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CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424
CONSUMATORI - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Sindacato
del giudice amministrativo - Rivalutazioni tecniche compiute dall’Autorità -
Potere del G.A.. Il sindacato del giudice amministrativo è pieno e si
estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta
dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, potendo sia rivalutare le
scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione
dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame (Cons.
Stato VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip). Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo -
TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27
febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007),
Sentenza n. 424
CONSUMATORI - Scambio di informazioni - Illecito antitrust - Configurabilità
- Fattispecie: Carburante per aerei jet fuel - Omogeneità dei prezzi -
Scambi di informazioni. La possibilità di acquisire aliunde le
informazioni scambiate non comporta di per sé la liceità dello scambio. Tuttavia
non si deve dimenticare che lo scambio di informazioni è stato ritenuto
integrare in alcuni casi un illecito antitrust in sé (Cons. Stato, VI, n.
2199/02, Rc Auto). Nel caso di specie, le informazioni scambiate riguardavano
dati previsionali, certamente sensibili, quali le informazioni sulle quantità di
carburante che una società petrolifera prevede di erogare in un determinato
scalo in un determinato periodo di tempo, confrontate con quanto erogato
nell’anno precedente o dati altrettanto sensibili quali la conoscenza della
tariffa applicata a ciascun utilizzatore, che comporta la conoscenza di uno
degli elementi di costo cui devono far fronte i concorrenti nello stabilire le
proprie politiche commerciali. Le imprese si scambiavano anche dati utili al
monitoraggio delle condotte dei concorrenti: dati su erogati e sui clienti e
sugli aggiudicatari delle gare. Riguardo a queste ultime informazioni, va
rilevato che si trattavano di dati non pubblici, essendo l’aggiudicazione delle
commesse comunicate alle sole società interessate e, pur potendo successivamente
essere conosciuto tale elemento, è evidente che la tempestiva conoscenza
consentiva il controllo sulla stabilità delle quote e l’eventuale adozione di
immediate reazioni ritorsive in caso di inadempimenti. In definitiva, non si
poteva sostenere che la circolazione dei dati sui clienti condivisi non era
illecita, in quanto tali dati non avevano l’attitudine a rivelare la posizione
sul mercato e le strategie dei concorrenti. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo -
TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27
febbraio 2007). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007),
Sentenza n. 424
CONSUMATORI - Intesa anticoncorrenziale vietate - Oggetto anticoncorrenziale
- Jet fuel - Scambi di informazioni. L’intesa anticoncorrenziale può
essere sanzionata anche indipendentemente dai suoi effetti. L’art. 2 della legge
n. 287/90, dopo aver precisato che si considerano intese gli accordi e/o le
pratiche concordate, statuisce che sono vietate le intese tra le imprese che
abbiano per oggetto o per l’effetto di impedire, restringere o falsare in
maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale
o in una sua parte rilevante. La norma è chiara nel richiedere la sola presenza
dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell’effetto (cfr.,
Corte Giust. CE, C - 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss.; Cons. Stato,
VI, n. 2199/2002 e n. 652/2001). Nel caso in esame l’Autorità ha dimostrato
anche l’esistenza di effetti anticoncorrenziali, riguardanti la stabilità delle
quote di mercato e il prezzo del jet fuel, al fine di rafforzare la prova
dell’intesa. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA S.p.A. (avv.ti
Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
(Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007). CONSIGLIO
DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424
CONSUMATORI - Scambio di informazioni tra imprese - Identità delle condizioni
di offerta - Carattere illecito del parallelismo - Inversione dell’onere della
prova - Fattispecie. In presenza di uno scambio di informazioni tra imprese,
il parallelismo di comportamenti economici si colora di illiceità, spettando
alle imprese dimostrare che il parallelismo non sia il frutto di comportamenti
anticoncorrenziali, agevolati dalla conoscenza reciproca di informazioni
rilevanti e sensibili (Cons. Stato, VI, n. 652/01, CD musicali; n. 1699/01, Tim
- Omnitel). Se, dunque, la semplice identità delle condizioni di offerta da
parte degli imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare
l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata (salvo il caso eccezionale
nel quale l’anomalia dell’appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come
frutto di un’intesa illecita sul versante concorrenziale), quando esistono
elementi di riscontro, quali lo scambio di informazioni, si presume il carattere
illecito del parallelismo, con una sostanziale inversione dell’onere della
prova, gravante in tal caso sulle imprese al fine di spiegare la razionalità
economica delle condotte parallele in una prospettiva di autonome iniziative
imprenditoriali; ciò che si presume è le imprese tengano conto delle
informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio
comportamento sul mercato, spettando alle stesse imprese l’onere della prova
contraria (Corte Giust, CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par.121). Nella specie,
l’illecito contestato non è costituito dal solo scambio di informazioni quale
pratica anticoncorrenziale in sé, ma da una più complessa intesa, che ha avuto
ad oggetto e per effetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet
fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori, nonché un intenso e
continuato scambio di informazioni idonee al raggiungimento di tali obiettivi.
Di fatto, le imprese coinvolte sono di dimensioni tali da disporre certamente
delle conoscenze giuridiche e economiche necessarie per conoscere il carattere
illecito della loro condotta e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista
del diritto della concorrenza. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA
S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007).
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CONSUMATORI - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Diffida -
Atto dovuto - Funzione - Effetti - Comportamenti anticoncorrenziali. Il
contenuto della diffida, costituisce atto dovuto da parte dell’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, è vincolato al dettato normativo, che lo ancora
all’eliminazione delle infrazioni (art. 15 della legge n. 287/90) o alla
cessazione delle stesse (art. 5 del Reg. CE n. 1/03). Ma tale contenuto non ha
solo il fine di eliminare i comportamenti oggetto dell’intesa, che come fatti
storici non potrebbero essere cancellati, ma anche quella di rimuovere, ove
possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle
imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro
(Cons. Stato, VI, n. 926/2004). La diffida ha quindi, anche, lo scopo di
intimare alle imprese di astenersi dagli accertati comportamenti
anticoncorrenziali per il futuro. Pres. Ruoppolo - Est. Bellomo - TAMOIL ITALIA
S.p.A. (avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato (Avv. Gen. Stato) ed altri. (conferma Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, sede di Roma nn. 1741-1745-1748-1750 del 27 febbraio 2007).
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 08/02/2008 (Ud. 20/11/2007), Sentenza n. 424
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.424/2008 REG.DEC.
N.5619-5766-5621
5764-5628-5762
5622-5767 REG:RIC.
ANNO 2007
Disp.vo 535/2007
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sui ricorsi riuniti in appello n. 5619 - 5766 - 5621 - 5764 - 5628 - 5762
5622 - 5767 del 2007, proposti da:
a) n. 5619/07 TAMOIL ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti,
presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, via Bissolati n. 76;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
a1) n. 5766/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del
Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato,
presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.
12;
c o n t r o
- TAMOIL ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti, presso il cui
studio è elettivamente domiciliata, in Roma, via Bissolati n. 76;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n.
1741 del 27 febbraio 2007.
b) n. 5621/07 ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e
difesa dall’avv. Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata presso il suo
studio, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
b1) n. 5764/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del
Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato,
presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.
12;
c o n t r o
- ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa
dall’avv. Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in
Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
- MAXOIL S.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n.
1745 del 27 febbraio 2007.
c) n. 5628/07 TOTAL S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata
e difesa dagli avv.ti. Denis Fosselard e Antonio Lirosi, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio Gianni, Origoni, Grippo & Partners, in Roma, via
delle Quattro Fontane n. 20;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- MAXOIL S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata
e difesa dall’avv. Gian Michele Gentile, elettivamente domiciliata presso il suo
studio in Roma, via G. Belli 27;
c1) n. 5762/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del
Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato,
presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.
12;
c o n t r o
- TOTAL S.p.A., in persona del legale rappresentante, non costituita
appellante incidentale
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, Piazza di Montecitorio 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
- MAXOIL s.p.a., non costituita;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n.
1748 del 27 febbraio 2007.
d) n. 5622/07 KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A., in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Cosmelli e Filippo
Satta, elettivamente domiciliata presso lo studio Satta & Associati, in Roma,
via Foro Traiano n. 1/A;
c o n t r o
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
d1) n. 5767/07 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del
Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato,
presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.
12;
c o n t r o
- KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Cosmelli e Filippo Satta,
elettivamente domiciliata presso lo studio Satta & Associati, in Roma, via Foro
Traiano n. 1/A;
appellante incidentale
nei confronti di
- ALITALIA - Linee Aeree Italiane S.p.A., in persona dei procuratori speciali,
rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Clarich, elettivamente domiciliata
presso il suo studio in Roma, Piazza di Montecitorio n. 115;
- I.A.T.A. - International Air Transport Association, non costituita in
giudizio;
- MAXOIL s.p.a., non costituita;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma n.
1750 del 27 febbraio 2007.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 20 novembre 2007 il Consigliere Francesco
Bellomo e uditi per le parti l’avv. Villata, gli avv.ti dello Stato Arena e Di
Torre, l’avv. Clarich, l’avv. Clarizia, l’avv. Lirosi, l’avv. Bassan per delega
dell’avv. Gentile e l’avv. Satta;
Ritenuto quanto segue:
F A T T O
1. Con separati ricorsi proposti dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale
del Lazio Tamoil Italia Spa, Eni Spa, Total Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa
domandavano l'annullamento del provvedimento adottato dall’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato nell’adunanza del 14 giugno 2006. A fondamento
dei ricorsi deducevano plurime censure di violazione di legge ed eccesso di
potere, nella sostanza largamente coincidenti.
Si costituiva in giudizio per resistere ai ricorsi l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato.
Con quattro sentenze di analogo contenuto il TAR accoglieva in parte i ricorsi,
annullando l’impugnata determinazione limitatamente al punto c) del dispositivo.
2. Le sentenze sono state appellate da tutte le ricorrenti in primo grado e
dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per quanto di rispettivo
interesse. Ciascuna parte si è costituita per resistere all’appello proposto
dalla controparte. Total Italia Spa e Kuwait Petroleum Italia Spa hanno,
altresì, appellato in via incidentale il capo delle sentenze ad essi favorevole.
Nei giudizi relativi a Tamoil Italia Spa, Total Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa
si è costituita Alitalia Spa, chiedendo il rigetto degli appelli.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Tutti gli appelli vanno riuniti per essere decisi con un’unica sentenza, attesa
la stretta connessione soggettiva ed oggettiva che li avvince.
Per una migliore intelligibilità del testo si premette l’indice della
esposizione:
1. il provvedimento impugnato;
2. i ricorsi di primo grado;
3. la motivazione delle sentenze appellate;
4. gli appelli delle parti private e la natura del procedimento antitrust;
5. i criteri di valutazione della prova con specifico riguardo all'intesa;
6. il mercato rilevante;
7. considerazioni preliminari sulla prova emersa;
8. scambio di informazioni e società comuni;
9. le condotte di ripartizione del mercato;
10. le condotte escludenti;
11. effetti dell'intesa sul mercato;
12. conclusioni sull'esistenza dell'intesa;
13. le sanzioni;
14. gli appelli dell’Autorità e gli appelli incidentali.
Di seguito la motivazione della decisione nell’ordine innanzi indicato, avendo
sin d’ora cura di precisare che il paragrafo 13 va letto in stretta combinazione
con i paragrafi 4 - 5 - 6 - 8.
1. Il provvedimento impugnato in primo grado nasce da un procedimento
istruttorio attivato il 9 dicembre 2004 dall’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato ai sensi dell’art. 14 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, al
termine del quale la stessa è giunta alla conclusione che “le Società
petrolifere ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL-SHELL IAV, TAMOIL, TOTAL, anche mediante lo
strumento delle imprese comuni DISMA, SERAM, HUB, RAM-RAI e PAR, … hanno posto
in essere un’intesa illecita, vietata dall’art. 81 del Trattato CE, in quanto
costituita da un insieme di condotte volte al coordinamento del comportamento
commerciale dei concorrenti all’interno di un contesto oligopolistico”.
Per l’Autorità, l’intesa censurata si sarebbe concretizzata nelle seguenti
condotte:
scambio di informazioni sensibili, sia fra le imprese comuni di stoccaggio e
messa a bordo del carburante che fra queste ed i propri soci, idonee sia a
orientare le reciproche strategie future per le gare indette dai vettori aerei
sia a favorire il controllo successivo dell’effettivo rispetto delle intese;
controllo delle forniture uscenti, concertazione delle gare, comportamenti
“punitivi” mirati quando alcuni concorrenti hanno attuato condotte divergenti da
quelle implicite nell’intesa;
rifiuti opposti, in varie forme, alle richieste di nuovi potenziali operatori
di utilizzare alcune infrastrutture che consentivano l’accesso al mercato.
Tali condotte sono state mirate al mantenimento delle specifiche caratteristiche
del mercato. L’effetto è stato di precludere l’ingresso di nuovi operatori,
rafforzare l’adozione di strategie scarsamente aggressive da parte degli
operatori esistenti e l’inibizione dei tentativi di esercitare forme di
concorrenza, con riveniente pregiudizio al commercio intracomunitario e indebiti
vantaggi economici per le società petrolifere, che avrebbero fruito di
condizioni di vendita del carburante più favorevoli rispetto a quelle che si
sarebbero verificate in un mercato concorrenziale.
Con il provvedimento n. 15604 del 14 giugno 2006, l’Autorità così deliberava:
a) che le società Eni S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia
S.p.A., Shell Italia S.p.A., Shell Italia Aviazione S.r.l., Tamoil Italia S.p.A.
e Total Italia S.p.A. hanno messo in atto un’intesa unica e complessa
realizzatasi anche attraverso le imprese comuni Hub S.r.l., Par S.r.l., RAM
S.r.l., Rai S.r.l (già Raf S.r.l.), Disma S.p.A. e Seram S.p.A., che ha avuto ad
oggetto e per effetto la ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e
l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori, nonché un intenso e continuato
scambio di informazioni idonee al raggiungimento di tali obiettivi, in
violazione dell'articolo 81 del Trattato UE;
b) che le imprese si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti
analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata, con particolare riferimento
alle condotte di ripartizione e a quelle che hanno comportato la creazione di
barriere all’accesso al mercato del jet fuel;
c) che, in particolare, le società ENI, ESSO e KUWAIT per HUB e PAR, le società
SHELL IAV, TAMOIL, e TOTAL per RAI e le società ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL IAV e
TOTAL per DISMA e SERAM definiscano le iniziative atte a eliminare la
compresenza di più società petrolifere nel capitale sociale delle predette
imprese comuni e perfezionino tali iniziative entro il 30 giugno 2008, dando
altresì comunicazione all’Autorità entro novanta giorni dalla notifica del
presente provvedimento delle iniziative definite al riguardo;
d) che le società petrolifere summenzionate comunichino entro novanta giorni
dalla notifica del presente provvedimento le nuove modalità di conduzione delle
imprese comuni tali da assicurare la piena autonomia gestionale delle imprese
comuni rispetto alle società madri; impedire che l’attività delle imprese comuni
comporti uno scambio di informazioni tra le imprese stesse e tra queste e i soci
non strettamente indispensabile per l’operatività delle imprese stesse; impedire
che i rappresentanti dei soci negli organi direttivi, nel management e nei
quadri operativi delle società comuni vengano a conoscenza di informazioni
relative ai concorrenti non strettamente indispensabili per l’operatività delle
imprese stesse; impedire che i medesimi rappresentanti dei soci nelle società
comuni mantengano, comunque, rapporti con gli esponenti delle funzioni
commerciali delle società di appartenenza;
e) che, in ragione della gravità e durata dell'infrazione di cui al punto a),
alle società Eni S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A.,
Shell Italia S.p.A., Tamoil Italia S.p.A. e Total Italia S.p.A. vengano
applicate le sanzioni amministrative pecuniarie nella misura indicata di
seguito:
- per la società ENI in euro 117.000.000;
- per la società ESSO in euro 66.690.000;
- per la società KUWAIT in euro 46.800.000;
- per la società SHELL in euro 53.320.000 e per la società SHELL IAV in euro
3.140.000;
- per la società TAMOIL in euro 19.620.000;
- per la società TOTAL in euro 8.860.000.
2. I ricorsi proposti in primo grado da Tamoil Italia Spa, Eni Spa, Total Spa,
Kuwait Petroleum Italia Spa presentano un nucleo dominante di censure comuni. In
particolare, se pur con mezzi formalmente non coincidenti, si deduceva:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del Trattato CE e dell’art. 2
della legge 287/1990, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria,
travisamento dei fatti, illogicità, irrazionalità e sviamento. In contestazione
è l’apparato giustificativo dell’accertamento dell’intesa, nelle sue varie
articolazioni: la definizione del mercato rilevante e le sue caratteristiche
economiche; l’esistenza, il carattere sistematico e sensibile dello scambio di
informazioni, il suo contrasto con la normativa antitrust, l’illiceità del ruolo
delle società comuni; l’esistenza e la rilevanza delle condotte di ripartizione
del mercato (in particolare la concertazione sulle gare e le azioni ritorsive
verso soggetti “deviati” rispetto all’intesa) e di esclusione dei terzi
dall’accesso; gli effetti sul mercato di tali condotte (stabilità delle quote,
staticità degli operatori, aumento del prezzo del carburante). In termini
generali viene messa in rilievo la mancata dimostrazione del quid pluris -
rispetto al parallelismo dei comportamenti - che deve caratterizzare la (prova
della) intesa, con inaccettabile inversione della prova a carico delle imprese.
Si osserva pure che il metodo di valutazione della prova contraddice la natura
sostanzialmente penalistica del procedimento antitrust (sostenuta dalla Corte
Europea dei diritti dell’uomo, in sede di verifica circa il rispetto delle
garanzie fissate dall’art. 6 CEDU).
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 14 della legge 287/1990, del
Regolamento CE 1/2003 e della legge 689/1981. Eccesso di potere per errore nei
presupposti, travisamento dei fatti ed illogicità. Il provvedimento sarebbe
viziato nella parte in cui impone alle parti di adottare rimedi strutturali per
eliminare la supposta violazione dell’art. 81 del Trattato CE, esulando tale
potere esuli dall’ambito delle attribuzioni rimesse ad AGCM. L’art. 15 della
legge 287/1990 consente infatti all’Autorità di diffidare le imprese dal
continuare in una condotta anticoncorrenziale, ovvero di imporre sanzioni
pecuniarie, nel caso di infrazioni gravi. I rimedi di carattere strutturale,
quand’anche consentiti, sarebbero comunque stati applicati in modo
sproporzionato ed irragionevole.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 della legge 287/1990 e 11
della legge 689/1981 Viene da ultimo contestata la commisurazione della sanzione
pecuniaria inflitta con il provvedimento gravato. Ciò, in particolare, sotto i
profili della violazione dell’affidamento e del principio di proporzionalità tra
la misura irrogata e la concreta gravità della fattispecie di illecito
contestata.
3. Le sentenze appellate rigettavano tutte le censure proposte salvo quella sub
2, dal cui accoglimento discendeva l’annullamento del capo c) del dispositivo
della deliberazione impugnata.
La motivazione del TAR si snoda attraverso cinque passaggi, comuni a tutte le
sentenze, organizzati in veri e propri capitoli, di cui è opportuno riprodurre
le parti salienti.
3.1 Il primo capitolo riguarda l’identificazione e caratterizzazione del mercato
dei carburanti per aviazione. In tale capitolo il TAR esamina le due componenti
di tale mercato (commercializzazione del prodotto e servizi di stoccaggio e
messa a bordo) e definisce il mercato rilevante nel caso in oggetto.
Il carburante per aviazione è denominato jet fuel, carburante destinato
agli aeromobili con motore a reazione e a turboelica, utilizzato attualmente da
quasi tutti i velivoli commerciali da trasporto passeggeri e merci e non
sostituibile con alcun altro tipo di carburante.
Il jet fuel può essere ottenuto dalla produzione delle raffinerie vicine
al luogo di consumo, ovvero tramite altre raffinerie nazionali, ovvero con il
ricorso a produttori e trader internazionali (cd. “mercato cargo”).
Ai fini di una concreta utilizzabilità del carburante sugli aeromobili, il
jet fuel deve essere condotto dai punti di origine (raffineria o terminale
del trasporto via mare) fino agli aeroporti: siffatta operazione potendo essere
svolta attraverso infrastrutture dedicate (oleodotti, che in Italia esistono
solo per gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Malpensa) o facendo ricorso al
trasporto con autobotti.
La dislocazione geografica delle strutture per la raffinazione di cui dispone
ciascuna società petrolifera non rivela un posizionamento ugualmente vantaggioso
rispetto a tutti gli aeroporti italiani; così come non tutte le società
petrolifere dispongono di collegamenti logistici che consentano di operare
direttamente in tutto il territorio nazionale.
Al fine di superare questi vincoli e di disporre del carburante avio nei diversi
siti aeroportuali le società petrolifere parti del procedimento che operano
nella commercializzazione di jet fuel nei principali aeroporti italiani
(ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL, TAMOIL e TOTAL) hanno sviluppato una fitta rete di
relazioni fatta di vendite reciproche, scambi e permute, che si attuano in
diversi momenti della filiera del carburante, dal cancello della raffineria o
del terminale marittimo fino al deposito aeroportuale di destinazione.
All’interno di quest’ultimo, in particolare, il prodotto viene stoccato in
promiscuo tra gli utilizzatori sfruttando la sua omogeneità e si effettuano di
frequente passaggi di proprietà da una società petrolifera all’altra (cd. “transfer-stock”).
La caratterizzazione dimensionale del mercato rilevante trova fondamento nella
configurazione della domanda di jet fuel, rappresentata dalle compagnie
aeree le quali, per la maggior parte, organizzano gare con cadenza annuale per
l’acquisizione del prodotto su una molteplicità di scali.
Tale esigenza di approvvigionamento viene sostanziata dalla formulazione, nei
confronti dei potenziali fornitori, di una richiesta d’offerta nella quale sono
indicati gli scali aeroportuali per i quali si richiede il rifornimento e la
quantificazione del jet fuel del quale la compagnia assume di aver
bisogno in ciascuno scalo per l’anno contrattuale.
A fronte di una domanda così configurata, le società petrolifere non
necessariamente devono articolare l’offerta per tutti gli scali, né per l’intera
quantità richiesta. Così come, all’esito della gara, la compagnia aerea
aggiudica la fornitura ai migliori offerenti, che possono essere diversi da
scalo a scalo.
Se, quindi, la procedura ha configurazione complessivamente unitaria, nondimeno
l’articolazione del fabbisogno per singoli scali aeroportuali consente di
decifrarne le modalità attuative nel quadro di una pluralità di lotti, ciascuno
dei quali è identificabile in uno scalo e può, ovviamente, formare oggetto di
separata aggiudicazione.
Quanto al secondo aspetto della domanda (quantificazione del fabbisogno),
l’offerta della società petrolifera può anche coprire una quota parte della
fornitura richiesta dalla compagnia aerea su un determinato scalo (ipotesi,
questa, che assume maggiore probabilità di verificazione laddove, in ragione
della connotazione dimensionale del vettore aereo e del carattere dello scalo
interessato, il volume di prodotto si riveli considerevolmente elevato).
In questi casi, la compagnia aerea individua il miglior offerente ed aggiudica
la fornitura in misura corrispondente al quantitativo che la società petrolifera
si è dichiarata disponibile a fornire al prezzo proposto. Individua, altresì, la
seconda migliore offerta, alla quale viene allocata un’ulteriore quota della
fornitura, e così via fino all’esaurimento del fabbisogno stimato dalla
compagnia aerea per lo scalo in questione.
Viene in considerazione, in siffatta ipotesi (insufficienza di una sola offerta
a coprire il fabbisogno manifestato dalla compagnia aerea limitatamente ad uno
scalo) la configurazione di quest’ultima quale “cliente condiviso”, atteso che
la fornitura di una compagnia su un singolo scalo viene aggiudicata ad una
pluralità di fornitori, pro parte, ed a prezzi (evidentemente) diversi per
ciascuno di essi.
Consegue alla normale impossibilità da parte di ciascuna compagnia aerea, al
momento di bandire la gara, di individuare con esattezza il quantitativo di
jet fuel che consumerà in ciascuno scalo nell’anno contrattuale, un duplice
ordine di conseguenze: in primo luogo, le quantità indicate nella richiesta di
offerta rappresentano delle stime ex ante; secondariamente, la compagnia
aerea non è vincolata all’acquisto dell’esatto ammontare di jet fuel per
ogni scalo indicato nel bando di gara.
Il principale soggetto acquirente di jet fuel in Italia è ALITALIA, con
una quota pari ad un terzo della domanda complessiva nazionale e cinque volte
superiore rispetto al secondo vettore AIR ONE.
Secondo AGCM la dimensione geografica del mercato della commercializzazione del
jet fuel ha carattere nazionale. Le compagnie petrolifere ne hanno
sostenuto, invece, la vocazione locale (singolo scalo aeroportuale), tranne la
Kuwait Petroleum, ad avviso della quale ha dimensione internazionale (in virtù
delle interconnessioni fra tratte aeree e scali aeroportuali del mercato
stesso).
Diversamente per il mercato dei servizi di stoccaggio e messa a bordo - distinto
dagli altri servizi aeroportuali per le sue specifiche caratteristiche in
termini di infrastrutture necessarie e requisiti tecnico-amministrativi - AGCM
ha ritenuto rilevante un’estensione geografica circoscritta al singolo scalo
aeroportuale.
L’Autorità ha rilevato che “l’ingresso di nuovi concorrenti in ciascun mercato
locale è reso particolarmente difficoltoso dalla scarsa duplicabilità delle
infrastrutture necessarie all’attività, in primo luogo per i costi di
realizzazione e gestione delle stesse rispetto ai volumi oggetto delle
operazioni, nonché per la necessità di ottenere apposite concessioni e
autorizzazioni di esercizio”. Se, quindi, “la concorrenza rispetto al singolo
scalo aeroportuale risulta necessariamente condizionata da tale elevata barriera
all’entrata … in Italia, la filiera distributiva del jet fuel è caratterizzata
strutturalmente dalla presenza delle società petrolifere che, attraverso
strutture proprie o in joint venture, svolgono i servizi di stoccaggio e messa a
bordo di carburanti presso gli aeroporti nazionali. Le società che non
dispongono di una struttura logistica all’interno di un aeroporto possono
rifornire di jet fuel i vettori aerei propri clienti solo attraverso
contratti di fornitura con le società petrolifere operanti sullo scalo che
dispongano anche delle infrastrutture logistiche necessarie o, laddove esistano,
con le società comuni di stoccaggio e messa a bordo”.
Negli scali aeroportuali si è in presenza di una attività di stoccaggio svolta
rispettivamente da società comuni (come, ad esempio, SERAM e DISMA per gli
aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino), nonché di una attività di
trasferimento del carburante dal deposito, integrato con un sistema idrante,
fino all’aeromobile (attività di “messa a bordo” o di into-plane) parimenti
svolta da (altre) imprese comuni tra società petrolifere (HUB e RAI).
Consegue al delineato quadro delle attività rilevanti ai fini dello stoccaggio e
della messa a bordo dei carburanti che le società petrolifere non possono
operare direttamente negli aeroporti in cui non dispongono di infrastrutture
logistiche e di autorizzazioni allo svolgimento dell’attività. A tale riguardo,
al fine di rifornire la propria clientela, le società stesse sottoscrivono
contratti con le società che svolgono i servizi di stoccaggio e di messa a bordo
in loco, ricorrendo spesso anche all’acquisto del carburante dalle imprese
madri.
Ad avviso del TAR risulta positivamente riscontrata la conclusione
dell’Antitrust secondo cui il modello organizzativo presente negli scali
aeroportuali (secondo il quale l’attività di stoccaggio e messa a bordo è svolta
dalle società petrolifere o da loro controllate, con strutture che in ciascun
aeroporto sono in numero ridottissimo o, più spesso, uniche), non ha carattere
di inevitabilità e/o di immodificabilità: e ciò in quanto soggetti diversi da
quelli in atto operanti, per i quali eventualmente non sussista alcuna
derivazione proprietaria dalle società petrolifere, possano operare nei servizi
sopra indicati (al ricorrere, ovviamente, del possesso dei prescritti requisiti
amministrativi).
Così ricostruito dal punto di vista tecnico-economico il mercato del carburante
per trasporto aereo, il TAR - all’esito di una disamina di ordine teorico sulla
nozione di “mercato rilevante” fatta propria dalla disciplina antitrust
(definito come quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o
una gamma di prodotti considerati fra loro sostituibili, le imprese che
forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza) -
ritiene legittima l’individuazione del mercato rilevante operata dall’Autorità e
- ravvisatane la struttura oligopolistica (l’ENI rappresenta l’operatore più
importante, con una quota più che doppia rispetto al secondo operatore) -
accredita la tesi che il mercato del jet fuel abbia un elevato grado di
concentrazione, essendo le società petrolifere operanti negli aeroporti
integrate verticalmente e presenti in Italia in tutte le fasi della filiera
produttiva del settore petrolifero (raffinazione, logistica e distribuzione). Il
mercato è tendenzialmente chiuso, come dimostrato dal fatto che nel periodo
preso in considerazione da AGCM è stato riscontrato un numero di nuovi ingressi
“pressoché nullo”, così pure “la fusione di tre importanti operatori
precedentemente indipendenti e tutti presenti sul mercato italiano, ovvero
TOTAL, FINA ed ELF19, ha ristretto sensibilmente l’offerta”.
3.2 Il secondo capitolo riguarda lo scambio di informazioni, principalmente
realizzato tramite società comuni. In detto capitolo vengono descritti i flussi
informativi rilevati dall’Autorità, la loro natura, l’esistenza di una pratica
di scambio di dati sensibili, la rilevanza di tale pratica nella disciplina
antitrust.
Particolare attenzione è stata riservata da AGCM al flusso informativo generato
dalla presenza e dall’operatività comuni con riferimento alle attività delle
società petrolifere partecipanti, segnatamente con riferimento alla rilevanza
assunta dalla conoscenza degli elementi compositivi delle offerte e/o del
fabbisogno quali dati orientativi le strategie di mercato.
Dall’istruttoria è emerso che l’attività delle società comuni aeroportuali ha
generato un flusso di informazioni che si sono dimostrate rientrare nella
disponibilità degli esponenti delle società petrolifere sia con riferimento alla
partecipazione di queste ultime agli organismi direttivi delle joint ventures,
sia attraverso apposite informative, spesso sollecitate dalle stesse società
petrolifere.
Le informazioni scambiate sono state ripartite in due categorie, sulla base
delle diverse modalità attraverso cui si è ritenuto abbiano influito sul gioco
concorrenziale.
Una prima categoria concernente “informazioni utili a prevedere il comportamento
che i concorrenti terranno sul mercato, particolarmente in occasione delle
gare”, tra le quali “le informazioni che consentono a ciascuna società
petrolifera di conoscere, con riferimento ai propri concorrenti, i costi di
fornitura del prodotto alla clientela o la disponibilità di prodotto su ogni
singolo scalo”.
Una seconda categoria, riguardante le condotte delle singole società in seguito
allo svolgimento delle gare, ritenuta “funzionale ad effettuare un monitoraggio
del rispetto delle regole di comportamento concordate”: in tale categoria
rientrando le informazioni attinenti gli esiti delle gare o l’andamento delle
forniture in attuazione degli impegni contrattuali assunti nei confronti dei
clienti.
L’informazione sulle quantità di carburante che una società petrolifera prevede
di erogare in un determinato scalo in un determinato periodo di tempo,
soprattutto se confrontate con quanto erogato nell’anno precedente,
costituiscono un indicatore della politica commerciale che la medesima società
intende attuare.
Questa informazione viene normalmente raccolta preventivamente dalle imprese
comuni di stoccaggio e messa a bordo per calcolare la tariffa da applicare agli
utilizzatori. I servizi delle società comuni sono infatti remunerati sulla base
di tariffe ed eventuali conguagli da queste definite.
La prassi di acquisto, scambio e permute di prodotto tra gli operatori,
descritta nella sezione relativa al mercato dei carburanti per aviazione,
costituisce, di per sé, un importante fattore di trasparenza del mercato, in
primo luogo perché genera occasioni di incontro tra le società petrolifere.
L’interazione tra le società petrolifere in merito agli approvvigionamenti di
prodotto ha riguardato anche le condizioni economiche dello stesso.
Particolare rilevanza assume poi, nel quadro dello scambio di informazioni, il
ruolo delle società di messa a bordo: le quali, in ragione dell’attività ad esse
demandata, hanno la disponibilità di un gran numero di informazioni relative ai
rapporti tra le società petrolifere e i loro clienti, a cominciare
dall’individuazione di chi sia il fornitore (o i fornitori) di una determinata
compagnia aerea.
In seguito alla definizione di una commessa la società petrolifera provvede a
comunicare tale circostanza alla propria società di messa a bordo, affinché
provveda al rifornimento del nuovo cliente.
Viene per l’effetto a concentrarsi, in capo alle società comuni di messa a
bordo, un ingente quantitativo di dati relativo a ciascun operatore petrolifero
ed ai contingenti da esso approvvigionati in favore delle compagnie aeree dei
quali è assolutamente indubbia la rilevanza strategica al fine di conoscere - e,
quindi, di poter controllare - l’attività svolta dai concorrenti, con
conseguente possibilità di monitoraggio incrociato delle rispettive quote di
mercato e di eccessivo controllo del portafoglio clienti di ciascuno.
Ad avviso del TAR emerge dall’istruttoria come siano le stesse società
petrolifere a sollecitare, con una certa frequenza, l’invio di informazioni
presso gli esponenti alle medesime facenti capo all’interno delle società
comuni; parimenti va considerato - al fine di una complessiva valutazione
dell’intreccio informativo che caratterizza l’operatività delle società comuni
di messa a bordo - come queste ultime organizzino anche il rifornimento dei cd.
“clienti condivisi”, vale a dire di quelle compagnie che su uno stesso scalo
hanno più di un fornitore, i quali a loro volta possono anche essere utenti di
due diverse società di messa a bordo.
Se tale evenienza determina un ulteriore coordinamento anche tra le società di
messa a bordo, la documentazione attesta la circolazione, sia tra le società
comuni che tra i loro soci, delle informazioni sull’erogato ai clienti condivisi
fin dal 1995.
I prospetti scambiati contengono anche un flusso di informazioni tra le due
società comuni che non si rivela ineludibilmente connesso alla necessità di
collaborare per gestire i clienti condivisi, rappresentato dai dati mensili di
alcuni clienti che sono serviti dai soci di una sola joint venture; in alcuni
casi, poi, vengono inclusi nei prospetti scambiati anche clienti non condivisi;
dai prospetti che consentono di verificare il rispetto da parte di tutti i
fornitori delle quote contrattuali nel rifornimento alle società comuni, i quali
vengono inviati anche ai soci, ancorché, come peraltro riconosciuto dalle parti
stesse, il dettaglio comunemente fornito alle società petrolifere è “ridondante”
ed eccede il limite informativo necessario a consentire a ciascun fornitore di
controllare la propria quota.
Il TAR ritiene che le informazioni che le società petrolifere si sono scambiate
forniscono indicazioni sia sul comportamento commerciale futuro dei concorrenti
sia sulle condotte in corso.
Esaminata la tipologia di dati informativi disponibili presso le società comuni
il TAR ritiene che lo scambio di informazioni sia centrale nella concertazione
tra le politiche di mercato degli operatori.
Sarebbe pacifico che il flusso informativo abbia connotazione eccedente le
esigenze inerenti la gestione operativa, essendo attendibile la conclusione
dell’Autorità secondo cui l’architettura del sistema ha consentito
l’acquisizione in capo società petrolifere alle prime di elementi conoscitivi
atti a consentire un “efficace monitoraggio di tutti i possibili comportamenti
dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria quota in deroga alla
regola concordata”.
Condotte quali lo scambio di informazioni sensibili finiscono infatti per
sostituire all'alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così
erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della
leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa
concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il
profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più
appetibili per il fruitore, anche in un'ottica di prevenzione e contrasto di non
conosciute iniziative degli altri operatori economici.
Nel caso di specie, lo scambio di dati "sensibili", ha consentito ai
partecipanti allo scambio di informazioni un continuo monitoraggio del
comportamento dei concorrenti, riguardante non soltanto i quantitativi di jet
fuel oggetto di pregresse forniture, ma anche i contingenti di carburante che
ciascuna impresa si proponeva di allocare sul mercato.
Il TAR - appoggiandosi alla giurisprudenza ed alla prassi comunitaria - ha
respinto le argomentazioni delle ricorrenti, volte a prospettare che il flusso
informativo precedentemente descritto non avrebbe avuto ad oggetto “dati
sensibili”, non essendo affatto funzionalmente preordinato (o, comunque,
strumentale) al fine di supportare pratiche concordate di mercato in funzione
anticoncorrenziale.
Richiamandosi, poi, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e degli organi
comunitari, ha affermato che in presenza di talune condizioni lo scambio di
informazioni può essere considerato illecito “per se”, vale a dire in ragione
del suo oggetto (fermo restando che, al di fuori di tali casi, sia possibile
accertare in concreto gli effetti anticompetitivi della relativa intesa, e
quindi di vietarla in forza della sua efficacia anticoncorrenziale), posto che
l’art. 2, comma 2 L. 287/90 - che non annovera lo scambio di informazioni
sensibili tra le tipologie di situazioni ricadenti nel divieto di intese
restrittive della concorrenza - non ha valore tassativo.
Tali condizioni sono relative al livello di aggregazione dei dati scambiati, al
loro grado di attualità e alla frequenza dei relativi rilasci, al grado di
concentrazione connotante il mercato considerato e, soprattutto, alla natura
delle informazioni oggetto di scambio, essendo decisivi la
segretezza/riservatezza delle informazioni e la vera e propria natura
concorrenzialmente “sensibile” dei dati scambiati, determinata dall’attitudine
dei medesimi a disvelare le future condotte e strategie delle imprese.
In presenza di dette condizioni il gap tra concertazione e pratica concordata
(cioè un comportamento sul mercato causato dalla predetta concertazione) viene
colmato in via presuntiva, spettando alle imprese fornire una spiegazione
alternativa, che sia plausibile, al parallelismo delle condotte.
In particolare l’esistenza di una concertazione fa assumere al parallelismo
consapevole delle condotte tenute da imprese (a maggior ragione se operanti in
un mercato oligopolistico) valenza di per sé asseverativa dell’intesa, ove le
imprese non dimostrino che la condotta parallela sia - o possa ragionevolmente
essere - frutto delle iniziative imprenditoriali.
3.3 Il terzo capitolo riguarda le condotte di ripartizione del mercato poste in
essere dalle imprese sanzionate. In detto capitolo il TAR esamina i controlli
sulle forniture uscenti tesi ad agevolare la riconferma del fornitore, i
comportamenti ritorsivi, la partecipazione concordata alle gare, le barriere
all’ingresso. Verifica, infine, gli esiti di dette pratiche sulle condizioni
economiche del mercato, con particolare riferimento al differenziale di prezzo
del jet fuel.
Il TAR accredita la tesi circa l’esistenza di un sistema volto a garantire la
riconferma dei fornitori uscenti delle compagnie aeree, articolato su condotte
di non aggressione e ritorsioni nei confronti delle imprese che tenessero un
atteggiamento concorrenziale non consentito.
Vicende asseverative della ravvisata opposizione da parte delle imprese
sanzionate alla creazione di sistemi di rifornimento degli aeroporti alternativi
a quelli da esse posseduto sono il mancato ingresso sul mercato della
commercializzazione del jet fuel presso lo scalo di Roma Fiumicino della società
MAXOIL (essenzialmente dipeso dal collegamento con le strutture detenute in
regime monopolistico dalla società comune SERAM) e il fallimento dei tentativi
posti in essere da taluni operatori aerei di ricorrere alla pratica
dell’auto-rifornimento.
Il TAR ravvisa l’esito delle pratiche sopra descritte nel fatto che in Italia, a
parità di dimensioni dello scalo aeroportuale, la componente del prezzo del jet
fuel che è oggetto di contrattazione tra le parti (il cd. differenziale) è
nettamente più elevata che all’estero, vanificando i vantaggi che potrebbero
derivare dalla circostanza che i prezzi che dovrebbero prevalere per questo
prodotto nell’area del Mediterraneo sono più bassi che in altre aree d’Europa.
La documentazione acquisita nell’istruttoria dimostrerebbe l’esistenza di una
tendenza, da parte delle società petrolifere, a praticare prezzi del carburante
(espressi in termini di differenziale rispetto al prezzo di riferimento “Platts”)
più elevati per gli scali italiani rispetto agli scali esteri di dimensioni
comparabili.
È infatti emerso che i differenziali praticati per le forniture nei tre
principali aeroporti italiani siano più elevati (in misura del 50% o anche più)
di quelli degli aeroporti di grandezza comparabile, se non inferiore (come
Parigi Orly e Bruxelles) o anche di dimensioni decisamente inferiori (come
Colonia). Tale elemento sarebbe coerente con le condizioni strutturali del
mercato italiano del jet fuel e dal deficit di concorrenza che lo caratterizza.
L’analisi della formazione del prezzo finale del jet fuel dimostra l’assunto.
Componenti del prezzo:
- il prezzo base del prodotto (ricavabile dalla “quotazione Platt’s);
- gli oneri aeroportuali incidenti sulla fornitura di carburante, che vanno
corrisposti a carico della società petrolifera in favore dell’ente gestore
aeroportuale;
- il costo per il mantenimento delle scorte d’obbligo;
- il corrispettivo per i servizi di stoccaggio e messa a bordo del carburante (hydrant
fee), liquidato dalle società petrolifere alle compagnie che effettuano tale
servizio e, successivamente, addebitato in fattura ai vettori aerei;
- il differenziale (price add on), ovvero il margine di guadagno delle società
petrolifere.
La particolare situazione dell’Italia ha comportato che il prezzo praticato del
jet fuel sia inferiore a quello del gasolio. Tale circostanza ha indotto
le società petrolifere - al fine di evitare che la commercializzazione del
jet fuel, rispetto a quella del gasolio, avvenisse in maniera non
remunerativa - ad aggiungere al prezzo del primo (quale risultante dalla
quotazione Platt’s per il bacino del Mediterraneo: FOB MED) una
maggiorazione, denominata “indifferenza gasolio”). Tale circostanza si atteggia
quale conseguenza del mancato ingresso nel mercato nazionale di operatori
(diversi da quelli attualmente attivi) non vincolati dall’indifferenza gasolio.
Il TAR condivide la valutazione di AGCM secondo cui “la protezione garantita
dall’intesa - che nella sostanza serve ad impedire che il prezzo del jet fuel
fissato sul mercato cargo influenzi le condizioni di prezzo del prodotto in
Italia - consente di ricostruire, mediante l’applicazione dell’indifferenza
gasolio, un rapporto fra i prezzi dei due prodotti a livelli complessivamente
superiori a quelli che prevarrebbero in un regime pienamente concorrenziale”;
“questo comportamento è possibile solo perché è precluso ad altri concorrenti in
grado di attingere al mercato cargo, di procurare alle compagnie aeree jet fuel
alle quotazioni indicate da Platt’s per il Mediterraneo”.
3.4 Il quarto capitolo riguarda l’individuazione dell’intesa.
Il TAR postula che il complesso dei comportamenti tenuti dalle imprese Eni,
Esso, Kuwait, Shell-Shell Iav, Tamoil e Total costituisca (il risultato di) una
intesa unica e complessa, avente ad oggetto la ripartizione del mercato della
fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi operatori. La prova
dell’intesa, tipicamente indiziaria, sarebbe data da:
a) un intenso e continuato scambio di informazioni;
b) il coordinamento delle rispettive strategie di gara;
c) l’adozione di comportamenti ritorsivi e di ostacoli opposti all’accesso al
mercato di nuovi operatori e all’auto-fornitura di jet fuel da parte dei
vettori aerei.
L’attuazione della strategia di ripartizione del mercato è risultata essere
essenzialmente incentrata sulle particolari modalità operative poste in essere
delle società comuni costituite ai fini dello stoccaggio e della messa a bordo
del jet fuel.
Le imprese comuni, inoltre, assicurando alle società petrolifere il possesso di
un segmento chiave delle strutture logistiche necessarie per lo svolgimento
dell’attività di commercializzazione del jet fuel alle compagnie aeree,
hanno contribuito alla creazione delle barriere all’ingresso di nuovi operatori,
consentendo la stabilità del cartello.
La circostanza che la costituzione ed il funzionamento delle imprese comuni
(PAR, HUB, RAM e RAF) hanno formato oggetto di comunicazione preventiva ai sensi
dell’art. 13 della legge n. 287/90 da parte delle società petrolifere “madri” e
di conseguente approvazione da parte dell’Autorità con provvedimenti di non
avvio di istruttoria (ovvero, nel caso di RAM, con un provvedimento emanato a
conclusione di un’istruttoria durante la quale è stato rilevato che l’intesa
comunicata non fosse lesiva della concorrenza), e che la costituzione e il
funzionamento di DISMA sono state invece autorizzate dalla Commissione UE, non
inficiano il ruolo che dette joint ventures hanno avuto nella commissione
dell’illecito.
La loro funzione operativa (in ragione della quale le stesse sono state
autorizzate dall’Autorità) è stata, infatti, piegata alla realizzazione di
fattispecie di illecito, per le quali l’attività posta in essere non può dirsi
coperta dalle indicate autorizzazioni, così come è improprio invocare
l’affidamento per condotte che si pongono al di fuori del quadro conosciuto
dall’Autorità.
Ciò posto il TAR passa a condurre il ragionamento probatorio relativo alla
conclusione formulata nell’incipit del capitolo: richiamandosi alla
giurisprudenza nazionale e comunitaria fissa la fattispecie sostanziale ed i
modelli di accertamento della pratica concordata di cui all’art. 2, comma 2
lett. a) della legge 287/90. A tale ultimo riguardo scolpisce la distinzione tra
elementi di prova endogeni (collegati alla singolarità intrinseca della
condotta, ovvero alla mancanza di spiegazioni del parallelismo tra le imprese)
ed esogeni (riscontri esterni all’intesa).
Tra i primi spiccano la diversità dei prezzi praticati in una condizione di
concorrenza libera rispetto a quelli praticati nella specie; il carattere
autolesionistico che una determinata politica commerciale rivestirebbe se non
fosse frutto di un'intesa anticoncorrenziale; il contrasto tra l’omogeneità dei
prezzi e la diversità della struttura dei concorrenti e dei relativi fattori di
costo.
I secondi consistono, essenzialmente, nei contatti tra le imprese e,
soprattutto, in scambi di informazioni se non addirittura di veri e propri
concordamenti, non altrimenti spiegabili in un contesto di sano confronto
concorrenziale e, quindi, sintomatici di un'intesa illecita. Detti contatti
acquisterebbero particolare rilievo indiziario in caso di mercato
oligopolistico, in quanto risultano idonei ad eliminare l'unico fattore che può
spingere le imprese soddisfatte della quota di mercato raggiunta ad un ribasso
dei prezzi, ossia il timore di una manovra competitiva sui prezzi da parte dei
concorrenti e la conseguente necessità di prevenirla o contrastarla
efficacemente. La valenza degli elementi esogeni risiede nel fondare
l’inversione dell’onere della prova in ordine alla razionalità economica del
parallelismo.
Ad avviso del TAR l’Autorità si sarebbe conformata a questo modello: il
parallelo comportamento delle imprese non viene assunto come base di partenza
autosufficiente per dimostrare la pratica concordata, ma è utilizzato come
dimostrazione dell’intesa, fondata sulla concertazione delle rispettive condotte
commerciali e favorita dallo scambio di informazioni con lo scopo di orientare
il mercato di riferimento in senso anticoncorrenziale.
Ritenuta provata l’intesa vietata il TAR ne delinea consistenza e imputabilità,
rilevando, quanto al primo punto, che le società ENI, ESSO, KUWAIT, SHELL-SHELL
IAV, TAMOIL e TOTAL detengono complessivamente, nel mercato italiano del jet
fuel e per l’intero periodo considerato, una quota complessivamente pari al
90-95%. La gravità dell’intesa viene desunta dagli indici elaborati dalla
giurisprudenza comunitaria in relazione all’art. 81 CE, sottolineando altresì
l’arco temporale dell’infrazione (di cui esistono tracce sin dalla prima metà
degli anni). Quanto all’imputabilità il TAR la ritiene insita nella natura delle
condotte accertate, rivelatrice di una piena e costante consapevolezza da parte
delle società sanzionate in ordine alla natura anticoncorrenziale dei
comportamenti tenuti.
3.5 Il quinto capitolo riguarda le sanzioni, distintamente esaminate secondo il
tipo, pecuniario, comportamentale, strutturale.
Quanto alle sanzioni pecuniarie il TAR ha ritenuto che la misura applicata fosse
in linea con i criteri di cui all’articolo 11 della legge n. 689/1981, come
richiamato dall’articolo 31 della legge n. 287/1990, cioè la gravità della
violazione, le condizioni economiche dei soggetti, il comportamento delle
imprese coinvolte e, in particolare, le eventuali iniziative volte a eliminare o
attenuare le conseguenze delle violazioni. Criteri dei quali l’Autorità ha fatto
buon governo, differenziando altresì le posizioni delle singole imprese
protagoniste dell’illecito.
Quanto alle misure di carattere ordinatorio il TAR preliminarmente ha distinto
tra sanzioni comportamentali (che si risolvono nell’imposizione di una condotta
volta ad eliminare la dimostrata presenza di elementi aventi rilevanza
concretamente distorsiva ai fini concorrenziali) e strutturali (caratterizzate
da una più pervasiva valenza, attesa la loro idoneità ad incidere sul regime
proprietario sottostante alle strutture societarie, attraverso la
prescrivibilità di comportamenti puntualmente veicolati dall’esigenza di
diversamente configurare - quando non dismettere - partecipazioni sociali in
atto vantate), utilizzando la nota classificazione tra obbligazioni di mezzi e
di risultato: la misura comportamentale implica in capo al soggetto sanzionato
l’obbligo di tenere una certa condotta la quale, ex se riguardata, viene
stimata sufficiente al fine di sradicare pregressi comportamenti ritenuti
distorsivi; la misura strutturale implica che alla condotta acceda, direttamente
quanto immediatamente, un risultato: individuandosi proprio in quest’ultimo (la
dismissione della partecipazione azionaria; la diversa configurazione di un
assetto societario) il mezzo necessario al fine di ricondurre la condotta in un
alveo di compatibilità con il principio di corretta concorrenzialità.
Ciò posto ha evidenziato come tali ultime sanzioni, per la loro penetratività,
debbano rigorosamente rispetto il principio di proporzionalità, con particolare
riferimento al parametro dell’adeguatezza, che impone di optare per la misura
che, tra quelle idonee a realizzare l’obiettivo perseguito, comporti il minor
sacrificio per il destinatario, con ciò attuando la più adeguata soluzione
nell’ottica del principio del “giusto mezzo”. Tale principio non sarebbe stato
rispettato dall’Autorità con riguardo alle sanzioni di tipo strutturale
(dismissione delle partecipazioni detenute dalle società petrolifere nelle
società comuni).
In particolare l’Autorità non avrebbe motivato in ordine all’inefficacia dei
rimedi comportamentali pure comminati e delle ulteriori soluzioni proposte dalle
parti interessate, né avrebbe effettuato alcuna comparazione in termini di
“onerosità” a carico delle imprese.
4. Le società petrolifere, con appelli separati ma concordi, lamentano
l’erroneità della motivazione con riguardo ai punti da 3.1 a 3.4, che hanno
partorito la pronuncia di rigetto, oltre che con riguardo al punto 3.5 per
quanto di interesse. Per sua parte gli appelli dell’Autorità gravano la
motivazione con riguardo al punto 3.5, che ha portato al parziale accoglimento
dei ricorsi di primo grado.
Preliminarmente vanno esaminati gli appelli delle parti private.
Il metodo di impugnazione, comune a tutte le parti, è quello di reiterare a 360°
l’attacco contro il provvedimento sanzionatorio, riproponendo le censure dei
ricorsi di primo grado alla luce delle argomentazioni esibite dalle sentenze
appellate, che si vuole confutare radicalmente, ma non solo e non tanto con
critiche specifiche, quanto con la contrapposizione di una autonoma lettura dei
fatti.
Tale tecnica di impugnazione della sentenza - pienamente legittima ove, come
nella specie, pur sostanzialmente affidata alle stesse censure rivolte avverso
il provvedimento, metta in luce le ragioni del più profondo dissenso con la
decisione gravata - è coerente con la natura dei procedimenti antitrust e con
l’opzione teorica seguita dalla sentenza di primo grado.
I procedimenti volti ad accertare un’intesa anticoncorrenziale sono, infatti,
fondamentalmente ricostruzioni postume di un fatto storico, sussumibile nella
previsione legale di illiceità. In tale operazione l’Autorità si caratterizza
come dotata di poteri investigativi e decisori al tempo stesso. Benché distante
dal modello americano di matrice penalistica, il sistema antitrust italiano è
pur sempre focalizzato sui fatti, di cui l’Authority è chiamata ad accertare
consistenza storica e qualificazione giuridica, in vista dell’applicazione di
sanzioni che, quand’anche funzionali alla reintegrazione più che alla
repressione, presentano contenuto materialmente afflittivo per i suoi
destinatari.
In tale operazione i passaggi che l’Authority compie (v. Cons. Stato, VI
n. 2199/2002 e 1271/06) sono:
1) accertare i fatti;
2) “contestualizzare” la norma posta a tutela della concorrenza, che facendo
riferimento a concetti giuridici indeterminati (quali il mercato rilevante,
l’abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza)
necessita di una esatta individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito
contestato (le norme in materia di concorrenza non sono di stretta
interpretazione, ma colpiscono il dato sostanziale costituito dai comportamenti
collusivi tra le imprese, non previamente identificabili, che abbiano oggetto o
effetto anticoncorrenziale);
3) confrontare i fatti accertati con il parametro come sopra “contestualizzato”;
4) applicare le sanzioni e diffidare le imprese.
Una volta che i destinatari delle sanzioni, chiamati a subirne gli effetti non
diversamente da qualsiasi altro provvedimento autoritativo, reagiscono dinanzi
alla giurisdizione, la natura anfibia del procedimento antitrust riemerge e
l’accertamento operato dall’Autorità viene sottoposto a penetrante scrutinio.
Tuttavia, in siffatto modello il giudice amministrativo, a differenza di quello
penale, non decide ma controlla la correttezza della decisione, sicché non
spetta a lui condividerla, ma solo verificarne la validità.
Con questa preliminare avvertenza possono richiamarsi i precedenti della Sezione
in ordine all’ampiezza del sindacato che il giudice amministrativo svolge sulle
valutazioni tecniche compiute dall’Autorità.
Gli arresti più recenti hanno affermato che le valutazioni tecniche, anche
quando riferite ai c.d. “concetti giuridici indeterminati”, devono essere
sottoposte - onde garantire tutela giurisdizionale effettiva - ad un controllo
intrinseco, potendosi avvalere il giudice anche di regole e conoscenze tecniche
appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione
(Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 Rc Auto; n. 5156/2002 Enel/Infostrada).
Il sindacato del giudice amministrativo è quindi pieno e si estende sino al
controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità,
potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la
corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie
concreta in esame (Cons. Stato VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip).
In particolare, con tale ultima decisione la Sezione ha inteso abbandonare la
terminologia, utilizzata in precedenza, “sindacato forte o debole”, per porre
l’attenzione unicamente sulla ricerca di un modello rispettoso del quadro
comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia
coniugato con la specificità di controversie dove il giudice deve verificare se
il potere di decisione attribuito all’Autorità sia stato correttamente
esercitato.
Salvo quanto si dirà in ordine alla individuazione del mercato rilevante, tale
questione non appare di particolare peso nel presente giudizio, dove vi è poca
incertezza sulla definizione delle fattispecie sostanziali, benché alle
contestazioni mosse sul punto sarà data analitica risposta.
Aspra, invece, è la contesa (non tanto sull’esistenza quanto) sul significato
degli indizi valorizzati dall’Autorità, non meno che sul tema complessivo della
metodologia della prova, di cui le parti (implicitamente o - Total -
esplicitamente invocano un controllo severo, addirittura ancorato ai principi
penalistici).
L’impostazione degli appelli, come suggerita dalla realtà sopra descritta, si è,
dunque, cristallizzata nel contrapporre alla tesi accusatoria una tesi difensiva
ampiamente alternativa nell’interpretazione dei fatti, assai più che della loro
materialità. In tale dialettica le sentenze appellate sono viste dalle
appellanti più come un’inopinata adesione alla tesi accusatoria - confermata
dalla quasi assoluta identità di contenuto di ciascuna sentenza - che come il
reale oggetto del contendere. Da qui la scelta di reiterare i vizi rilevati nel
provvedimento impugnato, secondo una strategia nella sostanza coincidente. Al di
là della formale divaricazione tra le posizioni, l’impianto difensivo è,
infatti, analogo, sicché il Collegio procederà ad una valutazione complessiva
del problema, salvo approfondire la posizione di Tamoil, caratterizzata da una
qualche peculiarità.
Unico motivo di appello estraneo a tale quadro è quello dedotto da Eni,
relativamente alla inattendibilità del verbale di audizione reso da un suo
consulente (Giuseppe Gemma), come sarebbe dimostrato dalla opposta dichiarazione
pro-veritate dallo stesso successivamente resa. Conviene affrontare subito la
censura, per la sua incidenza sul procedimento e per l’assoluta inconsistenza
che la caratterizza, posto che si tratta di una ritrattazione - per giunta in
forma anomala - di dichiarazioni legittimamente acquisite all’istruttoria.
Ciò posto sulla tecnica di motivazione, più denso si profila il tema relativo
alla cornice teorica in cui inserirla.
Il TAR ha adottato il modello unitario o molecolare, procedendo ad una
valutazione sintetica dei vari elementi sintomatici dell’intesa addotti
dall’Autorità, non senza peraltro averne preventivamente saggiato la valenza,
giungendo a disegnare un mosaico probatorio convergente con quello
complessivamente recato dal provvedimento impugnato.
Le parti propugnano il modello pluralistico o atomistico, disarticolando le
sequenze argomentative sulla prova, sottoponendo a valutazione analitica ogni
elemento principale o accessorio, per coglierne l’inidoneità o l’inefficienza
dimostrativa e, quindi, negare consistenza al giudizio finale accreditato dal
TAR.
Sullo sfondo il noto enunciato secondo cui quae singula non probant, simul
unita probant, la cui validità, pur universalmente accettata, è messa in
crisi dall’ovvia - si direbbe algebrica - considerazione per cui la somma di
debolezze gnoseologiche non può dare una conoscenza rafforzata.
La risoluzione di siffatta questione è preliminare allo scrutinio del
ragionamento probatorio operato dal giudice di primo grado (e, mediatamente, di
quello dell’Autorità), sia perché dall’adesione all’una o all’altra dipende la
correttezza metodologica delle sentenze appellate, sia perché le difese hanno
criticato, denunciandola come inversione probatoria, l’approdo dell’esame
compiuto dal TAR in ordine all’equazione parallelismo + scambio di informazioni
= intesa, che lascia alle imprese la giustificazione del parallelismo, come
frutto di autonome iniziative economiche piuttosto che di un pactum sceleris.
O, ancora, il passaggio della motivazione in cui il TAR ha ravvisato nello
scambio di informazioni sensibili una condotta di per sé suscettibile di
integrare la fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale.
Sul delicato problema una premessa è doverosa.
Il TAR afferma che la prova dell’intesa quasi mai è diretta. Il Collegio
aggiunge come - ed anzi ancor più - raramente è diretta la prova di un accordo
illecito. Perché i suoi simboli difficilmente esistono (documenti) o possono
essere acquisiti (testimoni, i quali normalmente sono gli stessi autori
dell’illecito), né è dato il ricorso a strumenti di captazione esterna
dell’episodio di vita che sanziona l’accordo (intercettazioni). Ma la
circostanza che la prova sia indiretta (o, come si dice, indiziaria) non deve
indurre nell’equivoco che la stessa sia meno forte.
Il Collegio ritiene che le sentenze del TAR siano fondamentalmente corrette
sull’interpretazione dei fatti accertati nell’istruttoria amministrativa - e,
pertanto, meritevoli di conferma - ma abbiano avallato l’equivoco, consentendo
alla parti private di ribadire dinanzi al giudice di appello la tesi difensiva
formulata nel ricorso introduttivo.
5. Nella fattispecie concreta in esame è agevole rilevare come la dimostrazione
dell’intesa (il cui oggetto, come definito nel provvedimento impugnato, è la
ripartizione del mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento
all’ingresso di nuovi operatori) si articoli su una doppia sequenza di fatti
(non lontana da quella, invero piuttosto rudimentale, che viene comunemente
indicata distinguendo elementi esogeni ed endogeni):
a) le condotte di esecuzione dell’intesa;
b) gli effetti dell’intesa sul mercato.
Entrambi i temi di prova hanno un collegamento indiretto ma assai significativo
con l’intesa, di cui costituiscono segno postumo: nella misura in cui
determinati comportamenti delle imprese sanzionate o l’andamento del mercato
possono essere giustificati soltanto ipotizzando l’esistenza di un accordo sulla
concorrenza, tale accordo deve ritenersi provato. In tal senso imputare alle
imprese l’onere di provare il contrario è un’espressione infelice che non muta
la sostanza del problema, cioè che la mancata indicazione di plausibili
spiegazioni alternative da parte dell’accusato rafforza la tesi accusatoria, la
cui interpretazione dei fatti non viene confutata da parte del soggetto
logicamente competente a farlo (in quanto protagonista - in un senso o
nell’altro - della vicenda).
La forza posseduta dall’ipotesi costruita sulle due aree sopra menzionate
dipende dal numero e dalla qualità di elementi sintomatici acquisiti e dalla
loro convergenza, dovendosi il grado di sintomaticità di ciascuno vagliarsi
secondo la natura e la funzionalità della regola di inferenza impiegata.
Il TAR ha validato l’accertamento operato dall’Autorità con riguardo ad entrambi
i temi di prova, nella loro complessità e nella loro composizione interna. Il
Collegio ripercorrerà ciascuno degli elementi di conoscenza posti a fondamento
dell’ipotesi, argomentando specificatamente solo laddove la motivazione si
mostri non conforme ai canoni appena delineati.
6. Preliminare nella ricostruzione della vicenda è l’identificazione del mercato
rilevante, la cui valenza nel giudizio in materia antitrust va, tuttavia,
diversamente calibrata sulla natura dell’illecito contestato.
L’individuazione del mercato di riferimento è funzionale al tipo di indagine da
svolgere: in ipotesi di un’operazione di concentrazione, l’accertamento della
posizione dominante di un’impresa sul mercato dipende strettamente dalla
struttura dell’impresa oggetto dell’indagine; mentre con riferimento ad un caso
di intesa restrittiva della concorrenza, l’individuazione del mercato è invece
funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o
falsare il meccanismo concorrenziale (cfr. Trib. I CE, 21-1-95, T 29/92, par. 73
e ss.; Cons. Stato, VI, n. 926/2004).
Ne consegue che, in caso di abuso di posizione dominante la delimitazione del
mercato di riferimento inerisce ai presupposti del giudizio sul comportamento
che potrebbe essere anticoncorrenziale (posto che occorre preventivamente
accertare l'esistenza di una dominanza nel mercato stesso), mentre nella materia
delle intese detta operazione rileva in un momento successivo dal punto di vista
logico, quello dell'inquadramento dell'accertata intesa nel suo contesto
economico giuridico, in modo che l'individuazione del mercato non appartiene più
alla fase dei presupposti dell'illecito, ma è funzionale alla decifrazione del
suo grado di offensività.
Ciò non significa che vi sono tanti mercati di riferimento quante sono le
operazioni economiche avvenute o che sia irrilevante procedere ad una corretta
individuazione del mercato rilevante, ma comporta solamente la diversità del
criterio di individuazione del mercato, che non assume mai valore assoluto, ma
relativo.
L’Autorità ha ritenuto che il mercato di commercializzazione del jet fuel
ha dimensione nazionale. L’ampia analisi svolta a conforto della tesi dal
giudice di primo grado (infra 3.1), appare corretta.
Dovendosi prestare adesione al principio pretorio secondo il quale per
l’individuazione dell’ambito geografico rilevante del mercato in questione
assume importanza cruciale la effettiva contendibilità delle forniture nei
singoli scali, va rilevato che in Italia le società petrolifere possono operare
in un numero di aeroporti ben superiore a quello determinato dalla disponibilità
di una struttura di origine di jet fuel (raffineria o porto, con i relativi
collegamenti all’aeroporto) posizionata favorevolmente rispetto allo scalo.
Sul versante dell’offerta si evidenzia sia la prassi della compravendita di
prodotto tra società petrolifere (circostanza, questa, che rende relativamente
agevole per tutte le società attive sul mercato spostarsi sui diversi scali),
sia la presenza delle società comuni su tutti i principali scali nazionali.
Sul versante della domanda le compagnie aeree organizzano procedure “selettive”
per l’acquisizione delle forniture del jet fuel su diversi scali.
All’uopo è corretto valorizzare da un lato l’unitarietà della procedura di gara,
che vede la compagnia aerea formulare una domanda complessiva di fornitura per
il soddisfacimento della quale tutte le società petrolifere operanti sul
territorio nazionale possono competere; dall’altro l’unicità del contesto nel
quale vengono avanzate, da parte di queste ultime, le offerte relativamente a
tutti gli scali ai quali fanno riferimento (nel corso della trattativa l’offerta
potendo variare anche a mezzo di modifiche e/o compensazioni tra scalo e scalo).
Ciò esclude la dimensione locale del mercato, ma non consente - facendo leva
sulla sostituibilità tra scali aeroportuali dal lato della domanda - di
attribuirvi dimensione internazionale. Coglie nel segno l’osservazione contenuta
nel provvedimento impugnato secondo cui le possibilità di arbitraggio legate
all’acquisto di carburante in aeroporti esteri a costi inferiori sono limitate
da numerosi fattori (limiti tecnici, maggior consumo per il trasporto del
carburante in eccedenza a bordo, tendenza per le compagnie italiane ad avere
comunque condizioni più favorevoli negli scali nazionali piuttosto che in quelli
esteri, dove consumano minori volumi, ecc.) in modo tale da rendere non
significativa tale opportunità.
Gli appellanti ripropongono la tesi della rilevanza locale, ovvero
sopranazionale del mercato, senza aggiungere nulla di significativo a quanto
osservato nei ricorsi introduttivi.
In punto di diritto occorre ricordare che il sindacato giurisdizionale sulle
valutazioni tecniche dell’Autorità incrocia il limite della discrezionalità di
cui gode l’amministrazione nell’applicazione di norme elastiche o concetti
giuridici indeterminati. Il Collegio condivide l’orientamento più recente, in
precedenza delineato, che vuole ampliato il sindacato sulla discrezionalità
tecnica in ragione della sua appartenenza - non già alla discrezionalità
amministrativa bensì - al giudizio tecnico discrezionale, caratterizzato dalla
natura complessa dei fatti da accertare, ovvero dalla natura incerta delle
regole di valutazione.
Detto orientamento va, anzi, confermato su basi dogmaticamente più solide, cioè
facendo riferimento alla struttura logica dell’azione amministrativa
autoritativa (norma - potere - effetto), in ragione della quale
l’amministrazione, nel perseguimento dell’interesse pubblico, ha il potere di
applicare la norma di legge al caso concreto, sia sotto il profilo
dell’interpretazione della fattispecie astratta, che sotto quello
dell’accertamento dei fatti in essa sussumibili.
Allorquando la norma prenda in considerazione fatti il cui accertamento richieda
l’impiego di regole extragiuridiche spetta all’amministrazione la loro
applicazione e, dunque, ove queste consistano in leggi di carattere relativo, la
scelta tra le varie soluzioni prospettabili.
Ma, per converso, traducendosi questo potere, come visto, pur sempre
nell’applicazione della norma di legge, il suo cattivo esercizio si risolve in
un vizio di legittimità del provvedimento, e non può non essere sindacabile
sotto il profilo dell’adozione della regola o del modo di formazione del
giudizio tecnico.
Il limite a siffatto sindacato risiede nel divieto di sostituzione del giudice
all’amministrazione. Nel modello teorico sopra delineato ciò significa che al
giudice non è consentito di controllare l’intrinseca validità del risultato,
cioè del giudizio tecnico formulato dall’amministrazione, che implicherebbe la
neutralizzazione del potere di applicazione delle regole extragiuridiche
attribuito dalla legge all’amministrazione ed, in definitiva, il sovvertimento
dell’essenza (non meno che l’attività di ponderazione degli interessi) della
funzione pubblica.
La linea di confine è data dalla natura della regola extragiuridica. Quanto il
tasso di relatività della stessa è tale da rendere il giudizio opinabile, il
sindacato di attendibilità non può avere natura intrinseca, traducendosi
altrimenti in una valutazione sulla condivisibilità della scelta
dell'amministrazione.
Nella specie le leggi applicate hanno carattere eminentemente relativo, come è
dimostrato, in modo eclatante, dalla circostanza che le parti in causa (Autorità
e società petrolifere) hanno sostenuto tutte le possibili configurazioni
geografiche del mercato di commercializzazione del jet fuel, (locale,
nazionale, sopranazionale).
L’analisi svolta dal giudice di primo grado si è sviluppata nell’ambito dei
limiti imposti al sindacato giurisdizionale in vicende siffatte, mentre, per
converso, gli appellanti invocano la revisione della scelta operata nel
procedimento amministrativo, mercé un’indagine che - formalmente ispirata
all’orientamento giurisprudenziale di apertura - vada ad affermare che la loro
soluzione, e non già quella della Autorità, era la più adeguata ai fatti emersi
in istruttoria.
Analogamente va confermata la valutazione effettuata in ordine alla struttura
oligopolistica e caratterizzata da un elevato grado di concentrazione (essendo
le società petrolifere integrate verticalmente e presenti in Italia in tutte le
fasi della filiera produttiva del settore petrolifero) del mercato, come pure la
presenza di forti barriere all’entrata di nuovi operatori, anche legate
all’obiettiva necessità che le imprese interessate a penetrare nel mercato della
fornitura di jet fuel dispongano di quelle infrastrutture logistiche
(impianti di stoccaggio e di messa a bordo) che sono gestiti dalle società
comuni costituite dalle società petrolifere già operanti nel settore.
7. Passando ad affrontare il tema della prova dell’intesa occorre, come
anticipato, distinguere tra:
a) le condotte di esecuzione dell’intesa > condotte di ripartizione del mercato
(controllo delle forniture uscenti, ritorsioni, coordinamento delle strategie di
gara) e condotte escludenti dal mercato, tese cioè a creare artificiali barriere
all'ingresso;
b) gli effetti dell’intesa sul mercato > stabilità delle quote di mercato,
mancato ingresso di nuovi operatori, prezzo differenziale del jet fluel rispetto
ad altri paesi europei.
A presidio dei due momenti si pone, con indubbia valenza centrale, lo scambio di
informazioni (prezzi correnti, fattori di costo, politiche commerciali future)
generato dalla presenza e dall’operatività comuni (società comuni, clienti
condivisi). Particolarmente rilevante la conoscenza degli elementi compositivi
delle offerte e/o del fabbisogno quali dati orientativi le strategie di mercato.
Da qui, dunque, occorre prendere avvio.
8. Il giudice di primo grado (v. 3.2) ha sull’argomento svolto un’ampia
trattazione, analizzando i flussi informativi rilevati dall’Autorità, la loro
natura, l’esistenza di una pratica di scambio di dati sensibili, la rilevanza di
tale pratica nella disciplina antitrust.
Di seguito vengono esaminati i motivi di appello, opportunamente ridescritti
secondo le coordinate fissate sub 4, nell’ordine logico parametrato alla
astratta idoneità a sovvertire la decisione sul punto.
8.1 Prioritaria è la doglianza - che si esamina qui pur riguardando una premessa
dell’intera decisione - di contraddittorietà della sentenza, atteso che
l’annullamento delle misure strutturali imposte dell’Autorità (eliminazione
della compresenza di più società petrolifere nelle imprese comuni), con
implicito riconoscimento della legittimità delle joint ventures,
determinerebbe il travolgimento dell’intero impianto accusatorio, posto a
fondamento dell’impugnato provvedimento.
L’assunto muove dal presupposto che l’Autorità avrebbe attribuito alla stessa
esistenza delle imprese comuni un ruolo fondamentale ai fini della realizzazione
dell’illecito antitrust, tanto da aver ritenuto impossibile l’eliminazione
dell’infrazione in presenza della perdurante esistenza delle imprese comuni.
Nell’impianto accusatorio, quindi, l’illecito sarebbe una inevitabile
conseguenza dell’esistenza stessa delle imprese comuni e ciò comporterebbe che,
una volta riconosciuta dal TAR la liceità della compresenza delle società
petrolifere nelle imprese comuni, verrebbe meno uno dei pilastri dell’infrazione
contestata con conseguente illegittimità dell’intero provvedimento.
Il motivo è infondato.
Come verrà precisato anche con riferimento alla censura relativa alla dedotta
violazione dell’affidamento delle parti, le contestazioni dell’Autorità non
hanno riguardato la costituzione delle imprese comuni, ritenuta in sé non
illecita, ma l’utilizzo di tali imprese e delle informazioni acquisite tramite
tali imprese da parte delle società petrolifere. Le imprese comuni avrebbero
potuto operare senza porre in essere determinati scambi di informazioni
sensibili e senza essere, quindi, utilizzate con finalità restrittive della
concorrenza. Ciò non è avvenuto e da qui le contestazioni mosse dall’Autorità,
che riguardano il contenuto sostanziale dell’illecito; tale contenuto non va
sovrapposto con il profilo rimediale, che si pone su un piano diverso.
Il TAR ha confermato l’utilizzo illecito delle imprese comuni e, con riferimento
ai soli profili rimediali, ha ritenuto che le misure strutturali, consistenti
nella eliminazione della compresenza di più società petrolifere nelle imprese
comuni, fossero sproporzionate e non adeguatamente motivate rispetto
all’imposizione di sole misure comportamentali. Le conclusioni cui perviene il
primo giudice non contengono alcuna contraddizione e la censura proposta si
fonda sull’errato presupposto secondo cui l’esistenza in sé delle imprese comuni
costituirebbe un pilastro dell’impianto accusatorio, mentre l’Autorità - come
appena detto - ha attribuito un ruolo fondamentale, ai fini della configurazione
dell’illecito, all’utilizzo delle imprese comuni da parte delle società
petrolifere e non alla mera esistenza di tali imprese.
8.2 Lamentela centrale sviluppata dalle appellanti è quella attinente alla
illiceità del flusso di informazioni.
Le censure si articolano essenzialmente in due profili, attinenti all’assenza di
prova in ordine alla violazione dei principi antitrust, ed alla mancanza
di natura sensibile nelle informazioni trattate.
Nel provvedimento dell’Autorità, infatti, sarebbero state individuate due
categorie di informazioni ritenute sensibili ai fini antitrust: quelle utili a
prevedere il futuro comportamento dei concorrenti e quelle utili a monitorare il
rispetto delle regole di condotta concordate; mentre i dati appartenenti alla
prima categoria potrebbero avere, teoricamente, natura sensibile a condizione
che sia provata in concreto l’attitudine dei medesimi a rivelare le future
condotte e strategie delle imprese (ciò che non ricorrerebbe nella specie), le
informazioni che consentono il monitoraggio dei comportamenti dei concorrenti
sarebbero evidentemente prive di ogni giuridica rilevanza laddove, come nel caso
in esame, non sia stata accertata l’esistenza di condotte diverse dal mero
scambio di informazioni; e il semplice scambio di informazioni non concreterebbe
un’attività illecita allorché non sia stata dimostrata l’esistenza di quelle
condotte ripartitorie ed escludenti che costituirebbero l’oggetto del
monitoraggio medesimo.
In ogni caso, ove pure i flussi informativi documentati dovessero essere
ritenuti atti a configurare uno scambio di informazioni sensibili dal punto di
vista antitrust, difettando la prova delle condotte ripartitorie ed escludenti
cui le stesse sarebbero preordinate, cadrebbe uno dei pilastri su cui si regge
l’ipotesi accusatoria, rimando solo lo scambio di informazioni, costituente
un’infrazione minore; ciò che farebbe ritenere sproporzionato ed eccessivo
l’intero impianto sanzionatorio.
Il motivo è infondato.
Viene contestata la natura sensibile del flusso di informazioni e la sussistenza
di condotte escludenti e ripartitorie del mercato.
Su tale ultimo aspetto - in disparte i rilievi che qui si anticipano - si rinvia
ai paragrafi 9 e 10. In ordine alla natura sensibile delle informazioni il
Collegio condivide la valutazione svolta nelle sentenze appellate.
Le risultanze istruttorie hanno ampiamente dimostrato che, mediante le società
comuni, ciascuna società petrolifera aveva a disposizione dettagliate
informazioni riferite anche alle altre società petrolifere associate e, dunque,
informazioni ulteriori rispetto a quelle che erano effettivamente necessarie
alla determinazione delle tariffe da parte delle stesse imprese comuni (v. par.
320 del provvedimento impugnato).
Tali informazioni attenevano, in particolare, sia a dati che svelavano alcune
componenti ritenute cruciali e in grado di orientare i comportamenti futuri dei
concorrenti, come la quantità disponibile di prodotto e la sua provenienza, sia
dati altrettanto importanti necessari per monitorare i comportamenti passati e,
quindi, l’ottemperanza alle regole di condotta concordate; e, tra questi, si
ricordavano le informative sugli esiti delle gare, sugli erogati ai singoli
clienti, sulle relative quote di mercato, sul rispetto delle quote nella
fornitura ai clienti condivisi.
A sostegno del carattere sensibile delle informazioni va, inoltre, rilevato che
solo parte dei dati potevano essere acquisiti anche senza avvalersi delle
società comuni, ma che la maggior parte di essi erano, da queste, conosciuti e
forniti in via esclusiva ed, inoltre, con una ben più consistente base di
certezza e di immediatezza, essenziale ai fini del tempestivo controllo
sull’attività delle altre società petrolifere unite in j.v.
La possibilità di acquisire aliunde le informazioni scambiate non
comporta di per sé la liceità dello scambio. In proposito la giurisprudenza ha
sottolineato che la capacità di captazione autonoma di informazioni non priva
del carattere di illiceità un sistema organizzato di scambio, tenuto conto che
nel primo caso le informazioni avrebbero un carattere tardivo, limitato e privo
della periodicità che caratterizza le informazioni fornite dal sistema
organizzato (Trib. CE, 27-10-94, T-34/92, John Deere par. 105; Cons. Stato, VI,
n. 2199/02, Rc Auto).
L’organizzazione di uno scambio di informazioni consente ai partecipanti di
venire a conoscenza di tali informazioni in un modo più semplice, rapido e
diretto che mediante il mercato, creando per di più un clima di mutua sicurezza
relativamente alle future politiche commerciali dei concorrenti, incompatibile
con i principi della concorrenza (Trib. CE, 12-7-2001, T-202/98, British Sugar,
par. 60).
Tali principi trovano fondamento nella considerazione secondo cui ogni operatore
economico deve determinare autonomamente la propria condotta e che ciò non
esclude il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento,
constatato o atteso, dei concorrenti; è però vietato ogni contatto, diretto o
indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare
il comportamento sul mercato di un concorrente o di mettere al corrente tale
concorrente sul comportamento che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto
(cfr., Corte Giust., C- 49/92, Anic, par.117; Corte Giust., C- 40/73, Suiker
Unie, par.173-175).
Condotte quali lo scambio di informazioni sensibili finiscono infatti per
sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così
erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della
leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa
concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il
profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più
appetibili per il fruitore, anche in un‘ottica di prevenzione e contrasto di non
conosciute iniziative degli altri operatori economici.
Né deve dimenticarsi che lo scambio di informazioni è stato ritenuto integrare
in alcuni casi un illecito antitrust in sé (Cons. Stato, VI, n. 2199/02, Rc
Auto).
Nel caso di specie, le informazioni scambiate riguardavano dati previsionali,
certamente sensibili, quali le informazioni sulle quantità di carburante che una
società petrolifera prevede di erogare in un determinato scalo in un determinato
periodo di tempo, confrontate con quanto erogato nell’anno precedente o dati
altrettanto sensibili quali la conoscenza della tariffa applicata a ciascun
utilizzatore, che comporta la conoscenza di uno degli elementi di costo cui
devono far fronte i concorrenti nello stabilire le proprie politiche commerciali
(v. par. 115).
Le imprese si scambiavano anche dati utili al monitoraggio delle condotte dei
concorrenti: dati su erogati e sui clienti e sugli aggiudicatari delle gare.
Riguardo a queste ultime informazioni, va rilevato che si tratta di dati non
pubblici, essendo l’aggiudicazione delle commesse comunicate alle sole società
interessate e, pur potendo successivamente essere conosciuto tale elemento, è
evidente che la tempestiva conoscenza consente il controllo sulla stabilità
delle quote e l’eventuale adozione di immediate reazioni ritorsive in caso di
inadempimenti.
In definitiva, non si può sostenere che la circolazione dei dati sui clienti
condivisi non sarebbe illecita, in quanto tali dati non avrebbero l’attitudine a
rivelare la posizione sul mercato e le strategie dei concorrenti.
8.3 Complementare, e per molti versi intrecciata, alla precedente è la censura
secondo cui le informazioni scambiate non sarebbero dirette a rivelare le future
condotte e strategie dei concorrenti, essendo piuttosto motivate dall’esigenza
di monitorare l’esattezza delle previsioni delle società circa le quantità di
jet fuel da ritirare e l’effettiva disponibilità di prodotto nei propri
depositi e, quindi, necessarie al funzionamento delle società comuni. Per contro
detto scambio di informazioni non sarebbe in grado di lasciar prevedere le
strategie di mercato delle imprese concorrenti; con la conseguenza che lo
scambio stesso non sarebbe stato, in definitiva, idoneo a fondare un “cartello”,
non essendo neppure dimostrata la sistematicità dello scambio.
Il motivo è infondato.
L’Autorità, al punto 338 dell’atto impugnato, ha osservato che nel corso
dell’istruttoria è stato accertato un flusso informativo particolarmente ampio e
lungo direttrici diverse; sono documentati, infatti, sia scambi di informazioni
tra imprese comuni che tra queste e i propri soci; e che, inoltre, le
informazioni che le società petrolifere si sono scambiate fornivano indicazioni
sia sul comportamento commerciale futuro dei concorrenti, sia sulle condotte in
corso e che entrambe le categorie di informazioni rientravano tra quelle
“sensibili”.
Nei punti successivi (in particolare, 342 e sgg.) l’Autorità ha anche ampiamente
chiarito come la disponibilità delle informazioni da parte di ciascuno dei soci
delle imprese comuni consentisse loro di prevedere i futuri comportamenti delle
concorrenti, la loro strategia commerciale, di definire le tariffe praticate, di
applicare, all’occorrenza, una politica ritorsiva verso il concorrente che
avesse tentato di non rispettare la quota assegnatagli; nel complesso, osserva,
quindi, l’Autorità (punto 354) il sistema di controllo stabilito attraverso le
società comuni consente un efficace monitoraggio di tutti i possibili
comportamenti dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria quota in
deroga alla regola concordata; da un simile apparato deriva una notevole
credibilità alla minaccia di ritorsione, che conferisce stabilità al cartello
costituito dalle società petrolifere attive nel mercato del jet fuel.
Si tratta di considerazioni ampiamente suffragate dai riscontri documentali e
dall’analisi dei comportamenti in concreto tenuti dalle varie società coinvolte
dall’indagine.
Atteso, quindi, il riscontrato carattere sensibile delle informazioni da essa
fatte circolare tra le società madri, correttamente l’Autorità ne ha tenuto
conto per più compiutamente rappresentare, in ambito nazionale, quale fosse
l’elevatissimo livello operativo del “cartello” posto in essere dalle società
petrolifere, in grado di coprire non solo i grandi aeroporti ma, in una sorta di
grande ragnatela, anche quelli di dimensioni minori.
E quanto al fatto che lo scambio di informazioni sarebbe giustificato
dall’esigenza di monitorare l’esattezza delle previsioni della società circa le
quantità di jet fuel da ritirare e l’effettiva disponibilità di prodotto
nei propri depositi, si è già rilevato che le società comuni avrebbe dovuto
operare in modo tale che le informazioni acquisite dalle singole società madri
rimanessero tra loro “impermeabili” e ciò ad evitare di porre in essere una
modalità operativa non contemplata dai patti parasociali.
Quanto, poi, al ritenuto carattere episodico, e comunque non sistematico, del
flusso informativo ricostruito su base documentale, le prove acquisite
smentiscono la tesi. A titolo esemplificativo basti citare quanto rilevato al
punto 110 del provvedimento impugnato, dove si evidenzia come la raccolta da
parte delle società comuni delle informazioni sull’erogato storico e
previsionale viene in genere organizzata ed anche materialmente effettuata dai
rappresentanti delle società petrolifere negli organi direttivi delle joint
venture; e che, al riguardo, “è d’interesse dar conto dello scambio di
corrispondenza incluso in un documento acquisito nel corso della verifica
ispettiva effettuata presso la sede di PAR, al tempo situata nella sede della
KUWAIT a Roma”. Si tratta, rileva l’Autorità, di uno scambio di posta
elettronica risalente al periodo ottobre-novembre 2004 (periodo in cui si
stavano preparando i budget sia di PAR che di HUB, società entrambe partecipate
da KUWAIT), che inizia con la mail in cui una dipendente della stessa KUWAIT,
che collabora con il responsabile aviazione di KUWAIT “sia in Q8 che in PAR”,
richiede agli altri soci di PAR (ENI ed ESSO) le previsioni di erogato a Napoli
e a Palermo per il 2005; e, lo stesso giorno, ottiene questi dati da ENI;
successivamente la stessa impiegata (9 novembre) riceve, in qualità di
rappresentante KUWAIT, da parte di ESSO (che, all’epoca, esprimeva il direttore
generale di HUB), la speculare richiesta di inviare i dati con le previsioni
dell’erogato KUWAIT negli scali HUB, poiché anche questa società stava
preparando i propri budget; contestualmente, il rappresentante di ESSO informa
che i suoi dati per gli scali PAR sarebbero arrivati in giornata; e la medesima
dipendente provvede, poi, il 18 novembre, ad inviare ad ESSO le previsioni di
vendita KUWAIT per gli scali HUB; sicché, ne deduce l’Autorità, “come emerge da
questo esempio, i diversi soggetti svolgono contemporaneamente più ruoli,
all’interno delle società comuni e delle società petrolifere, inviando e
ricevendo, di conseguenza, le informazioni relative all’attività sia dei soci
che delle joint venture”; e le informazioni raccolte dalle società comuni
sull’erogato dei singoli soci - consuntivo e prospettico - vengono poi
comunicate a tutti i soci, cioè anche quelli che al momento non ricoprono
cariche di coordinamento.
Il provvedimento impugnato abbonda di riferimenti simili. Al punto n. 173 è
segnalata la non casuale circostanza per cui, negli scali di Napoli e Palermo
ove opera PAR, le offerte di ENI, ESSO e KUWAIT (che partecipano la società
comune ora detta) relative alle gare Alitalia hanno coperto esattamente il 100%
delle necessità della compagnia di bandiera (46% da parte di ENI e 27% ciascuna
per ESSO e KUWAIT a Napoli; 50%, 25% e 25% a Palermo); indice, anche questo, di
un totale controllo del mercato locale conseguente allo scambio di informazioni
all’interno di PAR.
8.4 Le appellanti criticano, poi, la rilevanza delle informazioni scambiate,
poggiando in primo luogo sul fatto che la concorrenza, nel settore del jet
fuel, si giocherebbe nel momento dell’assegnazione delle forniture e non in
sede di esecuzione dei contratti stipulati; i dati sull’erogato, infatti, non
avrebbero una rilevanza specifica, riferendosi a variabili concorrenziali
(soprattutto la percentuale di fabbisogno stimato del cliente) che sono già
state prefissate in rapporti di somministrazione di durata prolungata nel tempo;
sicché non sarebbe condivisibile quanto indicato nel provvedimento impugnato (e
non criticato dal TAR), secondo cui “il sistema di controllo stabilito
attraverso le società comuni consente un efficace monitoraggio di tutti i
possibili comportamenti dei concorrenti che cerchino di accrescere la propria
quota in deroga alla regola concordata; da un simile apparato di controllo
deriva una notevole credibilità alla minaccia di ritorsione, che conferisce
stabilità al cartello costituito dalle società petrolifere attive nel mercato
del jet fuel”.
La censura è priva di pregio.
Lo scambio interno di informazioni inerenti alle quantità erogate consente,
infatti, a ciascuna delle società partecipanti nella società comune, di
controllare che le altre compartecipi non eccedano, nelle erogazioni, rispetto
alle quantità stabilite in base ai pregressi accordi; è vero che i rapporti di
somministrazione possono avere durata prolungata nel tempo; ma ben può
verificarsi l’evenienza che un operatore aereo possa, nel corso dell’anno, avere
bisogno di maggiori quantitativi di j.f. e che possa, quindi, chiederne una
maggiore somministrazione; e, in tal caso, lo scambio interno di dati relativi
alle erogazioni stesse appare atto a consentire il controllo del rispetto delle
percentuali di ripartizione scaturenti dalle gare; e, del resto, la conoscenza
dei dati in parola è stata, proprio con riguardo a PAR, uno degli elementi che
hanno consentito, come si è visto, di evidenziarne il comportamento
anticoncorrenziale, che si è interrotto non appena è iniziata l’attività
ispettiva dell’Autorità; conoscendo i dati dell’erogato, del resto, era anche
possibile verificare, in modo incrociato, il rispetto delle quote di cui al
citato punto 173 dell’atto impugnato e porre in essere se del caso, eventuali
azioni ritorsive.
8.5 Passaggio successivo del tentativo di confutazione della rilevanza dello
scambio di informazioni è la tesi secondo cui la circolazione di informazioni
attraverso l’impresa comune altro non sarebbe che una scelta organizzativa
finalizzata a migliorare il monitoraggio dell’esecuzione dei contratti con i
clienti condivisi, attraverso l’acquisizione di dati a livello operativo in
assenza di qualsiasi contatto tra compagnie petrolifere concorrenti.
In ogni caso la circolazione dei dati sui clienti condivisi non sarebbe
illecita, in quanto tali dati non avrebbero l’attitudine a rivelare la posizione
sul mercato e le strategie dei concorrenti, peraltro gran parte dei dati
scambiati sono fisiologicamente attinti da processi di circolazione tra gli
operatori di mercato.
Il motivo è fragile.
Correttamente l’Autorità ha rilevato, al riguardo, che lo scambio di
informazioni all’interno della società comune può conseguire ad una legittima
scelta organizzativa solo se e nei limiti in cui venga esercitato in termini
tali da non alterare la concorrenza; ma allorché, come nella specie, esso si è
tradotto in uno scambio di informazioni idoneo a svelare alcune componenti
cruciali in grado di orientare, condizionandoli, i comportamenti futuri dei
concorrenti, allora lo stesso non può che essere rivisto come
anticoncorrenziale.
I dati forniti dalle società comuni sono stati in grado di concorrere ad una
circolazione di informazioni “verso” e “tra” società petrolifere madri,
contraria ai principi concorrenziali. Quanto al profilo relativo alla
sistematicità della circolazione dei dati tra gli operatori di mercato, si
tratta di un’affermazione indimostrata; risulta, invece (v., ad es., il punto
347 dell’atto impugnato), che gli operatori stessi e, in particolare, le
compagnie aeree forniscono dati relativi all’esito delle gare da esse esperite
alle imprese comuni che curano i rifornimenti e alla società petrolifera
fornitrice del carburante a mezzo della stessa società comune, senza informare
le altre società che partecipano a quest’ultima; con la conseguente violazione
dei principi di riservatezza nel momento in cui tali dati la società comune
renda noti a tutte le società madri, sue partecipanti.
8.6 Benché abbia carattere potenzialmente assorbente, va esaminato in coda -
involgendo riferimenti a molti degli elementi sin qui considerati - il motivo
con cui si deduce la violazione del principio del legittimo affidamento, essendo
state le società comuni legittimamente costituite sulla base di scelte operative
autorizzate dall’Autorità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 287 del 1990.
L’Autorità ha riconosciuto che la costituzione di dette società avrebbe
determinato un coordinamento delle attività delle società madri dell’impresa
comune, poiché, non avendo alcuna autonomia rispetto alle imprese controllanti,
esse rappresentavano uno strumento volto a coordinarne il comportamento; sicché
la stessa Autorità avrebbe così escluso che il funzionamento dell’impresa comune
avrebbe facilitato pratiche collusive tra le imprese fondatrici e, più in
generale, comportato restrizioni della concorrenza sul mercato rilevante. Con
l’ulteriore conseguenza che, al contrario di quanto ritenuto dal TAR, il
provvedimento impugnato sarebbe irrimediabilmente viziato, poiché verrebbe a
smentire quanto sostenuto nei provvedimenti autorizzatori su cui le parti
avrebbero fatto legittimo affidamento; il fatto che le società comuni
rappresentino uno strumento volto a coordinare il comportamento delle società
madri apparirebbe, invero, nello stesso atto impugnato, presupposto delle
condotte sanzionate e, per contro, nei precedenti provvedimenti della stessa
Autorità, naturale e lecita conseguenza degli accordi comunicati e autorizzati.
Trascorsi, quindi, ai sensi del citato art 13, centoventi giorni dalla notifica
degli accordi, l’Autorità, sia che abbia autorizzato espressamente che
tacitamente gli stessi, non potrebbe più procedere ad una nuova valutazione
della medesima intesa solo perché dall’attuazione in concreto degli accordi
emergano profili anticoncorrenziali.
Né sarebbe vero che le condotte sanzionate si sarebbero inserite in un contesto
profondamente modificato rispetto a quello oggetto di analisi in sede di
autorizzazione da parte dell’Autorità, non avendo questa, né il TAR, precisato
quali sarebbero tali profonde differenze.
Pure non sarebbe condivisibile, al riguardo, l’assunto dell’Autorità secondo
cui, attraverso le imprese comuni, le società petrolifere avrebbero avuto
accesso ad informazioni sensibili che non avrebbero dovuto conoscere e che tale
flusso informativo non sarebbe stato prevedibile al momento delle comunicazioni
circa la costituzione delle stesse imprese comuni; al contrario, sarebbe il
funzionamento stesso delle imprese comuni ad essere messo in discussione
dall’Autorità, sebbene conforme agli accordi in precedenza autorizzati, dai
quali sarebbe emerso con chiarezza che l’amministrazione societaria sarebbe
stata turnariamente affidata a ciascuno dei soci e che allo scopo di determinare
le tariffe e monitorare il rispetto delle varie quote di fornitura per ciascuna
azienda coinvolta, le informazioni relative ai volumi sarebbero state
necessariamente trasmesse a ciascun socio; sicché non avrebbe potuto l’Autorità
legittimamente imputare alle società comuni detti comportamenti, in quanto
conformi agli accordi autorizzati.
Il motivo è infondato.
Già si è osservato come le contestazioni dell’Autorità non hanno riguardato la
costituzione delle imprese comuni, ritenuta, in sé, compatibile con i principi
della concorrenza, ma l’utilizzazione di tali imprese e delle informazioni
acquisite tramite le stesse da parte delle società petrolifere; e che le imprese
comuni avrebbero potuto operare senza porre in essere determinati scambi di
informazioni sensibili e senza essere, quindi, utilizzate con finalità
restrittive della concorrenza. Si esaminerà tra breve come lo scambio di
informazioni rivesta oggettivo carattere anticoncorrenziale.
Consegue, da quanto precede, che nella specie non può essere validamente
invocato il principio dell’affidamento, atteso che le società comuni hanno
tenuto un comportamento non virtuoso, consentendo una circolazione di
informazioni di carattere anticoncorrenziale, non indispensabile per l’ordinario
svolgimento dei compiti societari.
Al punto 320 l’Autorità segnalava che le risultanze istruttorie avevano
ampiamente dimostrato che, mediante le società comuni (e, tra esse, l’odierna
appellante) ciascuna società petrolifera aveva a disposizione dettagliate
informazioni riferite anche alle altre società petrolifere associate e, dunque,
informazioni ulteriori rispetto a quelle che erano effettivamente necessarie
alla determinazione delle tariffe da parte delle stesse imprese comuni; e
“nessuna di queste informative specifiche era stata comunicata al momento della
notifica della costituzione delle società comuni, né c’era alcun motivo per
pensare che un simile flusso informativo si sarebbe verificato, posto che lo
stesso non è affatto indispensabile ad un efficace svolgimento da parte delle
società comuni dei propri compiti operativi”.
Tali informazioni attenevano, in particolare, sia a dati che svelavano alcune
componenti ritenute cruciali e in grado di orientare i comportamenti futuri dei
concorrenti, come la quantità disponibile di prodotto e la sua provenienza, sia
dati altrettanto importanti necessari per monitorare i comportamenti passati e,
quindi, l’ottemperanza alle regole di condotta concordate; e, tra questi, si
ricordavano le informative sugli esiti delle gare, sugli erogati ai singoli
clienti, sulle relative quote di mercato, sul rispetto delle quote nella
fornitura ai clienti condivisi.
Né si dica che tali informazioni si sarebbero inquadrate in un ambito di
imprescindibile essenzialità dell’azione delle società comuni, dal momento che
queste, in effetti, avrebbero dovuto porre a disposizione delle società madri la
propria struttura e funzionalità non per privilegiare conoscenze incrociate del
mercato da parte di queste (conoscenze coinvolgenti una serie di dati relativi
alle proprie compartecipi e, in particolare, al rispetto delle quote da parte
delle stesse, con la possibilità, tra l’altro, di assumere, all’occorrenza,
comportamenti ritorsivi e, per ciò stesso, anticoncorrenziali), ma solo per
agevolarne l’azione operativa, in considerazione del carattere comune degli
impianti di erogazione e delle altre strutture a terra.
Né può convenirsi nel ritenere che il ruolo delle società comuni sarebbe
legittimo essendo emerso dagli stessi accordi del 1996/1998 che
l’amministrazione societaria sarebbe stata turnariamente affidata a ciascuno dei
soci e che allo scopo di determinare le tariffe e monitorare il rispetto delle
varie quote di fornitura per ciascuna azienda coinvolta, le informazioni
relative ai volumi sarebbero state necessariamente trasmesse a ciascun socio;
ciò in quanto detto carattere turnario non implicava affatto che
l’amministratore pro tempore dovesse necessariamente far conoscere alla società
petrolifera di appartenenza e alle altre società petrolifere in joint venture i
dati relativi alle società stesse, in quanto il fine da perseguire era quello di
tutelare gli interessi della società comune e non - attraverso la circolazione
di dati eccedenti tale specifico scopo - delle società petrolifere madri, alle
quali avrebbe potuto essere fornito il dato complessivo del jet fuel
erogato o da erogare, ma non quello parcellizzato relativo a ciascuna delle
società petrolifere stesse; e, quanto alla determinazione delle tariffe, la
stessa ben avrebbe potuto concretizzarsi tra singola società madre e società
comune, tenendo conto del costo dei servizi per quest’ultima e di quello del
carburante messo a disposizione dalla società madre stessa, mentre
l’acquisizione di dati specificamente riguardanti le altre società madri poteva,
logicamente, valere solo a rinforzare posizioni di reciproco controllo nella
gestione del mercato del jet fuel nei due aeroporti in cui opera PAR e,
quindi, a consolidare una situazione di “cartello” tra le società stesse.
In conclusione, non appare censurabile il fatto che l’Autorità, a seguito
dell’apertura dell’indagine sui comportamenti delle società petrolifere e delle
società comuni nel loro insieme, abbia finito per censurare anche il
comportamento di queste, in quanto in grado di concorrere in termini
significativi alla realizzazione dell’attività anticoncorrenziale.
Il fatto che le imprese comuni non avessero alcuna autonomia rispetto alle
imprese controllanti, rappresentando solo uno strumento volto a coordinarne il
comportamento, non le legittimava a rendere sistematica, tra le stesse società
petrolifere partecipanti, la circolazione delle informazioni (del resto,
cessata, non a caso, subito dopo l’avvio dell’indagine che ha portato
all’adozione del provvedimento impugnato), ma solo ad utilizzare le informazioni
stesse al proprio interno per un più proficuo svolgimento delle proprie
attività, anche, naturalmente, nell’interesse delle società che, partecipandola,
potevano ricavare maggiori benefici da una da una più efficace attività
aziendale, da svolgersi, peraltro, con uno scambio di informazioni limitato ai
rapporti interni tra singola società petrolifera e società comune; limite,
questo, che, essendo stato, con ogni evidenza, violato, ha portato
all’emanazione dell’atto impugnato.
9. Esaurito il tema di fondo dello scambio di informazioni e del ruolo delle
società comuni è il momento di esaminare le condotte di esecuzione dell’intesa
poste in essere dalle società petrolifere, tra cui in primo luogo rilevano
quelle di distribuzione del mercato, attuate mercé canalizzazione delle
forniture uscenti, pratiche ritorsive, concertazione delle gare.
Quanto al controllo sulle forniture uscenti decisivi elementi di prova derivano
dall’accertamento che il 90% dei contratti per la fornitura di jet fuel
alle compagnie aeree veniva stipulato con il fornitore uscente e che esisteva
una generalizzata aspettativa in capo alle società petrolifere circa un
atteggiamento di non aggressione da parte dei concorrenti nei confronti della
loro clientela.
A protezione del sistema traspare l’uso di strumenti di reazione nei confronti
degli inadempienti. Il meccanismo di ritorsione emerge in diversi episodi.
Rilevano, in tal senso:
uno scambio di mail intercorso fra esponenti di ESSO (rinvenute presso tale
società in seguito ad accesso ispettivo disposto da AGCM), illustrante una
situazione di ritorsioni “incrociate” fra la stessa ESSO e KUWAIT PETROLEUM
(cfr. provvedimento impugnato, par. 158) concernenti gli aeroporti di Pisa,
Napoli e Roma-Fiumicino;
ulteriori evidenze documentali (soprattutto concernenti, anche in questo caso,
corrispondenza elettronica) relative ad atteggiamenti ritorsivi intercorsi fra
SHELL ed ESSO relativamente alle forniture di jet fuel insistenti sullo scalo
aeroportuale di Bergamo (par. 160-161);
un memorandum interno TAMOIL dell’aprile 2002, relativo alla gara per la
fornitura a British Airways, nel quale si ipotizza una strategia commerciale
volta a “puntare ancora su Fiumicino e Linate, dove TAMOIL è fornitore uscente”,
poiché “il tentativo di essere aggressivi su Malpensa e Verona rischierebbe di
provocare la reazione dell’Agip, fornitore uscente” (par. 162).
A conferma logica dell’assunto in ordine alla correttezza delle valutazioni
formulate sul punto dall’Antitrust può accettarsi l’idea che la struttura del
mercato dei carburanti agevoli l’applicazione di misure ritorsive nei mercati
“limitrofi” degli altri prodotti petroliferi.
Sullo stesso piano di riscontro critico deve essere valorizzata la prassi
seguita dagli operatori petroliferi riguardante il ricorso agli
approvvigionamenti “incrociati”, intrinsecamente idonea a creare un vero e
proprio sistema di “contrappesi”, la cui modificabilità viene a scontrarsi con
la possibilità di ritorsioni da parte di concorrenti.
In tale quadro, una mail interna TAMOIL del marzo 2004 prende in considerazione
la possibilità di cambiare la controparte di alcuni contratti di fornitura
reciproca, passando da SHELL a ENI, precisandosi che il conseguenziale “taglio”
di SHELL su Cremona è suscettibile di ingenerare ricadute ritorsive che trovano
presupposto nel fatto che TAMOIL dipende da SHELL per “rapporti di transito sul
deposito di Lacchiarella”; e che SHELL, ove appunto messa in difficoltà dalla
cessazione della fornitura TAMOIL a Cremona, “avrebbe potuto reagire rendendo
più difficoltoso il transito su Lacchiarella”.
Siffatte considerazioni illustrano adeguatamente i vincoli di stretta
interdipendenza presenti fra i comportamenti assunti dagli operatori sul mercato
del jet fuel e quelli degli stessi soggetti sugli altri mercati dei
carburanti (multi-market contacts); e ciò in quanto, relativamente alla
fattispecie da ultimo descritta, il deposito di Lacchiarella (avente strategica
rilevanza per i rifornimenti del nord-ovest) è utilizzato da TAMOIL
principalmente per carburanti diversi dal jet fuel.
In ordine alla concertazione delle gare per l’aggiudicazione delle forniture
alle compagnie aeree il TAR ha ritenuto provata nell’istruttoria amministrativa
una partecipazione da parte delle società petrolifere in condizioni di non
totale indipendenza, segnatamente in presenza di offerte formulate nei confronti
di clienti riforniti, su determinati scali, da più società petrolifere.
Posto che le offerte per le forniture di jet fuel in ciascun aeroporto possono
riguardare anche solo una quota-parte del quantitativo totale richiesto da
ciascuna compagnia aerea, è risultato che in svariate occasioni che le offerte
formulate ad ALITALIA da più società petrolifere sono state tali da avere per
somma esattamente il 100% della fornitura. Tale elemento costituisce indice
significativo della concertazione, non potendo altrimenti giustificarsi la
stabilità delle offerte in presenza di una forte variabilità dei consumi (e,
quindi, della domanda) registrata presso gli scali aeroportuali nei quali le
evenienze sopra indicate di sono verificate.
Più in generale, su questi temi, va ricordato che le quote di mercato detenute
dalle società petrolifere sono risultate notevolmente stabili nell’arco del
periodo per il quale le informazioni fornite dalle parti hanno consentito di
effettuare tale calcolo (2001-2004). Siffatta stabilità, caratterizzata da
livelli estremamente contenuti del coefficiente di variazione delle quote degli
operatori, è sintomatica della concertazione, non trovando spiegazioni
plausibili nella struttura del mercato di carburante e nell’andamento del
settore del trasporto aereo.
Considerata l’integrazione verticale che caratterizza le società petrolifere che
operano in Italia (le quali possiedono - a mezzo delle società comuni da esse
costituite - anche le strutture logistiche per lo stoccaggio e la messa a bordo
del carburante delle quali dovrebbe necessariamente servirsi qualunque altro
operatore che intendesse svolgere la medesima attività), non solo nessun
operatore non verticalmente integrato risulta essere riuscito a superare questa
barriera, ma anche operatori indipendenti già dotati di almeno parte delle
necessarie strutture non hanno avuto ingresso nel mercato.
Complessivamente emerge una situazione di non belligeranza tra le società
petrolifere, cui non osta - per le ragioni che si diranno - la strategia
espansionistica (peraltro rientrata) di TAMOIL.
Le appellanti, riformulando le censure veicolate nei ricorsi originari, si
soffermano sullo scarso significato che gli episodi, in sé considerati,
contengono. Ma l’attinenza di ciascun fatto al thema decidendum è indiscutibile,
la sua capacità esplicativa minore o maggiore ma innegabile, il saldo finale
imponente.
Le argomentazioni difensive volte a giustificare la ripartizione del mercato con
fattori endogeni risultano puntualmente superate nelle sentenze appellate. Le
tesi portate a giustificazione dell’approssimazione al 100% del fabbisogno di
carburante della somma delle offerte presentate nelle gare svolte da Alitalia
riprendono gli argomenti - adeguatamente valutati già nel provvedimento
impugnato - della casualità, dell’interazione meccanica, del trascinamento
ciclico.
Quanto al ruolo svolto da Alitalia - la cui posizione dominante nel mercato
costituirebbe un fattore spontaneo di stabilità dello stesso - la grandezza
della sua domanda disaggregata (riferita, cioè, a ciascuna società petrolifera)
non è lontana da quella degli altri vettori aerei, atteso che la stessa si
articola su tutti gli scali aeroportuali toccati e viene soddisfatta pro-quota
dalle diverse compagnie.
10. Nell’ambito dell’attuazione dell’intesa occorre, infine, esaminare le cd.
condotte escludenti. Due sono gli episodi che conclamano la strategia volta ad
interdire l’ingresso nel mercato del carburante ad operatori terzi: la vicenda
riguardante la società MAXOIL (che aveva manifestato interesse per lo scalo
aeroportuale di Roma Fiumicino) e il fallimento dei tentativi dei vettori aerei
di ricorrere alla pratica dell’auto-rifornimento.
10.1 Con riguardo alla vicenda Maxoil, in cui spicca il ruolo avuto dalla
società comune Seram, le appellanti sviluppano una critica che muove dalla
seguente ricostruzione.
Fu Maxoil a decidere di non utilizzare più l’oleodotto collegante il suo
deposito con il porto di Fiumicino; oleodotto che sarebbe rimasto inefficiente
per oltre quindici anni, con conseguente decadimento tecnico per carenza di
utilizzazione e manutenzione, e che quando era funzionante avrebbe
effettivamente operato solo nel senso di trasportare prodotti finiti (gasolio)
non direttamente dalla boa marina, ma solo dalle strutture della raffineria site
in Pantano di Grano (tale ultima circostanza risulta dal provvedimento
dell’Autorità in data 26 aprile 2007, successivo al provvedimento impugnato in
primo grado). La società Seram il 13 ottobre 2005 manifestò a Maxoil la
disponibilità all’utilizzo delle proprie strutture; mentre, come ammesso anche
dal primo giudice, il 23 dicembre 2005 Aeroporti di Roma negò l’autorizzazione
richiesta da Maxoil e la stessa Autorità avrebbe recentemente riconosciuto che
quest’ultima ancora oggi non dispone delle necessarie autorizzazioni. Raffineria
di Roma Spa (appartenente alla società Total) il 20 novembre 2005 avrebbe negato
il “transito” attraverso i propri impianti per ragioni tecniche e operative
connesse alle infrastrutture.
Su tali basi le appellanti reiterano le obiezioni alla valenza di tale vicenda,
ma le doglianze non colgono nel segno.
Nessun nuovo operatore (non integrato come società comune delle compagnie
petrolifere di cui trattasi) era riuscito a entrare nel mercato del jet fuel
e a proporsi come fornitore alternativo e indipendente rispetto alle stesse.
Maxoil era l’unica impresa che, essendo in possesso di un deposito di notevoli
dimensioni nelle vicinanze dell’aeroporto di Fiumicino, aveva manifestato
ripetutamente la volontà di entrare nel mercato del jet fuel per il
medesimo aeroporto.
La società Seram non ha mai consentito l’accesso di Maxoil alle proprie
infrastrutture, mentre Aeroporti di Roma, in data 23 dicembre 2005, aveva
risposto negativamente sull’istanza di Maxoil solo interpretandola come una
richiesta di duplicazione delle strutture della società Seram che, invece, non
si potevano duplicare siccome definite dall’Enac “struttura centralizzata”. Il
che non era nelle intenzioni di Maxoil, come replicato dalla stessa a Aeroporti
di Roma il 2 gennaio 2006. Maxoil, invece, intendeva collegare al deposito della
società Seram un oleodotto proveniente dal proprio deposito e vendere carburante
ai vettori aerei operanti a Fiumicino facendo ricorso, per i servizi di
distribuzione e into-plane interni allo scalo, alle imprese già
esistenti. E Aeroporti di Roma, nella propria comunicazione in data 5 maggio
2006, aveva affermato di essere in procinto di richiedere ulteriori chiarimenti
a Maxoil, al fine di “trasmettere i pertinenti documenti convenzionali” in
ragione della risposta che darà Maxoil (si veda la nota 203 del provvedimento
impugnato in primo grado).
Il mancato possesso da parte di Maxoil delle eventuali autorizzazioni necessarie
per potere operare e commercializzare jet fuel nello scalo di Fiumicino
non costituisce esimente per le società petrolifere. Anzi, se le stesse avessero
consentito l’accesso alle proprie infrastrutture Maxoil avrebbe potuto
richiedere le necessarie autorizzazioni; e comunque l’accesso si sarebbe potuto
concedere condizionandolo al conseguimento delle autorizzazioni stesse.
Le società petrolifere, nella fase dell’ottemperanza al provvedimento impugnato
in primo grado, hanno riconsiderato il loro atteggiamento nei confronti di
Maxoil e proprio tale mutato atteggiamento ha sbloccato la situazione (si
vedano, in particolare, i paragrafi 10 e seguenti della delibera adottata
dall’Autorità nell’adunanza del 26 aprile 2007). Il che conferma come l’elemento
determinante di ostacolo all’accesso di Maxoil al mercato del jet fuel
era costituito proprio dai dinieghi e dalle inerzie delle società operanti
presso l’aeroporto di Fiumicino.
In particolare, con riguardo alla società Seram, controllata dalla società Esso,
dalla delibera dell’Autorità in data 26 aprile 2007 risulta che “non sono emersi
impedimenti opposti a Maxoil dalla società Seram, successivamente alla decisione
dell’Autorità del 14 giugno 2006. Infatti, Seram ha prodotto documentazione
attestante la proposta a Maxoil di un contratto di movimentazione, il cui
presupposto è il possesso da parte di Maxoil delle autorizzazioni amministrative
necessarie per operare in aeroporto come fornitore di jet fuel”.
Siffatta circostanza è di per sé indicativa del fatto che la società Seram si è
indotta a collaborare con Maxoil solo dopo l’adozione del provvedimento
impugnato in primo grado.
10.2 Secondo il primo giudice ulteriore barriera sarebbe stata costituita dalle
“resistenze, via-via opposte dagli operatori petroliferi, alla realizzazione di
un sistema di auto-forniture che avrebbe posto il cliente più importante”
(Alitalia) “nella condizione di poter accedere direttamente - e senza
l’intermediazione dei soggetti operanti sul mercato nazionale del jet fuel
- all’approvvigionamento del carburante, mediante ricorso al mercato cargo”.
Potendo così spuntare prezzi che “avrebbero potuto dimostrare un significativo
ridimensionamento rispetto ai costi dello stesso jet fuel, incrementati
da componenti (quali il differenziale gasolio) altrimenti non presenti”.
Le appellanti obiettano che non esisterebbe alcun documento che provi
l’effettiva volontà di Alitalia di realizzare seriamente un programma di
self-supply, né tanto meno comportamenti che l’abbiano ostacolato. Mentre,
invece, vi sarebbero significativi documenti in contrario, tutti ignorati dal
primo giudice, attestanti:
1) la proposta della società Total di partecipare con Alitalia a una società
mista per la messa a bordo con self supply; proposta alla quale Alitalia
non diede alcun seguito;
2) la mancata ricezione, da parte di Enac e di Aeroporti di Roma, di
“manifestazioni di interesse relative all’accesso di nuovi prestatori del
servizio” di rifornimento, tanto meno da Alitalia, nonché la mancata
finalizzazione di un progetto di costituzione di una joint venture tra Agip e
Alitalia poiché uno studio finanziario interno lo giudicò estraneo al core
business Alitalia;
3) la mancata realizzazione di un progetto di self supply per decisione
dei vertici di Alitalia.
D’altronde se Alitalia avesse avuto interesse al self supply avrebbe
potuto semplicemente azionare il meccanismo previsto dall’art. 5 del d.lgs. 11
febbraio 1998, n. 32 per ottenere l’accesso alle infrastrutture delle società
Seram e di Raffineria di Roma.
Il Collegio osserva che è irrilevante quanto dedotto con riguardo alla proposta
della società Total, poiché la stessa ha si dato corso a una iniziativa idonea a
consentire il superamento delle barriere all’accesso al mercato del jet fuel
- favorendo in prospettiva lo sviluppo del ricorso all’autofornitura da parte
delle compagnie aeree e in particolare di Alitalia - ma solo (nel procedimento
che ha portato all’adozione del provvedimento impugnato in primo grado) a
seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie e tenendo conto delle
criticità concorrenziali individuate nella comunicazione stessa. Mentre proposte
di analoga efficacia non sono state individuate da nessun’altra società
petrolifera (si veda il paragrafo 404 del provvedimento impugnato in primo
grado).
Anche se l’accesso al mercato dello stoccaggio e della messa a bordo del jet
fuel non era stato mai formalmente negato ad Alitalia, la situazione di
fatto che si era venuta a creare nel relativo mercato ha impedito alla stessa di
provvedere al proprio approvvigionamento direttamente o in associazione con
società petrolifera (così detto self supply); modello, il secondo,
frequentemente adoperato all’estero con diversi effetti benefici (si veda il
paragrafo 244 del provvedimento impugnato in primo grado).
L’interesse delle compagnie aeree al self supply (sin dal 1998) è
sufficientemente documentato nel provvedimento impugnato in primo grado
(paragrafi da 204 a 216).
Alle ulteriori obiezioni sollevate ha sufficientemente risposto il provvedimento
impugnato in primo grado nel quale, al paragrafo 367, viene così rilevato: <<Le
parti hanno obiettato la mancanza di credibilità della richiesta di Alitalia, la
quale non ha dato seguito ai contatti instaurati, né ha manifestato la volontà
(ovvero, la capacità finanziaria) di intraprendere gli investimenti necessari
per operare stabilmente come fornitore di jet fuel per le proprie
esigenze. A smentire tale tesi stanno i reiterati e documentati tentativi di
Alitalia nei vari anni di effettuare l’autofornitura, un comportamento che
proprio per la sua costanza appare poco plausibile qualificare come
“opportunistica” ovvero “velleitaria” e priva di reale credibilità. Al
contrario, anche questa condotta ostruzionistica delle compagnie petrolifere
rientra nella più ampia strategia di impedire qualsiasi fonte di effettiva o
potenziale concorrenza nel mercato del jet fuel>>.
Quanto previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 32/1998 - “Le società titolari di
concessioni e autorizzazioni relative a depositi di oli minerali, di cui
all'articolo 16 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono tenute a garantire l'uso
delle capacità di stoccaggio non utilizzate e delle infrastrutture di trasporto
per il transito del prodotto a chiunque ne faccia richiesta, purché autorizzato
ai sensi delle vigenti norme di legge, a condizioni eque e non discriminatorie”
- non ha rilievo alcuno, dimostrando solo la fattibilità del self supply.
10.3 Il Collegio intende ancora precisare, in risposta alle critiche delle
appellanti, che la vicenda Maxoil e il fallimento dei tentativi di self supply
non si riferiscono solo all’aeroporto di Fiumicino e, comunque, entrambe sono
indicative dell’esistenza di barriere all’ingresso nel mercato di settore,
essendo sufficiente anche la situazione relativa a un solo scalo aeroportuale,
trattandosi del più importante aeroporto nazionale.
11. Va ora esaminato il secondo segmento della prova, cioè gli effetti
dell’intesa sul mercato o, per meglio dire, le caratteristiche assunte dal
mercato che siano sintomatiche dell’intesa.
Fermo restando che l’intesa anticoncorrenziale può essere sanzionata anche
indipendentemente dai suoi effetti. Infatti l’art. 2 della legge n. 287/90, dopo
aver precisato che si considerano intese gli accordi e/o le pratiche concordate,
statuisce che sono vietate le intese tra le imprese che abbiano per oggetto o
per l’effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco
della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte
rilevante. La norma è chiara nel richiedere la sola presenza dell’oggetto
anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell’effetto (cfr., Corte Giust.
CE, C - 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss.; Cons. Stato, VI, n.
2199/2002 e n. 652/2001).
Nel caso in esame l’Autorità ha dimostrato anche l’esistenza di effetti
anticoncorrenziali, riguardanti la stabilità delle quote di mercato (par. 375) e
il prezzo del jet fuel (par. 368 e ss.), al fine di rafforzare la prova
dell’intesa.
11.1 Rileva innanzitutto la stabilità delle quote di mercato detenute nel
periodo considerati dalle società petrolifere e il mancato ingresso di nuovi
operatori.
Le appellanti, con riferimento alla stabilità delle quote di mercato, hanno
dedotto che sia l’Autorità che il TAR avrebbero ignorato forti oscillazioni
delle quote di alcune società, riscontrabili anche a livello nazionale. Ciò
dimostrerebbe la variabilità delle quote di mercato e, di conseguenza, la
contendibilità del mercato. Il mancato ingresso di nuovi operatori, invece,
sarebbe un effetto spontaneo.
Il motivo è infondato.
L’Autorità ha indicato nella tabella IV.5 (par. 47) le quote di mercato del jet
fuel delle principali società petrolifere operanti in Italia nel periodo 2001 /
2004.
Dai dati della tabella, risulta evidente che la variabilità delle quote di
mercato è risultata nel periodo molto bassa, essendo il coefficiente di
variazione per tutte le società non superiore a 0,25 con l’eccezione di Tamoil
(0,34).
Con argomentazioni non contraddette dalle appellanti l’Autorità ha evidenziato
che la stabilità delle quote assume valore ancora più significativo, in quanto
si è realizzata nonostante shock di mercato quali l’avvento delle
compagnie aeree low-cost e, soprattutto, le eccezionali vicende dell’11
settembre 2001, che hanno determinato una importante flessione dei consumi nel
2002 (a fronte di una riduzione della domanda pari all’8% dal 2001 al 2002, le
quote di mercato delle parti nel biennio in esame sono rimaste invariate).
L’elemento della stabilità delle quote non è contraddetto dalla crescita della
quota di mercato di Tamoil (5,49%), considerato che dalle stesse risultanze
istruttorie è emerso, e l’Autorità ne ha dato atto, il tentativo di Tamoil di
adottare per alcuni anni un comportamento indipendente sul mercato.
La crescita di Tamoil diventa così elemento di supporto della stabilità delle
quote, in quanto dimostra che il semplice tentativo di condotte imprenditoriali
autonome ed aggressive era idoneo a sortire gli effetti dell’aumento della quota
di mercato; effetti che invece sono risultati assenti per le altre società, e
tra queste le appellanti (l’Autorità ha poi tenuto conto di tale condotta di
Tamoil ai fini della riduzione della sanzione).
La crescita della quota di mercato di Total (4,53%) è stata, invece,
congruamente spiegata dall’Authority come un ritorno al proprio normale
fatturato, sceso negli anni 2001-2002 per il venir meno della fornitura ad
Alitalia.
Le appellanti - in particolare proprio Tamoil - contestano l’idoneità del
coefficiente di variazione (CV) a descrivere l’andamento del mercato dal punto
di vista dell’analisi delle dinamiche concorrenziali. La critica, tuttavia, non
si basa su alcuna dimostrazione teorica, ed appare inidonea a confutare quello
che è un parametro riconosciuto dalla comunità scientifica. A sostegno della
tesi, infatti, viene riportata una comparazione ipotetica tra il trend accertato
per Tamoil negli anni in esame e lo stesso trend riferito allo stesso periodo ma
cambiando la posizione dei valori annuali (ad esempio riferendo la quota di
mercato del 2000 al 2001). Nel ragionamento della parte privata la circostanza
che la media e il CV non cambiano, pur in presenza di una diversa distribuzione
nel medesimo arco di tempo, dimostrerebbe che tale lettura del fenomeno non
spiega le dinamiche concorrenziali sul mercato.
Il Collegio rileva che, banalmente, la dimostrazione offerta da Tamoil
costituisce mera applicazione di una regola matematica, che non inficia il dato
assunto dall’Authority, cioè l’incompatibilità del tasso di crescita con un
ambiente competitivo.
Né ha miglior sorte il tentativo di Tamoil di proiettare la sua crescita sugli
anni che non sono stati oggetto di indagine, posto che per il periodo successivo
al 2004 mancano dati di riferimento e l’ipotesi di un’intesa anticoncorrenziale
si ferma a quella data, sicché nessun senso può avere una valutazione estesa al
di là di essa.
La dimensione nazionale del mercato rilevante esclude che, ai fini della
stabilità delle quote, possano essere prese in considerazione le situazioni di
mercato dei singoli aeroporti.
Peraltro, sebbene il dato non assuma carattere rilevante, l’Autorità nella
tabella IV. 6 ha, comunque, dettagliato l’analisi della presenza delle parti nei
principali aeroporti, quali quelli di Roma, Milano, Napoli e Palermo e da tali
dati è stata confermata la tendenza alla stabilità delle quote, soprattutto a
Malpensa, Napoli e Palermo e i casi di maggiore variabilità in sede locali
trovano tutti una specifica giustificazione (presenza dell’operatore marginale,
AirBP, che ha comunque una quota molto ridotta e peraltro è l’unica impresa che
non è socia delle joint venture aeroportuali; già menzionata crescita di TAMOIL;
perdita del contratto Alitalia da parte di TOTAL per il 2001-2002; decisione di
KUWAIT di rinunciare alla fornitura Alitalia a Malpensa, Linate e Fiumicino per
rifornire la compagnia in altri aeroporti minori).
In definitiva sia i più rilevanti dati nazionali, sia in parte i dati locali,
confermano la stabilità delle quote di mercato del jet fuel delle società
petrolifere e, in presenza di tali elementi, le appellanti non hanno supportato
le loro contestazioni con elementi idonei a contrastare le conclusioni raggiunte
sul punto dall’Autorità.
Complementare alla questione sin qui esaminata è il dato (pacifico) relativo
all’assenza di ingressi sul mercato rilevante. Le critiche gravano sul
significato che tale dato assume rispetto all’intesa. Le appellanti propongono,
come anticipato, una spiegazione alternativa, suggerendo che il dato in
questione sia generato da una tendenza intrinseca del mercato. Sul punto il
Collegio ritiene di rinviare a quanto già osservato in precedenza, non senza
aggiungere che la spiegazione alternativa appare puramente congetturale, mentre
gli elementi che indicano una chiusura artificiale del mercato sono numerosi.
11.2 Secondo elemento significativo è il divario esistente nel differenziale del
prezzo di vendita del carburante rispetto all’estero.
Il primo giudice (v. 3.3) ha affermato che:
in Italia, a parità di dimensioni dello scalo aeroportuale, la componente del
prezzo del jet fuel che è oggetto di contrattazione tra le parti (il cd.
differenziale) è nettamente più elevata che all’estero;
il differenziale (price add on) rappresenta “il margine di guadagno delle
società petrolifere”;
i differenziali praticati per le forniture nei tre principali aeroporti
italiani sono più elevati (in misura del 50% o anche più) di quelli degli
aeroporti di grandezza comparabile, se non inferiore (come Parigi Orly e
Bruxelles) o anche di dimensioni decisamente inferiori (come Colonia);
La particolare situazione dell’Italia ha comportato che il prezzo praticato
del jet fuel sia inferiore a quello del gasolio. Tale circostanza ha indotto le
società petrolifere - al fine di evitare che la commercializzazione del jet fuel,
rispetto a quella del gasolio, avvenisse in maniera non remunerativa - ad
aggiungere al prezzo del primo (quale risultante dalla quotazione Platt’s
per il bacino del Mediterraneo: FOB MED) una maggiorazione, denominata
“indifferenza gasolio”);
la possibilità per le compagnie aeree…di provvedere all’approvvigionamento del
jet fuel direttamente sul mercato internazionale avrebbe consentito di poter
fruire di un prezzo finale del prodotto depurato dal rammentato premio per
“indifferenza gasolio” che, altrimenti, i meccanismi di funzionamento del
mercato interno propongono quale obbligatoria componente del prezzo corrisposto
dal vettore aereo.
Le obiezioni di fondo mosse dalle appellanti possono così riassumersi:
1) PLATTS (che è l’ente che cura la rilevazione a livello internazionale dei
prezzi) determina un “premio” aggiuntivo con la funzione di aggiustare la
quotazione del Mediterraneo per tenere conto delle effettive transazioni e
siffatto premio sarebbe stato elaborato allo scopo di “catturare in maniera più
completa la realtà degli aspetti fondamentali che sottostanno al mercato del jet
fuel nell’area del Mediterraneo” (oscillante tra 4 e 6 centesimi di dollaro USA;
come da documento depositato in primo grado);
2) è erroneo che le società petrolifere aggiungono al prezzo PLATTS MED la
maggiorazione “indifferenza gasolio”;
3) è erroneo che il differenziale rappresenta il “margine di guadagno”,
comprendendo, invece, anche altre voci completamente sottratte alla negoziazione
tra le parti, quali i costi di trasporto e di logistica, il citato premio PLATTS
per il Mediterraneo e le tariffe into plane;
4) è erroneo che i differenziali applicati in Italia sono maggiori rispetto a
quelli applicati all’estero in scali aeroportuali comparabili, a causa
dell’erroneità delle indicazioni di cui alla tabella IV.10 del provvedimento
impugnato in primo grado;
5) il livello del differenziale a Fiumicino, invece, sarebbe assolutamente
competitivo se non inferiore a diversi aeroporti stranieri con consumo di
carburante paragonabile, mentre quello di Milano Linate sarebbe addirittura
inferiore;
6) la circostanza che il prezzo finale risulta leggermente superiore sarebbe
dovuta esclusivamente agli obbligatori oneri aeroportuali versati dagli enti
gestori; oneri non controllabili dalle società petrolifere;
7) è erroneo che le compagnie petrolifere, nel mercato italiano del jet fuel,
guadagnano margini più elevati rispetto a quanto accade all’estero.
Il Collegio ritiene che l’Autorità, nell’ambito della propria discrezionalità
tecnica, abbia seguito criteri che non appaiono né illogici né errati.
L’Autorità (paragrafi da 220 a 243 e da 368 a 373 del provvedimento impugnato in
primo grado), tra l’altro:
a) ha considerato, le varie componenti del prezzo del jet fuel, la quotazione
Platts usata come riferimento nel Mediterraneo, le tabelle IATA e i costi di
trasporto del jet fuel;
b) ha rilevato che la circostanza per cui i differenziali praticati in Italia
sono più elevati di quelli esteri, al punto da annullare il minore valore che il
Platts attribuisce al jet fuel nell’area del Mediterraneo rispetto all’Europa
del nord, è riconosciuto anche dai rappresentanti della compagnia aerea
Meridiana;
c) si è basata su di un documento interno di ENI, riferibile al periodo
2003-2004, nel quale sono riportati per ciascun aeroporto nazionale i
differenziali medi applicati alle compagnie aeree clienti (classificate in tre
grandi gruppi: Alitalia, Italiani e Visiting), dal quale risulta che negli
aeroporti di Linate, Malpensa e Fiumicino (e solo in questi) i differenziali
richiesti in pagamento ad Alitalia sono pressoché corrispondenti a quelli
applicati alle altre compagnie italiane ed entrambi sono più elevati di quelli
alle compagnie estere (visiting), nonostante il Platts di riferimento sia lo
stesso per tutte (il FOB MED);
d) ha rilevato come “L’uso della quotazione del gasolio come riferimento al
posto di quella del jet fuel è stato peraltro riconosciuto dai rappresentanti
delle società petrolifere intervenuti in audizione” e che “Le parti stesse
riconoscono che buona parte della maggiorazione dei differenziali italiani è
dovuta alla necessità di remunerare i produttori nazionali per la rinuncia alla
produzione di gasolio (cd. indifferenza gasolio)”;
e) ha evidenziato che, “anche aggiungendo alla quotazione Platts del
Mediterraneo i costi per il passaggio da FOB a CIF così stimati, rimane una
notevole distanza tra i differenziali italiani e quelli europei”.
I rilievi svolti dall’Autorità, in tema di prezzi del jet fuel, evidenziano
quanto meno l’impermeabilità degli stessi alla concorrenza. Le censure delle
interessate non colgono né carenze istruttorie e motivazionali, né perplessità e
incoerenza.
12. All’esito della conferma dei singoli elementi di conoscenza sull’intesa
illecita occorre accertare se la stessa sia effettivamente provata.
Il giudice di primo grado ha sviluppato le considerazioni descritte sub 4.4,
richiamando la giurisprudenza nazionale e comunitaria. Il punto critico riguarda
il ragionamento adottato, che ad avviso delle appellanti sarebbe da un lato
inadeguato, dall’altro ancorato ad un’inaccettabile inversione dell’onere della
prova.
La giurisprudenza - nazionale e comunitaria - ha da tempo chiarito che, in
presenza di uno scambio di informazioni tra imprese, il parallelismo di
comportamenti economici si colora di illiceità, spettando alle imprese
dimostrare che il parallelismo non sia il frutto di comportamenti
anticoncorrenziali, agevolati dalla conoscenza reciproca di informazioni
rilevanti e sensibili (Cons. Stato, VI, n. 652/01, CD musicali; n. 1699/01, Tim
- Omnitel).
Se, dunque, la semplice identità delle condizioni di offerta da parte degli
imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare l’esistenza di
un accordo o di una pratica concordata (salvo il caso eccezionale nel quale
l’anomalia dell’appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come frutto di
un’intesa illecita sul versante concorrenziale), quando esistono elementi di
riscontro, quali lo scambio di informazioni, si presume il carattere illecito
del parallelismo, con una sostanziale inversione dell’onere della prova,
gravante in tal caso sulle imprese al fine di spiegare la razionalità economica
delle condotte parallele in una prospettiva di autonome iniziative
imprenditoriali; ciò che si presume è le imprese tengano conto delle
informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio
comportamento sul mercato, spettando alle stesse imprese l’onere della prova
contraria (Corte Giust. CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par.121).
Con riferimento all’onere probatorio, si può allora concludere che un
parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese, di per sé lecito, può
essere considerato come frutto di un'intesa anticoncorrenziale, ove emergano
indizi gravi, precisi e concordanti rappresentati, alternativamente o
cumulativamente:
a) dall’impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come
frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali (onere a carico
dell’Autorità);
b) dalla presenza di elementi di riscontro (quali contatti e scambi di
informazioni) rivelatori di una concertazione e di una collaborazione anomala
(l’onere probatorio contrario viene spostato in capo alle imprese).
Gli orientamenti innanzi menzionati vanno confermati. Qui si tratta solo di
verificare se l’argomentazione complessivamente svolta dal TAR soddisfa i
postulati logici ivi indicati.
Li soddisfa.
Per quanto attiene alla singola sequenza probatoria, diretta ad estrapolare da elemento noto una conoscenza sul fatto (illecito) ignoto, il TAR ha proceduto alle opportune operazioni di corroboration e di cumulative redundancy, dando conto innanzitutto degli elementi convergenti con il risultato acquisito, in secondo luogo della assenza di valide ipotesi alternative di spiegazione.
L’ampia analisi condotta dal TAR è caratterizzata da continui riferimenti
incrociati a sostegno di ciascun elemento e dalla valutazione di spiegazioni
alternative. L’affermazione che l’allegazione di dette spiegazioni toccava alla
difesa ha costituito, in realtà, nulla di più dell’applicazione del postulato
secondo cui l’interessato può - e, sul piano epistemologico, “deve” - fornire
letture dei fatti che sfuggono ai terzi, sicché la loro mancata o inadeguata
indicazione rafforza la tesi dell’accusa.
Venendo all’inferenza globale il Collegio ha più volte richiamato, a sostegno
della validità della ricostruzione effettuata nelle sentenze appellate, la
distinzione tra le condotte di esecuzione dell’intesa e gli effetti dell’intesa
sul mercato.
L’ipotesi è deduttivamente confermata poiché l’assunto accusatorio da
spiegazione di tutti i fatti accertati nell’istruttoria amministrativa.
Resta l’ultima verifica, quella decisiva, avente ad oggetto il grado di capacità
esplicativa della stessa rispetto ad ogni ipotesi alternativa.
Qui occorre premettere come la circostanza che non tutti gli indizi gravino su
tutte le società non è un fattore ostativo al riconoscimento dell’intesa.
Infatti rileva, da un lato, che gli elementi abbiano consistenza tale da
delineare l’accordo, dall’altro che ciascuna società sia gravata da plurimi
indizi in ordine alla sua partecipazione alla medesima.
Ciò posto il Collegio ritiene che non siano emerse ragionevoli giustificazioni
dei dati storici estrinseci ed intrinseci che, nella presente vicenda, hanno
caratterizzato il mercato e i comportamenti dei suoi attori.
Il complesso dei fatti accertati trova un’ottimale spiegazione nella tesi che le
appellanti hanno dato luogo ad un’intesa anticoncorrenziale, di cui
costituiscono attuazione o effetto. La duplice natura dei fenomeni rilevati, in
rapporto di causalità giuridica o materiale con l’ipotizzato pactum rende
altamente improbabile, per non dire logicamente impossibile, che gli stessi
siano riconducibili a fattori diversi.
Neppure qui può predicarsi l’inversione dell’onere della prova, atteso che non
si imputa agli accusati l’onere di dimostrare l’assenza di responsabilità, bensì
si assume che la responsabilità loro contesta sia l’unica ragionevole
spiegazione degli elementi emersi.
13. Gli appelli delle società petrolifere attingono, da ultimo, le sanzioni
pecuniarie e ordinatorie irrogate.
Il primo giudice (v. 3.5) ha condiviso l’impostazione dell’Autorità, come pure
la graduazione delle sanzioni. Il Collegio procede preventivamente a fissare il
quadro teorico cui intende fare riferimento nel sindacato sulle sanzioni
pecuniarie applicate dall’Autorità.
La Sezione si è ormai da tempo espressa in favore della tesi dell’applicabilità
ai giudizi in materia antitrust dell’art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981,
che prevede il potere del giudice di annullare in tutto o in parte (l’ordinanza)
o di modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta.
La Sezione ha aderito alla tesi dell’applicabilità del citato art. 23 e della
conseguente giurisdizione di merito sulle sanzioni pecuniarie irrogate
dall’Autorità (con possibilità quindi di modificarle in sede giurisdizionale),
richiamando sia il principio di legalità, che tutela il diritto del privato a
non subire imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge
(art. 23 Cost.), sia la compatibilità con i principi della legge n. 287/1990
dell’art. 23 della legge n. 689/1981, sia infine la diversità del potere
esercitato dall’Autorità per l’applicazione di una sanzione amministrativa
tipicamente punitiva, quale quella pecuniaria (Cons. Stato, VI, 24 maggio 2002,
n. 2869; 30 agosto 2002 n. 4362; 2 agosto 2004, n. 5368).
Del resto, il riconoscimento di tale tipo di sindacato giurisdizionale è
coerente con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza comunitaria,
che ha sempre ritenuto la sussistenza di una competenza di merito del giudice,
che consenta anche la modifica delle sanzioni irrogate dalla Commissione; ed è
anche coerente con le prospettive di armonizzazione del diritto della
concorrenza, tenuto conto che l’art. 31 del reg. CE n. 1/2003 prevede che la
Corte di Giustizia possa estinguere, ridurre o aumentare le ammende irrogate
dalla Commissione, qualificando tale competenza giurisdizionale “di merito”
(Trib. Ce, 11-3-99, T-141/94, Thyssen Stahl AG, par. 646 e 674 e Corte Giust.
CE, 16-11-2000, C-291/98,, Sarriò - Cartoncino, par. 70-71).
Ciò premesso, si rileva che alla fattispecie in esame, in considerazione del
protrarsi dell’intesa anche oltre il 2001, è stato correttamente applicato
l’art. 15 della legge n. 287/90, modificato dall’art. 11, comma 4 della legge n.
57/2001, che ha ampliato il margine di discrezionalità dell’Autorità nella
quantificazione delle sanzioni attraverso l’eliminazione di una percentuale
minima della sanzione, che è rapportata ora all’intero fatturato dell’impresa.
Il citato art. 15 subordina la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria
ai “casi di infrazioni gravi” e impone di tenere conto, “della gravità e della
durata dell'infrazione”.
13.1 Le appellanti contestano in primo luogo il giudizio di gravità
dell’infrazione, qualificata come “molto grave” dall’Autorità e sostiene che lo
scambio di informazioni in sé costituisce un illecito non grave e che l’Autorità
ha fondato la sua valutazione su un approccio puramente formalistico, basato sul
solo criterio della natura dell’infrazione.
La censura è infondata.
In primo luogo, si rileva che l’Autorità ha fatto riferimento ai criteri di
quantificazione, contenuti nella Comunicazione della Commissione 98/C9/03 sul
calcolo delle ammende ed in base a tali criteri ha correttamente ritenuto molto
grave una intesa “realizzata attraverso un intenso e continuato scambio di
informazioni, il coordinamento delle rispettive strategie di gara, l’adozione di
comportamenti punitivi e gli ostacoli opposti all’accesso al mercato di nuovi
operatori”.
Si rileva che la Commissione europea, in sede di formulazione dei menzionati
criteri, ha classificato come molto gravi quelle infrazioni, consistenti in
restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati,
o di altre pratiche che preguidicano il buon funzionamento del mercato interno.
A differenza di quanto sostenuto dalle appellanti, tale criterio, fondato sulla
natura dell’infrazione, è stato applicato dall’Autorità senza trascurare la
concreta fattispecie in esame; si è, infatti, tenuto conto dell’impatto
rilevante sul mercato, derivante dal coinvolgimento di tutte le principali
imprese del settore e degli effetti dell’intesa.
Va poi sottolineato come l’illecito contestato non sia costituito dal solo
scambio di informazioni quale pratica anticoncorrenziale in sé, ma da una più
complessa intesa, che ha avuto ad oggetto e per effetto la ripartizione del
mercato della fornitura di jet fuel e l’impedimento all’ingresso di nuovi
operatori, nonché un intenso e continuato scambio di informazioni idonee al
raggiungimento di tali obiettivi.
Peraltro, la Sezione ha già in passato confermato la gravità di un illecito,
consistente in uno scambio di informazioni in sé, per il quale era stato
contestato il solo oggetto anticoncorrenziale, e non anche gli effetti (Cons.
Stato, VI, n. 2199/2002, Rc Auto) e tale gravità è confermata, ed anzi è
correttamente qualificata come “molto grave” nel caso di specie, in cui - come
appena detto - non è sanzionato uno scambio in sé, ma una più complessa intesa.
13.2 Complementare alla precedente è la censura con cui si deduce la non
intenzionalità dell’infrazione, tenuto conto del dubbio esistente sul carattere
illecito delle condotte contestate.
Il motivo è infondato.
Infatti, secondo una giurisprudenza costante, perché un'infrazione alle norme
del Trattato sulla concorrenza si possa considerare intenzionale, non è
necessario che l'impresa sia stata conscia di trasgredire tali norme, ma è
sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come
scopo la restrizione della concorrenza (Corte Giust. CE, 8 novembre 1983, cause
riunite da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ, punto 45; Trib.
Ce, 6 aprile 1995, causa T-141/89, Trefileurope, punto 176, e 14 maggio 1998,
causa T-310/94, Gruber + Weber, punto 259; 12-7-2001, British Sugar cit. punto
127; per la giurisprudenza interna, v. Cons. Stato, VI, n. 2199/2002).
Nel caso di specie, le imprese coinvolte sono di dimensioni tali da disporre
certamente delle conoscenze giuridiche e economiche necessarie per conoscere il
carattere illecito della loro condotta e le conseguenze che ne derivano dal
punto di vista del diritto della concorrenza.
Tale consapevolezza emerge chiaramente, anche con riferimento allo scambio di
informazioni, da alcuni documenti istruttori (a mero titolo esemplificativo, si
può richiamare il doc. 503, citato nel par. 355 dell’impugnato provvedimento,
consistente in una mail inviata da un rappresentante di ESSO nell’agosto 2004
agli uffici di SHELL e della stessa ESSO per avere la migliore stima
dell’erogato atteso delle due società all’aeroporto di Bergamo - ove operano in
joint venture - per l’anno a venire, in cui viene espressamente precisato:“Vi
prego di assicurarvi di rispondere SOLTANTO a me […], dal momento che le
informazioni che fornirete potrebbero essere considerate sensibili sotto il
profilo della normativa antitrust”).
Non poteva sussistere alcun dubbio sul carattere illecito delle condotte in
questione e deve, quindi, escludersi che il profilo dedotto possa assumere
rilevanza per escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo o anche solo per
integrare una circostanza attenuante, idonea a diminuire la quantificazione
della sanzione.
Va, inoltre rilevato che il giudizio di gravità non è viziato da un’omessa
considerazione del carattere non esteso delle zone geografiche interessate
dall’infrazione, come sostenuto dall’appellante, in quanto la dimensione
nazionale del mercato di riferimento, correttamente individuata dall’Autorità
impedisce di considerare circoscritto l’impatto dell’intesa sul mercato, anche
prescindendo dall’analisi circa le condotte di ciascuna impresa in relazione ai
singoli aeroporti.
13.3 Le appellanti, con diversa insistenza, contestano l’omessa riduzione della
sanzione in relazione al ruolo marginale svolto nell’intesa e al limitato peso
nel mercato di riferimento.
Al riguardo, si osserva che in realtà l’Autorità non ha applicato le sanzioni in
maniera indifferenziata per tutte le imprese, ma ha tenuto conto dei menzionati
elementi e, in particolare, dell’effettiva capacità economica di ciascuna
impresa di pregiudicare in modo significativo la concorrenza; dell’importanza
relativa di ciascuna impresa sui mercati interessati, quale elemento indicativo
del diverso impatto che ogni singola impresa ha determinato sulla concorrenza;
della dimensione assoluta delle imprese, anche al di fuori dei mercati
interessati.
Ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria, le imprese sono state
così suddivise in tre categorie a seconda della loro dimensione rispetto alle
vendite complessive di jet fuel nel 2004 (unica impresa con oltre il 40% del
mercato; imprese con quote comprese tra l’11 e il 20%; imprese che hanno quote
fino al 10%).
Tale metodo di quantificazione è ragionevole e corretto e consente di
differenziare l’importo base delle sanzione, proprio in base ai criteri invocati
dall’appellante e di applicare successivamente le circostanze attenuanti o
aggravanti in maniera diversa per le singole imprese.
Circa l’eccessiva entità della sanzione in concreto applicata e la sproporzione
rispetto all’utile percepito dalle imprese per i prodotti oggetto dell’intesa,
si deve tenere presente che il citato art. 15, come modificato nel 2001, impone
di considerare come parametro primario di riferimento il fatturato complessivo
dell’impresa, e non il fatturato relativo ai prodotti oggetto dell'intesa come
previsto in precedenza.
La Sezione aveva subito evidenziato che la nuova disposizione implicava la
necessità di una più adeguata motivazione della quantificazione della sanzione
pecuniaria da irrogare, attraverso l’indicazione di criteri di ordine generale o
in alternativa mediante specifiche e più approfondite spiegazioni relative ai
singoli casi anche confrontati con le sanzioni già irrogate (Cons. Stato, VI, 30
agosto 2002 n. 4362). Ciò per una esigenza di uniformità al fine di evitare che
la quantificazione delle sanzioni venga decisa caso per caso con intervento poi
del giudice, anche esso privo di uniformità.
Come già detto, l’Autorità ha utilizzato i criteri contenuti nella citata
Comunicazione della Commissione 98/C9/03 sul calcolo delle ammende; si tratta di
criteri che prevedono misure assolute di sanzioni, correlate agli elementi del
grado di gravità, della durata e della presenza di circostanze attenuanti o
aggravanti (criteri, peraltro, orma modificati dai nuovi Orientamenti per il
calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo 23, paragrafo 2,
lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 - 2006/C 210/02; i nuovi criteri
“comunitari” sono ora riferiti in percentuale rispetto al il valore delle
vendite dei beni o servizi, ai quali l'infrazione direttamente o indirettamente
si riferisce).
L’applicazione dei criteri della Comunicazione della Commissione del 1998
presuppone uniformità e coerenza tra i diversi procedimenti condotti
dall’Autorità e, con riguardo al caso di specie, si rileva che secondo quanto
dedotto dall’Avvocatura dello Stato, e non contestato dalle parti, gli importi
base delle sanzioni sui collocano per tutte le imprese su valori inferiori
all’1% del fatturato; misura da ritenere congrua pur se si tiene conto, nella
complessiva valutazione, del fatturato di prodotto e anche con riferimento ad
analoghe fattispecie esaminate da questa Sezione e richiamate in un recente
precedente, in cui la misura della sanzione è stata rideterminata in giudizio
proprio nell’1 % del fatturato a seguito di una istruttoria svolta sui criteri
di quantificazione delle sanzioni utilizzati dall’Autorità nell’ultimo triennio
(Cons. Stato, VI, disp. n. 500/2007).
L’Autorità ha inoltre tenuto conto della situazione economica delle imprese,
caratterizzata per tutte da risultati positivi ad eccezione di Shell IAV, che ha
registrato perdite tenute in considerazione in sede di determinazione della
sanzione.
14.4 Negli appelli - con eccezione di Total - viene lamentata, poi, la
inadeguata valutazione fatta dall’Autorità con riguardo agli impegni proposti,
la disparità di trattamento rispetto alla più favorevole considerazione degli
impegni proposti da Total e l’insufficiente peso attribuito allo sforzo
collaborativo sostenuto.
L’Autorità ha replicato, evidenziando che a differenza degli impegni proposti da
diverse imprese, solo Total ha posto in essere un vero e proprio ravvedimento
operoso e che comunque il potere di valutare gli impegni delle imprese può
essere esercitato con ampi margini di discrezionalità; ha aggiunto che le
decisioni di accettazioni di impegni con chiusura dell’istruttoria senza
accertamento dell’infrazione, previste dal Reg. CE n. 1/2003, sono state
introdotte nel nostro ordinamento solo dall’art. 14 della legge 4 agosto 2006 n.
248, mentre al momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento non era
sanzionabile il mancato rispetto degli impegni, oltre ad essere tali decisioni
non utilizzabili per gli illeciti anticoncorrenziali più gravi, quali quello in
esame.
Il motivo di appello è privo di fondamento, anche se vanno fatte delle
precisazioni con riguardo agli argomenti sollevati dalle parti.
Con riguardo agli impegni, il Regolamento CE n. 1/2003 ha previsto tale nuova
forma di decisione da parte delle Autorità antitrust: l’accettazione degli
impegni assunti dalle imprese con chiusura del procedimento. La Commissione
europea, confortata dalla Corte di giustizia, già in precedenza aveva utilizzato
un simile strumento, archiviando alcuni procedimenti a seguito dell’assunzioni
di impegni da parte delle imprese assoggettate al procedimento (cfr., Corte
Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142 e 156/84, Philip Morris).
Con l’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 è stato previsto che qualora la
Commissione intenda adottare una decisione volta a far cessare un'infrazione e
le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle
preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione
preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni
obbligatori per le imprese, chiudendo il procedimento, che può essere riaperto:
a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda
la decisione; b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti;
c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono
incomplete, inesatte o fuorvianti.
L’art. 35 del Reg. n. 1/2003 ha previsto che le misure necessarie per conferire
alle autorità nazionali il potere di applicare gli articoli del regolamento sono
adottate entro il 1° maggio 2004 e ciò in Italia è in parte avvenuto con la
citata legge 4 agosto 2006 n. 248; tuttavia, non tutte le disposizioni del
regolamento necessitano di una attuazione ed, infatti, l’art. 5 dello stesso
Regolamento n. 1/2003 prevede che le autorità garanti della concorrenza degli
Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato in
casi individuali e che a tal fine, agendo d'ufficio o in seguito a denuncia,
possono adottare alcune decisioni, tra cui è inclusa quella di accettare
impegni.
Deve, quindi, ritenersi che i poteri indicati dall’art. 5 del Reg. n. 1/03, che
riguarda le autorità nazionali, siano immediatamente esercitabili da queste,
mentre le ulteriori misure previste dagli artt. 7 e ss., che si riferiscono alla
sola Commissione, necessitano di un intervento normativo interno, in parte
avvenuto per l’Italia.
Anche all’epoca dell’adozione dell’impugnato provvedimento era, quindi,
possibile adottare una decisione di accettazione di impegni e la tesi
dell’Autorità di inapplicabilità (almeno parziale) della disposizione contrasta
con quanto dalla stessa Autorità sostenuto con riferimento alla possibilità di
imporre rimedi strutturali (peraltro menzionati dal solo art. 7 tra i poteri
della Commissione, e non dall’art. 5) e con l’utilizzo dello strumento delle
misure cautelari effettuato dall’Autorità anche prima dell’entrata in vigore
della legge n. 248/2006 (provvedimento AGCM n. 14388 del 15-6-2005 - Merck,
confermato da Tar Lazio, I, n. 1713/2006).
Tuttavia, fino all’entrata in vigore della legge n. 248/06, non era possibile
sanzionare con ammenda il mancato rispetto degli impegni, in quanto l’art. 23
del Regolamento n. 1/03, che prevede tale possibilità, riguarda solo la
Commissione e non le Autorità nazionali, che quindi possono solo disporre la
riapertura del caso a seguito del mancato rispetto degli impegni assunti
(sanzione ora possibile ex art. 14-ter, comma 2, legge n. 287/90).
Ciò comporta che fino all’introduzione del citato art. 14-ter vi era in effetti,
come sostenuto dall’Autorità, una maggiore discrezionalità nel procedere
all’accettazione di impegni, trattandosi di uno strumento sfornito di potere
sanzionatorio in caso di mancato rispetto degli impegni.
Tale maggiore discrezionalità è comunque soggetta al sindacato giurisdizionale e
tanto più lo è a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14-ter, con
possibilità di contestare sia la mancata accettazione degli impegni, sia
l’accettazione degli stessi (contestazione in questo caso azionabile dalle
imprese controinteressate rispetto a quelle assoggettate al procedimento).
Del resto, lo stesso Reg. n. 1/03 (considerando 13), all’evidente fine di
evitare che l’accettazione degli impegni diventi solo un modo per evitare la
sanzione, diminuendone così l’efficacia deterrente, precisa che le decisioni
concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione (in
questo caso, l’Autorità) intende comminare un'ammenda, inducendo a ritenere
applicabile l’istituto soprattutto nei casi meno gravi.
Ciò esclude in radice l’ammissibilità dell’applicazione della decisione
dell’accettazione di impegni nel caso in esame, in cui l’illecito è stato
(correttamente, come appena accertato) qualificato come molto grave e in cui -
si ribadisce - i margini di discrezionalità dell’Autorità erano più ampi, in
assenza del (poi introdotto) potere di sanzionare il mancato rispetto degli
impegni.
Gli impegni proposti dalle appellanti potevano, tuttavia, essere valutati non al
fine della chiusura dell’istruttoria, ma per una riduzione della sanzione,
tenuto conto che l’art. 11 della legge n. 689/1981, applicabile alle sanzioni
antitrust in virtù del richiamo contenuto nell’art. 31 della legge n. 287/90 e
della compatibilità con tale legge, prevede che, nella determinazione della
sanzione amministrativa pecuniaria, si tenga conto dell'opera svolta dall'agente
per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione.
La Sezione ha già interpretato restrittivamente tale disposizione con
riferimento ai procedimenti antitrust, affermando che gli impegni validi per il
futuro non sono idonei a essere apprezzati quale circostanza attenuante
dell’abuso già consumato, riferendosi il citato art. 11 agli impegni relativi
agli abusi pregressi (Cons. Stato, VI, n. 1271/2006, Telecom).
Anche volendo accedere ad una interpretazione meno restrittiva della norma, si
rileva che gli impegni proposti da un lato costituivano meri adempimenti,
comunque dovuti ai fini dell’eliminazione dell’infrazione e, dall’altro lato,
riguardavano ipotetiche cessioni di parte delle quote del capitale delle imprese
comuni o generiche possibili soluzioni alternative da discutere con l’Autorità,
in caso di difficoltà nella cessione di parte delle quote.
Correttamente l’Autorità ha valutato tali impegni come manifestazione di
collaborazione, idonea ad applicare una riduzione della sanzione.
Né può sostenersi che gli impegni debbano essere rivalutati a seguito
dell’annullamento della misura strutturale imposta dall’Autorità, in quanto
contenuto della diffida e impegni si pongono su due piani diversi: la diffida
deve restare entro i limiti di cui all’art. 15 della legge n. 287/90 e all’art.
5 del Reg. CE n. 1/03 e non deve costituire uno strumento per imporre misure
estranee al contenuto dell’illecito accertato; mentre gli impegni non sono
strettamente vincolati e possono anche riguardare misure, estranee al contenuto
della diffida; di conseguenza, l’annullamento delle misure strutturali non
travolge le considerazioni svolte dall’Autorità con riguardo agli impegni
proposti dalle parti, anche laddove con tali valutazioni sia stata espressa una
preferenza per gli impegni strutturali.
Non sussiste, infine, alcuna disparità di trattamento rispetto alla valutazione
degli impegni di Total, in quanto tali impegni, descritti nei par. 283 e ss.
dell’impugnato provvedimento, hanno riguardato non comportamenti futuri, ma
concrete determinazioni idonee a consentire il superamento delle barriere
all’accesso nel mercato del jet fuel (par. 301 - 303: accordo con Alitalia per
favorire il ricorso all’autofornitura, che - come si è visto - era stata in
passato ostacolata dalle imprese).
Si tratta di un impegno ben diverso da quelli proposti dalle altre imprese,
idoneo ad attenuare le conseguenze dell’illecito antitrust posto in essere e la
cui positiva valutazione non può essere affievolita dalla disponibilità delle
infrastrutture da parte di Total, in quanto anche le altre imprese, nei limiti
delle proprie disponibilità, avrebbero potuto proporre impegni caratterizzati da
maggiore concretezza.
14.5 La sola Kuwait appella in relazione al mancato annullamento del punto d)
del dispositivo del provvedimento impugnato (che imponeva misure
comportamentali), deducendo da un lato la carenza di potere dell’Authority nel
disporle e, dall’altro, la violazione del divieto di reformatio in peius, da
parte del TAR, posto che l’annullamento delle misure strutturali avrebbe
trasformato quelle comportamentali da provvisorie (essendo limitate al periodo -
fino al 30 giugno 2008 - assegnato per l’adozione di quelle strutturali) in
definitive.
Le censure sono infondate.
Le prescrizioni contestate prevedono di adottare (e comunicare entro novanta
giorni) le nuove modalità di conduzione delle imprese comuni tali da assicurare
la piena autonomia gestionale delle imprese comuni rispetto alle società
petrolifere; impedire che l’attività delle imprese comuni comporti uno scambio
di informazioni tra le imprese stesse e tra queste e i soci non strettamente
indispensabile per l’operatività delle imprese stesse; impedire che i
rappresentanti dei soci negli organi direttivi, nel management e nei quadri
operativi delle società comuni vengano a conoscenza di informazioni relative ai
concorrenti non strettamente indispensabili per l’operatività delle imprese
stesse; impedire che i medesimi rappresentanti dei soci nelle società comuni
mantengano, comunque, rapporti con gli esponenti delle funzioni commerciali
delle società di appartenenza.
Siffatte prescrizioni non appaiono incompatibili con il quadro complessivo dei
poteri in materia antitrust di cui dispone l’Autorità nazionale. L’inibitoria di
intese, restrittive della libertà di concorrenza, non può prescindere dalla
puntuale individuazione e dall’inibitoria delle condotte ritenute lesive, quali
parametri cui rapportare la necessaria verifica di ottemperanza alla diffida,
non essendo - in caso contrario - in alcun modo verificabile (se non a distanza
di molto tempo e in base all’andamento generale del mercato) il superamento dei
patti occulti, indirizzati al sovvertimento della libera concorrenza.
Il contenuto della diffida è vincolato al dettato normativo, che lo ancora
all’eliminazione delle infrazioni (art. 15 della legge n. 287/90) o alla
cessazione delle stesse (art. 5 del Reg. CE n. 1/03). Ma tale contenuto va
interpretato e la Sezione ha già precisato che la diffida “per l’eliminazione
dell’infrazione” - che costituisce atto dovuto da parte dell’Autorità - non ha
solo il fine di eliminare i comportamenti oggetto dell’intesa, che come fatti
storici non potrebbero essere cancellati, ma anche quella di rimuovere, ove
possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle
imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro
(Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip)
La diffida ha quindi anche lo scopo di intimare alle imprese di astenersi dagli
accertati comportamenti anticoncorrenziali per il futuro.
La Sezione (n. 5368/04) ha già avuto modo di pronunciarsi sul carattere atipico
del potere di diffida - di cui l’adozione di misure comportamentali costituisce
logico corollario - muovendo proprio dal criterio teleologico dell’effetto
utile, che consente quel margine di flessibilità all’intervento dell’Autorità
antitrust tale da renderlo il più adeguato all’obiettivo di tutela della
concorrenza.
Quanto all’obiezione che le misure in esame si sarebbero trasformate in
definitive, essendo venuto meno il limite temporale fissato nel provvedimento
impugnato, è agevole rilevare che tale ipotizzato fenomeno non si traduce certo
in un vizio della sentenza appellata, apparendo per contro del tutto improprio
invocare il divieto di reformatio in peius, atteso che l’effetto postulato
dall’appellante potrebbe ascriversi solo in via indiretta alla sentenza.
15. Vanno, infine, esaminati gli appelli dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato, aventi ad oggetto la statuizione di annullamento del punto c) del
dispositivo della delibera, con cui si ordinava alle Società Eni, Esso e Kuwait
per Hub e Par, alle società Shell Iav, Tamoil, Total per Rai e alle società Eni,
Esso, Kuwait, Shell Iav, Total per Disma e Seram di definire le iniziative atte
a eliminare la compresenza di più società petrolifere nel capitale sociale delle
predette imprese comuni e perfezionarle entro il 30 giugno 2008.
Tale disposizione è stata annullata in accoglimento delle censure formulate nei
ricorsi di primo grado con cui si deduceva, tra l’altro, eccesso di potere per
errore nei presupposti, travisamento dei fatti ed illogicità della motivazione.
In particolare il TAR ha ritenuto che le suddette sanzioni violassero il
principio di proporzionalità.
A sostegno della tesi il giudice di primo grado ha valorizzato gli impegni
strutturali presentati dalle compagnie petrolifere relativamente alle società
comuni, consistenti nell’apertura del capitale sociale a soggetti terzi
portatori di interessi contrapposti a quelli delle società petrolifere, quali le
compagnie aeree. Tale soluzione è stata rifiutata dall’Autorità in quanto
l’alterazione delle condizioni di mercato è stata agevolata dalla compresenza di
più società petrolifere nella compagine sociale di una stessa impresa di
stoccaggio e/o messa a bordo, sicché lo stesso mantenimento della compresenza di
più società petrolifere nelle imprese comuni sarebbe incompatibile con
l’eliminazione dell’infrazione.
Osserva in primo luogo il TAR che non viene dimostrato concretamente il
carattere di “inefficacia” assunto dalla rimodulazione (prospettata dalle stesse
società petrolifere) della struttura societaria delle joint ventures: laddove
l’ipotizzata apertura alla partecipazione di soggetti (come le compagnie aeree)
in capo ai quali è ragionevolmente predicabile la presenza di diversi (quando
non addirittura contrapposti) interessi ben avrebbe potuto propiziare quelle
forme di “controllo societario” atte a scongiurare l’iterazione di condotte
esclusivamente improntate alla cura degli interessi “di cartello” delle società
petrolifere (soprattutto ove si considerino le problematiche vicende, pur
evidenziate da AGCM, che avrebbero impedito ad alcuni vettori, in primis
Alitalia, quell’accesso al mercato idoneo a propiziare, in capo ad essi, lo
svolgimento di pratiche di self-supply).
Per converso le misure strutturali imposte dall’Autorità, aprendo
inevitabilmente la strada ad assetti proprietari di tipo monosoggettivo,
trascurano la valenza distorsiva che siffatta strutturazione sociale potrebbe
indurre sul mercato. Inoltre precludono, gravosamente, alle società petrolifere
di beneficiare di economie di scala lecite, ed anzi virtuose.
Infine il TAR critica la mancata considerazione dell’impegno a ridurre i flussi
informativi tra i soci delle joint venture assunto dall’Autorità, la cui
idoneità al fine di sterilizzare l’alimentazione dei presupposti informativi per
l’impostazione delle strategie di mercato poste in essere delle partecipanti
alle società comuni attenuta la ragion d’essere di sanzioni strutturali.
In applicazione della normativa comunitaria (a tenore della quale “i rimedi
strutturali dovrebbero essere imposti solo quando non esiste un rimedio
comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti
efficace risulterebbe più oneroso, per l'impresa interessata, del rimedio
strutturale”), ravvisata da un lato l’assenza all’interno delle valutazioni
operate da AGCM di una motivata valutazione di inefficacia dei rimedi
comportamentali pure comminati, dall’altro la comparazione fra i rimedi stessi
in termini di “onerosità” a carico delle imprese da essi interessate, il TAR ha
concluso per l’illegittimità della disposizione di cui al capo c) del
dispositivo della delibera impugnata.
L’Autorità deduce nei suoi appelli di avere attentamente considerato i rimedi
alternativi e la gravosità di quelli comminati, sia nell’ambito del più generale
contesto della valutazione dell’intesa illecita e del ruolo che vi hanno avuto
le società comuni, sia con specifico riguardo alle proposte formulate dalle
società petrolifere. Rileva, altresì, che le misure comportamentali applicate
(lettera d della determinazione) sarebbero insufficienti e non potrebbero,
pertanto, essere prese a paragone. L’obiezione di fondo è che il giudice di
primo grado si è ingerito nella discrezionalità dell’amministrazione,
ipotizzando che altre misure correttive avrebbero soddisfatto lo scopo.
Il motivo di appello è infondato.
Come innanzi descritto il TAR ha censurato la motivazione posta a fondamento
dell’erogazione di misure strutturali, la cui incidenza sul diritto di proprietà
e di impresa è di tale portata da renderne problematico l’impiego specie quando
altra misura risulti adeguata all’esito di una valutazione approfondita. La
doverosità di tale giudizio da parte dell’amministrazione procedente implica che
in siffatte ipotesi il sindacato giurisdizionale possa estendersi alla
comparazione con altre soluzioni praticabili - ma non praticate - dall’Autorità.
La Sezione (decisione n. 1736/07) ha già avuto modo di precisare che il
principio di proporzionalità, che investe lo stesso fondamento dei provvedimenti
limitativi delle sfere giuridiche del cittadino (in specie quelle di ordine
fondamentale) e, a maggior ragione, la graduazione della sanzione, assume
nell'ordinamento interno lo stesso significato che ha nell'ordinamento
comunitario. Come è oggi confermato dalla clausola di formale ricezione ex art.
1, comma 1 L. 24/90 come novellato dalla L. 15/05. Equivalenza particolarmente
pregnante nel sistema antitrust, articolato su un livello a due piani, nazionale
e comunitario, il cui rapporto è retto dal principio di sussidiarietà.
Esso, dunque, si articola in tre distinti profili:
a) idoneità > rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo perseguito. In virtù
di tale parametro l'esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione
adottata consenta di raggiungere l'obiettivo;
b) necessarietà > assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in
misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra
tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor
sacrificio;
c) adeguatezza > tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In
virtù di tale parametro l'esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è
legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli
interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione.
Tali parametri sono stati violati dall’Autorità e il giudice di primo grado
correttamente ha svolto quel sindacato intrinseco consentito dall’avvento del
principio di proporzionalità come strumento di controllo del rapporto tra mezzo
e fine e, dunque, esame della giustificazione teleologica della scelta
amministrativa.
La diffida per l’eliminazione dell’infrazione rientra tra i poteri-doveri
dell’Autorità (art. 15 della legge n. 287/90) ed ha la finalità di rimuovere,
ove possibile, le conseguenze anticoncorrenziali dell’intesa e di intimare alle
imprese di astenersi dal porre in essere analoghi comportamenti per il futuro
(Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip), in stretta coerenza con la
natura e l’oggetto dell’intesa.
La misura strutturale annullata dal TAR è stata imposta perché il mantenimento
della compresenza delle società petrolifere nelle imprese comuni è stato
ritenuto incompatibile con l’eliminazione dell’infrazione. Tale valutazione
contrasta con l’impostazione dell’impianto accusatorio, con cui è stata
contestata l’illiceità dell’utilizzo delle imprese comuni da parte delle società
petrolifere, e non la mera costituzione di tali imprese.
Se la condotta illecita è costituita da un uso distorto delle imprese comuni, il
contenuto della diffida non potrà essere l’eliminazione delle imprese (nel senso
di eliminare la compresenza delle società petrolifere), ma l’ordine di cessare
quei comportamenti che hanno consentito la realizzazione dell’intesa illecita,
con particolare riguardo allo scambio di informazioni sensibili.
Gli appelli dell’Alitalia vanno, dunque, respinti. Ne consegue l’improcedibilità
degli appelli incidentali, azionati da Total Italia Spa e Kuwait Petroleum
Italia Spa con riguardo allo stesso capo delle sentenze impugnate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riunisce tutti gli
appelli e li respinge. Dichiara improcedibili gli appelli incidentali proposti
da Total Italia Spa e Kuwait Petroleum Italia Spa.
Compensa tra le parti le spese dei giudizi.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di
consiglio del 20 novembre 2007, con l'intervento dei sigg.ri:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Francesco Bellomo Consigliere Est.
Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere Segretario
Francesco Bellomo Giovanni Ceci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 08/02/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
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