fissati dal
legislatore statale con il d.l.gs. 29/93.
A sua volta, la L.R. 1/97, costituisce il fondamento della D.G.R. 400/2000, che
definisce le competenze dirigenziali nell'ambito dei procedimenti amministrativi
regionali.
Inoltre lo stesso art. 43, c. 4, L.R. 44/82, stabilisce che "Sino all'entrata in
vigore del Ppac tutte le funzioni amministrative attribuite alle Province dalla
presente legge in tema di autorizzazione, concessione, permesso di ricerca,
consorzi, sospensione, decadenza, revoca e apposizione di sigilli, sono
esercitate dalla Regione intendendosi sostituiti la Regione, la Giunta regionale
ed il Dirigente del Dipartimento competente, rispettivamente alla Provincia,
alla Giunta provinciale e al suo presidente ogni qualvolta a questi ultimi
facciano riferimento le norme predette".
Ne discende l’infondatezza della censura di incompetenza.
14.3. Nella terza doglianza la Ca’ Vico deduce la violazione dell’articolo 31
della lr 44 del 1982, sviamento, errore dei presupposti, carenza di istruttoria
e motivazione.
Come esposto in narrativa, secondo la ditta ricorrente, il provvedimento
revocatorio non potrebbe essere assunto per mere ragioni di opportunità ma trova
titolo giustificativo unicamente in situazioni eccezionali, cioè in ragione
della sopravvenuta manifestazione di fenomeni naturali, non imputabili al
titolare dell’attività estrattiva che abbiano comportato un’alterazione e,
quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica
interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza nell'uno e/o nell'altro
caso da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
In sostanza ad avviso della Ca’ Vico il provvedimento assunto dalla Regione
Veneto, che muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività
estrattiva, esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così
come delineato dall'art. 31 della L.R. 82/44.
L’assunto della ricorrente ditta non può essere condiviso; vi osta innanzi tutto
il dato letterale, in quanto il primo comma dell’articolo 31 della LR 44 del
1982 lega la revoca ad una generica “alterazione“ della situazione geologica e
idrogeologica e soprattutto aggiunge “o siano intervenuti altri fattori tali da
rendere non tollerabile la prosecuzione dell’attività di cava”. Non vi è alcun
riferimento ai soli fatti naturali, per cui si deve ritenere che la revoca possa
essere disposta anche in presenza di gravi inadempienze della ditta che coltiva
la cava.
In altre parole, il provvedimento revocatorio può essere assunto in ragione di
eventi che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione
della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale
natura ed ampiezza da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
Quindi i fatti che possono portare ad una revoca possono discendere anche da
eventi addebitabili alla stessa attività dell'imprenditore, tra cui irregolarità
nella conduzione dell'attività estrattiva.
Del resto l’istituto della revoca, ora normato dalla novellata legge 241 del
1990, consente nel pubblico interesse il ritiro di un atto originariamente
legittimo in presenza di un mutamento della situazione fattuale, come appunto
avvenuto nel caso.
La censura quindi appare infondata, laddove i presupposti per la revoca formano
oggetto di altra apposita censura.
14.4. Quanto alla quarta censura, recante eccesso di potere per sviamento,
erroneità di presupposto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, con
cui la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base del
provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni
abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo
scarico non consentito, è sufficiente richiamare quanto sopra illustrato nelle
premesse in diritto.
14.5. Quanto alla doglianza con cui si lamenta la violazione dell'art. 10 della
legge n.241 del 1990 in quanto nella specie non risulterebbe alcuna disamina
delle deduzioni, anche scritte, fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l.
nelle sedute della C.T.R.A.E, basti rilevare che al contrario dalla
documentazione in atti emerge come la posizione della ditta sia stata
ripetutamente considerata nelle numerose sedute e negli accertamenti tecnici
effettuati anche in loco.
Inoltre la motivazione degli atti impugnati e in particolare della revoca
confuta nella sostanza le argomentazioni della Ca’ Vico, laddove non sussiste
alcuna necessità di richiamarle espressamente.
In questa vicenda poi non sono certo mancati gli accertamenti tecnici e
peritali.
14.6. Va poi analizzata la sesta censura di sviamento di potere, di ulteriore
violazione dell'art. 31 della L.R. 44 del 1982, erroneità di presupposto,
indeterminatezza e carenza di motivazione, nell’assunto che la Regione
ipotizzerebbe un danno ambientale e un onere economico per il risanamento
demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova per cui si
tratterebbe di ipotesi sanzionatoria non prevista dal legislatore ex art. 31 e
che non rientrerebbe nella competenza valutativa della Regione Veneto.
La doglianza appare inconferente, in quanto la Regione lungi dall’assumersi
compiti che non le spettano, demanda proprio alla Provincia – competente a
riguardo - il compito di valutare i presupposti per la valutazione e
quantificazione del danno ambientale, il che forma oggetto di successivo
ricorso.
Come più volte rilevato, una cosa è la ricomposizione ambientale ex articolo 33
della lr 44 del 1982, altra cosa è la revoca ex articolo 31 della medesima legge
e infine ancora diverso è l’istituto del risarcimento del danno ambientale.
14.7. Quanto alla risarcibilità del danno, l’acclarata legittimità dei
provvedimenti impugnati con il ricorso principale rende superfluo l’esame della
relativa doglianza.
14.8. Quanto ai motivi aggiunti al ricorso 3090/03 si rileva innanzi tutto che
essi ripetono in sostanza le censure di cui al ricorso principale, per cui
valgono le considerazioni sopra illustrate.
Vengono poi impugnati provvedimenti regionali che hanno mero rilievo
endoprocedimentale, inserendosi nell'iter amministrativo conclusosi con
l'adozione del decreto di revoca del Dirigente Regionale- Direzione Geologia e
Attività Estrattive, n. 227/03.
Si tratta, più precisamente, del verbale di riunione tra Regione, Provincia e
Comune del 1.02.2002, nonché del parere della C.T.R.A.E. del 16.01.2003, che
rivestono carattere meramente istruttorio, e come tali sono inidonei ad incidere
negativamente sulla sfera giuridica della ricorrente.
Tanto più che le censure proposte si riflettono sul decreto di revoca, che per
sopravvenute ragioni di interesse pubblico "ha ritirato" non una delibera di
autorizzazione alla coltivazione di cava, bensì un complesso progetto di
ricomposizione ambientale finalizzato prioritariamente al recupero in senso
naturalistico del bacino lacustre, attraverso una rimodellazione delle sponde e
una riprofilatura delle scarpate, al fine di consentire l'accesso diretto
all'acqua e la formazione di zone adatte all'instaurarsi della tipica
vegetazione lacustre, nonché la creazione di insenature e promontori per
l'articolazione del bacino.
14.9. Venendo al dettaglio, non sussiste la violazione degli articoli 23 e 28
della lr 1 del 1997 e degli articoli 31 e 43 della lr 44 del 1982, dedotta nel
primo motivo aggiunto, in quanto come sopra osservato nell’esame del ricorso
principale la competenza sulla base della lr 1 del 1997 spetta al dirigente.
La seconda censura dei motivi aggiunti relativa ad una presunta violazione
dell’articolo 33 della lr 44 del 1982, dell’articolo 117 e dei principi di cui
alla legge 349 del 1986, costituisce una reiterazione di questioni di fatto
attinenti al caposaldo, alle curve altimetriche e in genere alla misurazioni
delle escavazioni abusive già ripetutamente esaminate.
In conclusione, sia il ricorso 3090/03 sia i relativi motivi aggiunti risultano
infondati.
*****
15.0. Con il ricorso 268/05 la Ca’ Vico chiede l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di
Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S.
Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15
giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del
Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del
Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente
ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto.
Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
15.1. La prima censura concerne la violazione del titolo IV della L.r. n. 44 del
1982 e successive modificazioni ed integrazioni, della procedura e
l’incompetenza.
Secondo la ditta ricorrente la l.r. 44 del 1982 e, segnatamente, il suo titolo
IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea le sanzioni da applicare, non
ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i criteri di quantificazione
dello stesso. Pertanto la procedura programmata dall'Amministrazione provinciale
che si prefigge di quantificare e sanzionare un asserito danno ambientale
risulterebbe priva di qualsiasi giuridico fondamento.
La censura non ha pregio.
Il potere sanzionatorio della Provincia, discende dalle violazioni contestate a
Ca' Vico delle prescrizioni regionali contenute nella D.G.R. 5609/1994.
Quanto alla violazione dell'art. 33, L.R. 44/82, nella parte in cui attribuisce
alla Provincia la potestà di reprimere le alterazioni ambientali, la ricorrente
asserisce che la tutela del bene "ambiente" andrebbe devoluta in via esclusiva
allo Stato.
Al contrario, anche dopo la riforma costituzionale del 2001, la "tutela
dell'ambiente", più che una "materia" in senso stretto, rappresenta un compito
nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di
protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da queste; ma
ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate
nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, comma 3, della
Costituzione, o di quella "residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano
assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale.
Peraltro, la materia del "governo del territorio", rientrante nella potestà
legislativa concorrente ex art. 117, c. 3, Cost. comprende, in linea di
principio, tutto ciò che attiene all'uso del territorio, compresa la
localizzazione di impianti o attività.
A maggior ragione, la potestà di reprimere lo "scorretto" uso delle risorse in
occasione dell'estrazione di cava va devoluta alla Regione, legittimata ad
attribuire le relative competenze alla Provincia.
15.2. Con la seconda doglianza la ditta Ca’ Vico deduce l’incompetenza e la
violazione dell'art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
Questo Collegio ritiene che i provvedimenti di quantificazione del danno
ambientale, anche per la valenza discrezionale delle valutazioni sottese,
rientrino nella sfera di competenza della Giunta provinciale, esulando dai
compiti del funzionario dirigente ex art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
15.3. La terza censura di violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r.
n 44 del 1982, difetto di istruttoria, di erroneità di presupposto e carenza di
motivazione, non fa altro che contestare la stessa sussistenza dell’abuso, e
quindi i presupposti della revoca già esaminati nel ricorso 3090/03.
15.4. Circa la presunta violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del
1990 e successive modificazioni ed integrazioni (quarta censura) in quanto la
comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto precedere e non già
seguire la delibera giuntale, si rileva che la ditta ha potuto partecipare
compiutamente al procedimento, tanto più che la quantificazione del danno
ambientale non era ancora completata.
Invero, la funzione primaria della comunicazione di avvio del procedimento
consiste nell'apporto collaborativo del soggetto interessato; il quale, con le
proprie delucidazioni e scritti difensivi può evidenziare alla P.A. il percorso
che questa andrà ad intraprendere e le irritualità di quello che ha in animo di
formalizzare. Ed è proprio quello che è avvenuto nel procedimento de quo nei
confronti della Ca’ Vico.
15.5. Quanto alla quinta doglianza di sviamento, carenza di istruttoria e
difetto di motivazione, basti rilevare come la motivazione appare congrua e
dettagliata, anche in quanto il provvedimento gravato con il ricorso 268/05 ha
come antecedente logico la revoca dell’autorizzazione, oggetto del precedente
gravame sub 3090/03.
15.6. Quanto al fatto che la quantificazione del danno ambientale sia rimessa a
soggetti estranei all'Amministrazione cioè a consulenti esterni, si tratta di
una scelta giustificata, in considerazione della complessità degli accertamenti
e dei calcoli da effettuare. Né va confuso il danno ambientale con il
ripristino, previsto dal secondo comma lett. C) dell'art. 15 della L.R. 44 del
1982.
15.7. Quanto alla sesta censura recante sviamento di potere, illogicità e
carenza di istruttoria, oltre che a difetto di motivazione, con tale doglianza
la ditta non fa altro che riprodurre le contestazioni sui singoli addebiti mossi
alla Ca’ Vico e già più volte esaminati.
Lo stesso dicasi per la questione degli scavi riguardanti l'area fuori cava già
di proprietà della Pollon s.r.l.
15.8. Un’ulteriore censura di incoerenza, insussistenza dei fatti, carenza di
istruttoria e di motivazione riguarda i limi, ma anche su tale argomento si è
già ampiamente discettato.
Del pari già confutata risulta la nona doglianza relativa alla presenza, nel
fondo cava, di arsenico, di magnesio e alluminio in concentrazione superiore a
quella consentita.
Stesso discorso con riferimento allo scarico nelle acque in assenza di
autorizzazione.
Data l’infondatezza di tutte censure, non necessita pronunciarsi sulla
risarcibilità del danno.
Conclusivamente il ricorso risulta infondato.
*****
16.0. La ditta ricorrente con il ricorso 2140 del 2006 agisce chiedendo il
risarcimento danni nei confronti del Comune, dell’ex sindaco e di tre funzionati
comunali.
Dopo aver riprodotto l’atto di citazione notificato il 3 gennaio 2002 nonché i
quesiti posti al giudice ordinario, a seguito della declaratoria della carenza
di giurisdizione, ripropone la causa in danni dianzi a questo TAR.
Infatti l'iniziativa giudiziaria è la riproposizione di quella già intrapresa
avanti il Tribunale di Padova, sezione di Cittadella, con atto di citazione
notificato il 5 gennaio 2002, e decisa con sentenza del 5 agosto 2006 che ha
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della
controversia.
16.1. Preliminarmente bisogna ricordare che quasi la totalità dei provvedimenti
citati nel ricorso dai quali Cà Vico fa discendere la propria richiesta di
risarcimento del danno sono stati impugnati con i ricorsi sopra esaminati e come
visto risultati infondati.
Quanto alla domanda di risarcimento avanzata in relazione alle ordinanze n. 51 e
70 del 1999, si osserva che la ditta attrice impugnò l'ordinanza n.51 davanti al
TAR Veneto (ricorso n.2139/99) ma ha poi rinunciato ai ricorsi nn.2139/99 e
256/00 e i con decreti decisori dell'8 marzo 2002 (rispettivamente n.997 e 998)
í due ricorsi sono stati dichiarati estinti per rinuncia.
Quanto all’ordinanza n. 70 del 26 novembre 1999 recante l’ordine di demolizione
di manufatti abusivi la Cà Vico ricorse al TAR e il relativo ricorso n.3068/99 è
stato dichiarato estinto con decreto decisorio n. 2067 del 12 luglio 2001.
Conseguentemente il presente ricorso è inammissibile per la parte relativa al
risarcimento dei danni derivanti dalle ordinanze n.51 e n. 70 del 1999.
Come ben noto una condanna al risarcimento del danno in sede di giudizio
amministrativo presuppone che si accerti l'illegittimità dei provvedimenti
impugnati e che gli stessi vengano annullati: nella specie peraltro i ricorsi
contro le due ordinanza di cui si discute si sono estinti - a seguito di
rinuncia ai ricorsi di Cà Vico - sicché è venuta meno la possibilità di
conoscere l'illegittimità e di annullare i due atti di cui si discute e
conseguentemente di dar corso alla richiesta risarcitoria.
16.2. La Cà Vico ha chiesto altresì al Tribunale di accertare l'illegittimità
dei provvedimenti e dei comportamenti del Comune di San Martino di Lupari in
relazione ai fatti successivi alle due ordinanze come esposti nei punti 1) 2) 3)
4) dell'atto di citazione trascritto nel corpo del ricorso, tra cui:
1. il sequestro preventivo degli impianti di lavorazione di inerti dell'8
ottobre 2001. Innanzitutto si tratta di un sequestro penale, sicché l’attività
non è riferibile al Comune ma allo Stato, laddove il provvedimento non appare
censurabile, in quanto il decreto provinciale n.544/dep/2000 del 23 marzo 2000,
subordina l'attivazione dello scarico alla presentazione alla Provincia e all'ARPAV
del certificato di regolare esecuzione delle opere mancante.
Inoltre la Cà Vico aveva violato sia la prescrizione data dalla Provincia di
Padova di non attivare lo scarico sia l'ordinanza della Regione che sospendeva
l'attività estrattiva.
La ricorrente ritiene poi illegittima da parte del Comune l'esecuzione di
sopralluoghi nell'area di cava trattandosi di un ente "incompetente ad
intervenire in ambito di cava dov'è competente solo la Regione"; su tale punto
si rileva che ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 44 del 1982 "le funzioni di
vigilanza sui lavori di ricerca e di coltivazione dei materiali di cava circa la
loro abusività o difformità dalla presente legge, dal permesso di ricerca,
dall'autorizzazione o dalla concessione spettano al Comune territorialmente
interessato che le esegue di intesa con la Provincia e nel caso di inerzia con
la Regione".
16.3. Sul provvedimento della Provincia di Padova 8.10.2001 con cui è stata
sospesa l'autorizzazione allo scarico basta richiamare quanto esposto a
proposito del ricorso n 2256/01.
Anche sulla mancata approvazione del piano di recupero, si rileva che –
contrariamente a quanto assume la Ca’ Vico - non risulta alcun accordo tra la
stessa e il Comune in base al quale il secondo si sarebbe impegnato a rilasciare
un'autorizzazione di recupero ambientale in cambio dell'abbandono da parte della
prima della causa intentata avanti al Tribunale di Padova e della rinuncia ai
tre ricorsi pendenti avanti al TAR Venezia; un tale accordo se fosse mai stato
concluso sarebbe efficace solo se rivestisse la forma scritta.
Il ricorso risulta in definitiva infondato.
*****
17.0. Va ora esaminato il ricorso 2295/06, con cui si chiede l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di
Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif.
C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto:
"Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (San Martino di Lupari/Padova).
Quantificazione del danno ambientale";
dell'atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot.
n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno
ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di
Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif.
C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto:
"Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di
Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova
non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing. Giuseppe Magro,
acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n.
0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno
ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel
Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed
abbandono di rifiuti";
17.1. A parte l’illegittimità derivata da quella del decreto di revoca,
impugnato con separato ricorso già esaminato, si deducono le seguenti censure:
quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno
ambientale, la ditta deduce l’incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, non avrebbe alcuna
competenza in merito alla determinazione del danno ambientale, né sarebbe
legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria.
In particolare, l'art. 18 della legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero
dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se
esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli
enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo
secondario.
La censura non ha pregio.
Invero la ditta ricorrente muove dall’erroneo convincimento che l’atto gravato
sia una ingiunzione o una citazione in un giudizio di condanna; al contrario si
tratta di atto endoprocedimeentale idoneo a individuare le misure più acconce
per rimediare al danno ambientale.
Invero, nel caso la disciplina applicabile è la legge n. 349 del 1986,
trattandosi di danni e fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del d. lgs
152 del 2006, per cui la legittimazione spetta anche all’ente territoriale.
17.2. Va ora esaminata la seconda censura relativa ad una presunta violazione
dell'art. 11 delle preleggi e del principio dell’irretroattività, in quanto il
risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal
menzionato art. 18 della ripetuta legge n. 349 del 1986, istitutiva del
Ministero dell'Ambiente.
Sennonché, in caso di illecito extracontrattuale ogni danno causato è imputabile
al responsabile; invero il danno ambientale era all’epoca tutelato ex art 2043
cc. La ditta Ca’ Vico, ancorché subentrata ad altra ditta, avrebbe dovuto
comunque procedere alla ricomposizione ambientale e risponde in ogni caso dei
danni anche ambientali provocati dalla sua negligente condotta.
17.3. La ditta eccepisce altresì, con la terza censura, la prescrizione, in
quanto nella relazione tecnica dell'arch. Sillani e, quindi, nel provvedimento
della Provincia che ad essa relazione si richiama, vengono assunte a base del
calcolo del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una
contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio
degli inerti. Secondo la Ca’ Vico, se si esclude una violazione che è stata
contestata nell'anno 2002, tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo
prima della notificazione del provvedimento che quantifica il danno ambientale,
impugnato nella presente sede, da cui deriverebbe l’opponibilità della
prescrizione.
L’assunto dela Ca’ Vico non si può condividere, in quanto nel caso specifico le
conseguenze dannose della condotta antigiuridica hanno carattere permanente e
anzi, data la loro natura di compromissione ambientale, si aggravano con il
trascorrere del tempo.
17.4. Quanto alla doglianza relativa all’erronea interpretazione dell'art. 33
L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 della legge 349 del 1986. in quanto, ad avviso
della ditta, non risulterebbe nella casistica giurisprudenziale che si sia mai
ravvisato un danno ambientale in presenza di scavi abusivi, si rileva che
l’assunto di parte ricorrente non può essere condiviso. Invero un danno
all’ambiente inteso come res communis omnium può ben discendere anche da
estrazioni non autorizzate e dalle plurime violazioni sopra evidenziate, tutte
pericolose per la salute pubblica.
17.5. La ricorrente ditta deduce altresì un difetto ed illogicità della
motivazione in quanto l'arch. Sillani, per dimostrare la sussistenza di un danno
ambientale, tenterebbe di attribuire al sito in questione un particolare pregio,
con una motivazione e con argomentazioni non convincenti.
Sulla questione basta osservare come il danno ambientale per sua natura può
sussistere anche ove il sito non sia di particolare pregio paesaggistico, sulla
base di noti parametri scientifici.
17.6. Circa la violazione dell'art. 10 della legge 241/1990 e difetto ed
illogicità della motivazione sotto altro profilo, basti rilevare come la
Provincia abbia valutato le osservazioni della Ca’ Vico smentendole anche con
idonee perizie e come la ditta sia sempre rimasta coinvolta nella complessa
procedura.
17.7. La Ca’ Vico deduce altresì l’insussistenza, sotto il profilo soggettivo,
degli elementi costitutivi del danno ambientale, laddove l'art. 18 della legge
n. 349 del 1986 richiede, ai fini della determinazione del danno ambientale, la
sussistenza di un fatto doloso o colposo.
La doglianza risulta priva di giuridico pregio, posto che la responsabilità
della ditta, che era obbligata alla ricomposizione ambientale e si era impegnata
formalmente in tal senso, appare inequivoca.
17.8. Secondo la ditta ricorrente, anche ove si ritenessero infondate le
contestazioni svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un
danno ambientale, comunque sarebbe stato erroneamente calcolato, per eccesso, il
quantum dovuto.
Questo Collegio ritiene invece che il danno sia stato calcolato con strumenti
scientifici idonei, sulla base di tecniche avanzate utilizzate da esperti dotati
di specifica e riconosciuta professionalità. Del resto la ditta contesta solo in
modo generico i risultati cui sono pervenuti i tecnici incaricati di calcolare
il danno ambientale.
17.9. Va ora esaminato il ricorso per motivi aggiunti al ricorso n. 2295/06.
Preliminarmente si rileva come vengono gravati atti endoprocedimentali.
In relazione al provvedimento 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno
ambientale, la ditta deduce l’incompetenza, il difetto di legittimazione e
l’erronea interpretazione dell’articolo 33 della L.R. 44 del 1982 e
dell’articolo 18 della legge 349/1986.
Il motivo in esame ricalca le censure già formulate in occasione del ricorso
rivolto avverso il decreto provinciale che recepisce la quantificazione del
danno ambientale dello studio Magro-Sillani, vista l'attribuzione di competenza
contenuta nel provvedimento di revoca, n. 227/2003.
Invero, mentre il decreto di revoca soddisfa l'interesse pubblico alla
cessazione del rapporto tra l’amministrazione concedente e la ditta titolare di
cava, per l'inottemperanza al progetto di ricomposizione ambientale approvato
con D.G.R. 5609/1994, la liquidazione del danno ambientale mira alla
"riparazione" dei danni arrecati alla collettività nell'esercizio dell'attività
imprenditoriale.
In questo senso, la L.R. 44 del 1982 demanda alla Provincia la potestà di
sanzionare gli illeciti amministrativi ex art. 33, conseguenti anche alla
violazione delle prescrizioni dettate in sede di autorizzazione alla
coltivazione di cava o di ricomposizione ambientale.
Rimane comunque la possibilità per la Regione - in virtù del regime transitorio
ex art. 43, L.R. n. 44 del 1982 - di ricorrere alla revoca ex art. 31, qualora
il mutamento della situazione idrogeologica ed ambientale della zona di cava non
possa trovare ristoro con la mera irrogazione delle sanzioni provinciali.
Ciò non toglie che le attività non corrispondenti alle limitazioni
amministrative possano essere tali da ledere il bene "ambiente", quale res
communis omnium, configurando la responsabilità extracontrattuale della ditta,
con conseguente obbligo di risarcire il danno arrecato alla società.
Ad avviso di questo Collegio, nel caso in discussione, la prosecuzione
dell'attività di scavo in violazione della D.G.R. 5609/1994, unitamente allo
scarico di rifiuti non autorizzati nel sito di Campagnalta, configura gli
estremi dell'illecito ex art. 2043 c.c. , produttivo di danni ambientali
risacibili.
17.10. Occorre appena rammentare che la Corte Costituzionale, a partire dalla
nota sentenza n. 641 del 17.12.1987, ha riconosciuto il carattere patrimoniale e
civilistico della domanda di risarcimento del danno all'ambiente, rappresentato
da qualsiasi peggioramento delle condizioni di equilibrio dei vari fattori che
lo compongono.
17.11. Circa la presunta erronea quantificazione del danno, anche in tal caso il
motivo aggiunto ripropone sotto altra forma doglianze già esaminate.
E’ sufficiente rammentare che il decreto 227/2003 revoca la D.G.R. 5609/1994,
non solo perché il progetto di ricomposizione ambientale manifestava i vizi
ripetutamente illustrati, ma altresì perché la stessa ditta non adempiva alle
obbligazioni assunte nei confronti della Regione.
Una volta revocato il progetto di ricomposizione ambientale mai attuato, era
legittimo demandare alla Provincia di Padova non solo la determinazione di
ulteriori direttive per la ricomposizione ambientale, conseguente alle attività
contestate a Ca' Vico ex art. 33, L.R. 44/82, ma altresì la quantificazione del
danno ambientale "prodotto in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla
messa a dimora di rifiuti di vario genere, alla presenza sul fondale lacuale di
limo contenente sostanze inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle
sponde, il cui onere economico di risanamento è da ritenersi comunque
interamente a carico dei responsabili".
17.12. Sempre con i motivi aggiunti, si censura il provvedimento Prot. 164723
del 15.12.2006 del Dirigente del Servizio "Cave", di trasmissione del decreto
prot. 106038 dell'11.08.2006
Quanto alla dedotta illogicità e contraddittorietà, se risulta esatto che il
dirigente provinciale richiama la D.G.R 5609/1994, già revocata con il decreto
dirigenziale n. 227/2003, tuttavia specifica poi che le direttive impartite con
il provv. Prot. 106038 dell'11.08.2006 valgono come "integrazione alle
previsioni di ricomposizione ambientale del progetto imposto, approvato con
D.G.R. del 22 novembre 1994, n. 5609 ed hanno lo scopo di assicurare la
riqualificazione ambientale del sito, garantire la sicurezza dei luoghi anche a
tutela dei futuri fruitori dell'area di cava e secondo la destinazione prevista
dai vigenti strumenti urbanistici".
In sostanza si richiamano le prescrizioni contenute nella D.G.R 5609/1994, con
riferimento alla mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione delle quote
negli elaborati e la collocazione del caposaldo, argomento questo ripetutamente
sviscerato.
Quanto all'affermazione della ditta ricorrente, per cui le sarebbe stato
impedito di procedere alla ricomposizione ambientale dalle stesse
Amministrazioni, per averle inibito qualsiasi intervento, anche di semplice
decespugliamento e pulizia dei luoghi, si rileva che all’opposto la sospensione
cautelare di ogni attività era giustificata proprio dall'inottemperanza al
progetto di ricomposizione ambientale.
Fino a quel momento la ricorrente, pur autorizzata, non aveva provveduto alla
ricomposizione ambientale.
17.13. Circa l’affermazione della Ca' Vico, secondo cui i certificati ARPAV non
attesterebbero alcun valore eccedente i limiti normativi, si rileva poi che i
prelievi dal tubo veicolante le acque di lavaggio e dalla cisterna in acciaio
hanno rilevato una percentuale di azoto ammoniacale e materiali in sospensione
totale superiori alle prescrizioni in materia ambientale (nota ARPAV, prot.
D/1159/ST. V74997/a2).
Lo stesso vale per l'elevata percentuale di arsenico attestata, tra l'altro,
dalla "Indagine ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul
terreno" del Dott. Avola, in base alla classificazione di cui al D.M. 25 ottobre
1999 n. 47.
La questione dell’arsenico è stata invero ampiamente trattata sopra.
*****
18.0. Conclusivamente su tutti i ricorsi, va rilevato che la pubblica
amministrazione nella fattispecie in esame abbia sottoposto ogni questione
tecnica, dalla quantità di materiale estratto dalla cava, alla correlata
questione del caposaldo, dalla tipologia delle sostanze inquinanti riscontrate
alla situazione ambientale in genere, infine alla quantificazione stessa del
danno ambientale, a successive dettagliate analisi e a pareri di esperti in
materia, in modo che, nonostante l’evidente difficoltà di valutare l’accaduto a
distanza di tempo e in una situazione di compromissione continua, le conclusioni
appaiono confortate da sufficienti riscontri tecnici probatori, obiettivi e
ragionevolmente convincenti.
18.1. Le tesi della ricorrente, ancorché brillantemente sostenute, appaiono
talvolta contraddittorie tra di loro, come laddove si afferma che i limi
sarebbero un sottoprodotto naturale dell’estrazione di ghiaia, e allo stesso
tempo si sottolinea l’utilizzo di vasche di decantazione a tenuta stagna, ovvero
dove si richiamano generiche asserzioni dell’ARPAV sulla presenza endemica di
arsenico e nel contempo si dimenticano ben più dettagliate analisi della stessa
ARPAV di segno contrario, ovvero dove ci si lamenta del mancato coinvolgimento
della ditta in alcune fasi istruttorie trascurando la sua volontaria assenza,
ovvero dove si contesta l’utilizzo di pareri di tecnici estranei alla PA e
contestualmente si chiede l’acquisizione di consulenze tecniche d’ufficio.
18.2. La ditta ricorrente invero si sofferma ripetutamente su alcuni dettagli e
su alcune analisi specifiche, omettendo di considerare l’insieme delle questioni
e il quadro complessivo, valutato invece correttamente ed esaustivamente dalla
Regione, dalla Provincia e dal Comune nonché dagli organi tecnici incaricati,
tra cui soprattutto l’ARPAV, nell’ambito delle rispettive competenze.
Si tratta di una tipica situazione in cui l’attenzione per il singolo albero non
consente di vedere, come incisivamente scrisse un dì l’anglo bardo, l’intera
foresta.
In altri termini, appare difficile contestare, alla luce della copiosa
documentazione in atti, che la cava in questione sia divenuta fonte di un
obiettivo scompenso ambientale, tale da richiedere non solo la revoca
dell’autorizzazione originaria ma altresì le misure riparatorie, nonché quelle
risarcitorie della collettività, compresa l’irrogazione della sanzione derivante
dal danno ambientale.
18.3. Per le su indicate ragioni i ricorsi vanno tutti rigettati, laddove le
spese dei vari giudizi fanno carico, secondo la regola usuale, alla ditta
ricorrente e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, respinta
ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in
premessa, riunitili, li rigetta.
Condanna, per tutti e dieci i ricorsi, la ricorrente ditta Ca’ Vico alla
rifusione delle spese ed onorari di giudizio a favore di tutte le parti
resistenti, per un totale – esclusi gli oneri accessori nella misura di legge -
di euro 85.000 (ottantacinque mila), di cui 3.000 (tre mila) a favore del
commissario ad acta Giovanni Battista Pisani, 7.000 (sette mila) a favore dell’ARPAV,
laddove la parte rimanente, pari ad euro 75.000, (settantacinque mila) va
suddivisa in parti eguali tra la Regione, la Provincia e il Comune.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 15 novembre 2007.
Il Presidente estensore
Il Segretario
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