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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 7 Gennaio 2008, Sentenza n.
203
RIFIUTI - Reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata -
Configurabilità - Presupposti - D.L.vo n 152/2006 - D.Lgs. n. 22/1997, art. 51,
c. 3. In tema di gestione di rifiuti, ai fini della configurabilità del
reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, di cui al D.Lgs.
5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, (oggi trafuso nel D.L.vo n 152/2006) è
necessario l'accumulo, più o meno sistematico ma comunque ripetuto e non
occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la eterogeneità dell'ammasso dei
materiali, la definitività del loro abbandono ed il degrado, anche solo
tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in
questione (sez. 3, 17.6.2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062; conf. sez. 3,
8.9.2004 n. 36062, Tomasoni; RV 229484). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III,
del 7 Gennaio 2008, Sentenza n. 203
RIFIUTI - Discarica abusiva - Scriminante dello stato di necessità -
Esclusione - Fattispecie. La scriminante dello stato di necessità opera solo
allorché la condotta illecita sia diretta ad evitare un danno grave alla
persona, da intendersi nella sua accezione fisica e morale, ma non patrimoniale.
Nella specie, non può essere invocato lo stato di necessità della sua azione per
fini sociali e di mercato relativi ai dipendenti della sua azienda. Nella specie
era stato effettuato un deposito incontrollato di un ingente quantitativo di
rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da fanghi e scarti provenienti dalla
lavorazione del marmo realizzata una discarica non autorizzata dei predetti
rifiuti, violati i sigilli apposti dall'autorità giudiziaria per impedire la
prosecuzione dell'attività illecita effettuazione uno scarico di acque reflue
industriali derivanti dalla lavorazione del marmo senza la prescritta
autorizzazione. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 7 Gennaio 2008,
Sentenza n. 203
RIFIUTI - PROCEDURE E VARIE - Discarica abusiva - Violazione di sigilli -
Tutela e funzione - Art. 349 c.p.. Il delitto di violazione di sigilli
previsto dall'art. 349 c.p., (nella specie in discarica abusiva), si consuma non
soltanto con la distruzione materiale dei sigilli, ma anche con ogni altra
condotta diretta a violare il vincolo di indisponibilità sotteso allo loro
apposizione, atteso che la norma in questione tutela non solo l'integrità
materiale ma anche quella funzionale dei sigilli. (Cass. sez. 3, 200226185,
Spini; conf. Cass. sez. 3, 200437898, Priolo; Cass. sez. III, 2003/16000,
Carpanese). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 7 Gennaio 2008, Sentenza
n. 203
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di B. G. in ordine ai reati: a) di cui all'art. 81
cpv. c.p. e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, commi 1, 2 e 3; b) di cui all'art.
349 c.p., commi 1 e 2; c) di cui all'art. 81 cpv. c.p. e D.Lgs. n. 152 del 1999,
art. 59; ascrittigli perché, quale titolare dell'azienda denominata A. M., aveva
effettuato il deposito incontrollato di un ingente quantitativo di rifiuti
speciali non pericolosi, costituiti da fanghi e scarti provenienti dalla
lavorazione del marmo realizzando una discarica non autorizzata dei predetti
rifiuti; aveva inoltre violato i sigilli apposti dall'autorità giudiziaria per
impedire la prosecuzione dell'attività illecita e effettuato lo scarico di acque
reflue industriali derivanti dalla lavorazione del marmo senza la prescritta
autorizzazione. La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i
quali l'appellante aveva contestato, tra l'altro, l'esistenza della discarica,
sostenendo che si trattava di un deposito temporaneo dei rifiuti in attesa del
loro smaltimento, ed invocato con riferimento a detto reato ed a quello di cui
all'art. 349 c.p. l'esimente dello stato di necessità, nonché, in relazione a
quest'ultima fattispecie la configurabilità della sola violazione di cui
all'art. 334 c.p..
La sentenza ha, però, dichiarato le attenuanti generiche concesse dal giudice di
primo grado equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 349 c.p.,
rideterminando la pena inflitta all'imputato nella misura precisata in epigrafe.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, che la denuncia per
violazione di legge e vizi della motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed
errata applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3, nonché la
carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza.
Con il motivo di gravame vengono riproposte, in sintesi, le stesse doglianze
formulate in punto di fatto dinanzi alla Corte territoriale, deducendosi - che
l'imputato non ha affatto inteso costituire una discarica abusiva, in quanto si
era limitato ad effettuare il deposito temporaneo dei rifiuti derivanti dalla
lavorazione del marmo in attesa del loro avvio definitivo allo smaltimento. In
proposito si osserva che nel territorio della Provincia di Trapani non vi sono
discariche autorizzate a ricevere i fanghi di cui si tratta e tale circostanza
ha reso difficile il rispetto della normativa vigente in materia di avvio dei
rifiuti allo smaltimento, poiché l'unico sito per poterli conferire è il
Ripristino Ambientale del Consorzio Perlato di Sicilia. Si osserva inoltre che
dove ha sede attualmente l'azienda dell'imputato in precedenza svolgeva la
propria attività un'altra ditta del cui operato non può essere chiamato a
rispondere il B.
Tanto esposto in punto di fatto, il ricorrente prosegue, mediante l'esame della
normativa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, con la individuazione delle nozioni
di abbandono di rifiuti, di deposito temporaneo degli stessi presso il
produttore e di discarica abusiva, anche alla luce di quanto previsto dal D.Lgs.
n. 36 del 2003, deducendo sostanzialmente che tali termini sono stati
considerati erroneamente sinonimi dai C.C. e dalla pubblica accusa e che nel
caso in esame non ricorrono le condizioni per ritenere la sussistenza di una
discarica abusiva.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia per violazione di
legge e carenza di motivazione l'affermazione di colpevolezza per il reato di
violazione di sigilli. Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di valutare
l'esistenza delle condizioni atte a configurare l'esimente dello stato di
necessità, considerata l'assenza di discariche autorizzate nella provincia di
Trapani e che, in ogni caso, il fatto ascritto al B. doveva essere ricondotto
all'ipotesi di reato di cui all'art. 334 c.p., non essendo stato posto in essere
mediante la materiale effrazione di sigilli.
Con l'ultimo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione
del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 59.
Si osserva, in sintesi, che i reflui derivanti dalla lavorazione del marmo
contengono esclusivamente carbonato di calcio per cui non possono essere
equiparati alle acque industriali e ne è consentito, lo scarico nel suolo ai
sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29, lett. d) senza autorizzazione.
Il ricorso, che è al limite dell'ammissibilità per essere prevalentemente
fondato su deduzioni di natura fattuale, non è fondato.
È stato reiteratamente affermato da questa Corte in ordine alla nozione di
discarica abusiva che "In tema di gestione di rifiuti, ai fini della
configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non
autorizzata, di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, è
necessario l'accumulo, più o meno sistematico ma comunque ripetuto e non
occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la eterogeneità dell'ammasso dei
materiali, la definitività del loro abbandono ed il degrado, anche solo
tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in
questione (sez. 3, 17.6.2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062; conf. sez. 3,
8.9.2004 n. 36062, Tomasoni; RV 229484).
Orbene, la sentenza impugnata, nell'affermare la colpevolezza dell'imputato in
ordine al reato ascrittogli, ha applicato puntualmente l'enunciato principio di
diritto, avendo i giudici di merito osservato che nella specie deve ravvisarsi
la sussistenza di una vera e propria discarica in considerazione del
considerevole quantitativo di fanghi essiccati, che avevano raggiunto l'altezza
di dieci metri rispetto al livello stradale, e della analisi del registro di
carico e scarico della ditta gestita dal B. in ordine al mancato conferimento
dei predetti rifiuti.
Si è osservato inoltre che la realizzazione della discarica da parte della ditta
che ha gestito in precedenza l'impianto per la lavorazione del marmo non vale ad
escludere la responsabilità dell'imputato, essendo stato accertato il suo
contributo causale alla realizzazione della predetta discarica abusiva mediante
l'ulteriore deposito nell'area di ingenti quantitativi di rifiuti speciali.
Pertanto, le censure di natura prevalentemente fattuale, dedotte nuovamente dal
ricorrente sono state già esaminate dai giudici di merito e ritenute
inconferenti, al fine di escludere l'esistenza di una discarica abusiva; nonché
il contributo causale dell'imputato alla realizzazione della stessa, con
motivazione esaustiva ed immune da vizi logici.
Né la definizione di discarica di cui al D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2,
comma 1, lett. g), emanato in attuazione della Direttiva 1999/31/CE, contiene
elementi che contrastino con l'accertamento di fatto contenuto nella sentenza,
dovendosi rilevare che è considerata discarica, ai sensi della disposizione
citata, anche la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti destinata
stabilmente allo smaltimento degli stessi, così come accertato nel caso in esame
dai giudici di merito.
La sentenza ha inoltre affermato, con argomentazione immune da vizi logici, che
la inesistenza nel territorio della Provincia di Trapani di discariche
autorizzate per lo smaltimento dei fanghi di depurazione non giustifica la
realizzazione di una discarica abusiva, risolvendosi peraltro tale carenza solo
in una maggiore onerosità e non nella impossibilità delle operazioni di
smaltimento.
Anche gli ulteriori motivi di gravame sono infondati.
Con riferimento alla invocata esimente dello stato di necessità per il delitto
di violazione di sigilli la sentenza impugnata ha già correttamente osservato
che, in ogni caso, "la scriminante dello stato di necessità opera solo allorché
la condotta illecita sia diretta ad evitare un danno grave alla persona, da
intendersi nella sua accezione fisica e morale, ma non patrimoniale", sicché
l'imprenditore non può invocare lo stato di necessità della sua azione per fini
sociali e di mercato relativi ai dipendenti della sua azienda.
È stato inoltre rilevato nella predetta sentenza, sempre in relazione al delitto
di violazione di sigilli, che l'imputato ha utilizzato un impianto sottoposto a
sequestro probatorio e sul quale i sigilli erano stati effettivamente apposti,
mentre a nulla rileva la circostanza che l'uso dell'impianto sia avvenuto senza
che vi sia stata la materiale effrazione dei sigilli.
Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questo Suprema Corte,
infatti, "Il delitto di violazione di sigilli, previsto dall'art. 349 c.p., si
consuma non soltanto con la distruzione materiale dei sigilli, ma anche con ogni
altra condotta diretta a violare il vincolo di indisponibilità sotteso allo loro
apposizione, atteso che la norma in questione tutela non solo l'integrità
materiale ma anche quella funzionale dei sigilli". (sez. 3, 200226185, Spini, RV
225383; conf. sez. 3, 200437898, Priolo, RV 230043; sez. 3, 200316000, Carpanese,
RV 224472).
In relazione alle censure afferenti al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999,
art. 59, comma 1, va, infine, osservato che il disposto di cui al D.Lgs. n. 152
del 1999, art. 29, comma 1, lett. d), che consente, a determinate condizioni, lo
scarico sul suolo delle acque di lavaggio delle sostanze minerali, non esime
affatto colui che effettua lo scarico dall'obbligo di munirsi della prescritta
autorizzazione ai sensi dell'art. 45, comma 1, del decreto, sicché, in assenza
del provvedimento autorizzatorio e non trattandosi in ogni caso di acque reflue
domestiche, è stato correttamente configurato il reato di cui alla disposizione
citata.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue, la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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