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CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424



CONSUMATORI - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Sindacato del giudice amministrativo - Rivalutazioni tecniche compiute dall’Autorità - Potere del G.A.. Il sindacato del giudice amministrativo è pieno e si estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame (Cons. Stato VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip). Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424

CONSUMATORI - Scambio di informazioni - Illecito antitrust - Configurabilità - Fattispecie: Carburante per aerei jet fuel - Omogeneità dei prezzi - Scambi di informazioni. La possibilità di acquisire aliunde le informazioni scambiate non comporta di per sé la liceità dello scambio. Tuttavia non si deve dimenticare che lo scambio di informazioni è stato ritenuto integrare in alcuni casi un illecito antitrust in sé (Cons. Stato, VI, n. 2199/02, Rc Auto). Nel caso di specie, le informazioni scambiate riguardavano dati previsionali, certamente sensibili, quali le informazioni sulle quantità di carburante che una società petrolifera prevede di erogare in un determinato scalo in un determinato periodo di tempo, confrontate con quanto erogato nell’anno precedente o dati altrettanto sensibili quali la conoscenza della tariffa applicata a ciascun utilizzatore, che comporta la conoscenza di uno degli elementi di costo cui devono far fronte i concorrenti nello stabilire le proprie politiche commerciali. Le imprese si scambiavano anche dati utili al monitoraggio delle condotte dei concorrenti: dati su erogati e sui clienti e sugli aggiudicatari delle gare. Riguardo a queste ultime informazioni, va rilevato che si trattavano di dati non pubblici, essendo l’aggiudicazione delle commesse comunicate alle sole società interessate e, pur potendo successivamente essere conosciuto tale elemento, è evidente che la tempestiva conoscenza consentiva il controllo sulla stabilità delle quote e l’eventuale adozione di immediate reazioni ritorsive in caso di inadempimenti. In definitiva, non si poteva sostenere che la circolazione dei dati sui clienti condivisi non era illecita, in quanto tali dati non avevano l’attitudine a rivelare la posizione sul mercato e le strategie dei concorrenti. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424

CONSUMATORI - Intesa anticoncorrenziale vietate - Oggetto anticoncorrenziale - Jet fuel - Scambi di informazioni. L’intesa anticoncorrenziale può essere sanzionata anche indipendentemente dai suoi effetti. L’art. 2 della legge n. 287/90, dopo aver precisato che si considerano intese gli accordi e/o le pratiche concordate, statuisce che sono vietate le intese tra le imprese che abbiano per oggetto o per l’effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. La norma è chiara nel richiedere la sola presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell’effetto (cfr., Corte Giust. CE, C - 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss.; Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 e n. 652/2001). Nel caso in esame l’Autorità ha dimostrato anche l’esistenza di effetti anticoncorrenziali, riguardanti la stabilità delle quote di mercato e il prezzo del jet fuel, al fine di rafforzare la prova dell’intesa. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424

CONSUMATORI - Scambio di informazioni tra imprese - Identità delle condizioni di offerta - Carattere illecito del parallelismo - Inversione dell’onere della prova - Fattispecie. In presenza di uno scambio di informazioni tra imprese, il parallelismo di comportamenti economici si colora di illiceità, spettando alle imprese dimostrare che il parallelismo non sia il frutto di comportamenti anticoncorrenziali, agevolati dalla conoscenza reciproca di informazioni rilevanti e sensibili (Cons. Stato, VI, n. 652/01, CD musicali; n. 1699/01, Tim - Omnitel). Se, dunque, la semplice identità delle condizioni di offerta da parte degli imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata (salvo il caso eccezionale nel quale l’anomalia dell’appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come frutto di un’intesa illecita sul versante concorrenziale), quando esistono elementi di riscontro, quali lo scambio di informazioni, si presume il carattere illecito del parallelismo, con una sostanziale inversione dell’onere della prova, gravante in tal caso sulle imprese al fine di spiegare la razionalità economica delle condotte parallele in una prospettiva di autonome iniziative imprenditoriali; ciò che si presume è le imprese tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato, spettando alle stesse imprese l’onere della prova contraria (Corte Giust, CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par.121). Nella specie, l’illecito contestato non è costituito dal solo scambio di informazioni quale pratica anticoncorrenziale in sé, ma da una più complessa intesa, che ha avuto ad oggetto e per effetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori, nonché un intenso e continuato scambio di informazioni idonee al raggiungimento di tali obiettivi. Di fatto, le imprese coinvolte sono di dimensioni tali da disporre certamente delle conoscenze giuridiche e economiche necessarie per conoscere il carattere illecito della loro condotta e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista del diritto della concorrenza. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424

CONSUMATORI - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Diffida - Atto dovuto - Funzione - Effetti - Comportamenti anticoncorrenziali. Il contenuto della diffida, costituisce atto dovuto da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, è vincolato al dettato normativo, che lo ancora all’eliminazione delle infrazioni (art. 15 della legge n. 287/90) o alla cessazione delle stesse (art. 5 del Reg. CE n. 1/03). Ma tale contenuto non ha solo il fine di eliminare i comportamenti oggetto dell’intesa, che come fatti storici non potrebbero essere cancellati, ma anche quella di rimuovere, ove possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro (Cons. Stato, VI, n. 926/2004). La diffida ha quindi, anche, lo scopo di intimare alle imprese di astenersi dagli accertati comportamenti anticoncorrenziali per il futuro. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424


 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N.424/2008 REG.DEC.
N.5619-5766-5621
5764-5628-5762
5622-5767 REG:RIC.
ANNO 2007
Disp.vo 535/2007


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sui ricorsi riuniti in appello n. 5619 - 5766 - 5621 - 5764 - 5628 - 5762 5622 - 5767 del 2007, proposti da:
a) n. 5619/07 TAMOIL ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, via Bissolati n. 76;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
a1) n. 5766/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
c o n t r o
- TAMOIL ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, via Bissolati n. 76;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n. 1741 del 27 febbraio 2007.
b) n. 5621/07 ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
b1) n. 5764/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
c o n t r o
- ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n. 1745 del 27 febbraio 2007.
c) n. 5628/07 TOTAL S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti. Denis Fosselard e Antonio Lirosi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio Gianni, Origoni, Grippo & Partners, in Roma, via delle Quattro Fontane n. 20;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- MAXOIL S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gian Michele Gentile, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via G. Belli 27;
c1) n. 5762/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
c o n t r o
- TOTAL S.p.A., in persona del legale rappresentante, non costituita
appellante incidentale
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Piazza di Montecitorio 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
- MAXOIL s.p.a., non costituita;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n. 1748 del 27 febbraio 2007.
d) n. 5622/07 KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Cosmelli e Filippo Satta, elettivamente domiciliata presso lo studio Satta & Associati, in Roma, via Foro Traiano n. 1/A;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
d1) n. 5767/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
c o n t r o
- KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Cosmelli e Filippo Satta, elettivamente domiciliata presso lo studio Satta & Associati, in Roma, via Foro Traiano n. 1/A;
appellante incidentale
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in giudizio;
- MAXOIL s.p.a., non costituita;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n. 1750 del 27 febbraio 2007.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 20 novembre 2007 il Consigliere Francesco Bellomo e uditi per le parti l’avv. Villata, gli avv.ti dello Stato Arena e Di Torre, l’avv. Clarich, l’avv. Clarizia, l’avv. Lirosi, l’avv. Bassan per delega dell’avv. Gentile e l’avv. Satta;
Ritenuto quanto segue:


F A T T O


1. Con separati ricorsi proposti dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Tamoil Italia Spa, Eni Spa, Total Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa domandavano l'annullamento del provvedimento adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’adunanza del 14 giugno 2006. A fondamento dei ricorsi deducevano plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, nella sostanza largamente coincidenti.


Si costituiva in giudizio per resistere ai ricorsi l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.


Con quattro sentenze di analogo contenuto il TAR accoglieva in parte i ricorsi, annullando l’impugnata determinazione limitatamente al punto c) del dispositivo.


2. Le sentenze sono state appellate da tutte le ricorrenti in primo grado e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per quanto di rispettivo interesse. Ciascuna parte si è costituita per resistere all’appello proposto dalla controparte. Total Italia Spa e Kuwait Petroleum Italia Spa hanno, altresì, appellato in via incidentale il capo delle sentenze ad essi favorevole. Nei giudizi relativi a Tamoil Italia Spa, Total Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa si è costituita Alitalia Spa, chiedendo il rigetto degli appelli.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Tutti gli appelli vanno riuniti per essere decisi con un’unica sentenza, attesa la stretta connessione soggettiva ed oggettiva che li avvince.


Per una migliore intelligibilità del testo si premette l’indice della esposizione:


1. il provvedimento impugnato;
2. i ricorsi di primo grado;
3. la motivazione delle sentenze appellate;
4. gli appelli delle parti private e la natura del procedimento antitrust;
5. i criteri di valutazione della prova con specifico riguardo all'intesa;
6. il mercato rilevante;
7. considerazioni preliminari sulla prova emersa;
8. scambio di informazioni e società comuni;
9. le condotte di ripartizione del mercato;
10. le condotte escludenti;
11. effetti dell'intesa sul mercato;
12. conclusioni sull'esistenza dell'intesa;
13. le sanzioni;
14. gli appelli dell’Autorità e gli appelli incidentali.


Di seguito la motivazione della decisione nell’ordine innanzi indicato, avendo sin d’ora cura di precisare che il paragrafo 13 va letto in stretta combinazione con i paragrafi 4 - 5 - 6 - 8.


1. Il provvedimento impugnato in primo grado nasce da un procedimento istruttorio attivato il 9 dicembre 2004 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai sensi dell’art. 14 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, al termine del quale la stessa è giunta alla conclusione che “le Società petrolifere ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL-SHELL IAV, TAMOIL, TOTAL, anche mediante lo strumento delle imprese comuni DISMA, SERAM, HUB, RAM-RAI e PAR, … hanno posto in essere un’intesa illecita, vietata dall’art. 81 del Trattato CE, in quanto costituita da un insieme di condotte volte al coordinamento del comportamento commerciale dei concorrenti all’interno di un contesto oligopolistico”.


Per l’Autorità, l’intesa censurata si sarebbe concretizzata nelle seguenti condotte:
 scambio di informazioni sensibili, sia fra le imprese comuni di stoccaggio e messa a bordo del carburante che fra queste ed i propri soci, idonee sia a orientare le reciproche strategie future per le gare indette dai vettori aerei sia a favorire il controllo successivo dell’effettivo rispetto delle intese;
 controllo delle forniture uscenti, concertazione delle gare, comportamenti “punitivi” mirati quando alcuni concorrenti hanno attuato condotte divergenti da quelle implicite nell’intesa;
 rifiuti opposti, in varie forme, alle richieste di nuovi potenziali operatori di utilizzare alcune infrastrutture che consentivano l’accesso al mercato.


Tali condotte sono state mirate al mantenimento delle specifiche caratteristiche del mercato. L’effetto è stato di precludere l’ingresso di nuovi operatori, rafforzare l’adozione di strategie scarsamente aggressive da parte degli operatori esistenti e l’inibizione dei tentativi di esercitare forme di concorrenza, con riveniente pregiudizio al commercio intracomunitario e indebiti vantaggi economici per le società petrolifere, che avrebbero fruito di condizioni di vendita del carburante più favorevoli rispetto a quelle che si sarebbero verificate in un mercato concorrenziale.


Con il provvedimento n. 15604 del 14 giugno 2006, l’Autorità così deliberava:
a) che le società Eni S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Shell Italia Aviazione S.r.l., Tamoil Italia S.p.A. e Total Italia S.p.A. hanno messo in atto un’intesa unica e complessa realizzatasi anche attraverso le imprese comuni Hub S.r.l., Par S.r.l., RAM S.r.l., Rai S.r.l (già Raf S.r.l.), Disma S.p.A. e Seram S.p.A., che ha avuto ad oggetto e per effetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori, nonché un intenso e continuato scambio di informazioni idonee al raggiungimento di tali obiettivi, in violazione dell'articolo 81 del Trattato UE;
b) che le imprese si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata, con particolare riferimento alle condotte di ripartizione e a quelle che hanno comportato la creazione di barriere all’accesso al mercato del jet fuel;
c) che, in particolare, le società ENI, ESSO e KUWAIT per HUB e PAR, le società SHELL IAV, TAMOIL, e TOTAL per RAI e le società ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL IAV e TOTAL per DISMA e SERAM definiscano le iniziative atte a eliminare la compresenza di più società petrolifere nel capitale sociale delle predette imprese comuni e perfezionino tali iniziative entro il 30 giugno 2008, dando altresì comunicazione all’Autorità entro novanta giorni dalla notifica del presente provvedimento delle iniziative definite al riguardo;
d) che le società petrolifere summenzionate comunichino entro novanta giorni dalla notifica del presente provvedimento le nuove modalità di conduzione delle imprese comuni tali da assicurare la piena autonomia gestionale delle imprese comuni rispetto alle società madri; impedire che l’attività delle imprese comuni comporti uno scambio di informazioni tra le imprese stesse e tra queste e i soci non strettamente indispensabile per l’operatività delle imprese stesse; impedire che i rappresentanti dei soci negli organi direttivi, nel management e nei quadri operativi delle società comuni vengano a conoscenza di informazioni relative ai concorrenti non strettamente indispensabili per l’operatività delle imprese stesse; impedire che i medesimi rappresentanti dei soci nelle società comuni mantengano, comunque, rapporti con gli esponenti delle funzioni commerciali delle società di appartenenza;
e) che, in ragione della gravità e durata dell'infrazione di cui al punto a), alle società Eni S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Tamoil Italia S.p.A. e Total Italia S.p.A. vengano applicate le sanzioni amministrative pecuniarie nella misura indicata di seguito:
- per la società ENI in euro 117.000.000;
- per la società ESSO in euro 66.690.000;
- per la società KUWAIT in euro 46.800.000;
- per la società SHELL in euro 53.320.000 e per la società SHELL IAV in euro 3.140.000;
- per la società TAMOIL in euro 19.620.000;
- per la società TOTAL in euro 8.860.000.


2. I ricorsi proposti in primo grado da Tamoil Italia Spa, Eni Spa, Total Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa presentano un nucleo dominante di censure comuni. In particolare, se pur con mezzi formalmente non coincidenti, si deduceva:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del Trattato CE e dell’art. 2 della legge 287/1990, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, irrazionalità e sviamento. In contestazione è l’apparato giustificativo dell’accertamento dell’intesa, nelle sue varie articolazioni: la definizione del mercato rilevante e le sue caratteristiche economiche; l’esistenza, il carattere sistematico e sensibile dello scambio di informazioni, il suo contrasto con la normativa antitrust, l’illiceità del ruolo delle società comuni; l’esistenza e la rilevanza delle condotte di ripartizione del mercato (in particolare la concertazione sulle gare e le azioni ritorsive verso soggetti “deviati” rispetto all’intesa) e di esclusione dei terzi dall’accesso; gli effetti sul mercato di tali condotte (stabilità delle quote, staticità degli operatori, aumento del prezzo del carburante). In termini generali viene messa in rilievo la mancata dimostrazione del quid pluris - rispetto al parallelismo dei comportamenti - che deve caratterizzare la (prova della) intesa, con inaccettabile inversione della prova a carico delle imprese. Si osserva pure che il metodo di valutazione della prova contraddice la natura sostanzialmente penalistica del procedimento antitrust (sostenuta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in sede di verifica circa il rispetto delle garanzie fissate dall’art. 6 CEDU).


2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 14 della legge 287/1990, del Regolamento CE 1/2003 e della legge 689/1981. Eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento dei fatti ed illogicità. Il provvedimento sarebbe viziato nella parte in cui impone alle parti di adottare rimedi strutturali per eliminare la supposta violazione dell’art. 81 del Trattato CE, esulando tale potere esuli dall’ambito delle attribuzioni rimesse ad AGCM. L’art. 15 della legge 287/1990 consente infatti all’Autorità di diffidare le imprese dal continuare in una condotta anticoncorrenziale, ovvero di imporre sanzioni pecuniarie, nel caso di infrazioni gravi. I rimedi di carattere strutturale, quand’anche consentiti, sarebbero comunque stati applicati in modo sproporzionato ed irragionevole.


3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 della legge 287/1990 e 11 della legge 689/1981 Viene da ultimo contestata la commisurazione della sanzione pecuniaria inflitta con il provvedimento gravato. Ciò, in particolare, sotto i profili della violazione dell’affidamento e del principio di proporzionalità tra la misura irrogata e la concreta gravità della fattispecie di illecito contestata.
3. Le sentenze appellate rigettavano tutte le censure proposte salvo quella sub 2, dal cui accoglimento discendeva l’annullamento del capo c) del dispositivo della deliberazione impugnata.


La motivazione del TAR si snoda attraverso cinque passaggi, comuni a tutte le sentenze, organizzati in veri e propri capitoli, di cui è opportuno riprodurre le parti salienti.


3.1 Il primo capitolo riguarda l’identificazione e caratterizzazione del mercato dei carburanti per aviazione. In tale capitolo il TAR esamina le due componenti di tale mercato (commercializzazione del prodotto e servizi di stoccaggio e messa a bordo) e definisce il mercato rilevante nel caso in oggetto.


Il carburante per aviazione è denominato jet fuel, carburante destinato agli aeromobili con motore a reazione e a turboelica, utilizzato attualmente da quasi tutti i velivoli commerciali da trasporto passeggeri e merci e non sostituibile con alcun altro tipo di carburante.


Il jet fuel può essere ottenuto dalla produzione delle raffinerie vicine al luogo di consumo, ovvero tramite altre raffinerie nazionali, ovvero con il ricorso a produttori e trader internazionali (cd. “mercato cargo”).


Ai fini di una concreta utilizzabilità del carburante sugli aeromobili, il jet fuel deve essere condotto dai punti di origine (raffineria o terminale del trasporto via mare) fino agli aeroporti: siffatta operazione potendo essere svolta attraverso infrastrutture dedicate (oleodotti, che in Italia esistono solo per gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Malpensa) o facendo ricorso al trasporto con autobotti.


La dislocazione geografica delle strutture per la raffinazione di cui dispone ciascuna società petrolifera non rivela un posizionamento ugualmente vantaggioso rispetto a tutti gli aeroporti italiani; così come non tutte le società petrolifere dispongono di collegamenti logistici che consentano di operare direttamente in tutto il territorio nazionale.


Al fine di superare questi vincoli e di disporre del carburante avio nei diversi siti aeroportuali le società petrolifere parti del procedimento che operano nella commercializzazione di jet fuel nei principali aeroporti italiani (ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL, TAMOIL e TOTAL) hanno sviluppato una fitta rete di relazioni fatta di vendite reciproche, scambi e permute, che si attuano in diversi momenti della filiera del carburante, dal cancello della raffineria o del terminale marittimo fino al deposito aeroportuale di destinazione.


All’interno di quest’ultimo, in particolare, il prodotto viene stoccato in promiscuo tra gli utilizzatori sfruttando la sua omogeneità e si effettuano di frequente passaggi di proprietà da una società petrolifera all’altra (cd. “transfer-stock”).


La caratterizzazione dimensionale del mercato rilevante trova fondamento nella configurazione della domanda di jet fuel, rappresentata dalle compagnie aeree le quali, per la maggior parte, organizzano gare con cadenza annuale per l’acquisizione del prodotto su una molteplicità di scali.


Tale esigenza di approvvigionamento viene sostanziata dalla formulazione, nei confronti dei potenziali fornitori, di una richiesta d’offerta nella quale sono indicati gli scali aeroportuali per i quali si richiede il rifornimento e la quantificazione del jet fuel del quale la compagnia assume di aver bisogno in ciascuno scalo per l’anno contrattuale.


A fronte di una domanda così configurata, le società petrolifere non necessariamente devono articolare l’offerta per tutti gli scali, né per l’intera quantità richiesta. Così come, all’esito della gara, la compagnia aerea aggiudica la fornitura ai migliori offerenti, che possono essere diversi da scalo a scalo.


Se, quindi, la procedura ha configurazione complessivamente unitaria, nondimeno l’articolazione del fabbisogno per singoli scali aeroportuali consente di decifrarne le modalità attuative nel quadro di una pluralità di lotti, ciascuno dei quali è identificabile in uno scalo e può, ovviamente, formare oggetto di separata aggiudicazione.


Quanto al secondo aspetto della domanda (quantificazione del fabbisogno), l’offerta della società petrolifera può anche coprire una quota parte della fornitura richiesta dalla compagnia aerea su un determinato scalo (ipotesi, questa, che assume maggiore probabilità di verificazione laddove, in ragione della connotazione dimensionale del vettore aereo e del carattere dello scalo interessato, il volume di prodotto si riveli considerevolmente elevato).


In questi casi, la compagnia aerea individua il miglior offerente ed aggiudica la fornitura in misura corrispondente al quantitativo che la società petrolifera si è dichiarata disponibile a fornire al prezzo proposto. Individua, altresì, la seconda migliore offerta, alla quale viene allocata un’ulteriore quota della fornitura, e così via fino all’esaurimento del fabbisogno stimato dalla compagnia aerea per lo scalo in questione.


Viene in considerazione, in siffatta ipotesi (insufficienza di una sola offerta a coprire il fabbisogno manifestato dalla compagnia aerea limitatamente ad uno scalo) la configurazione di quest’ultima quale “cliente condiviso”, atteso che la fornitura di una compagnia su un singolo scalo viene aggiudicata ad una pluralità di fornitori, pro parte, ed a prezzi (evidentemente) diversi per ciascuno di essi.


Consegue alla normale impossibilità da parte di ciascuna compagnia aerea, al momento di bandire la gara, di individuare con esattezza il quantitativo di jet fuel che consumerà in ciascuno scalo nell’anno contrattuale, un duplice ordine di conseguenze: in primo luogo, le quantità indicate nella richiesta di offerta rappresentano delle stime ex ante; secondariamente, la compagnia aerea non è vincolata all’acquisto dell’esatto ammontare di jet fuel per ogni scalo indicato nel bando di gara.


Il principale soggetto acquirente di jet fuel in Italia è ALITALIA, con una quota pari ad un terzo della domanda complessiva nazionale e cinque volte superiore rispetto al secondo vettore AIR ONE.


Secondo AGCM la dimensione geografica del mercato della commercializzazione del jet fuel ha carattere nazionale. Le compagnie petrolifere ne hanno sostenuto, invece, la vocazione locale (singolo scalo aeroportuale), tranne la Kuwait Petroleum, ad avviso della quale ha dimensione internazionale (in virtù delle interconnessioni fra tratte aeree e scali aeroportuali del mercato stesso).


Diversamente per il mercato dei servizi di stoccaggio e messa a bordo - distinto dagli altri servizi aeroportuali per le sue specifiche caratteristiche in termini di infrastrutture necessarie e requisiti tecnico-amministrativi - AGCM ha ritenuto rilevante un’estensione geografica circoscritta al singolo scalo aeroportuale.


L’Autorità ha rilevato che “l’ingresso di nuovi concorrenti in ciascun mercato locale è reso particolarmente difficoltoso dalla scarsa duplicabilità delle infrastrutture necessarie all’attività, in primo luogo per i costi di realizzazione e gestione delle stesse rispetto ai volumi oggetto delle operazioni, nonché per la necessità di ottenere apposite concessioni e autorizzazioni di esercizio”. Se, quindi, “la concorrenza rispetto al singolo scalo aeroportuale risulta necessariamente condizionata da tale elevata barriera all’entrata … in Italia, la filiera distributiva del jet fuel è caratterizzata strutturalmente dalla presenza delle società petrolifere che, attraverso strutture proprie o in joint venture, svolgono i servizi di stoccaggio e messa a bordo di carburanti presso gli aeroporti nazionali. Le società che non dispongono di una struttura logistica all’interno di un aeroporto possono rifornire di jet fuel i vettori aerei propri clienti solo attraverso contratti di fornitura con le società petrolifere operanti sullo scalo che dispongano anche delle infrastrutture logistiche necessarie o, laddove esistano, con le società comuni di stoccaggio e messa a bordo”.


Negli scali aeroportuali si è in presenza di una attività di stoccaggio svolta rispettivamente da società comuni (come, ad esempio, SERAM e DISMA per gli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino), nonché di una attività di trasferimento del carburante dal deposito, integrato con un sistema idrante, fino all’aeromobile (attività di “messa a bordo” o di into-plane) parimenti svolta da (altre) imprese comuni tra società petrolifere (HUB e RAI).


Consegue al delineato quadro delle attività rilevanti ai fini dello stoccaggio e della messa a bordo dei carburanti che le società petrolifere non possono operare direttamente negli aeroporti in cui non dispongono di infrastrutture logistiche e di autorizzazioni allo svolgimento dell’attività. A tale riguardo, al fine di rifornire la propria clientela, le società stesse sottoscrivono contratti con le società che svolgono i servizi di stoccaggio e di messa a bordo in loco, ricorrendo spesso anche all’acquisto del carburante dalle imprese madri.


Ad avviso del TAR risulta positivamente riscontrata la conclusione dell’Antitrust secondo cui il modello organizzativo presente negli scali aeroportuali (secondo il quale l’attività di stoccaggio e messa a bordo è svolta dalle società petrolifere o da loro controllate, con strutture che in ciascun aeroporto sono in numero ridottissimo o, più spesso, uniche), non ha carattere di inevitabilità e/o di immodificabilità: e ciò in quanto soggetti diversi da quelli in atto operanti, per i quali eventualmente non sussista alcuna derivazione proprietaria dalle società petrolifere, possano operare nei servizi sopra indicati (al ricorrere, ovviamente, del possesso dei prescritti requisiti amministrativi).


Così ricostruito dal punto di vista tecnico-economico il mercato del carburante per trasporto aereo, il TAR - all’esito di una disamina di ordine teorico sulla nozione di “mercato rilevante” fatta propria dalla disciplina antitrust (definito come quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati fra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza) - ritiene legittima l’individuazione del mercato rilevante operata dall’Autorità e - ravvisatane la struttura oligopolistica (l’ENI rappresenta l’operatore più importante, con una quota più che doppia rispetto al secondo operatore) - accredita la tesi che il mercato del jet fuel abbia un elevato grado di concentrazione, essendo le società petrolifere operanti negli aeroporti integrate verticalmente e presenti in Italia in tutte le fasi della filiera produttiva del settore petrolifero (raffinazione, logistica e distribuzione). Il mercato è tendenzialmente chiuso, come dimostrato dal fatto che nel periodo preso in considerazione da AGCM è stato riscontrato un numero di nuovi ingressi “pressoché nullo”, così pure “la fusione di tre importanti operatori precedentemente indipendenti e tutti presenti sul mercato italiano, ovvero TOTAL, FINA ed ELF19, ha ristretto sensibilmente l’offerta”.


3.2 Il secondo capitolo riguarda lo scambio di informazioni, principalmente realizzato tramite società comuni. In detto capitolo vengono descritti i flussi informativi rilevati dall’Autorità, la loro natura, l’esistenza di una pratica di scambio di dati sensibili, la rilevanza di tale pratica nella disciplina antitrust.


Particolare attenzione è stata riservata da AGCM al flusso informativo generato dalla presenza e dall’operatività comuni con riferimento alle attività delle società petrolifere partecipanti, segnatamente con riferimento alla rilevanza assunta dalla conoscenza degli elementi compositivi delle offerte e/o del fabbisogno quali dati orientativi le strategie di mercato.


Dall’istruttoria è emerso che l’attività delle società comuni aeroportuali ha generato un flusso di informazioni che si sono dimostrate rientrare nella disponibilità degli esponenti delle società petrolifere sia con riferimento alla partecipazione di queste ultime agli organismi direttivi delle joint ventures, sia attraverso apposite informative, spesso sollecitate dalle stesse società petrolifere.


Le informazioni scambiate sono state ripartite in due categorie, sulla base delle diverse modalità attraverso cui si è ritenuto abbiano influito sul gioco concorrenziale.


Una prima categoria concernente “informazioni utili a prevedere il comportamento che i concorrenti terranno sul mercato, particolarmente in occasione delle gare”, tra le quali “le informazioni che consentono a ciascuna società petrolifera di conoscere, con riferimento ai propri concorrenti, i costi di fornitura del prodotto alla clientela o la disponibilità di prodotto su ogni singolo scalo”.


Una seconda categoria, riguardante le condotte delle singole società in seguito allo svolgimento delle gare, ritenuta “funzionale ad effettuare un monitoraggio del rispetto delle regole di comportamento concordate”: in tale categoria rientrando le informazioni attinenti gli esiti delle gare o l’andamento delle forniture in attuazione degli impegni contrattuali assunti nei confronti dei clienti.


L’informazione sulle quantità di carburante che una società petrolifera prevede di erogare in un determinato scalo in un determinato periodo di tempo, soprattutto se confrontate con quanto erogato nell’anno precedente, costituiscono un indicatore della politica commerciale che la medesima società intende attuare.


Questa informazione viene normalmente raccolta preventivamente dalle imprese comuni di stoccaggio e messa a bordo per calcolare la tariffa da applicare agli utilizzatori. I servizi delle società comuni sono infatti remunerati sulla base di tariffe ed eventuali conguagli da queste definite.


La prassi di acquisto, scambio e permute di prodotto tra gli operatori, descritta nella sezione relativa al mercato dei carburanti per aviazione, costituisce, di per sé, un importante fattore di trasparenza del mercato, in primo luogo perché genera occasioni di incontro tra le società petrolifere.


L’interazione tra le società petrolifere in merito agli approvvigionamenti di prodotto ha riguardato anche le condizioni economiche dello stesso.


Particolare rilevanza assume poi, nel quadro dello scambio di informazioni, il ruolo delle società di messa a bordo: le quali, in ragione dell’attività ad esse demandata, hanno la disponibilità di un gran numero di informazioni relative ai rapporti tra le società petrolifere e i loro clienti, a cominciare dall’individuazione di chi sia il fornitore (o i fornitori) di una determinata compagnia aerea.


In seguito alla definizione di una commessa la società petrolifera provvede a comunicare tale circostanza alla propria società di messa a bordo, affinché provveda al rifornimento del nuovo cliente.


Viene per l’effetto a concentrarsi, in capo alle società comuni di messa a bordo, un ingente quantitativo di dati relativo a ciascun operatore petrolifero ed ai contingenti da esso approvvigionati in favore delle compagnie aeree dei quali è assolutamente indubbia la rilevanza strategica al fine di conoscere - e, quindi, di poter controllare - l’attività svolta dai concorrenti, con conseguente possibilità di monitoraggio incrociato delle rispettive quote di mercato e di eccessivo controllo del portafoglio clienti di ciascuno.


Ad avviso del TAR emerge dall’istruttoria come siano le stesse società petrolifere a sollecitare, con una certa frequenza, l’invio di informazioni presso gli esponenti alle medesime facenti capo all’interno delle società comuni; parimenti va considerato - al fine di una complessiva valutazione dell’intreccio informativo che caratterizza l’operatività delle società comuni di messa a bordo - come queste ultime organizzino anche il rifornimento dei cd. “clienti condivisi”, vale a dire di quelle compagnie che su uno stesso scalo hanno più di un fornitore, i quali a loro volta possono anche essere utenti di due diverse società di messa a bordo.


Se tale evenienza determina un ulteriore coordinamento anche tra le società di messa a bordo, la documentazione attesta la circolazione, sia tra le società comuni che tra i loro soci, delle informazioni sull’erogato ai clienti condivisi fin dal 1995.


I prospetti scambiati contengono anche un flusso di informazioni tra le due società comuni che non si rivela ineludibilmente connesso alla necessità di collaborare per gestire i clienti condivisi, rappresentato dai dati mensili di alcuni clienti che sono serviti dai soci di una sola joint venture; in alcuni casi, poi, vengono inclusi nei prospetti scambiati anche clienti non condivisi; dai prospetti che consentono di verificare il rispetto da parte di tutti i fornitori delle quote contrattuali nel rifornimento alle società comuni, i quali vengono inviati anche ai soci, ancorché, come peraltro riconosciuto dalle parti stesse, il dettaglio comunemente fornito alle società petrolifere è “ridondante” ed eccede il limite informativo necessario a consentire a ciascun fornitore di controllare la propria quota.


Il TAR ritiene che le informazioni che le società petrolifere si sono scambiate forniscono indicazioni sia sul comportamento commerciale futuro dei concorrenti sia sulle condotte in corso.


Esaminata la tipologia di dati informativi disponibili presso le società comuni il TAR ritiene che lo scambio di informazioni sia centrale nella concertazione tra le politiche di mercato degli operatori.


Sarebbe pacifico che il flusso informativo abbia connotazione eccedente le esigenze inerenti la gestione operativa, essendo attendibile la conclusione dell’Autorità secondo cui l’architettura del sistema ha consentito l’acquisizione in capo società petrolifere alle prime di elementi conoscitivi atti a consentire un “efficace monitoraggio di tutti i possibili comportamenti dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria quota in deroga alla regola concordata”.


Condotte quali lo scambio di informazioni sensibili finiscono infatti per sostituire all'alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore, anche in un'ottica di prevenzione e contrasto di non conosciute iniziative degli altri operatori economici.


Nel caso di specie, lo scambio di dati "sensibili", ha consentito ai partecipanti allo scambio di informazioni un continuo monitoraggio del comportamento dei concorrenti, riguardante non soltanto i quantitativi di jet fuel oggetto di pregresse forniture, ma anche i contingenti di carburante che ciascuna impresa si proponeva di allocare sul mercato.


Il TAR - appoggiandosi alla giurisprudenza ed alla prassi comunitaria - ha respinto le argomentazioni delle ricorrenti, volte a prospettare che il flusso informativo precedentemente descritto non avrebbe avuto ad oggetto “dati sensibili”, non essendo affatto funzionalmente preordinato (o, comunque, strumentale) al fine di supportare pratiche concordate di mercato in funzione anticoncorrenziale.


Richiamandosi, poi, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e degli organi comunitari, ha affermato che in presenza di talune condizioni lo scambio di informazioni può essere considerato illecito “per se”, vale a dire in ragione del suo oggetto (fermo restando che, al di fuori di tali casi, sia possibile accertare in concreto gli effetti anticompetitivi della relativa intesa, e quindi di vietarla in forza della sua efficacia anticoncorrenziale), posto che l’art. 2, comma 2 L. 287/90 - che non annovera lo scambio di informazioni sensibili tra le tipologie di situazioni ricadenti nel divieto di intese restrittive della concorrenza - non ha valore tassativo.


Tali condizioni sono relative al livello di aggregazione dei dati scambiati, al loro grado di attualità e alla frequenza dei relativi rilasci, al grado di concentrazione connotante il mercato considerato e, soprattutto, alla natura delle informazioni oggetto di scambio, essendo decisivi la segretezza/riservatezza delle informazioni e la vera e propria natura concorrenzialmente “sensibile” dei dati scambiati, determinata dall’attitudine dei medesimi a disvelare le future condotte e strategie delle imprese.


In presenza di dette condizioni il gap tra concertazione e pratica concordata (cioè un comportamento sul mercato causato dalla predetta concertazione) viene colmato in via presuntiva, spettando alle imprese fornire una spiegazione alternativa, che sia plausibile, al parallelismo delle condotte.


In particolare l’esistenza di una concertazione fa assumere al parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese (a maggior ragione se operanti in un mercato oligopolistico) valenza di per sé asseverativa dell’intesa, ove le imprese non dimostrino che la condotta parallela sia - o possa ragionevolmente essere - frutto delle iniziative imprenditoriali.


3.3 Il terzo capitolo riguarda le condotte di ripartizione del mercato poste in essere dalle imprese sanzionate. In detto capitolo il TAR esamina i controlli sulle forniture uscenti tesi ad agevolare la riconferma del fornitore, i comportamenti ritorsivi, la partecipazione concordata alle gare, le barriere all’ingresso. Verifica, infine, gli esiti di dette pratiche sulle condizioni economiche del mercato, con particolare riferimento al differenziale di prezzo del jet fuel.


Il TAR accredita la tesi circa l’esistenza di un sistema volto a garantire la riconferma dei fornitori uscenti delle compagnie aeree, articolato su condotte di non aggressione e ritorsioni nei confronti delle imprese che tenessero un atteggiamento concorrenziale non consentito.


Vicende asseverative della ravvisata opposizione da parte delle imprese sanzionate alla creazione di sistemi di rifornimento degli aeroporti alternativi a quelli da esse posseduto sono il mancato ingresso sul mercato della commercializzazione del jet fuel presso lo scalo di Roma Fiumicino della società MAXOIL (essenzialmente dipeso dal collegamento con le strutture detenute in regime monopolistico dalla società comune SERAM) e il fallimento dei tentativi posti in essere da taluni operatori aerei di ricorrere alla pratica dell’auto-rifornimento.


Il TAR ravvisa l’esito delle pratiche sopra descritte nel fatto che in Italia, a parità di dimensioni dello scalo aeroportuale, la componente del prezzo del jet fuel che è oggetto di contrattazione tra le parti (il cd. differenziale) è nettamente più elevata che all’estero, vanificando i vantaggi che potrebbero derivare dalla circostanza che i prezzi che dovrebbero prevalere per questo prodotto nell’area del Mediterraneo sono più bassi che in altre aree d’Europa.


La documentazione acquisita nell’istruttoria dimostrerebbe l’esistenza di una tendenza, da parte delle società petrolifere, a praticare prezzi del carburante (espressi in termini di differenziale rispetto al prezzo di riferimento “Platts”) più elevati per gli scali italiani rispetto agli scali esteri di dimensioni comparabili.


È infatti emerso che i differenziali praticati per le forniture nei tre principali aeroporti italiani siano più elevati (in misura del 50% o anche più) di quelli degli aeroporti di grandezza comparabile, se non inferiore (come Parigi Orly e Bruxelles) o anche di dimensioni decisamente inferiori (come Colonia). Tale elemento sarebbe coerente con le condizioni strutturali del mercato italiano del jet fuel e dal deficit di concorrenza che lo caratterizza.


L’analisi della formazione del prezzo finale del jet fuel dimostra l’assunto. Componenti del prezzo:
- il prezzo base del prodotto (ricavabile dalla “quotazione Platt’s);
- gli oneri aeroportuali incidenti sulla fornitura di carburante, che vanno corrisposti a carico della società petrolifera in favore dell’ente gestore aeroportuale;
- il costo per il mantenimento delle scorte d’obbligo;
- il corrispettivo per i servizi di stoccaggio e messa a bordo del carburante (hydrant fee), liquidato dalle società petrolifere alle compagnie che effettuano tale servizio e, successivamente, addebitato in fattura ai vettori aerei;
- il differenziale (price add on), ovvero il margine di guadagno delle società petrolifere.


La particolare situazione dell’Italia ha comportato che il prezzo praticato del jet fuel sia inferiore a quello del gasolio. Tale circostanza ha indotto le società petrolifere - al fine di evitare che la commercializzazione del jet fuel, rispetto a quella del gasolio, avvenisse in maniera non remunerativa - ad aggiungere al prezzo del primo (quale risultante dalla quotazione Platt’s per il bacino del Mediterraneo: FOB MED) una maggiorazione, denominata “indifferenza gasolio”). Tale circostanza si atteggia quale conseguenza del mancato ingresso nel mercato nazionale di operatori (diversi da quelli attualmente attivi) non vincolati dall’indifferenza gasolio.


Il TAR condivide la valutazione di AGCM secondo cui “la protezione garantita dall’intesa - che nella sostanza serve ad impedire che il prezzo del jet fuel fissato sul mercato cargo influenzi le condizioni di prezzo del prodotto in Italia - consente di ricostruire, mediante l’applicazione dell’indifferenza gasolio, un rapporto fra i prezzi dei due prodotti a livelli complessivamente superiori a quelli che prevarrebbero in un regime pienamente concorrenziale”; “questo comportamento è possibile solo perché è precluso ad altri concorrenti in grado di attingere al mercato cargo, di procurare alle compagnie aeree jet fuel alle quotazioni indicate da Platt’s per il Mediterraneo”.


3.4 Il quarto capitolo riguarda l’individuazione dell’intesa.


Il TAR postula che il complesso dei comportamenti tenuti dalle imprese Eni, Esso, Kuwait, Shell-Shell Iav, Tamoil e Total costituisca (il risultato di) una intesa unica e complessa, avente ad oggetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori. La prova dell’intesa, tipicamente indiziaria, sarebbe data da:
a) un intenso e continuato scambio di informazioni;
b) il coordinamento delle rispettive strategie di gara;
c) l’adozione di comportamenti ritorsivi e di ostacoli opposti all’accesso al mercato di nuovi operatori e all’auto-fornitura di jet fuel da parte dei vettori aerei.


L’attuazione della strategia di ripartizione del mercato è risultata essere essenzialmente incentrata sulle particolari modalità operative poste in essere delle società comuni costituite ai fini dello stoccaggio e della messa a bordo del jet fuel.


Le imprese comuni, inoltre, assicurando alle società petrolifere il possesso di un segmento chiave delle strutture logistiche necessarie per lo svolgimento dell’attività di commercializzazione del jet fuel alle compagnie aeree, hanno contribuito alla creazione delle barriere all’ingresso di nuovi operatori, consentendo la stabilità del cartello.


La circostanza che la costituzione ed il funzionamento delle imprese comuni (PAR, HUB, RAM e RAF) hanno formato oggetto di comunicazione preventiva ai sensi dell’art. 13 della legge n. 287/90 da parte delle società petrolifere “madri” e di conseguente approvazione da parte dell’Autorità con provvedimenti di non avvio di istruttoria (ovvero, nel caso di RAM, con un provvedimento emanato a conclusione di un’istruttoria durante la quale è stato rilevato che l’intesa comunicata non fosse lesiva della concorrenza), e che la costituzione e il funzionamento di DISMA sono state invece autorizzate dalla Commissione UE, non inficiano il ruolo che dette joint ventures hanno avuto nella commissione dell’illecito.


La loro funzione operativa (in ragione della quale le stesse sono state autorizzate dall’Autorità) è stata, infatti, piegata alla realizzazione di fattispecie di illecito, per le quali l’attività posta in essere non può dirsi coperta dalle indicate autorizzazioni, così come è improprio invocare l’affidamento per condotte che si pongono al di fuori del quadro conosciuto dall’Autorità.


Ciò posto il TAR passa a condurre il ragionamento probatorio relativo alla conclusione formulata nell’incipit del capitolo: richiamandosi alla giurisprudenza nazionale e comunitaria fissa la fattispecie sostanziale ed i modelli di accertamento della pratica concordata di cui all’art. 2, comma 2 lett. a) della legge 287/90. A tale ultimo riguardo scolpisce la distinzione tra elementi di prova endogeni (collegati alla singolarità intrinseca della condotta, ovvero alla mancanza di spiegazioni del parallelismo tra le imprese) ed esogeni (riscontri esterni all’intesa).


Tra i primi spiccano la diversità dei prezzi praticati in una condizione di concorrenza libera rispetto a quelli praticati nella specie; il carattere autolesionistico che una determinata politica commerciale rivestirebbe se non fosse frutto di un'intesa anticoncorrenziale; il contrasto tra l’omogeneità dei prezzi e la diversità della struttura dei concorrenti e dei relativi fattori di costo.


I secondi consistono, essenzialmente, nei contatti tra le imprese e, soprattutto, in scambi di informazioni se non addirittura di veri e propri concordamenti, non altrimenti spiegabili in un contesto di sano confronto concorrenziale e, quindi, sintomatici di un'intesa illecita. Detti contatti acquisterebbero particolare rilievo indiziario in caso di mercato oligopolistico, in quanto risultano idonei ad eliminare l'unico fattore che può spingere le imprese soddisfatte della quota di mercato raggiunta ad un ribasso dei prezzi, ossia il timore di una manovra competitiva sui prezzi da parte dei concorrenti e la conseguente necessità di prevenirla o contrastarla efficacemente. La valenza degli elementi esogeni risiede nel fondare l’inversione dell’onere della prova in ordine alla razionalità economica del parallelismo.


Ad avviso del TAR l’Autorità si sarebbe conformata a questo modello: il parallelo comportamento delle imprese non viene assunto come base di partenza autosufficiente per dimostrare la pratica concordata, ma è utilizzato come dimostrazione dell’intesa, fondata sulla concertazione delle rispettive condotte commerciali e favorita dallo scambio di informazioni con lo scopo di orientare il mercato di riferimento in senso anticoncorrenziale.


Ritenuta provata l’intesa vietata il TAR ne delinea consistenza e imputabilità, rilevando, quanto al primo punto, che le società ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL-SHELL IAV, TAMOIL e TOTAL detengono complessivamente, nel mercato italiano del jet fuel e per l’intero periodo considerato, una quota complessivamente pari al 90-95%. La gravità dell’intesa viene desunta dagli indici elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in relazione all’art. 81 CE, sottolineando altresì l’arco temporale dell’infrazione (di cui esistono tracce sin dalla prima metà degli anni). Quanto all’imputabilità il TAR la ritiene insita nella natura delle condotte accertate, rivelatrice di una piena e costante consapevolezza da parte delle società sanzionate in ordine alla natura anticoncorrenziale dei comportamenti tenuti.


3.5 Il quinto capitolo riguarda le sanzioni, distintamente esaminate secondo il tipo, pecuniario, comportamentale, strutturale.


Quanto alle sanzioni pecuniarie il TAR ha ritenuto che la misura applicata fosse in linea con i criteri di cui all’articolo 11 della legge n. 689/1981, come richiamato dall’articolo 31 della legge n. 287/1990, cioè la gravità della violazione, le condizioni economiche dei soggetti, il comportamento delle imprese coinvolte e, in particolare, le eventuali iniziative volte a eliminare o attenuare le conseguenze delle violazioni. Criteri dei quali l’Autorità ha fatto buon governo, differenziando altresì le posizioni delle singole imprese protagoniste dell’illecito.


Quanto alle misure di carattere ordinatorio il TAR preliminarmente ha distinto tra sanzioni comportamentali (che si risolvono nell’imposizione di una condotta volta ad eliminare la dimostrata presenza di elementi aventi rilevanza concretamente distorsiva ai fini concorrenziali) e strutturali (caratterizzate da una più pervasiva valenza, attesa la loro idoneità ad incidere sul regime proprietario sottostante alle strutture societarie, attraverso la prescrivibilità di comportamenti puntualmente veicolati dall’esigenza di diversamente configurare - quando non dismettere - partecipazioni sociali in atto vantate), utilizzando la nota classificazione tra obbligazioni di mezzi e di risultato: la misura comportamentale implica in capo al soggetto sanzionato l’obbligo di tenere una certa condotta la quale, ex se riguardata, viene stimata sufficiente al fine di sradicare pregressi comportamenti ritenuti distorsivi; la misura strutturale implica che alla condotta acceda, direttamente quanto immediatamente, un risultato: individuandosi proprio in quest’ultimo (la dismissione della partecipazione azionaria; la diversa configurazione di un assetto societario) il mezzo necessario al fine di ricondurre la condotta in un alveo di compatibilità con il principio di corretta concorrenzialità.


Ciò posto ha evidenziato come tali ultime sanzioni, per la loro penetratività, debbano rigorosamente rispetto il principio di proporzionalità, con particolare riferimento al parametro dell’adeguatezza, che impone di optare per la misura che, tra quelle idonee a realizzare l’obiettivo perseguito, comporti il minor sacrificio per il destinatario, con ciò attuando la più adeguata soluzione nell’ottica del principio del “giusto mezzo”. Tale principio non sarebbe stato rispettato dall’Autorità con riguardo alle sanzioni di tipo strutturale (dismissione delle partecipazioni detenute dalle società petrolifere nelle società comuni).


In particolare l’Autorità non avrebbe motivato in ordine all’inefficacia dei rimedi comportamentali pure comminati e delle ulteriori soluzioni proposte dalle parti interessate, né avrebbe effettuato alcuna comparazione in termini di “onerosità” a carico delle imprese.


4. Le società petrolifere, con appelli separati ma concordi, lamentano l’erroneità della motivazione con riguardo ai punti da 3.1 a 3.4, che hanno partorito la pronuncia di rigetto, oltre che con riguardo al punto 3.5 per quanto di interesse. Per sua parte gli appelli dell’Autorità gravano la motivazione con riguardo al punto 3.5, che ha portato al parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado.


Preliminarmente vanno esaminati gli appelli delle parti private.


Il metodo di impugnazione, comune a tutte le parti, è quello di reiterare a 360° l’attacco contro il provvedimento sanzionatorio, riproponendo le censure dei ricorsi di primo grado alla luce delle argomentazioni esibite dalle sentenze appellate, che si vuole confutare radicalmente, ma non solo e non tanto con critiche specifiche, quanto con la contrapposizione di una autonoma lettura dei fatti.


Tale tecnica di impugnazione della sentenza - pienamente legittima ove, come nella specie, pur sostanzialmente affidata alle stesse censure rivolte avverso il provvedimento, metta in luce le ragioni del più profondo dissenso con la decisione gravata - è coerente con la natura dei procedimenti antitrust e con l’opzione teorica seguita dalla sentenza di primo grado.


I procedimenti volti ad accertare un’intesa anticoncorrenziale sono, infatti, fondamentalmente ricostruzioni postume di un fatto storico, sussumibile nella previsione legale di illiceità. In tale operazione l’Autorità si caratterizza come dotata di poteri investigativi e decisori al tempo stesso. Benché distante dal modello americano di matrice penalistica, il sistema antitrust italiano è pur sempre focalizzato sui fatti, di cui l’Authority è chiamata ad accertare consistenza storica e qualificazione giuridica, in vista dell’applicazione di sanzioni che, quand’anche funzionali alla reintegrazione più che alla repressione, presentano contenuto materialmente afflittivo per i suoi destinatari.


In tale operazione i passaggi che l’Authority compie (v. Cons. Stato, VI n. 2199/2002 e 1271/06) sono:
1) accertare i fatti;
2) “contestualizzare” la norma posta a tutela della concorrenza, che facendo riferimento a concetti giuridici indeterminati (quali il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza) necessita di una esatta individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito contestato (le norme in materia di concorrenza non sono di stretta interpretazione, ma colpiscono il dato sostanziale costituito dai comportamenti collusivi tra le imprese, non previamente identificabili, che abbiano oggetto o effetto anticoncorrenziale);
3) confrontare i fatti accertati con il parametro come sopra “contestualizzato”;
4) applicare le sanzioni e diffidare le imprese.


Una volta che i destinatari delle sanzioni, chiamati a subirne gli effetti non diversamente da qualsiasi altro provvedimento autoritativo, reagiscono dinanzi alla giurisdizione, la natura anfibia del procedimento antitrust riemerge e l’accertamento operato dall’Autorità viene sottoposto a penetrante scrutinio. Tuttavia, in siffatto modello il giudice amministrativo, a differenza di quello penale, non decide ma controlla la correttezza della decisione, sicché non spetta a lui condividerla, ma solo verificarne la validità.


Con questa preliminare avvertenza possono richiamarsi i precedenti della Sezione in ordine all’ampiezza del sindacato che il giudice amministrativo svolge sulle valutazioni tecniche compiute dall’Autorità.
Gli arresti più recenti hanno affermato che le valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. “concetti giuridici indeterminati”, devono essere sottoposte - onde garantire tutela giurisdizionale effettiva - ad un controllo intrinseco, potendosi avvalere il giudice anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 Rc Auto; n. 5156/2002 Enel/Infostrada).
Il sindacato del giudice amministrativo è quindi pieno e si estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame (Cons. Stato VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip).
In particolare, con tale ultima decisione la Sezione ha inteso abbandonare la terminologia, utilizzata in precedenza, “sindacato forte o debole”, per porre l’attenzione unicamente sulla ricerca di un modello rispettoso del quadro comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie dove il giudice deve verificare se il potere di decisione attribuito all’Autorità sia stato correttamente esercitato.


Salvo quanto si dirà in ordine alla individuazione del mercato rilevante, tale questione non appare di particolare peso nel presente giudizio, dove vi è poca incertezza sulla definizione delle fattispecie sostanziali, benché alle contestazioni mosse sul punto sarà data analitica risposta.


Aspra, invece, è la contesa (non tanto sull’esistenza quanto) sul significato degli indizi valorizzati dall’Autorità, non meno che sul tema complessivo della metodologia della prova, di cui le parti (implicitamente o - Total - esplicitamente invocano un controllo severo, addirittura ancorato ai principi penalistici).


L’impostazione degli appelli, come suggerita dalla realtà sopra descritta, si è, dunque, cristallizzata nel contrapporre alla tesi accusatoria una tesi difensiva ampiamente alternativa nell’interpretazione dei fatti, assai più che della loro materialità. In tale dialettica le sentenze appellate sono viste dalle appellanti più come un’inopinata adesione alla tesi accusatoria - confermata dalla quasi assoluta identità di contenuto di ciascuna sentenza - che come il reale oggetto del contendere. Da qui la scelta di reiterare i vizi rilevati nel provvedimento impugnato, secondo una strategia nella sostanza coincidente. Al di là della formale divaricazione tra le posizioni, l’impianto difensivo è, infatti, analogo, sicché il Collegio procederà ad una valutazione complessiva del problema, salvo approfondire la posizione di Tamoil, caratterizzata da una qualche peculiarità.


Unico motivo di appello estraneo a tale quadro è quello dedotto da Eni, relativamente alla inattendibilità del verbale di audizione reso da un suo consulente (Giuseppe Gemma), come sarebbe dimostrato dalla opposta dichiarazione pro-veritate dallo stesso successivamente resa. Conviene affrontare subito la censura, per la sua incidenza sul procedimento e per l’assoluta inconsistenza che la caratterizza, posto che si tratta di una ritrattazione - per giunta in forma anomala - di dichiarazioni legittimamente acquisite all’istruttoria.


Ciò posto sulla tecnica di motivazione, più denso si profila il tema relativo alla cornice teorica in cui inserirla.


Il TAR ha adottato il modello unitario o molecolare, procedendo ad una valutazione sintetica dei vari elementi sintomatici dell’intesa addotti dall’Autorità, non senza peraltro averne preventivamente saggiato la valenza, giungendo a disegnare un mosaico probatorio convergente con quello complessivamente recato dal provvedimento impugnato.


Le parti propugnano il modello pluralistico o atomistico, disarticolando le sequenze argomentative sulla prova, sottoponendo a valutazione analitica ogni elemento principale o accessorio, per coglierne l’inidoneità o l’inefficienza dimostrativa e, quindi, negare consistenza al giudizio finale accreditato dal TAR.


Sullo sfondo il noto enunciato secondo cui quae singula non probant, simul unita probant, la cui validità, pur universalmente accettata, è messa in crisi dall’ovvia - si direbbe algebrica - considerazione per cui la somma di debolezze gnoseologiche non può dare una conoscenza rafforzata.


La risoluzione di siffatta questione è preliminare allo scrutinio del ragionamento probatorio operato dal giudice di primo grado (e, mediatamente, di quello dell’Autorità), sia perché dall’adesione all’una o all’altra dipende la correttezza metodologica delle sentenze appellate, sia perché le difese hanno criticato, denunciandola come inversione probatoria, l’approdo dell’esame compiuto dal TAR in ordine all’equazione parallelismo + scambio di informazioni = intesa, che lascia alle imprese la giustificazione del parallelismo, come frutto di autonome iniziative economiche piuttosto che di un pactum sceleris. O, ancora, il passaggio della motivazione in cui il TAR ha ravvisato nello scambio di informazioni sensibili una condotta di per sé suscettibile di integrare la fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale.


Sul delicato problema una premessa è doverosa.


Il TAR afferma che la prova dell’intesa quasi mai è diretta. Il Collegio aggiunge come - ed anzi ancor più - raramente è diretta la prova di un accordo illecito. Perché i suoi simboli difficilmente esistono (documenti) o possono essere acquisiti (testimoni, i quali normalmente sono gli stessi autori dell’illecito), né è dato il ricorso a strumenti di captazione esterna dell’episodio di vita che sanziona l’accordo (intercettazioni). Ma la circostanza che la prova sia indiretta (o, come si dice, indiziaria) non deve indurre nell’equivoco che la stessa sia meno forte.


Il Collegio ritiene che le sentenze del TAR siano fondamentalmente corrette sull’interpretazione dei fatti accertati nell’istruttoria amministrativa - e, pertanto, meritevoli di conferma - ma abbiano avallato l’equivoco, consentendo alla parti private di ribadire dinanzi al giudice di appello la tesi difensiva formulata nel ricorso introduttivo.


5. Nella fattispecie concreta in esame è agevole rilevare come la dimostrazione dell’intesa (il cui oggetto, come definito nel provvedimento impugnato, è la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori) si articoli su una doppia sequenza di fatti (non lontana da quella, invero piuttosto rudimentale, che viene comunemente indicata distinguendo elementi esogeni ed endogeni):
a) le condotte di esecuzione dell’intesa;
b) gli effetti dell’intesa sul mercato.


Entrambi i temi di prova hanno un collegamento indiretto ma assai significativo con l’intesa, di cui costituiscono segno postumo: nella misura in cui determinati comportamenti delle imprese sanzionate o l’andamento del mercato possono essere giustificati soltanto ipotizzando l’esistenza di un accordo sulla concorrenza, tale accordo deve ritenersi provato. In tal senso imputare alle imprese l’onere di provare il contrario è un’espressione infelice che non muta la sostanza del problema, cioè che la mancata indicazione di plausibili spiegazioni alternative da parte dell’accusato rafforza la tesi accusatoria, la cui interpretazione dei fatti non viene confutata da parte del soggetto logicamente competente a farlo (in quanto protagonista - in un senso o nell’altro - della vicenda).


La forza posseduta dall’ipotesi costruita sulle due aree sopra menzionate dipende dal numero e dalla qualità di elementi sintomatici acquisiti e dalla loro convergenza, dovendosi il grado di sintomaticità di ciascuno vagliarsi secondo la natura e la funzionalità della regola di inferenza impiegata.


Il TAR ha validato l’accertamento operato dall’Autorità con riguardo ad entrambi i temi di prova, nella loro complessità e nella loro composizione interna. Il Collegio ripercorrerà ciascuno degli elementi di conoscenza posti a fondamento dell’ipotesi, argomentando specificatamente solo laddove la motivazione si mostri non conforme ai canoni appena delineati.


6. Preliminare nella ricostruzione della vicenda è l’identificazione del mercato rilevante, la cui valenza nel giudizio in materia antitrust va, tuttavia, diversamente calibrata sulla natura dell’illecito contestato.


L’individuazione del mercato di riferimento è funzionale al tipo di indagine da svolgere: in ipotesi di un’operazione di concentrazione, l’accertamento della posizione dominante di un’impresa sul mercato dipende strettamente dalla struttura dell’impresa oggetto dell’indagine; mentre con riferimento ad un caso di intesa restrittiva della concorrenza, l’individuazione del mercato è invece funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale (cfr. Trib. I CE, 21-1-95, T 29/92, par. 73 e ss.; Cons. Stato, VI, n. 926/2004).
Ne consegue che, in caso di abuso di posizione dominante la delimitazione del mercato di riferimento inerisce ai presupposti del giudizio sul comportamento che potrebbe essere anticoncorrenziale (posto che occorre preventivamente accertare l'esistenza di una dominanza nel mercato stesso), mentre nella materia delle intese detta operazione rileva in un momento successivo dal punto di vista logico, quello dell'inquadramento dell'accertata intesa nel suo contesto economico giuridico, in modo che l'individuazione del mercato non appartiene più alla fase dei presupposti dell'illecito, ma è funzionale alla decifrazione del suo grado di offensività.
Ciò non significa che vi sono tanti mercati di riferimento quante sono le operazioni economiche avvenute o che sia irrilevante procedere ad una corretta individuazione del mercato rilevante, ma comporta solamente la diversità del criterio di individuazione del mercato, che non assume mai valore assoluto, ma relativo.


L’Autorità ha ritenuto che il mercato di commercializzazione del jet fuel ha dimensione nazionale. L’ampia analisi svolta a conforto della tesi dal giudice di primo grado (infra 3.1), appare corretta.
Dovendosi prestare adesione al principio pretorio secondo il quale per l’individuazione dell’ambito geografico rilevante del mercato in questione assume importanza cruciale la effettiva contendibilità delle forniture nei singoli scali, va rilevato che in Italia le società petrolifere possono operare in un numero di aeroporti ben superiore a quello determinato dalla disponibilità di una struttura di origine di jet fuel (raffineria o porto, con i relativi collegamenti all’aeroporto) posizionata favorevolmente rispetto allo scalo.


Sul versante dell’offerta si evidenzia sia la prassi della compravendita di prodotto tra società petrolifere (circostanza, questa, che rende relativamente agevole per tutte le società attive sul mercato spostarsi sui diversi scali), sia la presenza delle società comuni su tutti i principali scali nazionali.


Sul versante della domanda le compagnie aeree organizzano procedure “selettive” per l’acquisizione delle forniture del jet fuel su diversi scali. All’uopo è corretto valorizzare da un lato l’unitarietà della procedura di gara, che vede la compagnia aerea formulare una domanda complessiva di fornitura per il soddisfacimento della quale tutte le società petrolifere operanti sul territorio nazionale possono competere; dall’altro l’unicità del contesto nel quale vengono avanzate, da parte di queste ultime, le offerte relativamente a tutti gli scali ai quali fanno riferimento (nel corso della trattativa l’offerta potendo variare anche a mezzo di modifiche e/o compensazioni tra scalo e scalo).


Ciò esclude la dimensione locale del mercato, ma non consente - facendo leva sulla sostituibilità tra scali aeroportuali dal lato della domanda - di attribuirvi dimensione internazionale. Coglie nel segno l’osservazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui le possibilità di arbitraggio legate all’acquisto di carburante in aeroporti esteri a costi inferiori sono limitate da numerosi fattori (limiti tecnici, maggior consumo per il trasporto del carburante in eccedenza a bordo, tendenza per le compagnie italiane ad avere comunque condizioni più favorevoli negli scali nazionali piuttosto che in quelli esteri, dove consumano minori volumi, ecc.) in modo tale da rendere non significativa tale opportunità.


Gli appellanti ripropongono la tesi della rilevanza locale, ovvero sopranazionale del mercato, senza aggiungere nulla di significativo a quanto osservato nei ricorsi introduttivi.


In punto di diritto occorre ricordare che il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni tecniche dell’Autorità incrocia il limite della discrezionalità di cui gode l’amministrazione nell’applicazione di norme elastiche o concetti giuridici indeterminati. Il Collegio condivide l’orientamento più recente, in precedenza delineato, che vuole ampliato il sindacato sulla discrezionalità tecnica in ragione della sua appartenenza - non già alla discrezionalità amministrativa bensì - al giudizio tecnico discrezionale, caratterizzato dalla natura complessa dei fatti da accertare, ovvero dalla natura incerta delle regole di valutazione.


Detto orientamento va, anzi, confermato su basi dogmaticamente più solide, cioè facendo riferimento alla struttura logica dell’azione amministrativa autoritativa (norma - potere - effetto), in ragione della quale l’amministrazione, nel perseguimento dell’interesse pubblico, ha il potere di applicare la norma di legge al caso concreto, sia sotto il profilo dell’interpretazione della fattispecie astratta, che sotto quello dell’accertamento dei fatti in essa sussumibili.


Allorquando la norma prenda in considerazione fatti il cui accertamento richieda l’impiego di regole extragiuridiche spetta all’amministrazione la loro applicazione e, dunque, ove queste consistano in leggi di carattere relativo, la scelta tra le varie soluzioni prospettabili.


Ma, per converso, traducendosi questo potere, come visto, pur sempre nell’applicazione della norma di legge, il suo cattivo esercizio si risolve in un vizio di legittimità del provvedimento, e non può non essere sindacabile sotto il profilo dell’adozione della regola o del modo di formazione del giudizio tecnico.


Il limite a siffatto sindacato risiede nel divieto di sostituzione del giudice all’amministrazione. Nel modello teorico sopra delineato ciò significa che al giudice non è consentito di controllare l’intrinseca validità del risultato, cioè del giudizio tecnico formulato dall’amministrazione, che implicherebbe la neutralizzazione del potere di applicazione delle regole extragiuridiche attribuito dalla legge all’amministrazione ed, in definitiva, il sovvertimento dell’essenza (non meno che l’attività di ponderazione degli interessi) della funzione pubblica.


La linea di confine è data dalla natura della regola extragiuridica. Quanto il tasso di relatività della stessa è tale da rendere il giudizio opinabile, il sindacato di attendibilità non può avere natura intrinseca, traducendosi altrimenti in una valutazione sulla condivisibilità della scelta dell'amministrazione.


Nella specie le leggi applicate hanno carattere eminentemente relativo, come è dimostrato, in modo eclatante, dalla circostanza che le parti in causa (Autorità e società petrolifere) hanno sostenuto tutte le possibili configurazioni geografiche del mercato di commercializzazione del jet fuel, (locale, nazionale, sopranazionale).


L’analisi svolta dal giudice di primo grado si è sviluppata nell’ambito dei limiti imposti al sindacato giurisdizionale in vicende siffatte, mentre, per converso, gli appellanti invocano la revisione della scelta operata nel procedimento amministrativo, mercé un’indagine che - formalmente ispirata all’orientamento giurisprudenziale di apertura - vada ad affermare che la loro soluzione, e non già quella della Autorità, era la più adeguata ai fatti emersi in istruttoria.


Analogamente va confermata la valutazione effettuata in ordine alla struttura oligopolistica e caratterizzata da un elevato grado di concentrazione (essendo le società petrolifere integrate verticalmente e presenti in Italia in tutte le fasi della filiera produttiva del settore petrolifero) del mercato, come pure la presenza di forti barriere all’entrata di nuovi operatori, anche legate all’obiettiva necessità che le imprese interessate a penetrare nel mercato della fornitura di jet fuel dispongano di quelle infrastrutture logistiche (impianti di stoccaggio e di messa a bordo) che sono gestiti dalle società comuni costituite dalle società petrolifere già operanti nel settore.


7. Passando ad affrontare il tema della prova dell’intesa occorre, come anticipato, distinguere tra:
a) le condotte di esecuzione dell’intesa > condotte di ripartizione del mercato (controllo delle forniture uscenti, ritorsioni, coordinamento delle strategie di gara) e condotte escludenti dal mercato, tese cioè a creare artificiali barriere all'ingresso;
b) gli effetti dell’intesa sul mercato > stabilità delle quote di mercato, mancato ingresso di nuovi operatori, prezzo differenziale del jet fluel rispetto ad altri paesi europei.
A presidio dei due momenti si pone, con indubbia valenza centrale, lo scambio di informazioni (prezzi correnti, fattori di costo, politiche commerciali future) generato dalla presenza e dall’operatività comuni (società comuni, clienti condivisi). Particolarmente rilevante la conoscenza degli elementi compositivi delle offerte e/o del fabbisogno quali dati orientativi le strategie di mercato.


Da qui, dunque, occorre prendere avvio.
8. Il giudice di primo grado (v. 3.2) ha sull’argomento svolto un’ampia trattazione, analizzando i flussi informativi rilevati dall’Autorità, la loro natura, l’esistenza di una pratica di scambio di dati sensibili, la rilevanza di tale pratica nella disciplina antitrust.


Di seguito vengono esaminati i motivi di appello, opportunamente ridescritti secondo le coordinate fissate sub 4, nell’ordine logico parametrato alla astratta idoneità a sovvertire la decisione sul punto.


8.1 Prioritaria è la doglianza - che si esamina qui pur riguardando una premessa dell’intera decisione - di contraddittorietà della sentenza, atteso che l’annullamento delle misure strutturali imposte dell’Autorità (eliminazione della compresenza di più società petrolifere nelle imprese comuni), con implicito riconoscimento della legittimità delle joint ventures, determinerebbe il travolgimento dell’intero impianto accusatorio, posto a fondamento dell’impugnato provvedimento.


L’assunto muove dal presupposto che l’Autorità avrebbe attribuito alla stessa esistenza delle imprese comuni un ruolo fondamentale ai fini della realizzazione dell’illecito antitrust, tanto da aver ritenuto impossibile l’eliminazione dell’infrazione in presenza della perdurante esistenza delle imprese comuni. Nell’impianto accusatorio, quindi, l’illecito sarebbe una inevitabile conseguenza dell’esistenza stessa delle imprese comuni e ciò comporterebbe che, una volta riconosciuta dal TAR la liceità della compresenza delle società petrolifere nelle imprese comuni, verrebbe meno uno dei pilastri dell’infrazione contestata con conseguente illegittimità dell’intero provvedimento.


Il motivo è infondato.


Come verrà precisato anche con riferimento alla censura relativa alla dedotta violazione dell’affidamento delle parti, le contestazioni dell’Autorità non hanno riguardato la costituzione delle imprese comuni, ritenuta in sé non illecita, ma l’utilizzo di tali imprese e delle informazioni acquisite tramite tali imprese da parte delle società petrolifere. Le imprese comuni avrebbero potuto operare senza porre in essere determinati scambi di informazioni sensibili e senza essere, quindi, utilizzate con finalità restrittive della concorrenza. Ciò non è avvenuto e da qui le contestazioni mosse dall’Autorità, che riguardano il contenuto sostanziale dell’illecito; tale contenuto non va sovrapposto con il profilo rimediale, che si pone su un piano diverso.


Il TAR ha confermato l’utilizzo illecito delle imprese comuni e, con riferimento ai soli profili rimediali, ha ritenuto che le misure strutturali, consistenti nella eliminazione della compresenza di più società petrolifere nelle imprese comuni, fossero sproporzionate e non adeguatamente motivate rispetto all’imposizione di sole misure comportamentali. Le conclusioni cui perviene il primo giudice non contengono alcuna contraddizione e la censura proposta si fonda sull’errato presupposto secondo cui l’esistenza in sé delle imprese comuni costituirebbe un pilastro dell’impianto accusatorio, mentre l’Autorità - come appena detto - ha attribuito un ruolo fondamentale, ai fini della configurazione dell’illecito, all’utilizzo delle imprese comuni da parte delle società petrolifere e non alla mera esistenza di tali imprese.


8.2 Lamentela centrale sviluppata dalle appellanti è quella attinente alla illiceità del flusso di informazioni.


Le censure si articolano essenzialmente in due profili, attinenti all’assenza di prova in ordine alla violazione dei principi antitrust, ed alla mancanza di natura sensibile nelle informazioni trattate.


Nel provvedimento dell’Autorità, infatti, sarebbero state individuate due categorie di informazioni ritenute sensibili ai fini antitrust: quelle utili a prevedere il futuro comportamento dei concorrenti e quelle utili a monitorare il rispetto delle regole di condotta concordate; mentre i dati appartenenti alla prima categoria potrebbero avere, teoricamente, natura sensibile a condizione che sia provata in concreto l’attitudine dei medesimi a rivelare le future condotte e strategie delle imprese (ciò che non ricorrerebbe nella specie), le informazioni che consentono il monitoraggio dei comportamenti dei concorrenti sarebbero evidentemente prive di ogni giuridica rilevanza laddove, come nel caso in esame, non sia stata accertata l’esistenza di condotte diverse dal mero scambio di informazioni; e il semplice scambio di informazioni non concreterebbe un’attività illecita allorché non sia stata dimostrata l’esistenza di quelle condotte ripartitorie ed escludenti che costituirebbero l’oggetto del monitoraggio medesimo.


In ogni caso, ove pure i flussi informativi documentati dovessero essere ritenuti atti a configurare uno scambio di informazioni sensibili dal punto di vista antitrust, difettando la prova delle condotte ripartitorie ed escludenti cui le stesse sarebbero preordinate, cadrebbe uno dei pilastri su cui si regge l’ipotesi accusatoria, rimando solo lo scambio di informazioni, costituente un’infrazione minore; ciò che farebbe ritenere sproporzionato ed eccessivo l’intero impianto sanzionatorio.


Il motivo è infondato.
Viene contestata la natura sensibile del flusso di informazioni e la sussistenza di condotte escludenti e ripartitorie del mercato.


Su tale ultimo aspetto - in disparte i rilievi che qui si anticipano - si rinvia ai paragrafi 9 e 10. In ordine alla natura sensibile delle informazioni il Collegio condivide la valutazione svolta nelle sentenze appellate.


Le risultanze istruttorie hanno ampiamente dimostrato che, mediante le società comuni, ciascuna società petrolifera aveva a disposizione dettagliate informazioni riferite anche alle altre società petrolifere associate e, dunque, informazioni ulteriori rispetto a quelle che erano effettivamente necessarie alla determinazione delle tariffe da parte delle stesse imprese comuni (v. par. 320 del provvedimento impugnato).


Tali informazioni attenevano, in particolare, sia a dati che svelavano alcune componenti ritenute cruciali e in grado di orientare i comportamenti futuri dei concorrenti, come la quantità disponibile di prodotto e la sua provenienza, sia dati altrettanto importanti necessari per monitorare i comportamenti passati e, quindi, l’ottemperanza alle regole di condotta concordate; e, tra questi, si ricordavano le informative sugli esiti delle gare, sugli erogati ai singoli clienti, sulle relative quote di mercato, sul rispetto delle quote nella fornitura ai clienti condivisi.


A sostegno del carattere sensibile delle informazioni va, inoltre, rilevato che solo parte dei dati potevano essere acquisiti anche senza avvalersi delle società comuni, ma che la maggior parte di essi erano, da queste, conosciuti e forniti in via esclusiva ed, inoltre, con una ben più consistente base di certezza e di immediatezza, essenziale ai fini del tempestivo controllo sull’attività delle altre società petrolifere unite in j.v.


La possibilità di acquisire aliunde le informazioni scambiate non comporta di per sé la liceità dello scambio. In proposito la giurisprudenza ha sottolineato che la capacità di captazione autonoma di informazioni non priva del carattere di illiceità un sistema organizzato di scambio, tenuto conto che nel primo caso le informazioni avrebbero un carattere tardivo, limitato e privo della periodicità che caratterizza le informazioni fornite dal sistema organizzato (Trib. CE, 27-10-94, T-34/92, John Deere par. 105; Cons. Stato, VI, n. 2199/02, Rc Auto).


L’organizzazione di uno scambio di informazioni consente ai partecipanti di venire a conoscenza di tali informazioni in un modo più semplice, rapido e diretto che mediante il mercato, creando per di più un clima di mutua sicurezza relativamente alle future politiche commerciali dei concorrenti, incompatibile con i principi della concorrenza (Trib. CE, 12-7-2001, T-202/98, British Sugar, par. 60).
Tali principi trovano fondamento nella considerazione secondo cui ogni operatore economico deve determinare autonomamente la propria condotta e che ciò non esclude il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso, dei concorrenti; è però vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di mettere al corrente tale concorrente sul comportamento che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto (cfr., Corte Giust., C- 49/92, Anic, par.117; Corte Giust., C- 40/73, Suiker Unie, par.173-175).


Condotte quali lo scambio di informazioni sensibili finiscono infatti per sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore, anche in un‘ottica di prevenzione e contrasto di non conosciute iniziative degli altri operatori economici.
Né deve dimenticarsi che lo scambio di informazioni è stato ritenuto integrare in alcuni casi un illecito antitrust in sé (Cons. Stato, VI, n. 2199/02, Rc Auto).


Nel caso di specie, le informazioni scambiate riguardavano dati previsionali, certamente sensibili, quali le informazioni sulle quantità di carburante che una società petrolifera prevede di erogare in un determinato scalo in un determinato periodo di tempo, confrontate con quanto erogato nell’anno precedente o dati altrettanto sensibili quali la conoscenza della tariffa applicata a ciascun utilizzatore, che comporta la conoscenza di uno degli elementi di costo cui devono far fronte i concorrenti nello stabilire le proprie politiche commerciali (v. par. 115).
Le imprese si scambiavano anche dati utili al monitoraggio delle condotte dei concorrenti: dati su erogati e sui clienti e sugli aggiudicatari delle gare.


Riguardo a queste ultime informazioni, va rilevato che si tratta di dati non pubblici, essendo l’aggiudicazione delle commesse comunicate alle sole società interessate e, pur potendo successivamente essere conosciuto tale elemento, è evidente che la tempestiva conoscenza consente il controllo sulla stabilità delle quote e l’eventuale adozione di immediate reazioni ritorsive in caso di inadempimenti.
In definitiva, non si può sostenere che la circolazione dei dati sui clienti condivisi non sarebbe illecita, in quanto tali dati non avrebbero l’attitudine a rivelare la posizione sul mercato e le strategie dei concorrenti.


8.3 Complementare, e per molti versi intrecciata, alla precedente è la censura secondo cui le informazioni scambiate non sarebbero dirette a rivelare le future condotte e strategie dei concorrenti, essendo piuttosto motivate dall’esigenza di monitorare l’esattezza delle previsioni delle società circa le quantità di jet fuel da ritirare e l’effettiva disponibilità di prodotto nei propri depositi e, quindi, necessarie al funzionamento delle società comuni. Per contro detto scambio di informazioni non sarebbe in grado di lasciar prevedere le strategie di mercato delle imprese concorrenti; con la conseguenza che lo scambio stesso non sarebbe stato, in definitiva, idoneo a fondare un “cartello”, non essendo neppure dimostrata la sistematicità dello scambio.


Il motivo è infondato.


L’Autorità, al punto 338 dell’atto impugnato, ha osservato che nel corso dell’istruttoria è stato accertato un flusso informativo particolarmente ampio e lungo direttrici diverse; sono documentati, infatti, sia scambi di informazioni tra imprese comuni che tra queste e i propri soci; e che, inoltre, le informazioni che le società petrolifere si sono scambiate fornivano indicazioni sia sul comportamento commerciale futuro dei concorrenti, sia sulle condotte in corso e che entrambe le categorie di informazioni rientravano tra quelle “sensibili”.


Nei punti successivi (in particolare, 342 e sgg.) l’Autorità ha anche ampiamente chiarito come la disponibilità delle informazioni da parte di ciascuno dei soci delle imprese comuni consentisse loro di prevedere i futuri comportamenti delle concorrenti, la loro strategia commerciale, di definire le tariffe praticate, di applicare, all’occorrenza, una politica ritorsiva verso il concorrente che avesse tentato di non rispettare la quota assegnatagli; nel complesso, osserva, quindi, l’Autorità (punto 354) il sistema di controllo stabilito attraverso le società comuni consente un efficace monitoraggio di tutti i possibili comportamenti dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria quota in deroga alla regola concordata; da un simile apparato deriva una notevole credibilità alla minaccia di ritorsione, che conferisce stabilità al cartello costituito dalle società petrolifere attive nel mercato del jet fuel.


Si tratta di considerazioni ampiamente suffragate dai riscontri documentali e dall’analisi dei comportamenti in concreto tenuti dalle varie società coinvolte dall’indagine.


Atteso, quindi, il riscontrato carattere sensibile delle informazioni da essa fatte circolare tra le società madri, correttamente l’Autorità ne ha tenuto conto per più compiutamente rappresentare, in ambito nazionale, quale fosse l’elevatissimo livello operativo del “cartello” posto in essere dalle società petrolifere, in grado di coprire non solo i grandi aeroporti ma, in una sorta di grande ragnatela, anche quelli di dimensioni minori.


E quanto al fatto che lo scambio di informazioni sarebbe giustificato dall’esigenza di monitorare l’esattezza delle previsioni della società circa le quantità di jet fuel da ritirare e l’effettiva disponibilità di prodotto nei propri depositi, si è già rilevato che le società comuni avrebbe dovuto operare in modo tale che le informazioni acquisite dalle singole società madri rimanessero tra loro “impermeabili” e ciò ad evitare di porre in essere una modalità operativa non contemplata dai patti parasociali.


Quanto, poi, al ritenuto carattere episodico, e comunque non sistematico, del flusso informativo ricostruito su base documentale, le prove acquisite smentiscono la tesi. A titolo esemplificativo basti citare quanto rilevato al punto 110 del provvedimento impugnato, dove si evidenzia come la raccolta da parte delle società comuni delle informazioni sull’erogato storico e previsionale viene in genere organizzata ed anche materialmente effettuata dai rappresentanti delle società petrolifere negli organi direttivi delle joint venture; e che, al riguardo, “è d’interesse dar conto dello scambio di corrispondenza incluso in un documento acquisito nel corso della verifica ispettiva effettuata presso la sede di PAR, al tempo situata nella sede della KUWAIT a Roma”. Si tratta, rileva l’Autorità, di uno scambio di posta elettronica risalente al periodo ottobre-novembre 2004 (periodo in cui si stavano preparando i budget sia di PAR che di HUB, società entrambe partecipate da KUWAIT), che inizia con la mail in cui una dipendente della stessa KUWAIT, che collabora con il responsabile aviazione di KUWAIT “sia in Q8 che in PAR”, richiede agli altri soci di PAR (ENI ed ESSO) le previsioni di erogato a Napoli e a Palermo per il 2005; e, lo stesso giorno, ottiene questi dati da ENI; successivamente la stessa impiegata (9 novembre) riceve, in qualità di rappresentante KUWAIT, da parte di ESSO (che, all’epoca, esprimeva il direttore generale di HUB), la speculare richiesta di inviare i dati con le previsioni dell’erogato KUWAIT negli scali HUB, poiché anche questa società stava preparando i propri budget; contestualmente, il rappresentante di ESSO informa che i suoi dati per gli scali PAR sarebbero arrivati in giornata; e la medesima dipendente provvede, poi, il 18 novembre, ad inviare ad ESSO le previsioni di vendita KUWAIT per gli scali HUB; sicché, ne deduce l’Autorità, “come emerge da questo esempio, i diversi soggetti svolgono contemporaneamente più ruoli, all’interno delle società comuni e delle società petrolifere, inviando e ricevendo, di conseguenza, le informazioni relative all’attività sia dei soci che delle joint venture”; e le informazioni raccolte dalle società comuni sull’erogato dei singoli soci - consuntivo e prospettico - vengono poi comunicate a tutti i soci, cioè anche quelli che al momento non ricoprono cariche di coordinamento.


Il provvedimento impugnato abbonda di riferimenti simili. Al punto n. 173 è segnalata la non casuale circostanza per cui, negli scali di Napoli e Palermo ove opera PAR, le offerte di ENI, ESSO e KUWAIT (che partecipano la società comune ora detta) relative alle gare Alitalia hanno coperto esattamente il 100% delle necessità della compagnia di bandiera (46% da parte di ENI e 27% ciascuna per ESSO e KUWAIT a Napoli; 50%, 25% e 25% a Palermo); indice, anche questo, di un totale controllo del mercato locale conseguente allo scambio di informazioni all’interno di PAR.


8.4 Le appellanti criticano, poi, la rilevanza delle informazioni scambiate, poggiando in primo luogo sul fatto che la concorrenza, nel settore del jet fuel, si giocherebbe nel momento dell’assegnazione delle forniture e non in sede di esecuzione dei contratti stipulati; i dati sull’erogato, infatti, non avrebbero una rilevanza specifica, riferendosi a variabili concorrenziali (soprattutto la percentuale di fabbisogno stimato del cliente) che sono già state prefissate in rapporti di somministrazione di durata prolungata nel tempo; sicché non sarebbe condivisibile quanto indicato nel provvedimento impugnato (e non criticato dal TAR), secondo cui “il sistema di controllo stabilito attraverso le società comuni consente un efficace monitoraggio di tutti i possibili comportamenti dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria quota in deroga alla regola concordata; da un simile apparato di controllo deriva una notevole credibilità alla minaccia di ritorsione, che conferisce stabilità al cartello costituito dalle società petrolifere attive nel mercato del jet fuel”.


La censura è priva di pregio.


Lo scambio interno di informazioni inerenti alle quantità erogate consente, infatti, a ciascuna delle società partecipanti nella società comune, di controllare che le altre compartecipi non eccedano, nelle erogazioni, rispetto alle quantità stabilite in base ai pregressi accordi; è vero che i rapporti di somministrazione possono avere durata prolungata nel tempo; ma ben può verificarsi l’evenienza che un operatore aereo possa, nel corso dell’anno, avere bisogno di maggiori quantitativi di j.f. e che possa, quindi, chiederne una maggiore somministrazione; e, in tal caso, lo scambio interno di dati relativi alle erogazioni stesse appare atto a consentire il controllo del rispetto delle percentuali di ripartizione scaturenti dalle gare; e, del resto, la conoscenza dei dati in parola è stata, proprio con riguardo a PAR, uno degli elementi che hanno consentito, come si è visto, di evidenziarne il comportamento anticoncorrenziale, che si è interrotto non appena è iniziata l’attività ispettiva dell’Autorità; conoscendo i dati dell’erogato, del resto, era anche possibile verificare, in modo incrociato, il rispetto delle quote di cui al citato punto 173 dell’atto impugnato e porre in essere se del caso, eventuali azioni ritorsive.


8.5 Passaggio successivo del tentativo di confutazione della rilevanza dello scambio di informazioni è la tesi secondo cui la circolazione di informazioni attraverso l’impresa comune altro non sarebbe che una scelta organizzativa finalizzata a migliorare il monitoraggio dell’esecuzione dei contratti con i clienti condivisi, attraverso l’acquisizione di dati a livello operativo in assenza di qualsiasi contatto tra compagnie petrolifere concorrenti.


In ogni caso la circolazione dei dati sui clienti condivisi non sarebbe illecita, in quanto tali dati non avrebbero l’attitudine a rivelare la posizione sul mercato e le strategie dei concorrenti, peraltro gran parte dei dati scambiati sono fisiologicamente attinti da processi di circolazione tra gli operatori di mercato.


Il motivo è fragile.


Correttamente l’Autorità ha rilevato, al riguardo, che lo scambio di informazioni all’interno della società comune può conseguire ad una legittima scelta organizzativa solo se e nei limiti in cui venga esercitato in termini tali da non alterare la concorrenza; ma allorché, come nella specie, esso si è tradotto in uno scambio di informazioni idoneo a svelare alcune componenti cruciali in grado di orientare, condizionandoli, i comportamenti futuri dei concorrenti, allora lo stesso non può che essere rivisto come anticoncorrenziale.


I dati forniti dalle società comuni sono stati in grado di concorrere ad una circolazione di informazioni “verso” e “tra” società petrolifere madri, contraria ai principi concorrenziali. Quanto al profilo relativo alla sistematicità della circolazione dei dati tra gli operatori di mercato, si tratta di un’affermazione indimostrata; risulta, invece (v., ad es., il punto 347 dell’atto impugnato), che gli operatori stessi e, in particolare, le compagnie aeree forniscono dati relativi all’esito delle gare da esse esperite alle imprese comuni che curano i rifornimenti e alla società petrolifera fornitrice del carburante a mezzo della stessa società comune, senza informare le altre società che partecipano a quest’ultima; con la conseguente violazione dei principi di riservatezza nel momento in cui tali dati la società comune renda noti a tutte le società madri, sue partecipanti.


8.6 Benché abbia carattere potenzialmente assorbente, va esaminato in coda - involgendo riferimenti a molti degli elementi sin qui considerati - il motivo con cui si deduce la violazione del principio del legittimo affidamento, essendo state le società comuni legittimamente costituite sulla base di scelte operative autorizzate dall’Autorità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 287 del 1990.


L’Autorità ha riconosciuto che la costituzione di dette società avrebbe determinato un coordinamento delle attività delle società madri dell’impresa comune, poiché, non avendo alcuna autonomia rispetto alle imprese controllanti, esse rappresentavano uno strumento volto a coordinarne il comportamento; sicché la stessa Autorità avrebbe così escluso che il funzionamento dell’impresa comune avrebbe facilitato pratiche collusive tra le imprese fondatrici e, più in generale, comportato restrizioni della concorrenza sul mercato rilevante. Con l’ulteriore conseguenza che, al contrario di quanto ritenuto dal TAR, il provvedimento impugnato sarebbe irrimediabilmente viziato, poiché verrebbe a smentire quanto sostenuto nei provvedimenti autorizzatori su cui le parti avrebbero fatto legittimo affidamento; il fatto che le società comuni rappresentino uno strumento volto a coordinare il comportamento delle società madri apparirebbe, invero, nello stesso atto impugnato, presupposto delle condotte sanzionate e, per contro, nei precedenti provvedimenti della stessa Autorità, naturale e lecita conseguenza degli accordi comunicati e autorizzati.


Trascorsi, quindi, ai sensi del citato art 13, centoventi giorni dalla notifica degli accordi, l’Autorità, sia che abbia autorizzato espressamente che tacitamente gli stessi, non potrebbe più procedere ad una nuova valutazione della medesima intesa solo perché dall’attuazione in concreto degli accordi emergano profili anticoncorrenziali.


Né sarebbe vero che le condotte sanzionate si sarebbero inserite in un contesto profondamente modificato rispetto a quello oggetto di analisi in sede di autorizzazione da parte dell’Autorità, non avendo questa, né il TAR, precisato quali sarebbero tali profonde differenze.


Pure non sarebbe condivisibile, al riguardo, l’assunto dell’Autorità secondo cui, attraverso le imprese comuni, le società petrolifere avrebbero avuto accesso ad informazioni sensibili che non avrebbero dovuto conoscere e che tale flusso informativo non sarebbe stato prevedibile al momento delle comunicazioni circa la costituzione delle stesse imprese comuni; al contrario, sarebbe il funzionamento stesso delle imprese comuni ad essere messo in discussione dall’Autorità, sebbene conforme agli accordi in precedenza autorizzati, dai quali sarebbe emerso con chiarezza che l’amministrazione societaria sarebbe stata turnariamente affidata a ciascuno dei soci e che allo scopo di determinare le tariffe e monitorare il rispetto delle varie quote di fornitura per ciascuna azienda coinvolta, le informazioni relative ai volumi sarebbero state necessariamente trasmesse a ciascun socio; sicché non avrebbe potuto l’Autorità legittimamente imputare alle società comuni detti comportamenti, in quanto conformi agli accordi autorizzati.


Il motivo è infondato.


Già si è osservato come le contestazioni dell’Autorità non hanno riguardato la costituzione delle imprese comuni, ritenuta, in sé, compatibile con i principi della concorrenza, ma l’utilizzazione di tali imprese e delle informazioni acquisite tramite le stesse da parte delle società petrolifere; e che le imprese comuni avrebbero potuto operare senza porre in essere determinati scambi di informazioni sensibili e senza essere, quindi, utilizzate con finalità restrittive della concorrenza. Si esaminerà tra breve come lo scambio di informazioni rivesta oggettivo carattere anticoncorrenziale.


Consegue, da quanto precede, che nella specie non può essere validamente invocato il principio dell’affidamento, atteso che le società comuni hanno tenuto un comportamento non virtuoso, consentendo una circolazione di informazioni di carattere anticoncorrenziale, non indispensabile per l’ordinario svolgimento dei compiti societari.


Al punto 320 l’Autorità segnalava che le risultanze istruttorie avevano ampiamente dimostrato che, mediante le società comuni (e, tra esse, l’odierna appellante) ciascuna società petrolifera aveva a disposizione dettagliate informazioni riferite anche alle altre società petrolifere associate e, dunque, informazioni ulteriori rispetto a quelle che erano effettivamente necessarie alla determinazione delle tariffe da parte delle stesse imprese comuni; e “nessuna di queste informative specifiche era stata comunicata al momento della notifica della costituzione delle società comuni, né c’era alcun motivo per pensare che un simile flusso informativo si sarebbe verificato, posto che lo stesso non è affatto indispensabile ad un efficace svolgimento da parte delle società comuni dei propri compiti operativi”.


Tali informazioni attenevano, in particolare, sia a dati che svelavano alcune componenti ritenute cruciali e in grado di orientare i comportamenti futuri dei concorrenti, come la quantità disponibile di prodotto e la sua provenienza, sia dati altrettanto importanti necessari per monitorare i comportamenti passati e, quindi, l’ottemperanza alle regole di condotta concordate; e, tra questi, si ricordavano le informative sugli esiti delle gare, sugli erogati ai singoli clienti, sulle relative quote di mercato, sul rispetto delle quote nella fornitura ai clienti condivisi.


Né si dica che tali informazioni si sarebbero inquadrate in un ambito di imprescindibile essenzialità dell’azione delle società comuni, dal momento che queste, in effetti, avrebbero dovuto porre a disposizione delle società madri la propria struttura e funzionalità non per privilegiare conoscenze incrociate del mercato da parte di queste (conoscenze coinvolgenti una serie di dati relativi alle proprie compartecipi e, in particolare, al rispetto delle quote da parte delle stesse, con la possibilità, tra l’altro, di assumere, all’occorrenza, comportamenti ritorsivi e, per ciò stesso, anticoncorrenziali), ma solo per agevolarne l’azione operativa, in considerazione del carattere comune degli impianti di erogazione e delle altre strutture a terra.


Né può convenirsi nel ritenere che il ruolo delle società comuni sarebbe legittimo essendo emerso dagli stessi accordi del 1996/1998 che l’amministrazione societaria sarebbe stata turnariamente affidata a ciascuno dei soci e che allo scopo di determinare le tariffe e monitorare il rispetto delle varie quote di fornitura per ciascuna azienda coinvolta, le informazioni relative ai volumi sarebbero state necessariamente trasmesse a ciascun socio; ciò in quanto detto carattere turnario non implicava affatto che l’amministratore pro tempore dovesse necessariamente far conoscere alla società petrolifera di appartenenza e alle altre società petrolifere in joint venture i dati relativi alle società stesse, in quanto il fine da perseguire era quello di tutelare gli interessi della società comune e non - attraverso la circolazione di dati eccedenti tale specifico scopo - delle società petrolifere madri, alle quali avrebbe potuto essere fornito il dato complessivo del jet fuel erogato o da erogare, ma non quello parcellizzato relativo a ciascuna delle società petrolifere stesse; e, quanto alla determinazione delle tariffe, la stessa ben avrebbe potuto concretizzarsi tra singola società madre e società comune, tenendo conto del costo dei servizi per quest’ultima e di quello del carburante messo a disposizione dalla società madre stessa, mentre l’acquisizione di dati specificamente riguardanti le altre società madri poteva, logicamente, valere solo a rinforzare posizioni di reciproco controllo nella gestione del mercato del jet fuel nei due aeroporti in cui opera PAR e, quindi, a consolidare una situazione di “cartello” tra le società stesse.


In conclusione, non appare censurabile il fatto che l’Autorità, a seguito dell’apertura dell’indagine sui comportamenti delle società petrolifere e delle società comuni nel loro insieme, abbia finito per censurare anche il comportamento di queste, in quanto in grado di concorrere in termini significativi alla realizzazione dell’attività anticoncorrenziale.


Il fatto che le imprese comuni non avessero alcuna autonomia rispetto alle imprese controllanti, rappresentando solo uno strumento volto a coordinarne il comportamento, non le legittimava a rendere sistematica, tra le stesse società petrolifere partecipanti, la circolazione delle informazioni (del resto, cessata, non a caso, subito dopo l’avvio dell’indagine che ha portato all’adozione del provvedimento impugnato), ma solo ad utilizzare le informazioni stesse al proprio interno per un più proficuo svolgimento delle proprie attività, anche, naturalmente, nell’interesse delle società che, partecipandola, potevano ricavare maggiori benefici da una da una più efficace attività aziendale, da svolgersi, peraltro, con uno scambio di informazioni limitato ai rapporti interni tra singola società petrolifera e società comune; limite, questo, che, essendo stato, con ogni evidenza, violato, ha portato all’emanazione dell’atto impugnato.


9. Esaurito il tema di fondo dello scambio di informazioni e del ruolo delle società comuni è il momento di esaminare le condotte di esecuzione dell’intesa poste in essere dalle società petrolifere, tra cui in primo luogo rilevano quelle di distribuzione del mercato, attuate mercé canalizzazione delle forniture uscenti, pratiche ritorsive, concertazione delle gare.


Quanto al controllo sulle forniture uscenti decisivi elementi di prova derivano dall’accertamento che il 90% dei contratti per la fornitura di jet fuel alle compagnie aeree veniva stipulato con il fornitore uscente e che esisteva una generalizzata aspettativa in capo alle società petrolifere circa un atteggiamento di non aggressione da parte dei concorrenti nei confronti della loro clientela.


A protezione del sistema traspare l’uso di strumenti di reazione nei confronti degli inadempienti. Il meccanismo di ritorsione emerge in diversi episodi.


Rilevano, in tal senso:
 uno scambio di mail intercorso fra esponenti di ESSO (rinvenute presso tale società in seguito ad accesso ispettivo disposto da AGCM), illustrante una situazione di ritorsioni “incrociate” fra la stessa ESSO e KUWAIT PETROLEUM (cfr. provvedimento impugnato, par. 158) concernenti gli aeroporti di Pisa, Napoli e Roma-Fiumicino;
 ulteriori evidenze documentali (soprattutto concernenti, anche in questo caso, corrispondenza elettronica) relative ad atteggiamenti ritorsivi intercorsi fra SHELL ed ESSO relativamente alle forniture di jet fuel insistenti sullo scalo aeroportuale di Bergamo (par. 160-161);
 un memorandum interno TAMOIL dell’aprile 2002, relativo alla gara per la fornitura a British Airways, nel quale si ipotizza una strategia commerciale volta a “puntare ancora su Fiumicino e Linate, dove TAMOIL è fornitore uscente”, poiché “il tentativo di essere aggressivi su Malpensa e Verona rischierebbe di provocare la reazione dell’Agip, fornitore uscente” (par. 162).
A conferma logica dell’assunto in ordine alla correttezza delle valutazioni formulate sul punto dall’Antitrust può accettarsi l’idea che la struttura del mercato dei carburanti agevoli l’applicazione di misure ritorsive nei mercati “limitrofi” degli altri prodotti petroliferi.


Sullo stesso piano di riscontro critico deve essere valorizzata la prassi seguita dagli operatori petroliferi riguardante il ricorso agli approvvigionamenti “incrociati”, intrinsecamente idonea a creare un vero e proprio sistema di “contrappesi”, la cui modificabilità viene a scontrarsi con la possibilità di ritorsioni da parte di concorrenti.


In tale quadro, una mail interna TAMOIL del marzo 2004 prende in considerazione la possibilità di cambiare la controparte di alcuni contratti di fornitura reciproca, passando da SHELL a ENI, precisandosi che il conseguenziale “taglio” di SHELL su Cremona è suscettibile di ingenerare ricadute ritorsive che trovano presupposto nel fatto che TAMOIL dipende da SHELL per “rapporti di transito sul deposito di Lacchiarella”; e che SHELL, ove appunto messa in difficoltà dalla cessazione della fornitura TAMOIL a Cremona, “avrebbe potuto reagire rendendo più difficoltoso il transito su Lacchiarella”.


Siffatte considerazioni illustrano adeguatamente i vincoli di stretta interdipendenza presenti fra i comportamenti assunti dagli operatori sul mercato del jet fuel e quelli degli stessi soggetti sugli altri mercati dei carburanti (multi-market contacts); e ciò in quanto, relativamente alla fattispecie da ultimo descritta, il deposito di Lacchiarella (avente strategica rilevanza per i rifornimenti del nord-ovest) è utilizzato da TAMOIL principalmente per carburanti diversi dal jet fuel.


In ordine alla concertazione delle gare per l’aggiudicazione delle forniture alle compagnie aeree il TAR ha ritenuto provata nell’istruttoria amministrativa una partecipazione da parte delle società petrolifere in condizioni di non totale indipendenza, segnatamente in presenza di offerte formulate nei confronti di clienti riforniti, su determinati scali, da più società petrolifere.


Posto che le offerte per le forniture di jet fuel in ciascun aeroporto possono riguardare anche solo una quota-parte del quantitativo totale richiesto da ciascuna compagnia aerea, è risultato che in svariate occasioni che le offerte formulate ad ALITALIA da più società petrolifere sono state tali da avere per somma esattamente il 100% della fornitura. Tale elemento costituisce indice significativo della concertazione, non potendo altrimenti giustificarsi la stabilità delle offerte in presenza di una forte variabilità dei consumi (e, quindi, della domanda) registrata presso gli scali aeroportuali nei quali le evenienze sopra indicate di sono verificate.


Più in generale, su questi temi, va ricordato che le quote di mercato detenute dalle società petrolifere sono risultate notevolmente stabili nell’arco del periodo per il quale le informazioni fornite dalle parti hanno consentito di effettuare tale calcolo (2001-2004). Siffatta stabilità, caratterizzata da livelli estremamente contenuti del coefficiente di variazione delle quote degli operatori, è sintomatica della concertazione, non trovando spiegazioni plausibili nella struttura del mercato di carburante e nell’andamento del settore del trasporto aereo.

 
Considerata l’integrazione verticale che caratterizza le società petrolifere che operano in Italia (le quali possiedono - a mezzo delle società comuni da esse costituite - anche le strutture logistiche per lo stoccaggio e la messa a bordo del carburante delle quali dovrebbe necessariamente servirsi qualunque altro operatore che intendesse svolgere la medesima attività), non solo nessun operatore non verticalmente integrato risulta essere riuscito a superare questa barriera, ma anche operatori indipendenti già dotati di almeno parte delle necessarie strutture non hanno avuto ingresso nel mercato.


Complessivamente emerge una situazione di non belligeranza tra le società petrolifere, cui non osta - per le ragioni che si diranno - la strategia espansionistica (peraltro rientrata) di TAMOIL.


Le appellanti, riformulando le censure veicolate nei ricorsi originari, si soffermano sullo scarso significato che gli episodi, in sé considerati, contengono. Ma l’attinenza di ciascun fatto al thema decidendum è indiscutibile, la sua capacità esplicativa minore o maggiore ma innegabile, il saldo finale imponente.


Le argomentazioni difensive volte a giustificare la ripartizione del mercato con fattori endogeni risultano puntualmente superate nelle sentenze appellate. Le tesi portate a giustificazione dell’approssimazione al 100% del fabbisogno di carburante della somma delle offerte presentate nelle gare svolte da Alitalia riprendono gli argomenti - adeguatamente valutati già nel provvedimento impugnato - della casualità, dell’interazione meccanica, del trascinamento ciclico.


Quanto al ruolo svolto da Alitalia - la cui posizione dominante nel mercato costituirebbe un fattore spontaneo di stabilità dello stesso - la grandezza della sua domanda disaggregata (riferita, cioè, a ciascuna società petrolifera) non è lontana da quella degli altri vettori aerei, atteso che la stessa si articola su tutti gli scali aeroportuali toccati e viene soddisfatta pro-quota dalle diverse compagnie.


10. Nell’ambito dell’attuazione dell’intesa occorre, infine, esaminare le cd. condotte escludenti. Due sono gli episodi che conclamano la strategia volta ad interdire l’ingresso nel mercato del carburante ad operatori terzi: la vicenda riguardante la società MAXOIL (che aveva manifestato interesse per lo scalo aeroportuale di Roma Fiumicino) e il fallimento dei tentativi dei vettori aerei di ricorrere alla pratica dell’auto-rifornimento.


10.1 Con riguardo alla vicenda Maxoil, in cui spicca il ruolo avuto dalla società comune Seram, le appellanti sviluppano una critica che muove dalla seguente ricostruzione.


Fu Maxoil a decidere di non utilizzare più l’oleodotto collegante il suo deposito con il porto di Fiumicino; oleodotto che sarebbe rimasto inefficiente per oltre quindici anni, con conseguente decadimento tecnico per carenza di utilizzazione e manutenzione, e che quando era funzionante avrebbe effettivamente operato solo nel senso di trasportare prodotti finiti (gasolio) non direttamente dalla boa marina, ma solo dalle strutture della raffineria site in Pantano di Grano (tale ultima circostanza risulta dal provvedimento dell’Autorità in data 26 aprile 2007, successivo al provvedimento impugnato in primo grado). La società Seram il 13 ottobre 2005 manifestò a Maxoil la disponibilità all’utilizzo delle proprie strutture; mentre, come ammesso anche dal primo giudice, il 23 dicembre 2005 Aeroporti di Roma negò l’autorizzazione richiesta da Maxoil e la stessa Autorità avrebbe recentemente riconosciuto che quest’ultima ancora oggi non dispone delle necessarie autorizzazioni. Raffineria di Roma Spa (appartenente alla società Total) il 20 novembre 2005 avrebbe negato il “transito” attraverso i propri impianti per ragioni tecniche e operative connesse alle infrastrutture.


Su tali basi le appellanti reiterano le obiezioni alla valenza di tale vicenda, ma le doglianze non colgono nel segno.


Nessun nuovo operatore (non integrato come società comune delle compagnie petrolifere di cui trattasi) era riuscito a entrare nel mercato del jet fuel e a proporsi come fornitore alternativo e indipendente rispetto alle stesse. Maxoil era l’unica impresa che, essendo in possesso di un deposito di notevoli dimensioni nelle vicinanze dell’aeroporto di Fiumicino, aveva manifestato ripetutamente la volontà di entrare nel mercato del jet fuel per il medesimo aeroporto.


La società Seram non ha mai consentito l’accesso di Maxoil alle proprie infrastrutture, mentre Aeroporti di Roma, in data 23 dicembre 2005, aveva risposto negativamente sull’istanza di Maxoil solo interpretandola come una richiesta di duplicazione delle strutture della società Seram che, invece, non si potevano duplicare siccome definite dall’Enac “struttura centralizzata”. Il che non era nelle intenzioni di Maxoil, come replicato dalla stessa a Aeroporti di Roma il 2 gennaio 2006. Maxoil, invece, intendeva collegare al deposito della società Seram un oleodotto proveniente dal proprio deposito e vendere carburante ai vettori aerei operanti a Fiumicino facendo ricorso, per i servizi di distribuzione e into-plane interni allo scalo, alle imprese già esistenti. E Aeroporti di Roma, nella propria comunicazione in data 5 maggio 2006, aveva affermato di essere in procinto di richiedere ulteriori chiarimenti a Maxoil, al fine di “trasmettere i pertinenti documenti convenzionali” in ragione della risposta che darà Maxoil (si veda la nota 203 del provvedimento impugnato in primo grado).


Il mancato possesso da parte di Maxoil delle eventuali autorizzazioni necessarie per potere operare e commercializzare jet fuel nello scalo di Fiumicino non costituisce esimente per le società petrolifere. Anzi, se le stesse avessero consentito l’accesso alle proprie infrastrutture Maxoil avrebbe potuto richiedere le necessarie autorizzazioni; e comunque l’accesso si sarebbe potuto concedere condizionandolo al conseguimento delle autorizzazioni stesse.


Le società petrolifere, nella fase dell’ottemperanza al provvedimento impugnato in primo grado, hanno riconsiderato il loro atteggiamento nei confronti di Maxoil e proprio tale mutato atteggiamento ha sbloccato la situazione (si vedano, in particolare, i paragrafi 10 e seguenti della delibera adottata dall’Autorità nell’adunanza del 26 aprile 2007). Il che conferma come l’elemento determinante di ostacolo all’accesso di Maxoil al mercato del jet fuel era costituito proprio dai dinieghi e dalle inerzie delle società operanti presso l’aeroporto di Fiumicino.


In particolare, con riguardo alla società Seram, controllata dalla società Esso, dalla delibera dell’Autorità in data 26 aprile 2007 risulta che “non sono emersi impedimenti opposti a Maxoil dalla società Seram, successivamente alla decisione dell’Autorità del 14 giugno 2006. Infatti, Seram ha prodotto documentazione attestante la proposta a Maxoil di un contratto di movimentazione, il cui presupposto è il possesso da parte di Maxoil delle autorizzazioni amministrative necessarie per operare in aeroporto come fornitore di jet fuel”.


Siffatta circostanza è di per sé indicativa del fatto che la società Seram si è indotta a collaborare con Maxoil solo dopo l’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.


10.2 Secondo il primo giudice ulteriore barriera sarebbe stata costituita dalle “resistenze, via-via opposte dagli operatori petroliferi, alla realizzazione di un sistema di auto-forniture che avrebbe posto il cliente più importante” (Alitalia) “nella condizione di poter accedere direttamente - e senza l’intermediazione dei soggetti operanti sul mercato nazionale del jet fuel - all’approvvigionamento del carburante, mediante ricorso al mercato cargo”. Potendo così spuntare prezzi che “avrebbero potuto dimostrare un significativo ridimensionamento rispetto ai costi dello stesso jet fuel, incrementati da componenti (quali il differenziale gasolio) altrimenti non presenti”.
Le appellanti obiettano che non esisterebbe alcun documento che provi l’effettiva volontà di Alitalia di realizzare seriamente un programma di self-supply, né tanto meno comportamenti che l’abbiano ostacolato. Mentre, invece, vi sarebbero significativi documenti in contrario, tutti ignorati dal primo giudice, attestanti:
1) la proposta della società Total di partecipare con Alitalia a una società mista per la messa a bordo con self supply; proposta alla quale Alitalia non diede alcun seguito;
2) la mancata ricezione, da parte di Enac e di Aeroporti di Roma, di “manifestazioni di interesse relative all’accesso di nuovi prestatori del servizio” di rifornimento, tanto meno da Alitalia, nonché la mancata finalizzazione di un progetto di costituzione di una joint venture tra Agip e Alitalia poiché uno studio finanziario interno lo giudicò estraneo al core business Alitalia;
3) la mancata realizzazione di un progetto di self supply per decisione dei vertici di Alitalia.


D’altronde se Alitalia avesse avuto interesse al self supply avrebbe potuto semplicemente azionare il meccanismo previsto dall’art. 5 del d.lgs. 11 febbraio 1998, n. 32 per ottenere l’accesso alle infrastrutture delle società Seram e di Raffineria di Roma.


Il Collegio osserva che è irrilevante quanto dedotto con riguardo alla proposta della società Total, poiché la stessa ha si dato corso a una iniziativa idonea a consentire il superamento delle barriere all’accesso al mercato del jet fuel - favorendo in prospettiva lo sviluppo del ricorso all’autofornitura da parte delle compagnie aeree e in particolare di Alitalia - ma solo (nel procedimento che ha portato all’adozione del provvedimento impugnato in primo grado) a seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie e tenendo conto delle criticità concorrenziali individuate nella comunicazione stessa. Mentre proposte di analoga efficacia non sono state individuate da nessun’altra società petrolifera (si veda il paragrafo 404 del provvedimento impugnato in primo grado).


Anche se l’accesso al mercato dello stoccaggio e della messa a bordo del jet fuel non era stato mai formalmente negato ad Alitalia, la situazione di fatto che si era venuta a creare nel relativo mercato ha impedito alla stessa di provvedere al proprio approvvigionamento direttamente o in associazione con società petrolifera (così detto self supply); modello, il secondo, frequentemente adoperato all’estero con diversi effetti benefici (si veda il paragrafo 244 del provvedimento impugnato in primo grado).


L’interesse delle compagnie aeree al self supply (sin dal 1998) è sufficientemente documentato nel provvedimento impugnato in primo grado (paragrafi da 204 a 216).


Alle ulteriori obiezioni sollevate ha sufficientemente risposto il provvedimento impugnato in primo grado nel quale, al paragrafo 367, viene così rilevato: <<Le parti hanno obiettato la mancanza di credibilità della richiesta di Alitalia, la quale non ha dato seguito ai contatti instaurati, né ha manifestato la volontà (ovvero, la capacità finanziaria) di intraprendere gli investimenti necessari per operare stabilmente come fornitore di jet fuel per le proprie esigenze. A smentire tale tesi stanno i reiterati e documentati tentativi di Alitalia nei vari anni di effettuare l’autofornitura, un comportamento che proprio per la sua costanza appare poco plausibile qualificare come “opportunistica” ovvero “velleitaria” e priva di reale credibilità. Al contrario, anche questa condotta ostruzionistica delle compagnie petrolifere rientra nella più ampia strategia di impedire qualsiasi fonte di effettiva o potenziale concorrenza nel mercato del jet fuel>>.


Quanto previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 32/1998 - “Le società titolari di concessioni e autorizzazioni relative a depositi di oli minerali, di cui all'articolo 16 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono tenute a garantire l'uso delle capacità di stoccaggio non utilizzate e delle infrastrutture di trasporto per il transito del prodotto a chiunque ne faccia richiesta, purché autorizzato ai sensi delle vigenti norme di legge, a condizioni eque e non discriminatorie” - non ha rilievo alcuno, dimostrando solo la fattibilità del self supply.


10.3 Il Collegio intende ancora precisare, in risposta alle critiche delle appellanti, che la vicenda Maxoil e il fallimento dei tentativi di self supply non si riferiscono solo all’aeroporto di Fiumicino e, comunque, entrambe sono indicative dell’esistenza di barriere all’ingresso nel mercato di settore, essendo sufficiente anche la situazione relativa a un solo scalo aeroportuale, trattandosi del più importante aeroporto nazionale.


11. Va ora esaminato il secondo segmento della prova, cioè gli effetti dell’intesa sul mercato o, per meglio dire, le caratteristiche assunte dal mercato che siano sintomatiche dell’intesa.


Fermo restando che l’intesa anticoncorrenziale può essere sanzionata anche indipendentemente dai suoi effetti. Infatti l’art. 2 della legge n. 287/90, dopo aver precisato che si considerano intese gli accordi e/o le pratiche concordate, statuisce che sono vietate le intese tra le imprese che abbiano per oggetto o per l’effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. La norma è chiara nel richiedere la sola presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell’effetto (cfr., Corte Giust. CE, C - 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss.; Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 e n. 652/2001).


Nel caso in esame l’Autorità ha dimostrato anche l’esistenza di effetti anticoncorrenziali, riguardanti la stabilità delle quote di mercato (par. 375) e il prezzo del jet fuel (par. 368 e ss.), al fine di rafforzare la prova dell’intesa.


11.1 Rileva innanzitutto la stabilità delle quote di mercato detenute nel periodo considerati dalle società petrolifere e il mancato ingresso di nuovi operatori.


Le appellanti, con riferimento alla stabilità delle quote di mercato, hanno dedotto che sia l’Autorità che il TAR avrebbero ignorato forti oscillazioni delle quote di alcune società, riscontrabili anche a livello nazionale. Ciò dimostrerebbe la variabilità delle quote di mercato e, di conseguenza, la contendibilità del mercato. Il mancato ingresso di nuovi operatori, invece, sarebbe un effetto spontaneo.


Il motivo è infondato.


L’Autorità ha indicato nella tabella IV.5 (par. 47) le quote di mercato del jet fuel delle principali società petrolifere operanti in Italia nel periodo 2001 / 2004.


Dai dati della tabella, risulta evidente che la variabilità delle quote di mercato è risultata nel periodo molto bassa, essendo il coefficiente di variazione per tutte le società non superiore a 0,25 con l’eccezione di Tamoil (0,34).


Con argomentazioni non contraddette dalle appellanti l’Autorità ha evidenziato che la stabilità delle quote assume valore ancora più significativo, in quanto si è realizzata nonostante shock di mercato quali l’avvento delle compagnie aeree low-cost e, soprattutto, le eccezionali vicende dell’11 settembre 2001, che hanno determinato una importante flessione dei consumi nel 2002 (a fronte di una riduzione della domanda pari all’8% dal 2001 al 2002, le quote di mercato delle parti nel biennio in esame sono rimaste invariate).


L’elemento della stabilità delle quote non è contraddetto dalla crescita della quota di mercato di Tamoil (5,49%), considerato che dalle stesse risultanze istruttorie è emerso, e l’Autorità ne ha dato atto, il tentativo di Tamoil di adottare per alcuni anni un comportamento indipendente sul mercato.


La crescita di Tamoil diventa così elemento di supporto della stabilità delle quote, in quanto dimostra che il semplice tentativo di condotte imprenditoriali autonome ed aggressive era idoneo a sortire gli effetti dell’aumento della quota di mercato; effetti che invece sono risultati assenti per le altre società, e tra queste le appellanti (l’Autorità ha poi tenuto conto di tale condotta di Tamoil ai fini della riduzione della sanzione).


La crescita della quota di mercato di Total (4,53%) è stata, invece, congruamente spiegata dall’Authority come un ritorno al proprio normale fatturato, sceso negli anni 2001-2002 per il venir meno della fornitura ad Alitalia.


Le appellanti - in particolare proprio Tamoil - contestano l’idoneità del coefficiente di variazione (CV) a descrivere l’andamento del mercato dal punto di vista dell’analisi delle dinamiche concorrenziali. La critica, tuttavia, non si basa su alcuna dimostrazione teorica, ed appare inidonea a confutare quello che è un parametro riconosciuto dalla comunità scientifica. A sostegno della tesi, infatti, viene riportata una comparazione ipotetica tra il trend accertato per Tamoil negli anni in esame e lo stesso trend riferito allo stesso periodo ma cambiando la posizione dei valori annuali (ad esempio riferendo la quota di mercato del 2000 al 2001). Nel ragionamento della parte privata la circostanza che la media e il CV non cambiano, pur in presenza di una diversa distribuzione nel medesimo arco di tempo, dimostrerebbe che tale lettura del fenomeno non spiega le dinamiche concorrenziali sul mercato.


Il Collegio rileva che, banalmente, la dimostrazione offerta da Tamoil costituisce mera applicazione di una regola matematica, che non inficia il dato assunto dall’Authority, cioè l’incompatibilità del tasso di crescita con un ambiente competitivo.


Né ha miglior sorte il tentativo di Tamoil di proiettare la sua crescita sugli anni che non sono stati oggetto di indagine, posto che per il periodo successivo al 2004 mancano dati di riferimento e l’ipotesi di un’intesa anticoncorrenziale si ferma a quella data, sicché nessun senso può avere una valutazione estesa al di là di essa.


La dimensione nazionale del mercato rilevante esclude che, ai fini della stabilità delle quote, possano essere prese in considerazione le situazioni di mercato dei singoli aeroporti.


Peraltro, sebbene il dato non assuma carattere rilevante, l’Autorità nella tabella IV. 6 ha, comunque, dettagliato l’analisi della presenza delle parti nei principali aeroporti, quali quelli di Roma, Milano, Napoli e Palermo e da tali dati è stata confermata la tendenza alla stabilità delle quote, soprattutto a Malpensa, Napoli e Palermo e i casi di maggiore variabilità in sede locali trovano tutti una specifica giustificazione (presenza dell’operatore marginale, AirBP, che ha comunque una quota molto ridotta e peraltro è l’unica impresa che non è socia delle joint venture aeroportuali; già menzionata crescita di TAMOIL; perdita del contratto Alitalia da parte di TOTAL per il 2001-2002; decisione di KUWAIT di rinunciare alla fornitura Alitalia a Malpensa, Linate e Fiumicino per rifornire la compagnia in altri aeroporti minori).


In definitiva sia i più rilevanti dati nazionali, sia in parte i dati locali, confermano la stabilità delle quote di mercato del jet fuel delle società petrolifere e, in presenza di tali elementi, le appellanti non hanno supportato le loro contestazioni con elementi idonei a contrastare le conclusioni raggiunte sul punto dall’Autorità.


Complementare alla questione sin qui esaminata è il dato (pacifico) relativo all’assenza di ingressi sul mercato rilevante. Le critiche gravano sul significato che tale dato assume rispetto all’intesa. Le appellanti propongono, come anticipato, una spiegazione alternativa, suggerendo che il dato in questione sia generato da una tendenza intrinseca del mercato. Sul punto il Collegio ritiene di rinviare a quanto già osservato in precedenza, non senza aggiungere che la spiegazione alternativa appare puramente congetturale, mentre gli elementi che indicano una chiusura artificiale del mercato sono numerosi.


11.2 Secondo elemento significativo è il divario esistente nel differenziale del prezzo di vendita del carburante rispetto all’estero.


Il primo giudice (v. 3.3) ha affermato che:
 in Italia, a parità di dimensioni dello scalo aeroportuale, la componente del prezzo del jet fuel che è oggetto di contrattazione tra le parti (il cd. differenziale) è nettamente più elevata che all’estero;
 il differenziale (price add on) rappresenta “il margine di guadagno delle società petrolifere”;
 i differenziali praticati per le forniture nei tre principali aeroporti italiani sono più elevati (in misura del 50% o anche più) di quelli degli aeroporti di grandezza comparabile, se non inferiore (come Parigi Orly e Bruxelles) o anche di dimensioni decisamente inferiori (come Colonia);
 La particolare situazione dell’Italia ha comportato che il prezzo praticato del jet fuel sia inferiore a quello del gasolio. Tale circostanza ha indotto le società petrolifere - al fine di evitare che la commercializzazione del jet fuel, rispetto a quella del gasolio, avvenisse in maniera non remunerativa - ad aggiungere al prezzo del primo (quale risultante dalla quotazione Platt’s per il bacino del Mediterraneo: FOB MED) una maggiorazione, denominata “indifferenza gasolio”);
 la possibilità per le compagnie aeree…di provvedere all’approvvigionamento del jet fuel direttamente sul mercato internazionale avrebbe consentito di poter fruire di un prezzo finale del prodotto depurato dal rammentato premio per “indifferenza gasolio” che, altrimenti, i meccanismi di funzionamento del mercato interno propongono quale obbligatoria componente del prezzo corrisposto dal vettore aereo.
Le obiezioni di fondo mosse dalle appellanti possono così riassumersi:
1) PLATTS (che è l’ente che cura la rilevazione a livello internazionale dei prezzi) determina un “premio” aggiuntivo con la funzione di aggiustare la quotazione del Mediterraneo per tenere conto delle effettive transazioni e siffatto premio sarebbe stato elaborato allo scopo di “catturare in maniera più completa la realtà degli aspetti fondamentali che sottostanno al mercato del jet fuel nell’area del Mediterraneo” (oscillante tra 4 e 6 centesimi di dollaro USA; come da documento depositato in primo grado);
2) è erroneo che le società petrolifere aggiungono al prezzo PLATTS MED la maggiorazione “indifferenza gasolio”;
3) è erroneo che il differenziale rappresenta il “margine di guadagno”, comprendendo, invece, anche altre voci completamente sottratte alla negoziazione tra le parti, quali i costi di trasporto e di logistica, il citato premio PLATTS per il Mediterraneo e le tariffe into plane;
4) è erroneo che i differenziali applicati in Italia sono maggiori rispetto a quelli applicati all’estero in scali aeroportuali comparabili, a causa dell’erroneità delle indicazioni di cui alla tabella IV.10 del provvedimento impugnato in primo grado;
5) il livello del differenziale a Fiumicino, invece, sarebbe assolutamente competitivo se non inferiore a diversi aeroporti stranieri con consumo di carburante paragonabile, mentre quello di Milano Linate sarebbe addirittura inferiore;
6) la circostanza che il prezzo finale risulta leggermente superiore sarebbe dovuta esclusivamente agli obbligatori oneri aeroportuali versati dagli enti gestori; oneri non controllabili dalle società petrolifere;
7) è erroneo che le compagnie petrolifere, nel mercato italiano del jet fuel, guadagnano margini più elevati rispetto a quanto accade all’estero.


Il Collegio ritiene che l’Autorità, nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, abbia seguito criteri che non appaiono né illogici né errati.


L’Autorità (paragrafi da 220 a 243 e da 368 a 373 del provvedimento impugnato in primo grado), tra l’altro:
a) ha considerato, le varie componenti del prezzo del jet fuel, la quotazione Platts usata come riferimento nel Mediterraneo, le tabelle IATA e i costi di trasporto del jet fuel;
b) ha rilevato che la circostanza per cui i differenziali praticati in Italia sono più elevati di quelli esteri, al punto da annullare il minore valore che il Platts attribuisce al jet fuel nell’area del Mediterraneo rispetto all’Europa del nord, è riconosciuto anche dai rappresentanti della compagnia aerea Meridiana;
c) si è basata su di un documento interno di ENI, riferibile al periodo 2003-2004, nel quale sono riportati per ciascun aeroporto nazionale i differenziali medi applicati alle compagnie aeree clienti (classificate in tre grandi gruppi: Alitalia, Italiani e Visiting), dal quale risulta che negli aeroporti di Linate, Malpensa e Fiumicino (e solo in questi) i differenziali richiesti in pagamento ad Alitalia sono pressoché corrispondenti a quelli applicati alle altre compagnie italiane ed entrambi sono più elevati di quelli alle compagnie estere (visiting), nonostante il Platts di riferimento sia lo stesso per tutte (il FOB MED);
d) ha rilevato come “L’uso della quotazione del gasolio come riferimento al posto di quella del jet fuel è stato peraltro riconosciuto dai rappresentanti delle società petrolifere intervenuti in audizione” e che “Le parti stesse riconoscono che buona parte della maggiorazione dei differenziali italiani è dovuta alla necessità di remunerare i produttori nazionali per la rinuncia alla produzione di gasolio (cd. indifferenza gasolio)”;
e) ha evidenziato che, “anche aggiungendo alla quotazione Platts del Mediterraneo i costi per il passaggio da FOB a CIF così stimati, rimane una notevole distanza tra i differenziali italiani e quelli europei”.
I rilievi svolti dall’Autorità, in tema di prezzi del jet fuel, evidenziano quanto meno l’impermeabilità degli stessi alla concorrenza. Le censure delle interessate non colgono né carenze istruttorie e motivazionali, né perplessità e incoerenza.


12. All’esito della conferma dei singoli elementi di conoscenza sull’intesa illecita occorre accertare se la stessa sia effettivamente provata.


Il giudice di primo grado ha sviluppato le considerazioni descritte sub 4.4, richiamando la giurisprudenza nazionale e comunitaria. Il punto critico riguarda il ragionamento adottato, che ad avviso delle appellanti sarebbe da un lato inadeguato, dall’altro ancorato ad un’inaccettabile inversione dell’onere della prova.


La giurisprudenza - nazionale e comunitaria - ha da tempo chiarito che, in presenza di uno scambio di informazioni tra imprese, il parallelismo di comportamenti economici si colora di illiceità, spettando alle imprese dimostrare che il parallelismo non sia il frutto di comportamenti anticoncorrenziali, agevolati dalla conoscenza reciproca di informazioni rilevanti e sensibili (Cons. Stato, VI, n. 652/01, CD musicali; n. 1699/01, Tim - Omnitel).


Se, dunque, la semplice identità delle condizioni di offerta da parte degli imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata (salvo il caso eccezionale nel quale l’anomalia dell’appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come frutto di un’intesa illecita sul versante concorrenziale), quando esistono elementi di riscontro, quali lo scambio di informazioni, si presume il carattere illecito del parallelismo, con una sostanziale inversione dell’onere della prova, gravante in tal caso sulle imprese al fine di spiegare la razionalità economica delle condotte parallele in una prospettiva di autonome iniziative imprenditoriali; ciò che si presume è le imprese tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato, spettando alle stesse imprese l’onere della prova contraria (Corte Giust. CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par.121).


Con riferimento all’onere probatorio, si può allora concludere che un parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese, di per sé lecito, può essere considerato come frutto di un'intesa anticoncorrenziale, ove emergano indizi gravi, precisi e concordanti rappresentati, alternativamente o cumulativamente:
a) dall’impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali (onere a carico dell’Autorità);
b) dalla presenza di elementi di riscontro (quali contatti e scambi di informazioni) rivelatori di una concertazione e di una collaborazione anomala (l’onere probatorio contrario viene spostato in capo alle imprese).


Gli orientamenti innanzi menzionati vanno confermati. Qui si tratta solo di verificare se l’argomentazione complessivamente svolta dal TAR soddisfa i postulati logici ivi indicati.


Li soddisfa.

Per quanto attiene alla singola sequenza probatoria, diretta ad estrapolare da elemento noto una conoscenza sul fatto (illecito) ignoto, il TAR ha proceduto alle opportune operazioni di corroboration e di cumulative redundancy, dando conto innanzitutto degli elementi convergenti con il risultato acquisito, in secondo luogo della assenza di valide ipotesi alternative di spiegazione.


L’ampia analisi condotta dal TAR è caratterizzata da continui riferimenti incrociati a sostegno di ciascun elemento e dalla valutazione di spiegazioni alternative. L’affermazione che l’allegazione di dette spiegazioni toccava alla difesa ha costituito, in realtà, nulla di più dell’applicazione del postulato secondo cui l’interessato può - e, sul piano epistemologico, “deve” - fornire letture dei fatti che sfuggono ai terzi, sicché la loro mancata o inadeguata indicazione rafforza la tesi dell’accusa.


Venendo all’inferenza globale il Collegio ha più volte richiamato, a sostegno della validità della ricostruzione effettuata nelle sentenze appellate, la distinzione tra le condotte di esecuzione dell’intesa e gli effetti dell’intesa sul mercato.


L’ipotesi è deduttivamente confermata poiché l’assunto accusatorio da spiegazione di tutti i fatti accertati nell’istruttoria amministrativa.


Resta l’ultima verifica, quella decisiva, avente ad oggetto il grado di capacità esplicativa della stessa rispetto ad ogni ipotesi alternativa.


Qui occorre premettere come la circostanza che non tutti gli indizi gravino su tutte le società non è un fattore ostativo al riconoscimento dell’intesa. Infatti rileva, da un lato, che gli elementi abbiano consistenza tale da delineare l’accordo, dall’altro che ciascuna società sia gravata da plurimi indizi in ordine alla sua partecipazione alla medesima.


Ciò posto il Collegio ritiene che non siano emerse ragionevoli giustificazioni dei dati storici estrinseci ed intrinseci che, nella presente vicenda, hanno caratterizzato il mercato e i comportamenti dei suoi attori.


Il complesso dei fatti accertati trova un’ottimale spiegazione nella tesi che le appellanti hanno dato luogo ad un’intesa anticoncorrenziale, di cui costituiscono attuazione o effetto. La duplice natura dei fenomeni rilevati, in rapporto di causalità giuridica o materiale con l’ipotizzato pactum rende altamente improbabile, per non dire logicamente impossibile, che gli stessi siano riconducibili a fattori diversi.


Neppure qui può predicarsi l’inversione dell’onere della prova, atteso che non si imputa agli accusati l’onere di dimostrare l’assenza di responsabilità, bensì si assume che la responsabilità loro contesta sia l’unica ragionevole spiegazione degli elementi emersi.


13. Gli appelli delle società petrolifere attingono, da ultimo, le sanzioni pecuniarie e ordinatorie irrogate.


Il primo giudice (v. 3.5) ha condiviso l’impostazione dell’Autorità, come pure la graduazione delle sanzioni. Il Collegio procede preventivamente a fissare il quadro teorico cui intende fare riferimento nel sindacato sulle sanzioni pecuniarie applicate dall’Autorità.


La Sezione si è ormai da tempo espressa in favore della tesi dell’applicabilità ai giudizi in materia antitrust dell’art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981, che prevede il potere del giudice di annullare in tutto o in parte (l’ordinanza) o di modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta.
La Sezione ha aderito alla tesi dell’applicabilità del citato art. 23 e della conseguente giurisdizione di merito sulle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità (con possibilità quindi di modificarle in sede giurisdizionale), richiamando sia il principio di legalità, che tutela il diritto del privato a non subire imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 23 Cost.), sia la compatibilità con i principi della legge n. 287/1990 dell’art. 23 della legge n. 689/1981, sia infine la diversità del potere esercitato dall’Autorità per l’applicazione di una sanzione amministrativa tipicamente punitiva, quale quella pecuniaria (Cons. Stato, VI, 24 maggio 2002, n. 2869; 30 agosto 2002 n. 4362; 2 agosto 2004, n. 5368).


Del resto, il riconoscimento di tale tipo di sindacato giurisdizionale è coerente con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, che ha sempre ritenuto la sussistenza di una competenza di merito del giudice, che consenta anche la modifica delle sanzioni irrogate dalla Commissione; ed è anche coerente con le prospettive di armonizzazione del diritto della concorrenza, tenuto conto che l’art. 31 del reg. CE n. 1/2003 prevede che la Corte di Giustizia possa estinguere, ridurre o aumentare le ammende irrogate dalla Commissione, qualificando tale competenza giurisdizionale “di merito” (Trib. Ce, 11-3-99, T-141/94, Thyssen Stahl AG, par. 646 e 674 e Corte Giust. CE, 16-11-2000, C-291/98,, Sarriò - Cartoncino, par. 70-71).


Ciò premesso, si rileva che alla fattispecie in esame, in considerazione del protrarsi dell’intesa anche oltre il 2001, è stato correttamente applicato l’art. 15 della legge n. 287/90, modificato dall’art. 11, comma 4 della legge n. 57/2001, che ha ampliato il margine di discrezionalità dell’Autorità nella quantificazione delle sanzioni attraverso l’eliminazione di una percentuale minima della sanzione, che è rapportata ora all’intero fatturato dell’impresa.


Il citato art. 15 subordina la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria ai “casi di infrazioni gravi” e impone di tenere conto, “della gravità e della durata dell'infrazione”.


13.1 Le appellanti contestano in primo luogo il giudizio di gravità dell’infrazione, qualificata come “molto grave” dall’Autorità e sostiene che lo scambio di informazioni in sé costituisce un illecito non grave e che l’Autorità ha fondato la sua valutazione su un approccio puramente formalistico, basato sul solo criterio della natura dell’infrazione.


La censura è infondata.
In primo luogo, si rileva che l’Autorità ha fatto riferimento ai criteri di quantificazione, contenuti nella Comunicazione della Commissione 98/C9/03 sul calcolo delle ammende ed in base a tali criteri ha correttamente ritenuto molto grave una intesa “realizzata attraverso un intenso e continuato scambio di informazioni, il coordinamento delle rispettive strategie di gara, l’adozione di comportamenti punitivi e gli ostacoli opposti all’accesso al mercato di nuovi operatori”.


Si rileva che la Commissione europea, in sede di formulazione dei menzionati criteri, ha classificato come molto gravi quelle infrazioni, consistenti in restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati, o di altre pratiche che preguidicano il buon funzionamento del mercato interno.


A differenza di quanto sostenuto dalle appellanti, tale criterio, fondato sulla natura dell’infrazione, è stato applicato dall’Autorità senza trascurare la concreta fattispecie in esame; si è, infatti, tenuto conto dell’impatto rilevante sul mercato, derivante dal coinvolgimento di tutte le principali imprese del settore e degli effetti dell’intesa.


Va poi sottolineato come l’illecito contestato non sia costituito dal solo scambio di informazioni quale pratica anticoncorrenziale in sé, ma da una più complessa intesa, che ha avuto ad oggetto e per effetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori, nonché un intenso e continuato scambio di informazioni idonee al raggiungimento di tali obiettivi.


Peraltro, la Sezione ha già in passato confermato la gravità di un illecito, consistente in uno scambio di informazioni in sé, per il quale era stato contestato il solo oggetto anticoncorrenziale, e non anche gli effetti (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002, Rc Auto) e tale gravità è confermata, ed anzi è correttamente qualificata come “molto grave” nel caso di specie, in cui - come appena detto - non è sanzionato uno scambio in sé, ma una più complessa intesa.


13.2 Complementare alla precedente è la censura con cui si deduce la non intenzionalità dell’infrazione, tenuto conto del dubbio esistente sul carattere illecito delle condotte contestate.


Il motivo è infondato.
Infatti, secondo una giurisprudenza costante, perché un'infrazione alle norme del Trattato sulla concorrenza si possa considerare intenzionale, non è necessario che l'impresa sia stata conscia di trasgredire tali norme, ma è sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come scopo la restrizione della concorrenza (Corte Giust. CE, 8 novembre 1983, cause riunite da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ, punto 45; Trib. Ce, 6 aprile 1995, causa T-141/89, Trefileurope, punto 176, e 14 maggio 1998, causa T-310/94, Gruber + Weber, punto 259; 12-7-2001, British Sugar cit. punto 127; per la giurisprudenza interna, v. Cons. Stato, VI, n. 2199/2002).


Nel caso di specie, le imprese coinvolte sono di dimensioni tali da disporre certamente delle conoscenze giuridiche e economiche necessarie per conoscere il carattere illecito della loro condotta e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista del diritto della concorrenza.


Tale consapevolezza emerge chiaramente, anche con riferimento allo scambio di informazioni, da alcuni documenti istruttori (a mero titolo esemplificativo, si può richiamare il doc. 503, citato nel par. 355 dell’impugnato provvedimento, consistente in una mail inviata da un rappresentante di ESSO nell’agosto 2004 agli uffici di SHELL e della stessa ESSO per avere la migliore stima dell’erogato atteso delle due società all’aeroporto di Bergamo - ove operano in joint venture - per l’anno a venire, in cui viene espressamente precisato:“Vi prego di assicurarvi di rispondere SOLTANTO a me […], dal momento che le informazioni che fornirete potrebbero essere considerate sensibili sotto il profilo della normativa antitrust”).


Non poteva sussistere alcun dubbio sul carattere illecito delle condotte in questione e deve, quindi, escludersi che il profilo dedotto possa assumere rilevanza per escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo o anche solo per integrare una circostanza attenuante, idonea a diminuire la quantificazione della sanzione.


Va, inoltre rilevato che il giudizio di gravità non è viziato da un’omessa considerazione del carattere non esteso delle zone geografiche interessate dall’infrazione, come sostenuto dall’appellante, in quanto la dimensione nazionale del mercato di riferimento, correttamente individuata dall’Autorità impedisce di considerare circoscritto l’impatto dell’intesa sul mercato, anche prescindendo dall’analisi circa le condotte di ciascuna impresa in relazione ai singoli aeroporti.


13.3 Le appellanti, con diversa insistenza, contestano l’omessa riduzione della sanzione in relazione al ruolo marginale svolto nell’intesa e al limitato peso nel mercato di riferimento.


Al riguardo, si osserva che in realtà l’Autorità non ha applicato le sanzioni in maniera indifferenziata per tutte le imprese, ma ha tenuto conto dei menzionati elementi e, in particolare, dell’effettiva capacità economica di ciascuna impresa di pregiudicare in modo significativo la concorrenza; dell’importanza relativa di ciascuna impresa sui mercati interessati, quale elemento indicativo del diverso impatto che ogni singola impresa ha determinato sulla concorrenza; della dimensione assoluta delle imprese, anche al di fuori dei mercati interessati.


Ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria, le imprese sono state così suddivise in tre categorie a seconda della loro dimensione rispetto alle vendite complessive di jet fuel nel 2004 (unica impresa con oltre il 40% del mercato; imprese con quote comprese tra l’11 e il 20%; imprese che hanno quote fino al 10%).


Tale metodo di quantificazione è ragionevole e corretto e consente di differenziare l’importo base delle sanzione, proprio in base ai criteri invocati dall’appellante e di applicare successivamente le circostanze attenuanti o aggravanti in maniera diversa per le singole imprese.


Circa l’eccessiva entità della sanzione in concreto applicata e la sproporzione rispetto all’utile percepito dalle imprese per i prodotti oggetto dell’intesa, si deve tenere presente che il citato art. 15, come modificato nel 2001, impone di considerare come parametro primario di riferimento il fatturato complessivo dell’impresa, e non il fatturato relativo ai prodotti oggetto dell'intesa come previsto in precedenza.


La Sezione aveva subito evidenziato che la nuova disposizione implicava la necessità di una più adeguata motivazione della quantificazione della sanzione pecuniaria da irrogare, attraverso l’indicazione di criteri di ordine generale o in alternativa mediante specifiche e più approfondite spiegazioni relative ai singoli casi anche confrontati con le sanzioni già irrogate (Cons. Stato, VI, 30 agosto 2002 n. 4362). Ciò per una esigenza di uniformità al fine di evitare che la quantificazione delle sanzioni venga decisa caso per caso con intervento poi del giudice, anche esso privo di uniformità.


Come già detto, l’Autorità ha utilizzato i criteri contenuti nella citata Comunicazione della Commissione 98/C9/03 sul calcolo delle ammende; si tratta di criteri che prevedono misure assolute di sanzioni, correlate agli elementi del grado di gravità, della durata e della presenza di circostanze attenuanti o aggravanti (criteri, peraltro, orma modificati dai nuovi Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 - 2006/C 210/02; i nuovi criteri “comunitari” sono ora riferiti in percentuale rispetto al il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l'infrazione direttamente o indirettamente si riferisce).


L’applicazione dei criteri della Comunicazione della Commissione del 1998 presuppone uniformità e coerenza tra i diversi procedimenti condotti dall’Autorità e, con riguardo al caso di specie, si rileva che secondo quanto dedotto dall’Avvocatura dello Stato, e non contestato dalle parti, gli importi base delle sanzioni sui collocano per tutte le imprese su valori inferiori all’1% del fatturato; misura da ritenere congrua pur se si tiene conto, nella complessiva valutazione, del fatturato di prodotto e anche con riferimento ad analoghe fattispecie esaminate da questa Sezione e richiamate in un recente precedente, in cui la misura della sanzione è stata rideterminata in giudizio proprio nell’1 % del fatturato a seguito di una istruttoria svolta sui criteri di quantificazione delle sanzioni utilizzati dall’Autorità nell’ultimo triennio (Cons. Stato, VI, disp. n. 500/2007).


L’Autorità ha inoltre tenuto conto della situazione economica delle imprese, caratterizzata per tutte da risultati positivi ad eccezione di Shell IAV, che ha registrato perdite tenute in considerazione in sede di determinazione della sanzione.


14.4 Negli appelli - con eccezione di Total - viene lamentata, poi, la inadeguata valutazione fatta dall’Autorità con riguardo agli impegni proposti, la disparità di trattamento rispetto alla più favorevole considerazione degli impegni proposti da Total e l’insufficiente peso attribuito allo sforzo collaborativo sostenuto.


L’Autorità ha replicato, evidenziando che a differenza degli impegni proposti da diverse imprese, solo Total ha posto in essere un vero e proprio ravvedimento operoso e che comunque il potere di valutare gli impegni delle imprese può essere esercitato con ampi margini di discrezionalità; ha aggiunto che le decisioni di accettazioni di impegni con chiusura dell’istruttoria senza accertamento dell’infrazione, previste dal Reg. CE n. 1/2003, sono state introdotte nel nostro ordinamento solo dall’art. 14 della legge 4 agosto 2006 n. 248, mentre al momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento non era sanzionabile il mancato rispetto degli impegni, oltre ad essere tali decisioni non utilizzabili per gli illeciti anticoncorrenziali più gravi, quali quello in esame.


Il motivo di appello è privo di fondamento, anche se vanno fatte delle precisazioni con riguardo agli argomenti sollevati dalle parti.


Con riguardo agli impegni, il Regolamento CE n. 1/2003 ha previsto tale nuova forma di decisione da parte delle Autorità antitrust: l’accettazione degli impegni assunti dalle imprese con chiusura del procedimento. La Commissione europea, confortata dalla Corte di giustizia, già in precedenza aveva utilizzato un simile strumento, archiviando alcuni procedimenti a seguito dell’assunzioni di impegni da parte delle imprese assoggettate al procedimento (cfr., Corte Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142 e 156/84, Philip Morris).


Con l’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 è stato previsto che qualora la Commissione intenda adottare una decisione volta a far cessare un'infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese, chiudendo il procedimento, che può essere riaperto: a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione; b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti.


L’art. 35 del Reg. n. 1/2003 ha previsto che le misure necessarie per conferire alle autorità nazionali il potere di applicare gli articoli del regolamento sono adottate entro il 1° maggio 2004 e ciò in Italia è in parte avvenuto con la citata legge 4 agosto 2006 n. 248; tuttavia, non tutte le disposizioni del regolamento necessitano di una attuazione ed, infatti, l’art. 5 dello stesso Regolamento n. 1/2003 prevede che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato in casi individuali e che a tal fine, agendo d'ufficio o in seguito a denuncia, possono adottare alcune decisioni, tra cui è inclusa quella di accettare impegni.


Deve, quindi, ritenersi che i poteri indicati dall’art. 5 del Reg. n. 1/03, che riguarda le autorità nazionali, siano immediatamente esercitabili da queste, mentre le ulteriori misure previste dagli artt. 7 e ss., che si riferiscono alla sola Commissione, necessitano di un intervento normativo interno, in parte avvenuto per l’Italia.


Anche all’epoca dell’adozione dell’impugnato provvedimento era, quindi, possibile adottare una decisione di accettazione di impegni e la tesi dell’Autorità di inapplicabilità (almeno parziale) della disposizione contrasta con quanto dalla stessa Autorità sostenuto con riferimento alla possibilità di imporre rimedi strutturali (peraltro menzionati dal solo art. 7 tra i poteri della Commissione, e non dall’art. 5) e con l’utilizzo dello strumento delle misure cautelari effettuato dall’Autorità anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 248/2006 (provvedimento AGCM n. 14388 del 15-6-2005 - Merck, confermato da Tar Lazio, I, n. 1713/2006).


Tuttavia, fino all’entrata in vigore della legge n. 248/06, non era possibile sanzionare con ammenda il mancato rispetto degli impegni, in quanto l’art. 23 del Regolamento n. 1/03, che prevede tale possibilità, riguarda solo la Commissione e non le Autorità nazionali, che quindi possono solo disporre la riapertura del caso a seguito del mancato rispetto degli impegni assunti (sanzione ora possibile ex art. 14-ter, comma 2, legge n. 287/90).


Ciò comporta che fino all’introduzione del citato art. 14-ter vi era in effetti, come sostenuto dall’Autorità, una maggiore discrezionalità nel procedere all’accettazione di impegni, trattandosi di uno strumento sfornito di potere sanzionatorio in caso di mancato rispetto degli impegni.


Tale maggiore discrezionalità è comunque soggetta al sindacato giurisdizionale e tanto più lo è a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14-ter, con possibilità di contestare sia la mancata accettazione degli impegni, sia l’accettazione degli stessi (contestazione in questo caso azionabile dalle imprese controinteressate rispetto a quelle assoggettate al procedimento).


Del resto, lo stesso Reg. n. 1/03 (considerando 13), all’evidente fine di evitare che l’accettazione degli impegni diventi solo un modo per evitare la sanzione, diminuendone così l’efficacia deterrente, precisa che le decisioni concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione (in questo caso, l’Autorità) intende comminare un'ammenda, inducendo a ritenere applicabile l’istituto soprattutto nei casi meno gravi.


Ciò esclude in radice l’ammissibilità dell’applicazione della decisione dell’accettazione di impegni nel caso in esame, in cui l’illecito è stato (correttamente, come appena accertato) qualificato come molto grave e in cui - si ribadisce - i margini di discrezionalità dell’Autorità erano più ampi, in assenza del (poi introdotto) potere di sanzionare il mancato rispetto degli impegni.


Gli impegni proposti dalle appellanti potevano, tuttavia, essere valutati non al fine della chiusura dell’istruttoria, ma per una riduzione della sanzione, tenuto conto che l’art. 11 della legge n. 689/1981, applicabile alle sanzioni antitrust in virtù del richiamo contenuto nell’art. 31 della legge n. 287/90 e della compatibilità con tale legge, prevede che, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria, si tenga conto dell'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione.


La Sezione ha già interpretato restrittivamente tale disposizione con riferimento ai procedimenti antitrust, affermando che gli impegni validi per il futuro non sono idonei a essere apprezzati quale circostanza attenuante dell’abuso già consumato, riferendosi il citato art. 11 agli impegni relativi agli abusi pregressi (Cons. Stato, VI, n. 1271/2006, Telecom).


Anche volendo accedere ad una interpretazione meno restrittiva della norma, si rileva che gli impegni proposti da un lato costituivano meri adempimenti, comunque dovuti ai fini dell’eliminazione dell’infrazione e, dall’altro lato, riguardavano ipotetiche cessioni di parte delle quote del capitale delle imprese comuni o generiche possibili soluzioni alternative da discutere con l’Autorità, in caso di difficoltà nella cessione di parte delle quote.


Correttamente l’Autorità ha valutato tali impegni come manifestazione di collaborazione, idonea ad applicare una riduzione della sanzione.


Né può sostenersi che gli impegni debbano essere rivalutati a seguito dell’annullamento della misura strutturale imposta dall’Autorità, in quanto contenuto della diffida e impegni si pongono su due piani diversi: la diffida deve restare entro i limiti di cui all’art. 15 della legge n. 287/90 e all’art. 5 del Reg. CE n. 1/03 e non deve costituire uno strumento per imporre misure estranee al contenuto dell’illecito accertato; mentre gli impegni non sono strettamente vincolati e possono anche riguardare misure, estranee al contenuto della diffida; di conseguenza, l’annullamento delle misure strutturali non travolge le considerazioni svolte dall’Autorità con riguardo agli impegni proposti dalle parti, anche laddove con tali valutazioni sia stata espressa una preferenza per gli impegni strutturali.


Non sussiste, infine, alcuna disparità di trattamento rispetto alla valutazione degli impegni di Total, in quanto tali impegni, descritti nei par. 283 e ss. dell’impugnato provvedimento, hanno riguardato non comportamenti futuri, ma concrete determinazioni idonee a consentire il superamento delle barriere all’accesso nel mercato del jet fuel (par. 301 - 303: accordo con Alitalia per favorire il ricorso all’autofornitura, che - come si è visto - era stata in passato ostacolata dalle imprese).


Si tratta di un impegno ben diverso da quelli proposti dalle altre imprese, idoneo ad attenuare le conseguenze dell’illecito antitrust posto in essere e la cui positiva valutazione non può essere affievolita dalla disponibilità delle infrastrutture da parte di Total, in quanto anche le altre imprese, nei limiti delle proprie disponibilità, avrebbero potuto proporre impegni caratterizzati da maggiore concretezza.


14.5 La sola Kuwait appella in relazione al mancato annullamento del punto d) del dispositivo del provvedimento impugnato (che imponeva misure comportamentali), deducendo da un lato la carenza di potere dell’Authority nel disporle e, dall’altro, la violazione del divieto di reformatio in peius, da parte del TAR, posto che l’annullamento delle misure strutturali avrebbe trasformato quelle comportamentali da provvisorie (essendo limitate al periodo - fino al 30 giugno 2008 - assegnato per l’adozione di quelle strutturali) in definitive.


Le censure sono infondate.
Le prescrizioni contestate prevedono di adottare (e comunicare entro novanta giorni) le nuove modalità di conduzione delle imprese comuni tali da assicurare la piena autonomia gestionale delle imprese comuni rispetto alle società petrolifere; impedire che l’attività delle imprese comuni comporti uno scambio di informazioni tra le imprese stesse e tra queste e i soci non strettamente indispensabile per l’operatività delle imprese stesse; impedire che i rappresentanti dei soci negli organi direttivi, nel management e nei quadri operativi delle società comuni vengano a conoscenza di informazioni relative ai concorrenti non strettamente indispensabili per l’operatività delle imprese stesse; impedire che i medesimi rappresentanti dei soci nelle società comuni mantengano, comunque, rapporti con gli esponenti delle funzioni commerciali delle società di appartenenza.


Siffatte prescrizioni non appaiono incompatibili con il quadro complessivo dei poteri in materia antitrust di cui dispone l’Autorità nazionale. L’inibitoria di intese, restrittive della libertà di concorrenza, non può prescindere dalla puntuale individuazione e dall’inibitoria delle condotte ritenute lesive, quali parametri cui rapportare la necessaria verifica di ottemperanza alla diffida, non essendo - in caso contrario - in alcun modo verificabile (se non a distanza di molto tempo e in base all’andamento generale del mercato) il superamento dei patti occulti, indirizzati al sovvertimento della libera concorrenza.


Il contenuto della diffida è vincolato al dettato normativo, che lo ancora all’eliminazione delle infrazioni (art. 15 della legge n. 287/90) o alla cessazione delle stesse (art. 5 del Reg. CE n. 1/03). Ma tale contenuto va interpretato e la Sezione ha già precisato che la diffida “per l’eliminazione dell’infrazione” - che costituisce atto dovuto da parte dell’Autorità - non ha solo il fine di eliminare i comportamenti oggetto dell’intesa, che come fatti storici non potrebbero essere cancellati, ma anche quella di rimuovere, ove possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro (Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip)


La diffida ha quindi anche lo scopo di intimare alle imprese di astenersi dagli accertati comportamenti anticoncorrenziali per il futuro.


La Sezione (n. 5368/04) ha già avuto modo di pronunciarsi sul carattere atipico del potere di diffida - di cui l’adozione di misure comportamentali costituisce logico corollario - muovendo proprio dal criterio teleologico dell’effetto utile, che consente quel margine di flessibilità all’intervento dell’Autorità antitrust tale da renderlo il più adeguato all’obiettivo di tutela della concorrenza.


Quanto all’obiezione che le misure in esame si sarebbero trasformate in definitive, essendo venuto meno il limite temporale fissato nel provvedimento impugnato, è agevole rilevare che tale ipotizzato fenomeno non si traduce certo in un vizio della sentenza appellata, apparendo per contro del tutto improprio invocare il divieto di reformatio in peius, atteso che l’effetto postulato dall’appellante potrebbe ascriversi solo in via indiretta alla sentenza.


15. Vanno, infine, esaminati gli appelli dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, aventi ad oggetto la statuizione di annullamento del punto c) del dispositivo della delibera, con cui si ordinava alle Società Eni, Esso e Kuwait per Hub e Par, alle società Shell Iav, Tamoil, Total per Rai e alle società Eni, Esso, Kuwait, Shell Iav, Total per Disma e Seram di definire le iniziative atte a eliminare la compresenza di più società petrolifere nel capitale sociale delle predette imprese comuni e perfezionarle entro il 30 giugno 2008.


Tale disposizione è stata annullata in accoglimento delle censure formulate nei ricorsi di primo grado con cui si deduceva, tra l’altro, eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento dei fatti ed illogicità della motivazione.


In particolare il TAR ha ritenuto che le suddette sanzioni violassero il principio di proporzionalità.


A sostegno della tesi il giudice di primo grado ha valorizzato gli impegni strutturali presentati dalle compagnie petrolifere relativamente alle società comuni, consistenti nell’apertura del capitale sociale a soggetti terzi portatori di interessi contrapposti a quelli delle società petrolifere, quali le compagnie aeree. Tale soluzione è stata rifiutata dall’Autorità in quanto l’alterazione delle condizioni di mercato è stata agevolata dalla compresenza di più società petrolifere nella compagine sociale di una stessa impresa di stoccaggio e/o messa a bordo, sicché lo stesso mantenimento della compresenza di più società petrolifere nelle imprese comuni sarebbe incompatibile con l’eliminazione dell’infrazione.


Osserva in primo luogo il TAR che non viene dimostrato concretamente il carattere di “inefficacia” assunto dalla rimodulazione (prospettata dalle stesse società petrolifere) della struttura societaria delle joint ventures: laddove l’ipotizzata apertura alla partecipazione di soggetti (come le compagnie aeree) in capo ai quali è ragionevolmente predicabile la presenza di diversi (quando non addirittura contrapposti) interessi ben avrebbe potuto propiziare quelle forme di “controllo societario” atte a scongiurare l’iterazione di condotte esclusivamente improntate alla cura degli interessi “di cartello” delle società petrolifere (soprattutto ove si considerino le problematiche vicende, pur evidenziate da AGCM, che avrebbero impedito ad alcuni vettori, in primis Alitalia, quell’accesso al mercato idoneo a propiziare, in capo ad essi, lo svolgimento di pratiche di self-supply).


Per converso le misure strutturali imposte dall’Autorità, aprendo inevitabilmente la strada ad assetti proprietari di tipo monosoggettivo, trascurano la valenza distorsiva che siffatta strutturazione sociale potrebbe indurre sul mercato. Inoltre precludono, gravosamente, alle società petrolifere di beneficiare di economie di scala lecite, ed anzi virtuose.


Infine il TAR critica la mancata considerazione dell’impegno a ridurre i flussi informativi tra i soci delle joint venture assunto dall’Autorità, la cui idoneità al fine di sterilizzare l’alimentazione dei presupposti informativi per l’impostazione delle strategie di mercato poste in essere delle partecipanti alle società comuni attenuta la ragion d’essere di sanzioni strutturali.


In applicazione della normativa comunitaria (a tenore della quale “i rimedi strutturali dovrebbero essere imposti solo quando non esiste un rimedio comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe più oneroso, per l'impresa interessata, del rimedio strutturale”), ravvisata da un lato l’assenza all’interno delle valutazioni operate da AGCM di una motivata valutazione di inefficacia dei rimedi comportamentali pure comminati, dall’altro la comparazione fra i rimedi stessi in termini di “onerosità” a carico delle imprese da essi interessate, il TAR ha concluso per l’illegittimità della disposizione di cui al capo c) del dispositivo della delibera impugnata.


L’Autorità deduce nei suoi appelli di avere attentamente considerato i rimedi alternativi e la gravosità di quelli comminati, sia nell’ambito del più generale contesto della valutazione dell’intesa illecita e del ruolo che vi hanno avuto le società comuni, sia con specifico riguardo alle proposte formulate dalle società petrolifere. Rileva, altresì, che le misure comportamentali applicate (lettera d della determinazione) sarebbero insufficienti e non potrebbero, pertanto, essere prese a paragone. L’obiezione di fondo è che il giudice di primo grado si è ingerito nella discrezionalità dell’amministrazione, ipotizzando che altre misure correttive avrebbero soddisfatto lo scopo.


Il motivo di appello è infondato.
Come innanzi descritto il TAR ha censurato la motivazione posta a fondamento dell’erogazione di misure strutturali, la cui incidenza sul diritto di proprietà e di impresa è di tale portata da renderne problematico l’impiego specie quando altra misura risulti adeguata all’esito di una valutazione approfondita. La doverosità di tale giudizio da parte dell’amministrazione procedente implica che in siffatte ipotesi il sindacato giurisdizionale possa estendersi alla comparazione con altre soluzioni praticabili - ma non praticate - dall’Autorità.


La Sezione (decisione n. 1736/07) ha già avuto modo di precisare che il principio di proporzionalità, che investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino (in specie quelle di ordine fondamentale) e, a maggior ragione, la graduazione della sanzione, assume nell'ordinamento interno lo stesso significato che ha nell'ordinamento comunitario. Come è oggi confermato dalla clausola di formale ricezione ex art. 1, comma 1 L. 24/90 come novellato dalla L. 15/05. Equivalenza particolarmente pregnante nel sistema antitrust, articolato su un livello a due piani, nazionale e comunitario, il cui rapporto è retto dal principio di sussidiarietà.


Esso, dunque, si articola in tre distinti profili:
a) idoneità > rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo perseguito. In virtù di tale parametro l'esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l'obiettivo;
b) necessarietà > assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor sacrificio;
c) adeguatezza > tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In virtù di tale parametro l'esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione.


Tali parametri sono stati violati dall’Autorità e il giudice di primo grado correttamente ha svolto quel sindacato intrinseco consentito dall’avvento del principio di proporzionalità come strumento di controllo del rapporto tra mezzo e fine e, dunque, esame della giustificazione teleologica della scelta amministrativa.


La diffida per l’eliminazione dell’infrazione rientra tra i poteri-doveri dell’Autorità (art. 15 della legge n. 287/90) ed ha la finalità di rimuovere, ove possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro (Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip), in stretta coerenza con la natura e l’oggetto dell’intesa.


La misura strutturale annullata dal TAR è stata imposta perché il mantenimento della compresenza delle società petrolifere nelle imprese comuni è stato ritenuto incompatibile con l’eliminazione dell’infrazione. Tale valutazione contrasta con l’impostazione dell’impianto accusatorio, con cui è stata contestata l’illiceità dell’utilizzo delle imprese comuni da parte delle società petrolifere, e non la mera costituzione di tali imprese.


Se la condotta illecita è costituita da un uso distorto delle imprese comuni, il contenuto della diffida non potrà essere l’eliminazione delle imprese (nel senso di eliminare la compresenza delle società petrolifere), ma l’ordine di cessare quei comportamenti che hanno consentito la realizzazione dell’intesa illecita, con particolare riguardo allo scambio di informazioni sensibili.


Gli appelli dell’Alitalia vanno, dunque, respinti. Ne consegue l’improcedibilità degli appelli incidentali, azionati da Total Italia Spa e Kuwait Petroleum Italia Spa con riguardo allo stesso capo delle sentenze impugnate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riunisce tutti gli appelli e li respinge. Dichiara improcedibili gli appelli incidentali proposti da Total Italia Spa e Kuwait Petroleum Italia Spa.
Compensa tra le parti le spese dei giudizi.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 20 novembre 2007, con l'intervento dei sigg.ri:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Francesco Bellomo Consigliere Est.

Presidente
Giovanni Ruoppolo


Consigliere                                          Segretario
Francesco Bellomo                              Giovanni Ceci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il 08/02/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva


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