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CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VIII, 22/12/2008, causa C‑283/07
RIFIUTI - Nozione di rifiuto - Rottami destinati all'impiego in attività
siderurgiche - Combustibile da rifiuti di qualità elevata - Trasposizione
non corretta - Inadempimento di uno Stato (Italia) - Art. 1, Direttiva
75/442/CEE. La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in
vigore disposizioni quali: l'art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge
15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e
misure di diretta applicazione, e l'art. 1, comma 29, lett. b), della legge
15 dicembre 2004, n. 308, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in
materia ambientale, per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami
destinati all'impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il
combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q) sono sottratti a priori
all'ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di
trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE,
relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo
1991, 91/156/CEE, è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 1, lett.
a), della medesima direttiva. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE,
Sez. VIII, 22/12/2008, causa C‑283/07
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)
22 dicembre 2008 (*)
«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 75/442/CEE - Art. 1 - Nozione
di “rifiuto” - Rottami destinati all'impiego in attività siderurgiche -
Combustibile da rifiuti di qualità elevata - Trasposizione non corretta»
Nella causa C‑283/07,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell'art. 226
CE, proposto il 12 giugno 2007,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Zadra e
J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità
di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Ottava Sezione),
composta dal sig. T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione,
dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. G. Arestis, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 22
ottobre 2008,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di
giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede
alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e
mantenendo in vigore disposizioni quali:
- l'art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n.
308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di
diretta applicazione (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27
dicembre 2004; in prosieguo: la «legge n. 308/2004»), e
- l'art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308,
nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
(Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo:
il «decreto legislativo n. 152/2006»),
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati
all'impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile
da rifiuti di qualità elevata (in prosieguo: il «CDR‑Q») sono sottratti
a priori all'ambito di applicazione della legislazione italiana sui
rifiuti di trasposizione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975,
75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag.
32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), è venuta meno agli obblighi
derivanti dall'art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 L'art. 1 della direttiva 75/442 così dispone:
«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie
riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso
o abbia l'obbligo di disfarsi.
(…)
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei
rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo
delle discariche dopo la loro chiusura.
(…)».
3 Al suo art. 1, lett. e) e f), tale direttiva definisce le nozioni di
«smaltimento» e di «recupero» dei rifiuti come tutte le operazioni
previste, rispettivamente, negli allegati II A e II B.
4 L'art. 2, n. 1, lett. b), della medesima direttiva elenca i rifiuti
che sono esclusi dal suo campo di applicazione «qualora già contemplati
da altra normativa».
5 L'allegato I della direttiva 75/442, rubricato «Categorie di rifiuti»,
include in particolare le categorie Q 1, «Residui di produzione o di
consumo in appresso non specificati», e Q 16, «Qualunque sostanza,
materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate».
6 L'allegato II B della direttiva, come modificato dalla decisione della
Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32), è
espressamente inteso ad elencare le operazioni di recupero come
avvengono nella pratica. Tra le operazioni annoverate in tale allegato
figurano, al punto R 1, l'«[u]tilizzazione principale come combustibile
o come altro mezzo per produrre energia», al punto R 4, il «[r]iciclo/recupero
dei metalli o dei composti metallici», e, al punto R 13, la «[m]essa in
riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei
punti da R 1 a R 12 (escluso il deposito temporaneo, prima della
raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)».
7 L'abrogazione della direttiva 75/442 - tramite la direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa
ai rifiuti (GU L 114, pag. 9), entrata in vigore il 17 maggio 2006 - non
rileva ai fini del ricorso per inadempimento in esame. La direttiva
2006/12, nell'operare una codificazione della direttiva 75/442 a fini di
chiarezza e razionalizzazione, riproduce nei suoi artt. 1 e 2, nonché
nei suoi allegati I e II B, le disposizioni sopra menzionate. Inoltre,
l'art. 20, primo comma, della direttiva 2006/12 stabilisce che la
direttiva 75/442 «è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati
membri relativi ai termini di attuazione di cui all'allegato III, parte
B».
La normativa nazionale
8 L'art. 6, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti,
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui
rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15
febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»),
definisce, ai fini di tale decreto legislativo, il «rifiuto» come
«qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l'obbligo di disfarsi».
9 L'art. 8, comma 1, del suddetto decreto prevede l'esclusione di alcune
categorie di rifiuti dal proprio campo di applicazione.
10 La legge n. 308/2004 introduce talune modifiche al decreto
legislativo n. 22/97. L'art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), di detta
legge così dispone:
«25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti
che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma
29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che,
derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli
produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie
per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità
affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non
a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto (…) sono sottoposti al regime delle
materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla
definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e
metallurgiche di cui al comma 1, lettera q‑bis), dell'articolo 6 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i
rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non
abbia deciso o non abbia l'obbligo di disfarsi e che quindi non
conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del
recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed
effettivo all'impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall'estero sono
riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti
da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o
produttori di Paesi esteri che si iscrivono all'Albo nazionale delle
imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità
specificate al comma 28.
(…)
29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) all'articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le
seguenti:
q bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e
metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di
recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad
altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di
lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi
o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in
origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra
menzionate;
(…)».
11 L'art. 1, comma 29, lett. b), della legge n. 308/2004 ha inserito
all'art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 22/97 la lettera f
quinquies), che esclude dal campo di applicazione di tale decreto «il
combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come
descritto dalle norme tecniche UNI 9903‑1 (RDF [Refuse Derived Fuel] di
qualità elevata), utilizzato in co‑combustione, come definita
dall'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato 11 novembre 1999, (…),
come sostituita dall'articolo 1 del decreto del Ministro delle attività
produttive 18 marzo 2002, (…), in impianti di produzione di energia
elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, (…)».
12 L'art. 183, comma 1, lett. s), del decreto legislativo n. 152/2006
prevede che costituisce un «combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q):
il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI
9903‑1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità
elevata, cui si applica l'articolo 229».
13 L'art. 229, comma 2, del medesimo decreto legislativo così dispone:
«Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al presente
articolo, è escluso dall'ambito di applicazione della parte quarta del
presente decreto [concernente le norme in materia di gestione dei
rifiuti e di bonifica dei siti inquinati] il combustibile da rifiuti di
qualità elevata (CDR‑Q), (...) come definito dall'articolo 183, comma 1,
lettera s), prodotto nell'ambito di un processo produttivo che adotta un
sistema di gestione per la qualità basato sullo standard UNI‑EN ISO 9001
e destinato all'effettivo utilizzo in co‑combustione, come definita
dall'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato 11 novembre 1999, (…),
in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come
specificato nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 8
marzo 2002, (…)».
14 Le due disposizioni da ultimo menzionate sono state integrate dal
decreto del Ministero delle Attività produttive 2 maggio 2006, recante
le modalità di utilizzo per la produzione di energia elettrica del CDR‑Q
(GURI n. 106 del 9 maggio 2006, pag. 14; in prosieguo: il «decreto
ministeriale 2 maggio 2006»).
Procedimento precontenzioso
15 Reputando che la normativa italiana non fosse idonea a garantire una
trasposizione corretta della direttiva 75/442, la Commissione decideva
di intraprendere il procedimento previsto all'art. 226 CE e, con lettera
in data 13 luglio 2005, metteva in mora la Repubblica italiana.
16 Non avendo ritenuto soddisfacente la risposta della Repubblica
italiana del 17 novembre 2005, il successivo 19 dicembre la Commissione
le trasmetteva un parere motivato, invitandola ad adottare i
provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro un termine
di due mesi decorrenti dalla sua ricezione. La Repubblica italiana
accludeva alla propria risposta in data 27 febbraio 2006 una nota del
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio.
17 Successivamente, con lettera in data 12 maggio 2006, la Repubblica
italiana notificava alla Commissione, nell'ambito di altri procedimenti
di infrazione relativi alla mancata trasposizione di alcune direttive
comunitarie, il testo del decreto legislativo n. 152/2006.
18 Poiché a seguito dell'adozione del suddetto decreto legislativo la
Commissione riteneva opportuno precisare l'oggetto del procedimento, il
15 dicembre 2006 trasmetteva alla Repubblica italiana un parere motivato
complementare, concedendole nuovamente un termine di due mesi decorrente
dalla ricezione di detto parere per presentare eventuali obiezioni. Lo
Stato membro rispondeva con lettera del 19 gennaio 2007, alla quale
erano allegate la copia di un progetto di decreto legislativo che
prevedeva l'abrogazione di tutte le disposizioni oggetto del
procedimento, nonché una nota del Ministero dell'Ambiente indicante che
tale progetto era in corso di adozione «per superare i rilievi formulati
dalla Commissione (…)» e che la Commissione sarebbe stata informata «con
la massima sollecitudine sugli ulteriori passaggi dell'iter di adozione
del decreto correttivo in questione».
19 Non avendo ricevuto ulteriori notizie da parte della Repubblica
italiana, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.
Sulla ricevibilità del ricorso
20 In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il decreto
legislativo n. 152/2006 non costituisce la mera conferma delle
disposizioni relative al CDR‑Q già previste nella legge n. 308/2004 e
prese in considerazione nella lettera di messa in mora, cosicché
l'oggetto del ricorso sarebbe stato ampliato mediante il riferimento al
decreto legislativo nel parere motivato complementare e nel ricorso.
21 A tale proposito occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza
costante, nell'ambito di un procedimento di infrazione la lettera di
messa in mora e il parere motivato indirizzati allo Stato membro
interessato delimitano l'oggetto della controversia. Pertanto, il
ricorso deve essere fondato sui medesimi motivi e mezzi del parere
motivato (v., in particolare, sentenze 27 novembre 2003, causa C‑185/00,
Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑14189, punto 80 e la giurisprudenza
ivi citata; 18 dicembre 2007, causa C‑194/05, Commissione/Italia, Racc.
pag. I‑11661, punto 20, nonché 11 settembre 2008, causa C‑274/07,
Commissione/Lituania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
22 Tale esigenza non implica, tuttavia, che debba sussistere in ogni
caso una perfetta coincidenza tra le disposizioni nazionali menzionate
nel parere motivato e quelle richiamate nel ricorso. Qualora tra queste
due fasi del procedimento sia intervenuta una modifica legislativa, è
sufficiente che il sistema instaurato dalla normativa contestata nella
fase precontenziosa sia stato nel complesso conservato dalle nuove
misure adottate dallo Stato membro dopo il parere motivato e impugnate
nell'ambito del ricorso (v. sentenze 1° febbraio 2005, causa C‑203/03,
Commissione/Austria, Racc. pag. I‑935, punti 29 e 30, nonché 22
settembre 2005, causa C‑221/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑8307,
punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
23 Nel caso in esame, occorre sottolineare che il contenuto delle
disposizioni controverse presenti nel decreto legislativo n. 152/2006
coincide sostanzialmente con quello dell'art. 1, comma 29, lett. b),
della legge n. 308/2004. Tali disposizioni, infatti, sottraggono il CDR‑Q
rispondente a talune condizioni dall'ambito di applicazione della
normativa nazionale sui rifiuti prima del suo utilizzo effettivo come
combustibile, e ciò a prescindere da qualsivoglia valutazione delle
circostanze del caso concreto.
24 Di conseguenza si deve constatare che la Commissione, allorché ha
denunciato le disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 nel
parere motivato complementare e nell'atto introduttivo, non ha esteso
l'oggetto del presente ricorso. La prima eccezione di irricevibilità
deve quindi respingersi in quanto infondata.
25 In secondo luogo, la Repubblica italiana eccepisce che il ricorso è
irricevibile a causa della durata eccessiva del procedimento
precontenzioso.
26 A tale proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza
della Corte, le norme di cui all'art. 226 CE devono essere applicate
senza che la Commissione sia tenuta ad osservare un termine
prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento
precontenzioso disciplinato dalla suddetta disposizione sia tale da
rendere maggiormente difficoltosa, per lo Stato coinvolto, la
confutazione degli argomenti della Commissione, con conseguente
violazione dei diritti della difesa. Spetta allo Stato membro
interessato addurre la prova di una siffatta incidenza (sentenze 5
novembre 2002, causa C‑475/98, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑9797,
punto 36, e 18 luglio 2007, causa C‑490/04, Commissione/Germania, Racc.
pag. I‑6095, punto 26).
27 Poiché la Repubblica italiana non ha apportato alcun elemento
concreto idoneo a costituire una violazione dei suoi diritti della
difesa in relazione alla durata del procedimento precontenzioso, non
occorre esaminare la questione della durata eccessiva di detta fase.
Anzi, è possibile osservare che lo stesso Stato membro ha domandato alla
Corte una proroga del termine per il deposito della sua controreplica, e
questo benché la Commissione gli avesse concesso, mediante il parere
motivato complementare, un'ulteriore opportunità di replicare alle sue
censure. Si deve pertanto respingere la seconda eccezione d'irricevibilità.
28 In terzo luogo, la Repubblica italiana addebita alla Commissione la
mancata o errata ricostruzione della normativa oggetto del contenzioso,
non avendo tenuto conto della circostanza del completamento delle
disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006 operato attraverso il
decreto ministeriale 2 maggio 2006.
29 Al riguardo, è opportuno osservare che le autorità italiane non hanno
notificato alla Commissione il decreto ministeriale di cui trattasi e
che lo hanno citato per la prima volta nel loro controricorso, sebbene
gli Stati membri siano obbligati, in forza dell'art. 10 CE, a cooperare
lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione ai sensi dell'art.
226 CE (sentenze 13 luglio 2004, causa C‑82/03, Commissione/Italia,
Racc. pag. I‑6635, punto 15, e 26 aprile 2005, causa C‑494/01,
Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331, punti 197 e 198 nonché
giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che la mancata presa in
considerazione di detto decreto ministeriale durante il procedimento
precontenzioso non può comportare l'irricevibilità del ricorso.
30 In quarto luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione
ha omesso la verifica effettiva dell'applicazione in concreto della
contestata normativa, in particolare a seguito del decreto ministeriale
2 maggio 2006, essendo tale applicazione conforme alla direttiva 75/442.
31 Neppure siffatta eccezione di irricevibilità può essere accolta.
32 Invero, una tale applicazione conforme delle disposizioni di diritto
nazionale non può, di per sé, presentare la chiarezza e la precisione
necessarie a garantire la certezza del diritto (v., in tal senso,
sentenze 19 settembre 1996, causa C‑236/95, Commissione/Grecia, Racc.
pag. I‑4459, punto 13; 10 maggio 2001, causa C‑144/99, Commissione/Paesi
Bassi, Racc. pag. I‑3541, punto 21, nonché 10 maggio 2007, causa
C‑508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑3787, punto 79).
33 Inoltre, non è possibile ritenere che semplici prassi amministrative,
per loro natura modificabili a discrezione dell'amministrazione e prive
di adeguata pubblicità, costituiscano adempimento degli obblighi che
incombono agli Stati membri nell'ambito della trasposizione di una
direttiva (v. sentenze 13 marzo 1997, causa C‑197/96,
Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1489, punto 14; 10 marzo 2005, causa
C‑33/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑1865, punto 25, e 10
maggio 2007, Commissione/Austria, cit., punto 80).
34 Da ultimo, occorre rilevare che le sentenze 9 novembre 1999, causa
C‑365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7773), e 26 aprile 2007,
causa C‑135/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3475), invocate dalla
Repubblica italiana a sostegno della propria argomentazione, non sono a
tal fine pertinenti. Esse, infatti, riguardano dei ricorsi per
inadempimento aventi ad oggetto non la conformità con il diritto
comunitario del contenuto delle disposizioni nazionali, bensì
l'applicazione in concreto del diritto comunitario o nazionale vigente.
35 Il ricorso è dunque ricevibile.
Sul ricorso
36 In via preliminare, occorre ricordare che l'abrogazione delle
disposizioni controverse operata dal decreto legislativo 16 gennaio
2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto
legislativo n. 152/2006 (Supplemento ordinario alla GURI n. 24 del 29
gennaio 2008), non produce effetti sul ricorso in esame, poiché è
intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere
motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la
presentazione del ricorso.
Sui rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica
Argomenti delle parti
37 La Commissione sostiene che l'art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a)
della legge n. 308/2004 esclude, a priori e in via generale, i rottami
ferrosi e non ferrosi destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche
dall'ambito di applicazione della normativa nazionale di trasposizione
della direttiva 75/442. Tale esclusione avrebbe l'effetto di rendere
inapplicabile a tali materiali, in particolare alla loro gestione, al
loro deposito e al loro trasporto, la normativa comunitaria sulla tutela
dell'ambiente.
38 Ebbene, secondo la Commissione, tali rottami possono ricadere nella
nozione di «rifiuto» di cui all'art. 1, lett. a), della direttiva
75/442. Detti rottami non costituirebbero materie prime secondarie,
bensì semplici residui di produzione e di consumo che rimarrebbero tali
fino alla conclusione del processo di recupero completo, che termina con
la loro trasformazione in prodotti siderurgici e metallurgici. Peraltro,
i rottami in questione non possono essere considerati «sottoprodotti» ai
sensi della giurisprudenza della Corte.
39 Le Repubblica italiana ritiene che l'esclusione di tali rottami
operata dalla normativa nazionale controversa sia legittima, avuto
riguardo alle condizioni da quest'ultima stabilite. In primo luogo,
detta normativa esige che i rottami in questione posseggano non soltanto
talune caratteristiche oggettive, che consentono di qualificarli come
merci dotate di un valore commerciale, ma anche destinazioni specifiche
e verificabili alle attività dell'industria siderurgica o metallurgica.
In secondo luogo, la normativa in questione inserisce l'attività di
raccolta dei rottami ferrosi e non ferrosi in un contesto produttivo
industriale senza soluzione di continuità.
Giudizio della Corte
40 In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 1,
lett. a), della direttiva 75/442, si deve considerare «rifiuto»
qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate
nell'allegato I della medesima direttiva e di cui il detentore si disfi
o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi.
41 Pertanto, nel contesto di tale direttiva, la portata della nozione di
rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi». Quest'ultimo
deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva
stessa, che, ai sensi del suo terzo ‘considerando', consiste nella
protezione della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi
della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del
deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell'art. 174, n. 2, CE.
Quest'ultimo dispone che la politica della Comunità europea in materia
ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in
particolare, sui principi della precauzione e dell'azione preventiva
(v., segnatamente, sentenze 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli,
Racc. pag. I‑10853, punto 33; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia,
cit., punto 33, e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer,
non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38).
42 La Corte ha altresì dichiarato che, stante la finalità perseguita
dalla direttiva 75/442, la nozione di rifiuto non può essere
interpretata in senso restrittivo (v. sentenze 15 giugno 2000, cause
riunite C‑418/97 e 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag.
I‑4475, punto 40; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 33,
nonché Commune de Mesquer, cit., punto 39).
43 L'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442
deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo
conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne
l'efficacia (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 73, 88
e 97, nonché 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 41).
44 A tale riguardo, alcune circostanze possono costituire indizi della
sussistenza di un'azione, di un'intenzione oppure di un obbligo di
disfarsi di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell'art. 1, lett. a),
della direttiva 75/442. Ciò si verifica, in particolare, se la sostanza
utilizzata è un residuo di produzione o di consumo, vale a dire un
prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v. citate sentenze 18
dicembre 2007, Commissione/Italia, punto 34, e Commune de Mesquer, punto
41).
45 Nel caso di specie, nessuno ha posto in dubbio che, malgrado la loro
conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, i
rottami oggetto della normativa controversa costituiscano residui di
produzione o di consumo non ricercati in quanto tali.
46 Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, né il metodo di
trasformazione né le modalità di utilizzo di una sostanza sono
determinanti al fine di stabilire se si tratti o meno di un rifiuto (v.
citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 64, nonché 18 dicembre
2007, Commissione/Italia, punti 36 e 49). In particolare, la nozione di
rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di
riutilizzazione economica. Il sistema di vigilanza e di gestione
stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli
oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi
hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini
di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v. in tal senso, segnatamente,
sentenze 25 giugno 1997, cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e
C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I‑3561, punti 47 e 52; 18 aprile
2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön
kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I‑3533, in prosieguo: la sentenza «Palin
Granit», punto 29, nonché Commune de Mesquer, cit., punto 40).
47 Di conseguenza, l'argomento della Repubblica italiana che deduce sia
la specifica destinazione sia la qualità di merce e il valore
commerciale dei rottami oggetto della normativa controversa non è
rilevante al fine di escludere a priori detti rottami dalla
qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Alla luce
della precitata giurisprudenza, quindi, in via di principio i rottami in
questione devono essere considerati rifiuti.
48 Però, dalla giurisprudenza della Corte si evince parimenti che un
bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di
estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a
produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non
cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a
condizioni favorevoli in un processo successivo. Tuttavia, occorre
circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai
sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello
per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha
prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni
di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di
produzione (v. sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 18 dicembre
2007, Commissione/Italia, cit., punti 38 e 46, nonché Commune de Mesquer,
punti 42 e 44).
49 Nel caso di specie, è evidente come l'art. 1, commi 25-27 e 29, lett.
a), della legge n. 308/2004 contempli un'ampia varietà di situazioni.
Non si può escludere che il «riutilizzo effettivo» in attività
siderurgiche e metallurgiche previsto da queste disposizioni venga
effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non
addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle
operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione. Ebbene,
siffatte operazioni di stoccaggio sono tali da rappresentare un
intralcio per il detentore. Inoltre, esse costituiscono una potenziale
fonte di quel danno per l'ambiente che la direttiva 75/442 mira
specificamente a limitare. Ne consegue che la sostanza di cui trattasi
dev'essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal
senso, sentenze Palin Granit, cit., punto 38; 11 settembre 2003, causa
C‑114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I‑8725, punto 39, nonché 18
dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punti 40 e 48).
50 Inoltre, dalla formulazione delle suddette disposizioni emerge che
esse prevedono, in via generale, la possibilità di escludere i materiali
in questione dall'ambito di applicazione della legislazione nazionale
sui rifiuti, anche qualora tali materiali vengano trasformati prima del
loro riutilizzo.
51 È quindi inevitabile constatare che le disposizioni controverse
relative ai rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica
comportano che, nel diritto italiano, taluni residui, pur corrispondendo
alla definizione di rifiuto sancita all'art. 1, lett. a), della
direttiva 75/442, siano sottratti al tale qualificazione.
52 La disposizione da ultimo menzionata non soltanto reca la definizione
della nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, ma determina
altresì, in combinato disposto con il suo art. 2, n. 1, l'ambito di
applicazione della medesima direttiva. Invero, l'art. 2, n. 1, indica
quali tipi di rifiuti sono oppure possono essere esclusi dall'ambito di
applicazione della direttiva, e a quali condizioni, laddove, in linea di
principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla suddetta
definizione. Orbene, qualsiasi disposizione di diritto nazionale che
limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla
direttiva 75/442 oltre quanto consentito dal citato art. 2, n. 1,
travisa necessariamente l'ambito di applicazione della direttiva stessa,
pregiudicando in tal modo l'efficacia dell'art. 174 CE (v. sentenza 18
dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi
citata).
53 Sul punto è sufficiente osservare, riguardo al caso in esame, che i
rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica oggetto
delle disposizioni controverse non rientrano tra le eccezioni all'ambito
di applicazione della direttiva 75/447 previste al suo art. 2, n. 1.
54 Pertanto, la prima parte del ricorso della Commissione è fondata.
Sul CDR‑Q
Argomenti delle parti
55 La Commissione osserva che l'art. 1, comma 29, lett. b), della legge
n. 308/2004 nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del
decreto legislativo n. 152/2006 sono tutti egualmente incompatibili con
la direttiva 75/442, in quanto escludono dall'ambito di applicazione
della normativa nazionale sui rifiuti, a priori e in via generale, il
CDR‑Q rispondente a talune condizioni. Siffatta esclusione
pregiudicherebbe l'effettività della medesima direttiva, come pure
quella di altre disposizioni comunitarie poste a tutela dell'ambiente e
la cui portata risulta determinata in base alla nozione di «rifiuto»
sancita dalla direttiva.
56 La Commissione sostiene che il CDR‑Q, come i rifiuti solidi urbani
che lo compongono, è un residuo di consumo e rientra quindi nella
definizione di «rifiuto» di cui all'art. 1, lett. a), della direttiva
75/442 fino al momento della sua effettiva combustione per produrre
energia. L'operazione di trattamento dei rifiuti solidi urbani volta ad
ottenere del CDR‑Q implicherebbe soltanto una mera selezione e
mescolanza di rifiuti e, pertanto, non sarebbe possibile ravvisarvi un
processo di fabbricazione di un prodotto.
57 La Repubblica italiana ribatte che, nel momento in cui tali materiali
giungono a soddisfare le condizioni per l'applicazione della normativa
controversa, essi hanno ormai completato il ciclo di recupero da rifiuti
e pertanto costituiscono vere e proprie merci, in ogni caso aventi un
valore economico. Già lo stesso processo di fabbricazione del CDR‑Q
sfocerebbe nella produzione di un nuovo materiale, che sarebbe
equivalente - non da ultimo grazie alle sue caratteristiche calorifiche
- ad un vero e proprio combustibile fossile primario. Con la conseguenza
che, già prima della sua effettiva combustione, il CDR‑Q dovrebbe essere
considerato quale il risultato di un recupero completo e non ricadrebbe
nella nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, come
interpretata dalla Corte.
58 Oltre a ciò, la Repubblica italiana sostiene che il decreto
ministeriale 2 maggio 2006 istituisce un sistema di controllo e di
tutela dell'ambiente che, unitamente alle altre regole del settore,
garantisce un livello di tutela dell'ambiente quantomeno equivalente a
quello previsto dalla disciplina comunitaria sui rifiuti, la cui
effettività non risulterebbe, quindi, pregiudicata.
Giudizio della Corte
59 Occorre anzitutto osservare che, come si evince dal punto 46 della
presente sentenza, l'argomento della Repubblica italiana inerente alla
qualità di merce ed al valore commerciale del CDR‑Q è irrilevante
rispetto al fine di escludere a priori tale sostanza dalla
qualificazione come rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre,
non è stato contestato che il CDR‑Q derivi esclusivamente da residui di
consumo e che, per tale ragione, il suo processo di produzione debba
essere assoggettato, in quanto tale, alla normativa nazionale in materia
di gestione di rifiuti.
60 In ordine all'argomento secondo cui il CDR‑Q costituirebbe il
risultato di un recupero completo di rifiuti, è opportuno ricordare che
una siffatta operazione di recupero non è sufficiente, di per sé, a
determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto.
Invero, il fatto che una sostanza sia il risultato di un'operazione di
recupero completo ai sensi dell'allegato II B della direttiva 75/442
rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in
considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito
(v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e 95, nonché
Palin Granit, punto 46).
61 Del resto, un'operazione di recupero può dirsi completa soltanto se
ha l'effetto di conferire al materiale in questione le medesime
proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo
utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto
all'ambiente (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punti 94 e
96, nonché Palin Granit, punto 46).
62 Ebbene, il CDR‑Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI
9903‑1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei
combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso
può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Peraltro,
le misure di controllo e di precauzione relative al trasporto e alla
ricezione del CDR‑Q negli impianti di combustione, nonché le modalità
della sua combustione previste dal decreto ministeriale 2 maggio 2006,
dimostrano che il CDR‑Q e la sua combustione presentano rischi e
pericoli specifici per la salute umana e l'ambiente, che costituiscono
una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili
fossili.
63 Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alla distinzione tra
lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, invocata dalla Repubblica
italiana, non è idonea a sostenere l'argomentazione di detto Stato
membro. Secondo tale giurisprudenza, benché la caratteristica essenziale
di un'operazione di recupero consista nel fatto che il suo obiettivo
principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile (v.
sentenze 27 febbraio 2002, causa C‑6/00, ASA, Racc. pag. I‑1961, punto
69, e 13 febbraio 2003, causa C‑228/00, Commissione/Germania, Racc. pag.
I‑1439, punti 41, 45‑46, nonché ordinanza 27 febbraio 2003, cause
riunite da C‑307/00 a C‑311/00, Oliehandel Koeweit e a., Racc. pag.
I‑1821, punto 97), il recupero avviene soltanto nel momento stesso in
cui la sostanza de qua svolge effettivamente una funzione utile,
segnatamente all'atto della produzione di energia attraverso la
combustione o il deposito in una miniera in disuso.
64 Ne consegue che il CDR‑Q non costituisce il risultato di un recupero
completo, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di tale
operazione, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente.
65 Occorre aggiungere che la presunta «certezza dell'utilizzo effettivo»
del CDR‑Q, addotta dalle autorità italiane, non rappresenta un criterio
rilevante al fine di escludere definitivamente l'azione, l'intenzione, o
l'obbligo del detentore del CDR‑Q di disfarsene. Il riutilizzo certo di
un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie
per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto, come risulta
dal punto 48 della presente sentenza e dalla giurisprudenza ivi citata.
Orbene, la Corte ha sottolineato che detta giurisprudenza non è valida
per quanto riguarda i residui di consumo, i quali non possono essere
considerati «sottoprodotti» (sentenza Niselli, cit., punto 48).
66 Risulta dalle suesposte considerazioni che le disposizioni
controverse relative al CDR‑Q comportano altresì la sottrazione alla
normativa nazionale sui rifiuti di residui che corrispondono alla
definizione di rifiuto di cui all'art. 1, lett. a), della direttiva
75/442, ma non ricadono fra le eccezioni previste al suo art. 2, n. 1.
67 Infine, non può essere accolto l'argomento della Repubblica italiana
esposto al punto 58 della presente sentenza. La Commissione ha
dimostrato in modo circostanziato, senza essere contraddetta sul punto,
che il decreto ministeriale 2 maggio 2006 non garantisce un livello di
tutela della salute umana e dell'ambiente equivalente a quello derivante
dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Ad esempio, relativamente allo
stoccaggio del CDR‑Q negli impianti di produzione di energia elettrica,
tale decreto adotta una nozione più limitata di tutela dell'ambiente
perché impone misure precauzionali volte ad evitare soltanto la
contaminazione dell'aria, dell'acqua e del suolo, quando invece l'art.
4, n. 1, della direttiva 75/442 mira a salvaguardare anche la fauna, la
flora, il paesaggio e i siti di particolare interesse e vieta di causare
inconvenienti da rumori od odori. Pertanto le disposizioni invocate
dalla Repubblica italiana non risultano idonee a garantire la completa
conformità della normativa nazionale agli scopi della direttiva 75/442.
68 Il ricorso della Commissione è quindi fondato sul punto.
69 Di conseguenza, si deve constatare che la Repubblica italiana, avendo
adottato e mantenendo in vigore disposizioni quali l'art. 1, commi 25-27
e 29, lett. a), della legge n. 308/2004 e l'art. 1, comma 29, lett. b),
della legge n. 308/2004, nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229,
comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, per mezzo delle quali,
rispettivamente, certi rottami destinati all'impiego in attività
siderurgiche e metallurgiche e il CDR‑Q sono sottratti a priori
all'ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di
trasposizione della direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi
derivanti dall'art. 1, lett. a), della medesima direttiva.
Sulle spese
70 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché
la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, dev'essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore
disposizioni quali:
l'art. 1, commi 25-27 e 29, lett. a), della legge 15 dicembre 2004, n.
308, recante delega al governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di
diretta applicazione, e
l'art. 1, comma 29, lett. b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308,
nonché gli artt. 183, comma 1, lett. s), e 229, comma 2, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale,
per mezzo delle quali, rispettivamente, certi rottami destinati
all'impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile
da rifiuti di qualità elevata (CDR‑Q) sono sottratti a priori all'ambito
di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione
della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai
rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991,
91/156/CEE, è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 1, lett. a),
della medesima direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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