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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 21/01/2008 (UD.05/12/2007),
Sentenza n. 3069
URBANISTICA E EDILIZIA - Costruzioni in zona sismica - Omissione della
presentazione della denuncia dei lavori e dell'avviso dell'inizio dei lavori -
Reati previsti dagli artt. 93, 94 e 95 del D.P.R. n. 380/2001 - Natura - Reati
permanenti. I reati previsti dagli artt. 17, 18 e 20 della legge n. 64 del
1974, (provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone
sismiche), trasfuse negli artt. 93, 94 e 95 del testo unico approvato con
D.P.R.380/2001 e consistenti nella omissione della presentazione della denuncia
dei lavori e dell'avviso dell'inizio dei lavori, hanno natura istantanea" (Sez.
Un. n. 18 del 14.7.1999, P.M. in proc. Lauriola, rv. 213933). Tuttavia, il reato
di cui agli artt. 94 e 95 D.P.R. 380/2001, permane sino a quando chi intraprende
un lavoro edile in zona sismica (che non sia di bassa sismicità) termina il
lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Sino a questo momento,
persiste il carattere antigiuridico della condotta commissiva del
contravventore, che prosegue lavori non autorizzati. In conclusione, atteso che
sono istantanei solo quei reati in cui la condotta tipica esaurisce la lesione
del bene tutelato, e sono permanenti quelli in cui la condotta volontaria del
soggetto protrae nel tempo la lesione del bene, i reati di cui agli artt. 93, 94
e 95 D.P.R. 380/2001 devono ritenersi permanenti. (v. da ultimo Cass. Sez. III,
n. 7873 del 19.3.1999, P.M. in proc. Guerra, rv. 214501). Presidente E. Papa,
Relatore P. Onorato, Ric. Mirabelli. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 21/01/2008
(UD.05/12/2007), Sentenza n. 3069
PROCEDURE E VARIE - Notificazione della vocatio in jus - Nullità della
notificazione del decreto dispositivo del giudizio o di inosservanza del termine
per comparire - Rinnovazione della notifica - Giudice del dibattimento - Art.
143 disp. att. c.p.p. – Effetti. In caso di nullità della notificazione del
decreto dispositivo del giudizio o di inosservanza del termine per comparire,
spetta al giudice del dibattimento disporre la rinnovazione della
notifica ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.p., che trova applicazione anche
nel processo davanti al giudice monocratico (v. per la stessa ratio decidendi
Cass. Sez. Un. n. 28807 del 26.7.2002, Manca, rv. 221999, Cass. Sez. Un. n. 8
del 5.7.1995, P.M. in proc. Cirulli, rv. 201544). In altri termini, qui la
nullità, investendo solo la notificazione della vocatio in jus, non
impedisce il valido passaggio del procedimento alla fase del giudizio.
Presidente E. Papa, Relatore P. Onorato, Ric. Mirabelli. CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III, 21/01/2008 (UD.05/12/2007), Sentenza n. 3069
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza del 27.2.2007 il tribunale monocratico di Cosenza, in seguito a
opposizione a decreto penale del 4.10.2005, ha condannato Egidio Mirabelli alla
pena di 600 euro di ammenda, siccome colpevole dei seguenti reati:
a) artt. 93 e 95 D.P.R. 380/2001 per aver costruito in zona sismica tre muri di
contenimento a gradoni senza darne il prescritto preavviso scritto al competente
sportello unico per l'edilizia;
b) artt. 94 e 95 D.P.R. 380/2001 per aver costruito i muri predetti senza la
preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione;
(accertati in Colosimi il 26.4.2005).
In particolare, il tribunale ha osservato che il Mirabelli aveva ottenuto in
data 28.9.2005 permesso di costruzione in sanatoria; che dalle risultanze
fotografiche e dal compendio testimoniale doveva desumersi che le
contravvenzioni contestate erano state commesse in epoca anteriore e prossima a
quella del sopralluogo (avvenuto il 26.4.2005); che pertanto non era ancora
maturata la prescrizione.
2 - Il difensore del Mirabelli ha proposto ricorso per cassazione, deducendo in
sostanza quattro motivi.
In particolare, lamenta:
2.1 - violazione delle norme processuali che disciplinano la capacità del
giudice (art. 33 c.p.p.), laddove il tribunale monocratico, alla udienza
dell'8.6.2006, nel provvedere su apposita eccezione del difensore, dopo aver
dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio immediato, per
inosservanza del termine a comparire, aveva dato mandato alla cancelleria per
nuova notificazione del decreto, e aveva inoltre disposto che questo fosse
completo di tutte le imputazioni, avendo rilevato che nella copia già notificata
mancava il capo b) delle imputazioni contestate nel decreto penale;
2.2 - violazione degli artt. 157, 158 e 160 c.p., nonché dell'art. 192 c.p.p..
Sostiene al riguardo che i reati contestati hanno natura istantanea e si
consumano all'inizio dei lavori eseguiti in zona sismica, sicché a nulla
rilevava l'accertamento della ultimazione o della permanenza dei lavori stessi.
Aggiunge che illegittimamente il giudice di merito ha svalutato come
inattendibili e compiacenti le deposizioni dei testi a difesa Colosimo e Muraca,
in ordine al tempo di esecuzione dei lavori;
2.3 - ancora violazione dell'art. 192 c.p.p., laddove il tribunale ha
soggettivamente interpretatato la deposizione testimoniale resa 1'11.1.2007 dal
vicino di casa Mazzei, laddove questi aveva precisato che la costruzione
risaliva allo scorso anno (inteso dal giudice come anno 2005);
2.4 - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la
sentenza impugnata ha valutato il compendio probatorio in ordine al tempus
commissi delitti.
Motivi della decisione
3 - Va anzitutto disattesa l'eccezione processuale sollevata col primo motivo di
ricorso (n. 2.1).
Con essa, in sostanza, il difensore sostiene che il giudice dibattimentale
investito dell'opposizione al decreto penale, una volta rilevata la nullità del
decreto dispositivo del giudizio per inosservanza del termine a comparire,
doveva rimettere gli atti al g.i.p. per la rinnovazione del decreto, ma non
poteva disporre direttamente la rinnovazione della notifica e tanto meno la
integrazione del decreto con l'indicazione del capo b) dell'imputazione: non
aveva questa capacità ai sensi dell'art. 33 c.p.p.
La doglianza è del tutto infondata.
In caso di nullità della notificazione del decreto dispositivo del giudizio o di
inosservanza del termine per comparire, infatti, spetta al giudice del
dibattimento disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 143 disp.
att. c.p.p., che trova applicazione anche nel processo davanti al giudice
monocratico (v. per la stessa ratio decidendi Cass. Sez. Un. n. 28807 del
26.7.2002, Manca, rv. 221999, Cass. Sez. Un. n. 8 del 5.7.1995, P.M. in proc.
Cirulli, rv. 201544).
Diverso sarebbe il caso in cui il decreto dispositivo del giudizio o il decreto
di citazione diretta a giudizio fosse nullo per un vizio attinente alla
formulazione dell'imputazione, come una difettosa enunciazione del fatto
contestato e delle norme di legge violate, giacché in tal caso gli atti devono
essere restituiti al pubblico ministero, affinché, quale organo dell'azione
penale e dominus dell'imputazione, provveda a una corretta enunciazione
del fatto reato e delle norme di legge relative.
Questa diversità di cadenze e competenze processuali dipende dalla diverse
conseguenze che nei due casi ha l'applicazione del principio stabilito nell'art.
185, comma 3, c.p.p., secondo cui la dichiarazione di nullità comporta la
regressione del procedimento allo stato e al grado in cui è stato compiuto
l'atto nullo.
E' chiaro che nel secondo caso ad essere dichiarato nullo è rispettivamente il
decreto dispositivo del giudizio (con conseguente regressione degli atti alla
udienza preliminare, dove il pubblico ministero può correggere il capo di
imputazione ex art. 423 c.p.p. e il giudice può emettere un nuovo decreto
dispositivo del giudizio ex art. 429 c.p.p., contenente l'imputazione corretta);
ovvero il decreto di citazione a diretta a giudizio (con conseguente regressione
del procedimento nella fase delle indagini preliminari, nella quale il pubblico
ministero potrà rinnovare e correggere il decreto di citazione diretta). In
altri termini, qui la nullità investe l'esercizio dell'azione penale e impedisce
un valido passaggio dalla fase delle indagini preliminari o della udienza
preliminare alla fase del giudizio (v. Cass. Sez. Un. n. 17 del 10.12.1997, Di
Battista).
Nel primo caso invece la nullità colpisce propriamente, non il contenuto del
decreto, ma la notificazione del decreto stesso, o per violazione delle norme
dettate nella soggetta materia (v. art. 171 c.p.p.), o perché tra la data della
notifica e quella fissata per la udienza di trattazione del giudizio non
intercorre quel tempo minimo di comparizione stabilito dalla legge a tutela
dell'imputato: con la conseguenza che la rinnovazione della notificazione può
essere disposta dal giudice del dibattimento, senza regressione alla fase
procedimentale precedente. In altri termini, qui la nullità, investendo solo la
notificazione della vocatio in jus, non impedisce il valido passaggio del
procedimento alla fase del giudizio.
3.1 - Così chiarito che nel caso di specie spettava al giudice del dibattimento
disporre la rinnovazione della notificazione, va in secondo luogo precisato che
lo stesso giudice non ha provveduto ad alcuna abnorme integrazione della
imputazione. Sembra infatti (per quanto risulta dagli atti a disposizione di
questa corte) che il capo b) della imputazione mancasse soltanto nella copia del
decreto dispositivo del giudizio notificata all'imputato. Sicché, disponendo
l'integrazione della imputazione, il giudice non si è indebitamente arrogato il
poteri del pubblico ministero, ma è rimasto nei limiti del suo potere-dovere di
intervenire nell'ambito delle notificazioni, correggendone i vizi e rimediando
alle loro irregolarità e disfunzioni.
Ma se anche si volesse ipotizzare che la mancanza del capo b) della imputazione
inficiasse non solo la copia notificata, ma anche l'originale del decreto
dispositivo del giudizio (circostanza il cui onere probatorio incomberebbe
peraltro sul difensore ricorrente), potrebbe agevolmente replicarsi che nel rito
monitorio il decreto dispositivo del giudizio ha carattere totalmente "derivato"
rispetto al decreto penale di condanna emesso dal g.i.p su richiesta del
pubblico ministero. Sicché, anche in tale ipotesi, il giudice competente per il
dibattimento che, nel disporre il rinnovo della notifica del decreto dispositivo
del giudizio, provvedesse anche a ovviare alla mancanza di un capo di
imputazione già contenuto nel decreto penale di condanna, non farebbe altro che
esercitare opportunamente ex art. 130 c.p.p. un potere officioso di correzione
di una omissione reputabile come non essenziale, avuto riguardo al predetto
carattere "derivato" del decreto dispositivo del giudizio e alla necessaria
congruenza di questo con il contenuto del decreto penale di condanna
precedentemente emesso dal g.i.p..
4 - Vanno poi disattese tutte le censure afferenti alla prova del tempus
commisi delicti, perché si risolvono in una diversa valutazione delle
risultanze processuali, che è inammissibile in sede di legittimità quando - come
nel caso di specie - il giudice di merito ha espresso sul punto una valutazione
sorretta da motivazione pienamente logica e legittima.
Del tutto correttamente la sentenza impugnata ha accertato che i tre muri de
quibus erano stati realizzati in epoca anteriore e prossima al 26.4.2005,
come si poteva evincere dal fatto documentato fotograficamente che a questa data
il piccolo cantiere era in piena attività, lo scavo era recente e una parte di
muro era ancora "intavolata" e bagnata per consentire al cemento di consolidarsi
nella forma prestabilita. Conforme era anche la deposizione testimoniale del
vicino di casa Mazzei, il quale - precisando all'udienza dell'11.1.2007 che il
lavori erano stati realizzati lo "scorso anno" - intendeva evidentemente
riferirsi all'anno 2005. Su quest'ultimo punto, peraltro, la censura del
ricorrente è priva di interesse, perché, se accolta, porterebbe a collocare i
lavori nel 2006, anziché nel 2005, configurando così un fatto reato ancor più
pregiudizievole per l'imputato.
5 - Ma il problema più delicato sollevato nel ricorso attiene alla natura
permanente o istantanea dei reati contestati, e quindi alla individuazione del
momento da cui inizia a decorrere il tempo per la prescrizione dei reati stessi
(v.n. 2.2).
Nel caso di specie, se i reati avessero natura istantanea e si consumassero al
momento di inizio dei lavori, essi sarebbero già prescritti solo se l'inizio dei
lavori si potesse collocare prima del 5.12.2004 (calcolando il termine
prescrizionale massimo di tre anni ai sensi degli artt. 157 n. 6 e 160, ultimo
comma c.p., nel testo previgente, non potendosi applicare il testo novellato
dall'art. 6 della legge 5.12.2005 n. 251, che per le contravvenzioni punite con
la sola ammenda prevede una disciplina più sfavorevole per l'imputato). Orbene,
in linea di fatto, appare poco verosimile che lavori così modesti come la
costruzione di tre muri di contenimento a gradoni (delle dimensioni di mt. 0,90
x 2,30 x 0,66; mt. 0,45 x 2,37 x 0,37; mt. 2,30 x 0,20 x 1,50), che erano ancora
in corso alla data del 26.4.2005, fossero iniziati prima del dicembre 2004.
Ma poiché non si può escludere il dubbio che i lavori fossero iniziati anche
prima di questa data e fossero stati magari interrotti e poi ripresi in data
prossima al 26.4.2005, diventa rilevante accertare se i reati avessero natura
permamente e potessero così sfuggire alla estinzione per prescrizione.
6 - Su questo punto - ad avviso del collegio - non può condividersi la pronuncia
ormai risalente delle Sezioni unite, la quale, risolvendo un contrasto
giurisprudenziale esistente nella soggetta materia, ha statuito che "i reati
previsti dagli artt. 17, 18 e 20 della legge n. 64 del 1974 (provvedimenti per
le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche) e consistenti
nella omissione della presentazione della denuncia dei lavori e dell'avviso
dell'inizio dei lavori, hanno natura istantanea" (Sez. Un. n. 18 del 14.7.1999,
P.M. in proc. Lauriola, rv. 213933).
Com'è noto, le norme degli artt. 17, 18 e 20 della legge 64/1974 sono state
trasfuse negli artt. 93, 94 e 95 del testo unico approvato con D.P.R.380/2001,
le quali prevedono che:
a) nelle zone sismiche, chiunque intenda procedere a interventi edilizi è tenuto
a darne preavviso scritto allo sportello unico (che provvede a trasmetterne
copia al competente ufficio tecnico della regione), presentando apposita domanda
e allegando il progetto dei lavori con relazione tecnica (art. 93);
b) nelle stesse zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità
specificamente determinate, i lavori edilizi non possono essere iniziati senza
preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione
(art. 94).
e) chiunque non osserva le disposizioni precedenti è punito con l'ammenda da
euro 206 a euro 10.329 (art. 95).
Le Sezioni unite mettono in evidenza che, in base all'art. 20 della legge
10.12.1981 n. 741 (snellimento di procedure di cui alla legge 2.2.1974 n. 64) le
regioni italiane hanno generalmente sostituito la predetta autorizzazione con la
denuncia di inizio attività, in tal modo passando da un sistema di controllo
preventivo (permissivo) a un sistema di controllo successivo.
Fatta questa premessa, la sentenza Lauriola opta per la tesi della natura
istantanea dei reati adducendo in sostanza un triplice argomento:
x) sia il preavviso imposto dalla prima norma sia la denuncia di inizio attività
prevista dalla seconda norma devono precedere l'inizio dei lavori;
y) se la denuncia è presentata tardivamente, dopo l'inizio dei lavori, non ha
più l'effetto propulsivo di attivare il procedimento amministrativo di controllo
"e perciò non potrebbe mai servire a formare il silenzio-comportamento
dell'amministrazione, operante solo con l'inizio dell'attività";
z) se il preavviso o l'avviso di inizio dei lavori è comunicato tardivamente,
questo adempimento postumo, che secondo la tesi opposta porrebbe termine alla
permanenza del reato, "appare addirittura inconferente, in quanto il potere di
vigilanza va esercitato dall'amministrazione sui lavori in corso sul territorio
a prescindere dalla notizia che ne dà l'interessato" (par. 5 della motivazione).
6.1 - Occorre anzitutto precisare che il presupposto di questo ragionamento non
è dato per tutte le regioni italiane. Ad esempio, per quanto riguarda la
disciplina vigente nella regione Calabria, che è quella applicabile al caso
concreto, è vero che attualmente l'art. 5 della L.R. 27.4.1998 n. 7, come
modificato dall'art.30, comma 2, della L.R. 11.5.2007 n. 9, sostituisce
l'autorizzazione con una semplice dichiarazione di inizio attività per tutte le
opere che non siano di rilevante interesse pubblico. Ma è altrettanto vero che
al tempo del fatto contestato all'imputato vigeva il testo non ancora novellato,
che prevedeva solo controlli successivi col metodo a campione, ma non aboliva la
necessità dell'autorizzazione preventiva: e ciò in perfetta continuità normativa
con la precedente disciplina dettata dall'art. 5 della previgente L.R. 11.7.1994
n. 17.
Peraltro, il passaggio da un sistema di autorizzazione preventiva a un sistema
di controllo successivo, attraverso l'istituto della dichiarazione o denuncia di
inizio attività - ove realizzato - non sembra decisivo al fine di determinare la
natura istantanea o permanente dei reati in oggetto.
6.2 - Ciò che infatti non appare condivisibile nella sentenza Lauriola è la
logica che sottende tutto il ragionamento e che è applicabile sia ai sistemi
fondati sull'autorizzazione preventiva sia a quelli basati sul controllo
successivo all'inizio dei lavori. Questa logica finisce per confondere il
criterio della persistenza dell'offesa del bene giuridico tutelato, connessa
alla persistenza della condotta, che governa la distinzione tra reati permanenti
e reati istantanei, col diverso criterio desunto dalla apertura formale di un
procedimento amministrativo e comunque dalla possibilità di un controllo
postumo, attivate dall'adempimento tardivo del contravventore.
In realtà, la persistenza della condotta antigiuridica e la connessa protrazione
della lesione all'interesse pubblico di vigilare sulla regolarità tecnica di
ogni costruzione in zona sismica, sussistono anche se (anzi proprio perché)
l'amministrazione competente non ha aperto un procedimento formale o non ha
attivato alcun controllo.
Più specificamente, il reato di cui agli artt. 93 e 95 D.P.R 380/2001 permane
sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la
denuncia del lavoro con l'allegato progetto, ovvero non termina il lavoro
medesimo. Sino a questo momento, infatti, persiste la lesione o l'offesa al bene
giuridico protetto, perché il competente ufficio tecnico regionale - non essendo
informato dei lavori - non è messo in grado di controllarne la conformità alle
norme tecniche stabilite al riguardo. Per la stessa ragione, sino a questo
momento persiste il carattere antigiuridico della condotta mista
(commissiva/omissiva) del contravventore, il quale potrà farla cessare solo
interrompendo i lavori o presentando la denuncia anche dopo l'inizio dei
medesimi. In altri termini, secondo un argomento spesso utilizzato nella
soggetta materia, attesa la ratio della norma, il dovere di agire imposto
dall'art. 93 perdura nel tempo anche dopo l'inizio dei lavori, benché cominci a
essere vincolante prima di tale inizio.
Il reato di cui agli artt. 94 e 95 D.P.R. 380/2001, invece, permane sino a
quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica (che non sia di bassa
sismicità) termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Sino a
questo momento, infatti, persiste il carattere antigiuridico della condotta
commissiva del contravventore, che prosegue lavori non autorizzati. Così come
perdura la lesione dell'interesse pubblico ad esercitare un preventivo
controllo, perché il competente ufficio tecnico regionale non è messo in grado
di verificare la conformità dei lavori alle norme tecniche di sicurezza
stabilite per le zone sismiche di media o alta intensità.
Ove poi la legislazione ragionale (ma non è il caso di specie) abbia sostituito
la necessità dell'autorizzazione preventiva con l'obbligo della dichiarazione di
inizio attività, la struttura del reato in parola viene a sovrapporsi
perfettamente a quella del reato di cui all'art. 93, perché in entrambi i casi
la condotta imposta è semplicemente quella di denunciare l'inizio dei lavori,
che potranno essere continuati, anche senza una formale autorizzazione, sino a
che non intervenga un provvedimento inibitorio o sospensorio dell'autorità
amministrativa competente.
In conclusione, atteso che sono istantanei solo quei reati in cui la condotta
tipica esaurisce la lesione del bene tutelato, e sono permanenti quelli in cui
la condotta volontaria del soggetto protrae nel tempo la lesione del bene, i
reati di cui agli artt. 93, 94 e 95 D.P.R. 380/2001 devono ritenersi permanenti
nel senso anzidetto. Il collegio aderisce così a un orientamento
giurisprudenziale che è stato molto consistente sino all'intervento della
sentenza Lauriola (v. da ultimo Cass. Sez. III, n. 7873 del 19.3.1999, P.M. in
proc. Guerra, rv. 214501).
7 - Alla luce di questi principi, i reati contestati al Mirabelli devono
ritenersi commessi sino al 26.4.2005, e come tali non sono ancora estinti per
prescrizione.
Il ricorso va quindi respinto.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di
irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5.12.2007.
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