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CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. II, 21/01/2008 (Ud.
30/10/2007), Sentenza n. 1260
AGRICOLTURA - Proprietà immobiliare - Rapporti di vicinato - Pulizia di tombini
e grondaie dalle foglie cadute dall'albero della proprietà contigua - Principio
del neminem laedere - Art. 2043 cod. civ. - Risarcimento delle spese sostenute -
Legittimità. In tema di proprietà immobiliare, la disciplina dei rapporti di
vicinato, dettata allo scopo di evitare possibili conflitti al fine ad
assicurare l'effettivo esercizio del diritto di ciascuno, è ispirata al
principio informatore secondo cui l'esplicazione dei poteri di godimento ed
utilizzazione della cosa incontra il limite rappresentato dalla necessità di non
menomare la proprietà del vicino, il quale ha diritto, secondo la regola
generale del neminem laedere, consacrata dall'art. 2043 cod. civ., ad essere
risarcito del danno ingiusto. Pres. Settimj - Rel. Migliucci - P.m. Russo - Ric.
Bianco P.
CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. II, 21/01/2008 (Ud. 30/10/2007), Sentenza n.
1260
PROCEDURE E VARIE - Giudice di Pace - Giudizio di equità - Funzione.
L'equità del giudice di pace ha natura sostitutiva, non già correttiva o
integrativa della regola di diritto, sicché questi non è tenuto a seguire i
principi regolatori della materia ricavandoli in via di generalizzazione dalla
norme specifiche dettate dal legislatore per disciplinare il rapporto dedotto in
giudizio né ad individuare le norme giuridiche astrattamene applicabili, ma crea
egli stesso la regola della decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato
su valori preesistenti nella realtà sociale. (Cass. Civile, Sez. Un., 15/10/1999
n. 716). Pres. Settimj - Rel. Migliucci - P.m. Russo - Ric. Bianco P.
CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. II, 21/01/2008 (Ud. 30/10/2007), Sentenza n.
1260
PROCEDURE E VARIE - Giudice di Pace - Giudizio di equità - Natura. Il
giudizio di equità non è non può essere un giudizio extra-giuridico, atteso che
la sola funzione che alla giurisdizione di equità può riconoscersi, in un
sistema caratterizzato dal principio di legalità a sua volta ancorato al
principio di costituzionalità, nel quale la legge è dunque lo strumento
principale di attuazione dei principi costituzionali, è quella di individuare
l'eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso
concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle
caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei
medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che non
potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento
nell'arbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie
soggettive di equità e ragionevolezza. (Corte Costituzionale, sentenza n.
206/2004). Pres. Settimj - Rel. Migliucci - P.m. Russo - Ric. Bianco P.
CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. II, 21/01/2008 (Ud. 30/10/2007), Sentenza n.
1260
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. II Civile
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Fatto e diritto
Elsa Bianco P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Giudice di Pace di Biella del 2 dicembre 2005 di accoglimento della domanda di
risarcimento del danno proposta nei suoi confronti da Armando C. con riferimento
alla spesa sostenuta per la pulizia dell'area di sua proprietà sottostante a una
betulla piantata della attuale ricorrente nel fondo confinante. Non ha svolto
attività difensiva l'intimato.
Il Giudice di Pace, disattesa l'eccezione di carenza di legittimazione attiva
del C. sollevata dalla convenuta con riferimento alla qualità di nudo
proprietario dell'attore, riteneva provata la responsabilità della P. in ordine
ai danni documentati dal preventivo in atti. Attivatasi procedura ex art. 375
cod. proc. civ. il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di rigetto
del ricorso per manifesta infondatezza.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Lamenta la ricorrente:
1) con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata, non avendo il
Giudice di Pace indicato la regola equitativa applicata, atteso che il
riferimento "al sacrosanto diritto di tutelare il proprio fondo e la propria
abitazione dai gravi danni, materiali e igienici, causati dalla convenuta e ad
evitare lavori e spese per l'incuria della vicina confinante " si risolve in una
petizione di principio e non indica alcun criterio e tantomeno un principio
informatore della materia;
2) con il secondo motivo, la violazione dei principi informatori della materia -
qualora si ritenesse che con la affermazione sopra citata il giudicante avesse
inteso applicare il principio informatore della materia - atteso che in tema di
proprietà sono consentite le immissioni, se rientrino nel limite della normale
tollerabilità e, dall'altro lato, è esclusa la responsabilità del proprietario
per danni cagionati dalle azioni naturali, come quella del vento che trasporta
le foglie, qualora siano rispettate le distanze legali e i rami non si
protendano sul fondo altrui.
I motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.
Le censure sono infondate.
Preliminarmente non possono essere condivise la argomentazioni formulate dal
Procuratore Generale il quale, nel criticare la distinzione fra principi
informatori e principi regolatori della materia accolta dalla giurisprudenza di
legittimità, ha osservato che i primi non vivono di vita propria,
identificandosi nei secondi, dei quali rappresentano semmai la ratio
ispiratrice.
Al riguardo, appare necessario un accenno alla ricostruzione storica della
attuale disciplina. La legge istitutiva del giudice di pace ha eliminato ogni
riferimento ai principi regolatori della materia - introdotto dalla L. 30 luglio
1984, n. 399, art. 3, come limite dell'equità del conciliatore:la giurisprudenza
formatasi in materia, e culminata nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 716 del
1999, è pervenuta alle conclusioni che l'equità del giudice di pace ha natura
sostitutiva, non già correttiva o integrativa della regola di diritto, sicché
questi non è tenuto a seguire i principi regolatori della materia ricavandoli in
via di generalizzazione dalla norme specifiche dettate dal legislatore per
disciplinare il rapporto dedotto in giudizio né ad individuare le norme
giuridiche astrattamene applicabili, ma crea egli stesso la regola della
decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato su valori preesistenti nella
realtà sociale.
Tale interpretazione ha però provocato un intervento della Corte costituzionale
la quale, con sentenza additiva n. 206 del 2004, applicabile al giudizio in
corso, ha dichiarato l'illegittimità del capoverso dell'art. 113 cod. proc.
civ., così come interpretato dalla giurisprudenza, nella parte in cui esclude
che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia. In
particolare la Corte Costituzionale ha chiarito che il giudizio di equità non è
non può essere un giudizio extra-giuridico, atteso che la sola funzione che alla
giurisdizione di equità può riconoscersi, in un sistema caratterizzato dal
principio di legalità a sua volta ancorato al principio di costituzionalità, nel
quale la legge è dunque lo strumento principale di attuazione dei principi
costituzionali, è quella di individuare l'eventuale regola di giudizio non
scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della
controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie
concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la
disciplina positiva: principi che non potrebbero essere posti in discussione dal
giudicante, pena lo sconfinamento nell'arbitrio, attraverso una contrapposizione
con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza.
Nell'attuazione della pronuncia di incostituzionalità i principi informatori
della materia sono stati individuati da questa Corte (sent. 17 gennaio 2005, n.
743) nei principi ai quali il legislatore si ispira nel porre una determinata
regola: questi differiscono dai principi regolatori della materia che
vincolavano il giudice conciliatore poiché, mentre il conciliatore doveva
osservare le regole fondamentali del rapporto traendoli dal complesso di norme
preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di
pace non deve osservare una regola equitativa tratta dalla disciplina dettata in
concreto, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi cui si è
ispirato il legislatore nel dettare una determinata disciplina. Il rispetto dei
principi informatori non vincola perciò il giudice di pace all'osservanza di una
regola ricavabile dal sistema ma costituisce unicamente un limite al giudizio di
equità al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell'arbitrio.
Ciò premesso, la sentenza ha enunciato la regola equitativa in base alla quale
ha deciso la controversia, ritenendo che "Il proprietario ha il sacrosanto
diritto di tutelare il proprio fondo e la propria abitazione dai gravi danni,
materiali e igienici, causati dalla convenuta e ad evitare lavori e spese per
l'incuria della vicina confinante": in proposito ha chiarito che l'attore è
costretto a pulire le gronde del garage della sua abitazione nonché i tombini
dell'acqua piovana dalle foglie che cadono dai rami della betulla della
convenuta, che invadono la proprietà di esso attore. In tal modo il Giudice di
Pace, giustificando la scelta di allontanarsi dal diritto positivo, ha dato
conto - alla stregua delle circostanze del caso concreto - delle ragioni per cui
un determinato comportamento appariva meritevole di tutela rispetto alla
valutazione data dall'ordinamento positivo (Cass. 171122/2006; 8620/2006;
2281/2006; 16254/2005).
Ciò posto, occorre innanzitutto osservare che qualora con il ricorso si denunci
la violazione dei principi informatori della materia il ricorrente deve indicare
il principio informatore violato dalla regola equitativa individuata dal giudice
di pace (Cass. 284/2007): tale onere non è stato ottemperato dalla ricorrente,
la quale si è limitata a richiamare una serie di norme, da cui dovrebbe trarsi
la conseguenza della liceità della sua condotta. In ogni caso, l'assunto è
infondato. In tema di proprietà immobiliare, la disciplina dei rapporti di
vicinato, dettata allo scopo di evitare possibili conflitti al fine ad
assicurare l'effettivo esercizio del diritto di ciascuno, è ispirata al
principio informatore secondo cui l'esplicazione dei poteri di godimento ed
utilizzazione della cosa incontra il limite rappresentato dalla necessità di non
menomare la proprietà del vicino, il quale ha diritto, secondo la regola
generale del neminem laedere, consacrata dall'art. 2043 cod. civ., ad
essere risarcito del danno ingiusto.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l'omessa motivazione in ordine
all'eccezione di difetto di legittimazione attiva del C. , nudo proprietario e
non usufruttuario, essendosi il giudicante limitato ad affermare che trattasi di
distinzione più apparente che reale, senza indicare a quale titolo la
responsabilità venisse addebitata alla convenuta. Il Giudice - osserva ancora la
ricorrente - aveva accolto la domanda, ponendo a base della decisione,
immotivatamente ed in violazione dei principi informatori in materia di onere
della prova, le circostanze affermate dall'attore ma contestate dalla convenuta.
La censura è infondata.
Occorre chiarire che in tema di giudizio di equità, con il ricorso per
cassazione avverso le decisioni del giudice di pace non possono essere
denunziati il vizio di violazione o falsa applicazione di leggi ordinarie e di
motivazione quando esso non integri gli estremi della motivazione inesistente o
meramente apparente, che - secondo quanto già rilevato - certamente non ricorre
nella specie.
Il giudicante, nel respingere l'eccezione di carenza di legittimazione passiva
sollevata in realtà con riferimento alla titolarità del diritto azionato, ha
considerato correttamente che il nudo proprietario può agire per il risarcimento
del danno arrecato alla cosa di sua proprietà: la distinzione fra nudo
proprietario ed usufruttuario, infatti, opera nei rapporti interni ma non ha
alcuna incidenza in ordine all’esperibilità dell'azione aquiliana nei confronti
del terzo.
La sentenza ha quindi ritenuto provate le circostanze dedotte dall'attore a
fondamento della domanda, liquidando il risarcimento sulla base del preventivo
prodotto: in tal modo ha ritenuto assolto l'onere probatorio incombente
sull'attore, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ.: il mancato riferimento alle
fonti della prova in relazione alle altre circostanze menzionate dalla
ricorrente potrebbe configurare il vizio di motivazione insufficiente che, per
quanto si è detto, non è deducibile nella presente sede.
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese
relative alla presente fase, non avendo l'intimato svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
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