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CORTE
DI CASSAZIONE Sezione Terza Penale, 12/03/2008 (Ud.17/01/2008), Sentenza n.
11096
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Contraffazione di opere d'arte - Leggi penali
speciali - L. n. 1062/71, D.Lgs. n. 490/99 e D.L.vo. n. 42/04 - Continuità
normativa - Violazione art. 9 L. n. 1062 del 1971 - Nullità - Esclusione -
Fattispecie. In materia di contraffazione di opere d'arte, sussiste
continuità normativa tra la fattispecie contemplata dall'abrogato art. 4 della
legge 20 novembre 1971, n. 1062, la successiva disposizione di cui all'art. 127
del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e l'attuale norma sanzionatoria di cui
all'art. 178 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in quanto tutte puniscono la
medesima condotta (autenticazione di opere false, conoscendone la falsità).
Mentre, con riferimento all'art. 9 della L. n. 1062 del 1971 (unica norma
"sopravvissuta" all'abrogazione, la quale prevede che fino all'istituzione di un
apposito albo di consulenti tecnici in materia di opere d'arte, il giudice deve
avvalersi di periti indicati dal Ministero della Pubblica Istruzione ovvero
sentire come testimone l'autore dell'opera), la sua violazione non è causa di
nullità speciale né generale. Fattispecie: contestazione dell’autenticazione di
un'opera pittorica falsa. Presidente C. Vitalone, Relatore P. Onorato, Ric.
Governatori.
CORTE DI CASSAZIONE Sezione Terza Penale, 12/03/2008 (Ud.17/01/2008), Sentenza
n. 11096
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l - Con sentenza del 26.2.2007 la corte d'appello di Roma ha integralmente
confermato quella resa il 21.4.2004 dal locale tribunale, che aveva condannato
Anna Maria Governatori alla pena di sei mesi di reclusione ed euro 300 di multa,
avendola giudicata colpevole del reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv.
c.p., 3 e 4 legge 20.1.1971 n. 1062, perché in più occasioni aveva autenticato
sei dipinti attribuiti al maestro Mario Schifano, conoscendone la falsità, e
aveva posto in commercio tre degli stessi dipinti (accertato in Roma e in
Campobasso in epoca antecedente al maggio 2000).
I giudici di merito hanno inoltre condannato la Governatori al risarcimento dei
danni a favore della parte civile Gaetano Molinaro, e hanno disposto la
immediata restituzione dei quadri sequestrati al medesimo Molinaro.
In linea di fatto e di diritto la corte territoriale ha rilevato e ritenuto che:
- il Molinaro aveva acquistato i sei quadri de quibus presso una galleria
d'arte di Campobasso, di cui era titolare Pietro Perrino, al prezzo di lire
7.000.000 cadauno;
- detti quadri erano stati venduti al Ferrino da tale Giuliano Crescimbeni ed
erano accompagnati da certificati di autenticità rilasciati dalla Governatori;
- la esperta di arte contemporanea Ester Coen aveva motivatamente accertato che
i dipinti erano apocrifi e costituivano una maldestra imitazione dello stile
personale di Mario Schifano, difficile da imitare;
- nessun dubbio poteva sussistere sul fatto che la Governatori fosse consapevole
della falsità, non solo per il significativo grado di apocrificità, ma anche
perché la stessa, oltre che gallerista ed esperta d'arte contemporanea, aveva
avuto in epoca passata un travagliato rapporto personale con l'artista.
2 - Il difensore dell'imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due
motivi a sostegno.
Col primo lamenta inosservanza o erronea applicazione delle norme incriminatrici,
sostenendo che in relazione alle opere del maestro Schifano sussistono seri
dubbi sulla loro reale paternità, stante la sua abitudine di avvalersi di
numerosissimi collaboratori ai quali consentiva di dipingere i quadri sui quali
egli si limitava ad apporre la sua firma, finendo così per rendere autentiche
quelle opere di scuola che autentiche non erano.
Col secondo motivo avanza la tesi che il fatto deve ritenersi depenalizzato dopo
l'abrogazione della legge 1062/1971; e che comunque il reato non è applicabile
per le opere di autori viventi o la cui esecuzione risale a non oltre
cinquantanni.
Motivi della decisione
3 Va anzitutto esaminato il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene la in
via principale depenalizzazione del contestato reato, previsto e punito
dall'art. 4, in relazione all'art. 3, della legge 20.11.1971 n. 1062 (norme
penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte). L' art. 4, al n. 1,
punisce con le stesse pene previste dall'art. 3 (reclusione da tre mesi a
quattro anni e multa da lire 200.000 fino a lire 6.000.000) chiunque,
conoscendone la falsità, autentica opere di pittura, scultura o grafica, ovvero
oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, contraffatti,
alterati o riprodotti.
Il successivo D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (testo unico delle disposizioni
legislative in materia di beni culturali e ambientali), con l'art. 166, ha
abrogato il predetto art. 4, e tutte le altre norme della legge 1062/1971, ad
eccezione degli artt. 8, secondo comma, e 9. Ma con l'art. 127 ha riprodotto
esattamente la norma abrogata di cui al ripetuto art. 4, punendo con la
reclusione da tre mesi a quattro anni e con la multa da lire 200.000 fino a lire
6.000.000, chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere di pittura,
scultura o grafica, ovvero oggetti di antichità, nonché oggetti di interesse
storico od archeologico (lett. c) in relazione alle lett. a) e b) dello stesso
art. 127).
E' di tutta evidenza la perfetta continuità normativa tra le due fattispecie
penali (con l'unica particolarità che il nuovo testo unico, in conformità della
delega conferita con la legge n. 352 dell'8.10.1997, ha provveduto al
coordinamento sostanziale della disciplina delle pene accessorie con quella
prevista dal codice penale).
Contrariamente alla tesi adombrata dal difensore ricorrente, è altrettanto
evidente che tale continuità normativa non è minimamente scalfita dalla
sopravvivenza dell'art. 9 della citata legge 1962/1971, il quale si limita a
stabilire che nei procedimenti penali relativi ai reati de quibus, il giudice,
fino a quando non sia istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di
opere d'arte, deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica
istruzione, e, nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea, è altresì
tenuto ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o
di cui l'opera d'arte rechi la firma. Successivamente, tutto il D.Lgs. 490/1999
è stato abrogato (a far data dal 1.5.2004) dall'art. 184 del D.Lgs. 22.1.2004 n.
42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Ma anche in questo caso le norme
sono state riproposte nel nuovo testo legislativo; e segnatamente il predetto
art. 127 è stato letteralmente riprodotto nell'art. 178 del D.Lgs. 42/2004, che
reca anche la stessa rubrica (contraffazione di opere d'arte) e prevede la
stessa pena per chiunque commercia, autentica falsamente o accredita opere
contraffatte, salvo che la pena pecuniaria è espressa in euro e non più in lire.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
- esiste continuità normativa tra la norma penale di cui all'art. 4, in
relazione all'art. 3, della legge 20.11.1971 n. 1062, quella di cui all'art.
127, lett. c), in relazione alle lett. a) e b), del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, e
quella di cui all'art. 178, lett. c), in relazione alle lett. a) e b), del
D.Lgs. 27.1.2004 n. 42.
Poiché il fatto imputato alla Governatori è stato commesso in epoca
immediatamente antecedente al maggio 2000, si deve applicare la norma prevista
dall'art. 178, lett. c) in relazione alle lettere a) e b), del D.Lgs. D.Lgs.
22.1.2004 n. 42, anziché quelle ormai abrogate di cui all'art. 4 della legge
20.11.1971 n. 1062 o all'art. 127 D.Lgs. 29.10.1999 n. 490.
In tal senso va rettificata la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 619 c.p.p..
4 - Nel secondo motivo di ricorso il difensore sostiene altresì che la norma
incriminatrice, comunque, non può applicarsi alle opere di Mario Schifano.
E' noto che l'artista è morto il 26.1.1998, mentre sembra pacifico che le opere
contraffatte di cui si discute sono state eseguite entro il cinquantennio
precedente la commissione del fatto contestato.
A sostegno della sua tesi subordinata il difensore, sia pure con argomentazione
generica, menziona la sopravvivenza del menzionato art. 9 della legge 1062/1971,
nonché la sentenza n. 37782 del 18.9.2001 della terza sezione di questa Corte,
(imp. Patara, rv. 220352), secondo la quale la sanzione penale prevista dall'alt
127 del D.Lgs. 490/1999, (quindi anche quella prevista dalla successiva norma di
cui all'art. 178 D.Lgs. 42/2004), non si applica alle opere di autori viventi o
la cui esecuzione non risalga a oltre cinquantanni. Questa tesi si basa sulla
considerazione che dalla disciplina del Titolo I del D.Lgs. 490/1999, relativo
ai beni culturali, che include anche l'art. 127, sono espressamente escluse le
opere suddette per effetto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 6,
dello stesso decreto.
Ma la sentenza Patara è rimasta isolata, essendo motivatamente contrastata da
Cass. Sez. III, n. 22038 del 12.2.22003, Pludwinski, rv.225318, nonché da Cass.
Sez. III, n. 26072 del 13.10.3007, Volpini, rv. 237221. Soprattutto, non può
essere seguita dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 173/2002, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2,
comma 6, e 127 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, perché basata su una erronea
interpretazione delle norme censurate, che appunto escludeva dalla sfera di
applicazione della menzionata norma dell'art. 127 le opere di autori viventi o
la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
In buona sostanza, in queste pronunce si dimostra che la disposizione di cui al
menzionato art. 2, comma 6, è frutto di un difetto di coordinamento del
legislatore delegato, il quale, in forza della delega ricevuta, che era limitata
al coordinamento formale e sostanziale delle norme vigenti, poteva e doveva
escludere dalla disciplina dei beni culturali le opere di autori viventi o
comunque non risalenti ad oltre cinquantanni, giacché tale esclusione era già
prevista dall'omologo art. 1, ultimo comma, della precedente legge n. 1089 del
1939, relativa appunto ai beni artistici e culturali; ma non poteva escludere le
stesse opere dalla disciplina relativa alla contraffazione delle opere d'arte,
giacché una siffatta esclusione non era prevista nella precedente legge
1062/1971 relativa a quest'ultima materia.
Tanto ciò è vero che il successivo D.Lgs. 42/2004, con l'art. 10, comma 5,
confermando la esclusione dalla disciplina relativa ai beni culturali delle
opere di autori viventi o comunque risalenti a non oltre cinquantanni, ha fatto
salve le disposizioni contenute nell'art. 64, relative agli attestati di
autenticità e di provenienza, e nell'art. 178, appunto relative alle
contraffazioni. Per una più approfondita argomentazione sul punto si rinvia alla
citata sentenza Volpini.
D'altronde, è proprio la sopravvivenza del summenzionato art. 9, comma 2, della
legge 1062/1971, invocata dal ricorrente, che milita a favore della tesi qui
sostenuta, giacché -come ha annotato esattamente il giudice delle leggi - non
avrebbe più alcuna ragione continuare a prevedere che il giudice penale debba
assumere come testimone l'autore a cui è attribuita l'opera contraffatta se le
fattispecie incriminatrici contenute nell'art. 127 non si riferissero anche alle
opere di autori viventi.
Va quindi affermato il principio secondo cui le disposizioni di cui all'art. 127
del D.Lgs. 490/1999, relative alla contraffazione delle opere d'arte, si
applicano anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad
oltre cinquantanni rispetto al reato contestato.
Nel caso di specie, peraltro, il problema non si pone, dovendosi applicare
l'art. 178 del D. Lgs. 42/2004, che è fatto salvo dal suddetto art. 10, comma 5,
anche con riferimento alle opere di autori viventi o comunque non risalenti
oltre il cinquantennio.
5 - Piuttosto le disposizioni contenute nel predetto art. 9 pongono alcuni
problemi che vanno esaminati d'ufficio, laddove prevedono che il giudice, fino a
quando non è istituito l'albo del consulenti tecnici in materia di opere d'arte,
deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica istruzione (comma
1), e deve altresì assumere come testimone l'autore apparente dell'opera
ipoteticamente contraffatta, nel caso che si tratti di opera d'arte
contemporanea di autore vivente (comma 2).
Nel caso di specie, non poteva essere assunta la testimonianza del maestro
Schifano, essendo questi deceduto nel 1998, mentre non è chiaro se sia stata
rispettata la disposizione sulla perizia.
Su quest'ultimo punto, peraltro, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi
con una sentenza risalente, osservando che la disposizione non è prevista a pena
di nullità, sicché il giudice ben può rivolgersi a consulenti di sua fiducia,
scelti tra i perito del tribunale (Cass. Sez. II, n. 9924 del 5.5.51981,
Broccagni, rv. 150837).
Il principio va condiviso nel senso che:
- sino a quando non è istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di
opere d'arte, il giudice deve avvalersi di periti indicati dal Ministero per la
pubblica istruzione; - la violazione della norma, però, non configura né una
causa di nullità speciale, mancando una specifica sanzione al riguardo, né una
causa di nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., giacché la disposizione
violata non concerne l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza
dell'imputato.
6 - Così chiariti i profili di diritto sostanziale e processuale della
fattispecie in esame, non c'è dubbio che il ricorso debba essere respinto.
E' infatti manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, col quale in
sostanza si mette in dubbio l'esattezza delle conclusioni peritali sulla
contraffazione delle opere, sostenendo che si trattava invece di opere dei suoi
collaboratori, sulle quali il maestro Schifano apponeva la sua firma. Son queste
affermazioni ipotetiche, prive di qualsiasi riscontro fattuale, e come tali non
possono inficiare il parere argomentato dell'esperto, che il giudice ha fatto
proprio con motivazione logica e legittima.
7 - Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso consegue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto
del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore
della cassa delle ammende.
La ricorrente va anche condannata alla rifusione delle spese di parte civile,
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte
civile, che liquida nella complessiva somma di 2.000 euro, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma il 17.1.2008.
Deposito 12/03/2008
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