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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 22/05/2008 (ud. 11/03/2008), Sentenza n. 2470
ESPROPRIAZIONE - Dichiarazione di pubblica utilità - Scadenza del termine
decadenziale - Termini di inizio e conclusione delle espropriazioni e dei lavori
- Art. 13 L. nr. 2359/1865. E' da escludere la sussistenza dei vizi di
legittimità sulla scorta della natura di atto di programmazione urbanistica
dell’accordo di programma e della dichiarazione ex lege di pubblica utilità che
la sua approvazione comporta. Inoltre, è legittimo il rilievo circa il mancato
avverarsi della decadenza di cui all’art. 1 l. nr. 1/78, essendo state iniziate
le opere nei termini, ancorché su suoli diversi da quelli di proprietà
dell’appellante (C.d.S. sez. VI, nr. 4897/2003). Pres. Trotta - Est. Greco - Pio
Monte della Misericordia (avv. Tozzi) c. Comune di Marcianise (avv. Lamberti) ed
altri (conferma Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Napoli -
Sez. V, nr. 3747/2002, depositata in data 16/05/2002). CONSIGLIO DI STATO
Sez. IV, 22/05/2008 (ud. 11/03/2008), Sentenza n. 2470
ESPROPRIAZIONE - Mancata fissazione dei termini - Effetti - Giurisdizione -
Giurisprudenza. La mancata fissazione dei termini costituisce soltanto un
vizio di legittimità di determinare non già la carenza assoluta di potere in
capo all’amministrazione procedente, ma il suo illegittimo esercizio, non
facendo quindi venir meno la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr.
SS.UU. 6/02/2008, nr. 2765). In tal senso è anche la prevalente giurisprudenza
amministrativa (cfr. Ad. Pl., 26/03/2003, nr. 4; sez. V, 23/09/2005, nr. 5013).
Pres. Trotta - Est. Greco - Pio Monte della Misericordia (avv. Tozzi) c. Comune
di Marcianise (avv. Lamberti) ed altri (conferma Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania - Napoli - Sez. V, nr. 3747/2002, depositata in data
16/05/2002). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 22/05/2008 (ud. 11/03/2008),
Sentenza n. 2470
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 2470/2008
Reg. Dec.
N. 9128 Reg. Ric.
Anno 2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la
seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 9128 del 2002, proposto dal Pio Monte della
Misericordia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dall’avv. Silvano Tozzi, con domicilio eletto in Roma alla via degli
Avignonesi nr. 5, presso lo studio dell’avv. Lodovico Visone,
contro
- il Comune di Marcianise, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e
difeso dall’avv. Antonio Lamberti, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma
al viale dei Parioli nr. 67;
- la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’avv. Lidia Buondonno dell’Avvocatura Regionale e con la stessa
elettivamente domiciliata in Roma alla via Poli nr. 29;
- Interporto Sud Europa S.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Mario P. Chiti e Pasquale
Iannuccilli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma alla via C.
Mirabello nr. 26;
avverso e per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Napoli -
Sez. V, nr. 3747/2002, depositata in data 16 maggio 2002, mai notificata, con la
quale è stato rigettato il ricorso proposto dal Pio Monte della Misericordia per
l’annullamento - previa sospensione dell’efficacia:
1) del decreto del Sindaco del Comune di Marcianise prot. nr. 12400 del 25 maggio 2001, notificato il 17 luglio 2001, con il quale è stata disposta la occupazione d’urgenza di un’estesa proprietà del ricorrente;
2) del decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania nr. 14555 del 3 ottobre 1996, con il quale, ex art. 27 della legge 8 giugno 1990, nr. 142, è stato approvato l’accordo di programma sottoscritto dallo stesso Presidente della Giunta Regionale, dal Presidente della Amministrazione Provinciale di Caserta, dal Sindaco di Marcianise, dal Sindaco di Maddaloni e dal Presidente della SOPROSER S.p.a., finalizzato alla realizzazione delle strutture interportuali del polo di Marcianise - Maddaloni;
3) della delibera di ratifica del detto accordo di programma, assunta dalla Giunta Regionale del 3 aprile 1996, con nr. 2345;
4) della delibera del Consiglio Comunale di Marcianise nr. 89 del 18 ottobre 1996, di ratifica del detto accordo di programma;
5) del verbale di stato di consistenza e di immissione in possesso dei suoli in esame, redatti contestualmente in data 2 agosto 2001;
6) di tutti gli atti connessi, collegati e consequenziali mai conosciuti, in uno ad ogni altro atto o parere acquisito per dar corso alla procedura ablativa qui impugnata estensivamente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione delle Amministrazioni appellate e della
Interporto Sud Europa S.p.a.;
Viste le memorie prodotte dall’appellante (in data 29 febbraio 2008), dal Comune
di Marcianise (in data 4 marzo 2008) e dall’appellata Interporto Sud Europa
S.p.a. (in data 29 febbraio 2008) a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica dell’11 marzo 2008, il Consigliere Raffaele
Greco;
Uditi l’avv. Tozzi per l’appellante, l’avv. Lamberti per il Comune di
Marcianise, l’avv. Buondonno per la Regione Campania e l’avv. Iannuccili per
l’appellata Interporto Sud Europa S.p.a.;
Ritenuto e considerato quanto segue:
F A T T O
Il Pio Monte della Misericordia ha impugnato la sentenza con cui il T.A.R. della
Campania ha respinto il ricorso da esso proposto avverso gli atti della
procedura espropriativa in itinere su suoli di sua proprietà, in attuazione
dell’accordo di programma teso alla realizzazione dell’interporto Marcianise -
Maddaloni.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1) erronea dichiarazione di inammissibilità dei motivi di ricorso proposti in
relazione ai vizi inficianti l’accordo di programma (avendo il T.A.R. malamente
ritenuto che l’omessa notificazione del ricorso a tutte le Amministrazioni
sottoscrittrici del predetto accordo comportasse inammissibilità
dell’impugnazione, laddove le censure colpivano solo la parte, d’interesse del
ricorrente, relativa al suolo sito nel Comune di Marcianise);
2) erroneità della sentenza per omessa disposizione della integrazione del
contraddittorio (avendo il T.A.R. omesso di disporre, quanto meno,
l’integrazione del contraddittorio mediante notifica alle Amministrazioni cui il
ricorso introduttivo non risultava notificato);
3) erronea valutazione della sentenza allegata agli atti (ossia la precedente
sentenza del T.A.R. Campania nr. 108/2002, di parziale annullamento dello stesso
decreto di occupazione d’urgenza, che non avrebbe potuto giammai essere intesa
quale indicativa di una cessazione dell’interesse a ricorrere, essendo pacifico
che la stessa operava nei limiti delle parti interessate a quel giudizio, e non
anche - quindi - in relazione all’odierno appellante);
4) erronea ritenuta inapplicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 27,
comma V bis, della legge 8 giugno 1990, nr. 142 (oggi art. 34 d.lgs. 18 agosto
2000, nr. 267) (dovendo tale norma applicarsi in virtù del principio tempus
regit actum, essendo essa in vigore al momento dell’adozione dell’impugnato
decreto di occupazione);
5) erronea ritenuta applicabilità della procedura prevista dall’art. 3 della
legge 3 gennaio 1978, nr. 1 (essendo quest’ultima applicabile alle sole opere
pubbliche, e non anche alle opere private di interesse pubblico, del tipo di
quella per cui è causa);
6) erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1, comma III, della legge
nr. 1 del 1978 sulla omessa dichiarazione della inefficacia della pubblica
utilità (dovendo applicarsi alla fattispecie in esame il termine decadenziale di
cui alla norma testé richiamata);
7) erronea assunta insussistenza dell’obbligo di fissazione dei termini di cui
all’art. 13 della legge 25 giugno 1865, nr. 2359 (dovendo, invece, tali termini
essere contenuti già nella delibera di ratifica dell’accordo di programma,
avente quale effetto la dichiarazione di pubblica utilità);
8) violazione di legge (art. 27, comma V, l. nr. 142/90 in relazione all’art. 3
della legge 17 agosto 1942, nr. 1150); eccesso di potere per violazione del
giusto procedimento, difetto dei presupposti, carenza istruttoria (doglianza
erroneamente non esaminata in primo grado, in relazione alla omessa osservanza
delle formalità relative alla procedura di variante urbanistica);
9) violazione (art. 14 l. nr. 142/90 in relazione all’art. 34, comma V, d.lgs.
nr. 267 del 2000 in relazione al punto 8 dell’accordo di programma approvato con
d.P.G.R.C. nr. 14555/96); carenza assoluta di potere ablatorio; eccesso di
potere per carenza dei presupposto, perplessità, violazione del giusto
procedimento (ulteriore censura erroneamente non esaminata dal T.A.R., in ordine
alla omessa convocazione in sede di conferenza di servizi degli Enti proprietari
dei tratti stradali interessati all’intervento, A.N.A.S. S.p.a. e Autostrade
S.p.a.);
10) violazione di legge (art. 27, comma V bis, l. nr. 142/90 in relazione
all’art. 32 della stessa legge); eccesso di potere per violazione del giusto
procedimento, carenza istruttoria e difetto dei presupposti; incompetenza
(ennesima doglianza non esaminata dal T.A.R. in relazione alla violazione della
competenza della Giunta per l’approvazione dell’accordo di programma);
11) violazione di legge (art. 81 D.P.R. 24 luglio 1977, nr. 616, in relazione
all’art. 14 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, ed alla legge regionale nr. 34
del 1993); eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, violazione
del principio di buon andamento della azione amministrativa, difetto dei
presupposti, perplessità (non potendo la deroga agli strumenti urbanistici
essere approvata mediante conferenza di servizi, censura anche questa
erroneamente non esaminata dal T.A.R.);
12) violazione di legge (artt. 7, 8 e 9 della legge nr. 241 del 1990 in
relazione anche all’art. 10 della legge 22 ottobre 1971, nr. 865, e dell’art.
17, comma V bis, l. nr. 142/90); eccesso di potere per violazione del giusto
procedimento (ultima doglianza non esaminata dal primo giudice in riferimento
all’omessa comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento
amministrativo).
Peraltro, in via del tutto preliminare rispetto alle censure testé elencate
l’appellante ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
in ordine alla presente controversia, stante l’inesistenza di una valida ed
efficace dichiarazione di pubblica utilità.
Le Amministrazioni appellate, nel costituirsi, hanno diffusamente argomentato a
sostegno dell’infondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione; altrettanto
ha fatto l’appellata Interporto Sud Europa S.p.a.
All’udienza dell’11 marzo 2008, la causa è stata ritenuta per la decisione.
D I R I T T O
1. Va preliminarmente esaminata la questione della giurisdizione, singolarmente
sollevata, per la prima volta nel presente grado d’appello, dallo stesso
appellante.
In sostanza, si assume la carenza assoluta di potere in capo all’Amministrazione
espropriante per difetto di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica
utilità, il tutto - se ben si comprende - sulla scorta della ritenuta fondatezza
della censura (richiamata nella premessa in fatto sub 4) relativa
all’intervenuto decorso del termine triennale di cui all’art. 27, comma V bis,
della legge 8 giugno 1990, nr. 142; l’eccezione è supportata dal richiamo alla
giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, che ritiene mero fatto illecito
generatore di danno, come tale rientrante nella cognizione del giudice
ordinario, l’occupazione di un fondo non preceduta da una valida e perdurante
dichiarazione di pubblica utilità.
L’eccezione va respinta senza necessità di approfondire la questione relativa al
riparto della giurisdizione in subiecta materia: infatti, come meglio si dirà in
appresso, va condiviso l’orientamento del giudice di primo grado circa
l’infondatezza dell’assunto di parte appellante in ordine all’avvenuta
decadenza, nella specie, della dichiarazione di pubblica utilità.
2. Nel merito, l’appello è infondato, apparendo la sentenza di primo grado
meritevole di integrale conferma.
3. Con i primi due motivi di impugnazione, che conviene qui esaminare
congiuntamente, parte appellante si duole della sentenza impugnata nella parte
in cui ha dichiarato inammissibili le censure proposte avverso l’accordo di
programma approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale della
Campania nr. 14555 del 3 ottobre 2006, stante la mancata notifica del ricorso
introduttivo a taluni dei soggetti sottoscrittori di esso (Provincia di Caserta
e Comune di Maddaloni).
In contrario, si assume: a) che il ricorso è stato notificato a quelle
Amministrazioni, tra le firmatarie dell’accordo, che avevano adottato atti
esoprocedimentali incidenti sulla situazione soggettiva dell’Ente ricorrente; b)
che in ogni caso, e in via subordinata, l’omissione non avrebbe giammai potuto
portare a declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, ma al più a un
ordine di integrazione del contraddittorio.
3.1. Il contrasto di posizioni emerso nel corso del presente giudizio in ordine
agli effetti della mancata notifica del ricorso con il quale si impugna un
accordo di programma a tutte le Amministrazioni firmatarie dello stesso induce
la Sezione a un generale riesame della materia.
Al riguardo, scarsamente perspicua appare la giurisprudenza richiamata
dall’appellante in ordine alla ben diversa ipotesi di atto adottato di concerto
(laddove non si dubita che la rituale notifica all’Autorità concertante, e non
anche a quelle concertate, sia idonea e sufficiente a instaurare regolarmente il
rapporto processuale), trattandosi con ogni evidenza di situazione tutt’affatto
diversa da quella che qui occupa.
Infatti, mentre in tale ipotesi l’Autorità emanante il provvedimento finale è
chiaramente identificabile in quella concertante (e ciò a prescindere dalla
qualificazione che si dia dell’apporto delle Autorità concertate), l’accordo di
programma invece, secondo la consolidata interpretazione datane sulla scorta
della disciplina riveniente dall’art. 34 d.lgs. 18 agosto 2000, nr. 267,
incorpora il consenso unanime di più amministrazioni o enti circa un quid
(opera o progetto) da realizzare (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV,
28 aprile 2006, nr. 2411; id. 17 giugno 2003, nr. 3403): ciò che sembra
presupporre, almeno in linea tendenziale, la pari dignità tra gli apporti dei
soggetti dell’accordo medesimo, o quanto meno la necessità di verificarne in
concreto la natura.
Più pertinente, invero, è il richiamo agli orientamenti formatisi in tema di
conferenza di servizi, sia perché anche quest’ultima costituisce, al pari
dell’accordo di programma, un modulo generale di semplificazione procedimentale
teso ad acquisire in unico contesto l’avviso dei più enti o soggetti chiamati a
esprimersi ai fini dell’adozione di un determinato provvedimento, sia -
soprattutto - perché è lo stesso art. 34 d.lgs. nr. 267 del 2000 a imporre,
quale modalità tipica per addivenire alla sottoscrizione di accordi finalizzati
alla definizione e all’attuazione di opere, interventi o programmi di intervento
tali da richiedere l’azione integrata e coordinata di più amministrazioni o
enti, proprio la convocazione di una conferenza di servizi.
3.2. Tanto premesso, l’odierna appellante si richiama, al fine di contestare la
pronuncia di parziale inammissibilità del ricorso adottata dal primo giudice, a
recenti arresti con i quali, proprio con riferimento a ipotesi di accordi di
programma ex art. 34 d.lgs. nr. 267/2000, la mancata notifica del ricorso a
taluna delle amministrazioni parti dell’accordo è stata ritenuta integrare un
mero difetto del contraddittorio tale da determinare - purché, beninteso, l’atto
introduttivo fosse stato ritualmente notificato all’amministrazione formalmente
emanante il decreto di approvazione dell’accordo - l’annullamento con rinvio al
giudice di primo grado ai sensi dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971, nr.
1034; ciò sul presupposto, non sempre chiaramente esplicitato, che i soggetti
diversi dall’Amministrazione formalmente emanante assumerebbero veste di
controinteressati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 novembre 2004, nr. 7826; sez.
IV, 17 giugno 2003, nr. 3403).
A fronte di tale orientamento, si registra nella giurisprudenza di primo grado
una varietà di opinioni, da quella prevalente (e più rigorosa) che considera
sempre amministrazioni emananti tutti i soggetti sottoscrittori dell’accordo a
quella che - al contrario - non riconosce alcuna veste processuale agli enti che
partecipino a conferenza di servizi o accordo di programma convocati da altra
Amministrazione.
3.3. Orbene, il Collegio reputa che l’orientamento sopra richiamato, che
attribuisce qualità di controinteressati alle amministrazioni intervenute nella
formazione dell’accordo di programma, vada rivisto.
Tale opinione, invero, sembra trovare un forte aggancio normativo
nell’individuazione, nell’ambito della stessa previsione normativa ex art. 34
d.lgs. nr. 267/2000, di una diversa posizione dell’amministrazione cui, in
quanto titolare della “competenza primaria o prevalente” in relazione all’opera
o all’intervento da realizzare, spetta il potere-dovere di convocare la
conferenza di servizi preordinata all’accordo, rispetto agli altri soggetti che
a questa partecipano.
Tuttavia, la questione relativa alla natura giuridica dell’apporto fornito da
ciascun soggetto parte dell’accordo non può essere risolta sulla base di questo
solo elemento formale, dovendo tener conto anche della considerazione del “peso”
sostanziale degli apporti de quibus nell’economia dell’atto finale cui accedono.
E difatti, è oggi pacifico che la nozione di controinteressato in senso tecnico,
ai sensi dell’art. 21 della legge nr. 1034 del 1971, postula la simultanea
presenza di due elementi entrambi essenziali: quello formale, scaturente dalla
esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero dalla
sua immediata individuabilità, e quello sostanziale, connesso all’esistenza, in
capo a detto soggetto, di un interesse giuridicamente qualificato al
mantenimento della situazione esistente, e quindi del provvedimento oggetto di
impugnazione (dal quale, evidentemente, egli deriva una situazione di vantaggio)
(cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2004, nr. 7544; id. 18 marzo
1998, nr. 310).
Il controinteressato è di norma una parte privata, anche se non può escludersi a
priori che, in un sistema di amministrazione policefala quale è quello previsto
dal nostro ordinamento, esso possa essere costituito anche da un soggetto
pubblico; in tale ipotesi, tuttavia, la sua posizione va tenuta nettamente
distinta da quella dell’amministrazione resistente.
Non può infatti negarsi, alla luce della definizione che se ne è appena data,
che il controinteressato è titolare anch’esso, al pari del ricorrente, di una
posizione soggettiva di interesse legittimo, che è tuttavia specularmente
opposta a quella fatta valere da quest’ultimo, e che può trovare soddisfazione o
con la semplice conservazione dell’atto impugnato, ovvero (attraverso la
proposizione di apposito ricorso incidentale) a sua volta con l’annullamento di
esso, ma al fine di ritrarre un vantaggio antitetico, e comunque maggiore, di
quello perseguito dal ricorrente.
Se tutto questo è vero, non può non richiamarsi il consolidato insegnamento
giurisprudenziale secondo cui il soggetto che ha espresso un parere sul quale si
basa il provvedimento impugnato non assume la veste di controinteressato, non
acquisendo dal provvedimento medesimo alcuna posizione di vantaggio immediato e
diretto da tutelare nell’eventuale provvedimento giurisdizionale (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 2 marzo 1999, nr. 211; sez. IV, 13 maggio 1998, nr. 793).
Ciò vale non solo nel caso in cui il soggetto che ha espresso il parere è un
privato, come un professionista esterno (in tal caso è evidente l’assoluto
difetto di alcuna posizione di vantaggio tutelabile, a parte quella - che non
può trovare ingresso nel processo amministrativo - connessa alla tutela del suo
onore o il suo prestigio messo in discussione con l’impugnativa), ma anche
laddove il parere sia stato espresso da un ente pubblico: in tale ultima
ipotesi, è appena il caso di sottolineare che la posizione di vantaggio da
tutelare non può essere costituita dall’interesse pubblico di cui si erge a
tutore l’ente che ha espresso il parere.
3.4. In applicazione dei principi testé enunciati, discende allora che la
partecipazione di un’amministrazione o di un ente alla formazione del
provvedimento formalmente emanato da altra amministrazione o ente potrà in
concreto atteggiarsi solo in due modi alternativi:
a) o tale partecipazione si esaurirà nell’espressione di un mero parere non
vincolante per l’amministrazione procedente, la quale rimarrà esclusiva titolare
dell’interesse pubblico cui è funzionale il provvedimento emanando (come nel
caso del parere espresso nell’ambito di una conferenza di servizi istruttoria);
b) o, viceversa, l’intervento servirà a introdurre nel procedimento un interesse
pubblico ulteriore, del quale il soggetto che esprime il parere è
istituzionalmente portatore, con la conseguenza che da detto parere
l’amministrazione procedente non potrà - di norma, e salvo eventuali previsioni
di legge che disciplinino diversamente l’ipotesi di dissenso - discostarsi (è
quanto avviene solitamente nelle conferenze di servizi decisorie).
Nel primo caso, l’ente che esprime il parere - come detto al punto che precede -
resta del tutto estraneo al provvedimento conclusivo, ed è conseguentemente
privo di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante in ipotesi di impugnazione
di esso; al contrario, nel secondo caso, al contrario, l’imprescindibile
rilevanza dell’interesse pubblico di cui detto ente è titolare ai fini
dell’adozione del provvedimento comporta che essa partecipa, sia pure
collegialmente, alla sua adozione, assumendo la veste di amministrazione
emanante e dunque, in quanto tale, di parte necessaria del giudizio scaturente
dall’eventuale impugnazione dell’atto.
3.5. I rilievi fin qui svolti non possono non condurre, nel caso dell’accordo di
programma di cui all’art. 34 d.lgs. nr. 267/2000, a qualificare come
amministrazioni emananti tutte le Autorità che all’accordo stesso hanno
partecipato: ciò discende dalla stessa definizione che si è più sopra data di
detto accordo come consenso unanime circa un quid da realizzare, che è tale da
ben sottolineare la coessenzialità dell’apporto di ciascuno degli enti
intervenuti.
Ciò, a ben vedere, corrisponde all’obiezione che anche a lume di buon senso può
essere mossa al rilievo dell’odierno appellante, il quale assume di aver evocato
in giudizio quei soli Enti interessati all’emanazione di atti che la
pregiudicavano direttamente (segnatamente, quelli relativi all’esproprio e
all’occupazione d’urgenza delle aree in sua proprietà site in territorio del
Comune di Marcianise).
È facile replicare, infatti, che essendo stata detta espropriazione disposta in
attuazione dell’accordo di programma finalizzato alla realizzazione
dell’interporto Marcianise-Maddaloni, l’eventuale accoglimento dell’impugnazione
comporterebbe comunque l’impossibilità di realizzazione di tale infrastruttura,
o quanto meno un ritardo nella stessa: di qui il più che qualificato interesse
individuabile in capo a tutti gli Enti firmatari dell’accordo, riconducibile
allo stesso interesse pubblico alla realizzazione dell’opera.
4. Le osservazioni appena svolte inducono il Collegio a respingere i primi due
motivi d’impugnazione, e conseguentemente a confermare la sentenza impugnata
nella parte in cui ha dichiarato sic et simpliciter inammissibili le censure
rivolte avverso l’accordo di programma approvato con d.P.G.R. nr. 14555 del
1996.
Ne discende, peraltro, che in questa sede non verranno esaminati i motivi
d’impugnazione richiamati nella premessa in fatto sub 8, 9, 10, 11 e 12, con i
quali sono state riproposte le censure articolate nel ricorso introduttivo
avverso il suddetto accordo di programma, censure ritenute inammissibili dal
giudice di prime cure.
5. Con il terzo motivo di appello, parte appellante lamenta l’erronea
considerazione di precedente sentenza dello stesso T.A.R. della Campania (nr.
180 del 2002), che era stata allegata agli atti al solo fine di documentare un
atteggiamento “ondivago” di quel Tribunale su questioni identiche, e non certo
l’esistenza di un precedente vincolante tra le parti.
In disparte i dubbi che potrebbero avanzarsi circa la rilevanza del richiamo a
tale sentenza ai fini della decisione oggetto di impugnazione, la censura è
comunque superata: infatti, la citata sentenza nr. 180 del 2002, con la quale
talune delle questioni oggetto del presente giudizio erano state risolte in
senso difforme rispetto alla determinazioni qui raggiunte, è stata annullata a
seguito di appello con decisione della Sezione VI di questo Consiglio di Stato (nr.
4897 del 3 settembre 2003).
6. Con il quarto motivo di impugnazione, si lamenta la reiezione della doglianza
afferente la pretesa violazione dell’art. 27, comma V bis, della legge 8 giugno
1990, nr. 142, come introdotto dalla legge 15 maggio 1997, nr. 127, secondo cui
la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere
pubbliche conseguente all’approvazione dell’accordo di programma “…cessa di
avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni”: infatti, la
formale immissione nel possesso degli immobili di proprietà del Pio Monte della
Misericordia è avvenuta solo in data 2 agosto 2001, ben oltre il triennio
dall’approvazione dell’accordo di programma.
Il motivo è infondato.
Al riguardo, è sufficiente richiamare i principi enunciati nella già citata
decisione nr. 4897 del 2003, laddove si afferma che una corretta applicazione
del principio tempus regit actum - invocato dall’odierno appellante -
comporta che il termine triennale di decadenza della dichiarazione di pubblica
utilità introdotto dalla legge nr. 127 del 1997 è applicabile ai soli accordi di
programma approvati in epoca successiva all’entrata in vigore della legge da
ultimo citata (dovendo aversi riguardo, appunto, alla data di approvazione
dell’accordo di programma, e non certo a quella della successiva immissione in
possesso): pertanto, la norma non si applica all’accordo per cui è causa,
approvato nel 1996.
7. Infondato è anche il quarto motivo d’appello, con il quale si censura la
sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto illegittima la redazione
dello stato di consistenza effettuata contestualmente all’immissione in
possesso, muovendo dall’applicabilità nella specie della procedura di cui
all’art. 3 della legge 3 gennaio 1978, nr. 1.
Sul punto, l’appellante per un verso insiste sulla qualificazione
dell’intervento cui è preordinato l’accordo di programma de quo come
opera privata di interesse pubblico, anziché come opera pubblica, e per altro
verso si dilunga sulla praticabilità per esso del modulo dell’accordo di
programma ex art. 34 d.lgs. nr. 267/2000: nulla replica, tuttavia, all’argomento
decisivo che ha indotto il T.A.R. a disattendere la doglianza, e cioè sul
richiamo testuale all’art. 121 dello stesso d.lgs. nr. 267/2000, che
espressamente estende anche alle opere private di interesse pubblico la speciale
procedura originariamente prevista per le sole opere pubbliche dall’art. 3 l. nr.
1 del 1978.
A ciò può aggiungersi, anzi tutto, che non può revocarsi in dubbio - ma, lo si
ribadisce, la cosa non è contestata neanche dall’odierno appellante - l’estrema
rilevanza pubblicistica dell’opera aeroportuale da realizzare nella specie,
stante la sua decisiva importanza quale infrastruttura (al riguardo, cfr. Cons.
Stato, sez. V, 26 agosto 2003, nr. 4748); in secondo luogo, che la legittimità
della scelta di ricorrere al modulo dell’accordo di programma non è censurabile
in questa sede, giusta quanto rilevato sub 3 in ordine all’inammissibilità delle
censure rivolte direttamente all’accordo de quo.
8. Vanno infine respinti anche il sesto e il settimo motivo d’impugnazione, con
i quali sono riproposte le doglianze articolate in primo grado con riguardo,
rispettivamente, alla scadenza del termine decadenziale di cui all’art. 1 della
legge nr. 1 del 1978 ed alla mancata fissazione dei termini di inizio e
conclusione delle espropriazioni e dei lavori ai sensi dell’art. 13 della legge
25 giugno 1865, nr. 2359.
Al riguardo, va condivisa l’opinione del primo giudice, che ha escluso la
sussistenza dei vizi di legittimità sulla scorta della natura di atto di
programmazione urbanistica dell’accordo di programma e della dichiarazione ex
lege di pubblica utilità che la sua approvazione comporta; del pari
condivisibile è il rilievo circa il mancato avverarsi della decadenza di cui
all’art. 1 l. nr. 1/78, essendo state iniziate le opere nei termini, ancorché su
suoli diversi da quelli di proprietà dell’odierno appellante (cfr. sez. VI, nr.
4897/2003, cit.).
Con riferimento alla prima questione, parte appellante produce alcune sentenze
della S.C. (SS.UU., 28 gennaio 2005, nr. 1732, e 19 maggio 2004, nr. 9532) nelle
quali, affermandosi la giurisdizione del giudice ordinario su controversie
relative a occupazione eseguita nell’ambito di procedura espropriativa nella
quale non sono stati fissati i termini ex art. 13 l. nr. 2359/1865, si afferma,
in fattispecie analoghe a quella che occupa, che detti termini avrebbero dovuto
essere necessariamente contenuti nell’accordo di programma, quale atto
dichiarativo della pubblica utilità.
L’accoglimento di siffatta impostazione condurrebbe, in realtà, non tanto a
riconoscere le ragioni dell’appellante, quanto piuttosto a declinare la
giurisdizione del giudice amministrativo: ma ciò comporterebbe l’esame della
vexata quaestio della natura dell’occupazione eseguita senza il rispetto dei
termini di cui al più volte citato art. 13, sulla quale - come noto - gli
orientamenti giurisprudenziali sono tutt’altro che concordi.
Basti rilevare - a parte la natura di obiter dicta delle affermazioni
relative agli accordi di programma contenute nelle sentenze prodotte
dall’appellante, con le quali si statuiva sulla giurisdizione - da un lato che
in dette sentenze, con apparente contraddizione, si riconosce che l’accordo di
programma acquista carattere di strumento urbanistico esecutivo per effetto
della sua approvazione, senza peraltro approfondire il tema consequenziale della
applicabilità o meno ad esso dell’art. 13; per altro verso, che ancora di
recente si rinvengono pronunce nelle quali la S.C. afferma, al contrario, che la
mancata fissazione dei termini costituisce soltanto un vizio di legittimità
lamentato dai ricorrenti, suscettibile - ove accertato - di determinare non già
la carenza assoluta di potere in capo all’amministrazione procedente, ma il suo
illegittimo esercizio, non facendo quindi venir meno la giurisdizione del
giudice amministrativo (cfr. SS.UU. 6 febbraio 2008, nr. 2765).
In tal senso è anche la prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Ad. Pl.,
26 marzo 2003, nr. 4; sez. V, 23 settembre 2005, nr. 5013), dalla quale questo
Collegio non ritiene di discostarsi.
9. In conclusione, s’impone una pronuncia di integrale reiezione del ricorso,
con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
10. Sussistono comunque giusti motivi per compensare tra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, respinge l’appello e,
per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 marzo
2008 con l’intervento dei signori:
Gaetano Trotta Presidente
Costantino Salvatore Consigliere
Pier Luigi Lodi Consigliere
Carlo Saltelli Consigliere
Raffaele Greco Consigliere, est.
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Raffaele Greco
Gaetano Trotta
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
Depositata in Segreteria
Il 22/05/2008
( Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
per il Dirigente
Sig.ra Maria Grazia Nusca
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