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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 28 Gennaio 2008, Sentenza n. 4065



CACCIA - AREA PROTETTA - Attività venatoria - Esercizio della caccia in zona di riserva naturale - Valutazioni nel giudizio di condanna - Segnalazione cartellonistica idonea - Presenza di altri cacciatori vicinanze - Ininfluenza - Art. 30 L. n. 157/1992 - Configurabilità.
Si configura, per il soggetto intento ad esercitare la caccia in zona di riserva naturale, il reato di cui all’articolo 30 della Legge n. 157 del 1992. Nella specie, sono state ritenute ininfluenti, tra le altre, le contestazioni in merito all'area protetta non adeguatamente segnalata da idonea cartellonistica e che nelle vicinanze potevano esserci altri cacciatori. Pres. Vitalone - Est. Cordova - P.M. D'Angelo - Ric. D.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 28 Gennaio 2008, Sentenza n. 4065

PROCEDURE E VARIE - Ricorso in cassazione - Ragioni di gravame - Assenza di elementi di significativa novità - Inammissibilità del ricorso - Art. 181 c.p.p., lett. c). E' inammissibile il ricorso per cassazione per le ipotesi di arbitrarietà o di illogicità della decisione a fronte della compiutezza e della coerenza dell'apparato argomentativo della sentenza, che consente di rintracciare agevolmente l'itinerario della scelta decisoria sottraendo questa ad ogni scrutinio di legittimità ed alla scoperta di elementi di significativa novità rispetto alle argomentazioni dedotte all'atto di appello. Pres. Vitalone - Est. Cordova - P.M. D'Angelo - Ric. D.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 28 Gennaio 2008, Sentenza n. 4065


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UDIENZA del

SENTENZA N.

REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITALONE Claudio - Presidente
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) D. S., N. IL (adrg);
avverso SENTENZA del 17/10/2006 CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORDOVA AGOSTINO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore Avv. SCACCHI Francesco sost. proc..


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza del 21.7.2005 il Tribunale di Agrigento condannava D'. Sa. , con la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di due mesi d'arresto ed euro 500,00 d'ammenda (convertita in euro 2.780,00) in ordine al reato di cui alla Legge n. 157 del 1992, articolo 30 per avere il 13.11.2003 esercitato la caccia in zona di riserva naturale ......

Proponeva appello l'imputato, adducendo che non vi era prova che fosse egli la persona avvistata da lontano dai verbalizzanti senza vederne il viso; che l'area protetta non era adeguatamente segnalata da idonea cartellonistica, donde la mancanza dell'elemento soggettivo; e che costituiva una forzatura giuridica l'avere interpretato il ricorso proposto da esso D. al T.A.R. avverso la sospensione della licenza di caccia come un'ammissione di responsabilità.

La Corte d'appello di Palermo rigettava l'impugnazione con sentenza del 17.10.2006.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso il difensore dell'imputato per i seguenti motivi:

1) la Corte territoriale aveva erroneamente valutato la prova a carico, atteso che i due testi sopra citati non avevano mai riferito di avere avuto sotto il loro controllo visivo il ricorrente dal momento dell'avvistamento a quello del fermo, ed il Tribunale aveva dedotto l'identificazione dal fatto che non esistevano nelle vicinanze altri cacciatori;

2) il soggetto intento ad esercitare la caccia era stato avvistato all'interno della zona denominata "(adrg)", non assoggettata ad alcun divieto;

3) nel ricorso amministrativo si era sostenuto l'illegittimità del provvedimento di sospensione della licenza per irritualità della sanzione irrogata, e di aver avuto contestato il fatto di aver esercitato la caccia nella predetta "(adrg)", non assoggettata a divieto; e, comunque, in detto ricorso erano state sollevate questioni procedurali senza entrare nel merito delle contestazioni, per cui gli assunti difensivi non potevano essere ritenuti ammissione di responsabilità.

Si chiedeva quindi l'annullamento dell'impugnata sentenza.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Conformemente alla richiesta del P.G., il ricorso va dichiarato inammissibile. Dall'organico impianto motivazionale dell'impugnata sentenza risulta che il giudizio di responsabilità e' stato ragionevolmente ancorato alle seguenti valutazioni:

1) effettivamente l'imputato fu scorto dai militi della G.d.F. Ca. e C. che controllavano la zona protetta da un'altura sita in tale zona;
2) essi attestarono che vi era il divieto di caccia, segnalato da apposita ed idonea cartellonistica, e su ciò non e' stata fornita alcuna concreta prova contraria;
3) non poterono fermare direttamente il D. perche', come dichiarò il Ca. , erano su un dirupo, per cui dovettero girare ed andare sulla strada;
4) che abbiano subito avvisato telefonicamente i loro colleghi che si trovavano su tale strada, trova conferma dal fatto che fu dai secondi fermato in corrispondenza del posto dove l'imputato aveva parcheggiato la propria autovettura, che era quasi al limite della zona di riserva naturale;
5) il fatto che Ca. e C. lo abbiano raggiunto dopo 1-2 minuti - come da essi dichiarato - e' indicativo della distanza tra il posto in cui si trovavano, quello in cui io avvistarono (circa 100 metri secondo Ca. , tanti o di piu' secondo C. , anche se non avevano ricordi piu' precisi) e quello in cui il D'. fu fermato: distanza che comunque non poteva essere considerevole se fu superata in così breve tempo;
6) l'imputato dichiarò invece che si trovava ad un chilometro, massimo due dalla zona protetta, versione del tutto inverosimile rispetto ai dati di cui sopra;
7) la persona fermata aveva la stessa corporatura e lo stesso abbigliamento di quella avvistata, ed aveva il fucile carico e numerosissime altre cartucce, specie in macchina:
8) i verbalizzanti non avvistarono altri cacciatori o altre persone nella zona;
9) correttamente poteva essere utilizzato il ricorso amministrativo essendo stato esibito dalla difesa, ed in esso si sostenne non l'errore di persona, ma la non conoscibilità dei cartelli segnalanti il divieto;
10) i riferimenti del primo giudice alla dinamica dei comportamenti del D'. , analiticamente descritti nella sentenza appellata, scaturivano all'evidenza dalle dichiarazioni dei due verbalizzanti (e, segnatamente, da quelle del C. ), i quali non persero mai di vista il giudicabile se non per un'irrilevante frazione di tempo, sì da fugare ogni dubbio sulla puntualità della sua identificazione con la persona intenta all'attività venatoria;
11) gli elementi di cui sopra assorbono ogni altro, ed esimono dall'esaminare, sotto il profilo dell'articolo 350 c.p.p., comma 7, articolo 503 c.p.p., comma 3, l'ammissibilità delle dichiarazioni rese dall'imputato all'atto del sequestro, che, invitato a farsi assistere da un difensore non ritenne di avvalersene, e che spontaneamente dichiarò che stava inseguendo una beccaccia senza accorgersi di essere entrata nell'"(adrg)", anche perche' non vi erano molti cartelli indicanti il divieto.

A fronte della compiutezza e della coerenza dell'apparato argomentativi dell'impugnata sentenza, che consente di rintracciare agevolmente l'itinerario della scelta decisoria e sottrae questa ad ogni ipotesi di arbitrarietà o di illogicità, le doglianze del ricorrente - nella loro vistosa genericità - appaiono del tutto prive di influenza sui chiarimenti della Corte territoriale e non offrono allo scrutinio di legittimità alcun elemento di significativa novità rispetto alle argomentazioni di cui all'atto di appello.

Le esaminate ragioni di gravame appaiono pertanto prive del requisito richiesto dall'articolo 181 c.p.p., lettera c), da valutarsi non solo per l'aspecificità della doglianza, intesa come indeterminatezza, ma altresì per la mancanza di una qualunque correlazione della stessa con la motivazione della decisione impugnata.

Per altro aspetto, le ragioni utilizzate per confutare le conclusioni della Corte territoriale - come appare evidente dalla sintesi già tracciata - non attengono a carenze desumibili dal testo del provvedimento impugnato, ma discendono da una rilettura "alternativa" degli atti processuali che presupporrebbe - in questa sede - la rivisitazione del materiale probatorio e la formulazione di apprezzamenti inevitabilmente invasivi del mentito della vicenda: operazione decisamente estranea al giudizio demandato a questa Corte di Cassazione.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.


 


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