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Segnalata dall'avv. Luca De Pauli
TAR FRIULI-VENEZIA GIULIA, Sez. I, 30 giugno 2008, sentenza n. 368
ACQUA - Acque costiere - Art. 74 d.lgs. n. 152/2006 - Acque marine costiere - All. 1 alla parte III del d.lgs. n. 152/2008- Specialità - Prevalenza - Fattispecie: acque costiere dell’Adriatico. La definizione di “acqua marina costiera” di cui all’All.1 alla parte III del d.lgs. n. 152/2006 (riferito ai corpi idrici significativi), per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74 (fattispecie relative alle acque costiere dell’Adriatico, comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica di 50 metri, come tali classificabili sia come aree sensibili ex art. 91 d.lgs. n. 152/2006, sia come acque significative ai sensi del sopra citato All. 1 alla parte terza) Pres. Borea, Est. De Piero - Consorzio Depurazione Laguna s.p.a. (avv.ti De Pauli e Ponti) c. Provincia di Udine (avv. Perna) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 30 giugno 2008, n. 386
ACQUA - Scarico idrico - Accertato superamento dei valori limite - Provincia -
Imposizione di limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato
dall’art. 101 del d.lgs. n. 152/2006 - Piano di Tutela delle Acque - Esistenza -
Necessità - Esclusione - Apprezzamento discrezionale dell’amministrazione.
L’accertato superamento dei valori limite (nella specie di cadmio e stagno),
rilevato nel punto di emissione, è sufficiente a consentire alla Provincia, in
applicazione dell’art. 108, comma 2, del D Lg. 152/06 di imporre limiti più
restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101. E invero, a
consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello
sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o
meno di un Piano di Tutela delle Acque. Il “limite più restrittivo” imposto è
rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla
situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può
essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza. Pres. Borea, Est. De
Piero - Consorzio Depurazione Laguna s.p.a. (avv.ti De Pauli e Ponti) c.
Provincia di Udine (avv. Perna) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 30
giugno 2008, n. 386
ACQUA - Scarico idrico - Domanda di autorizzazione allo scarico - Spese
occorrenti per rilievi,accertamenti e controlli - Imposizione a carico del
richiedente - Art. 124 d.lgs. n. 152/2006 - Stato ecologico del ricettore -
Spese relative a controlli periodici - Onere finanziario - Autorità competente -
Possibilità di ripartizione tra amministrazione e richiedente. L’art. 124
del d.lgs. n. 152/2006 pone espressamente a carico del richiedente “le spese
occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e
sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo
scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle
relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore. Infatti,
l’art. 128 riserva all’ “autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche
i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri
un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”. Attività,
questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la
contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato
all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite
convenzioni). Pres. Borea, Est. De Piero - Consorzio Depurazione Laguna s.p.a.
(avv.ti De Pauli e Ponti) c. Provincia di Udine (avv. Perna) - T.A.R. FRIULI
VENEZIA GIULIA, Sez. I - 30 giugno 2008, n. 386
RIFIUTI - Fanghi - Registrazione quotidiana della quantità dei fanghi prodotti -
Residuo di lavorazione non più soggetto ad alcun trattamento - Imposizione della
registrazione in una fase intermedia del ciclo di trattamento -
Irragionevolezza. La registrazione quotidiana della quantità di fanghi
prodotta, a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al
rifiuto vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più
soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato. Sicchè
non è ragionevole imporre l’obbligo di registrazione in una fase intermedia del
ciclo di trattamento dei fanghi. Pres. Borea, Est. De Piero - Consorzio
Depurazione Laguna s.p.a. (avv.ti De Pauli e Ponti) c. Provincia di Udine (avv.
Perna) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 30 giugno 2008, n. 386
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
N. 00386/2008 REG.SEN.
N. 00459/2006 REG.RIC.
N. 00417/2007 REG.RIC.
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 459 del 2006, proposto da: Consorzio
Depurazione Laguna S.p.a., rappresentato e difeso dagli avv. Luca De Pauli e
Luca Ponti, con domicilio eletto presso il primo, in Udine, via Vittorio Veneto
39;
contro
Provincia di Udine, rappresentata e difesa dall'avv. Marcello Perna, con
domicilio eletto presso lo stesso, in Trieste, via Valdirivo 34;
sul ricorso numero di registro generale 417 del 2007, proposto da: Consorzio
Depurazione Laguna S.p.a., ut supra rappresentato e difeso;
contro
Provincia di Udine; ut supra rappresentata e difesa;
per l'annullamento, quanto al ricorso n. 459 del 2006: della determina n. 5040
dd. 13 luglio 2006 della Dirigente dell'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche,
della Provincia di Udine;
quanto ai motivi aggiunti depositati in data 28.4.2007 : della determina n. 1311
dd. 27 febbraio 2007 del Dirigente dell'Area Ambiente, Servizio Risorse Idriche,
della Provincia di Udine;.
quanto al ricorso n. 417 del 2007: -della determina n. 3713 dd. 14 giugno 2007,
in relazione alle sole clausole, recanti limitazioni, lesive dei diritti e degli
interessi della ricorrente..
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Udine;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del giorno 16/04/2008 il cons. Rita De Piero e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. - Col ric. n. 459/06 l’istante Consorzio Depurazione Laguna s.p.a. (di
seguito: Consorzio) espone di essere una Società a partecipazione pubblica,
operante nel settore delle acque, titolare di un impianto di depurazione in
censuario di San Giorgio di Nogaro, realizzato nei primi anni ’90, con una
capacità di trattamento di 83.000 mc/d, realizzato allo scopo di risolvere i
fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti
industriali presenti in zona.
L’impianto di depurazione è costituito da più sezioni collegate che effettuano -
sui reflui addotti dalla rete fognaria (e, in precedenza, anche sui rifiuti
conferiti) - alcuni pretrattamenti prima della fase finale di affinazione
biologica. Il processo depurativo conta di due linee principali: quella relativa
al trattamento delle acque e quella relativa al trattamento dei fanghi che si
generano nelle varie sezioni dell’impianto medesimo. Completato il trattamento
chimico-fisico e biologico dei reflui addotti dalla condotta fognaria
principale, gli stessi vengono scaricati in mare attraverso il c.d. “tubone”.
Premessa una lunga e dettagliata ricostruzione delle vicende (e disavventure)
che hanno caratterizzato l’impianto (e che possono essere così riassunte: dal
1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche
urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma; dal
2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di
ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui
industriali a bassa biodegradabilità; dopo il 2002, a seguito della cessazione
della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel
febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad
eccezione dei rifluiti liquidi), il ricorrente espone le vicende relative alle
autorizzazioni di cui l’impianto è dotato.
1.1. - Osserva, in proposito, il Consorzio che l’impianto era stato realizzato
in un momento in cui esso, a tenore dell’art. 2 della L.r. 22/96, non
necessitava dell’autorizzazione prevista dalla legge sui rifiuti, dato che gli
impianti di depurazione di cui alla L. 319/76 - che non trattavano reflui
tossici e nocivi - ne erano espressamente esonerati.
Nel novembre 1997, il Consorzio, avendo in animo di trattare anche rifiuti in
senso stretto, presentava istanza di autorizzazione alla competente Provincia di
Udine, per realizzare gli impianti necessari alla depurazione di reflui idrici
costituiti da percolati di discarica e liquami fognari (reflui speciali non
tossico-nocivi ex D.P.R. n. 915/92, e rifiuti non pericolosi ex D.Lg. n. 22/97),
ed al trattamento, mediante essiccazione, dei fanghi di depurazione di acque
provenienti da terzi.
La Provincia ritenne che solo per l’essiccazione dei fanghi fosse necessario
ottenere un’autorizzazione a tenore della normativa sui rifiuti.
Nelle more della procedura, entrava in vigore il D.P.G.R. n. 01/98.
L’autorizzazione richiesta veniva rilasciata, con atto n. 181 del 21.5.98.
Peraltro, il 20.5.98, con sentenza n. 173, la Corte Costituzionale aveva
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della L.r. 22/96, nella
parte in cui escludeva gli impianti di smaltimento e depurazione per conto terzi
di rifiuti liquidi, dall’obbligo di autorizzazione.
La Regione, con ordinanza contingibile ed urgente ex art. 13 del D.Lg. 22/97,
consentiva ai gestori di continuare l’attività nelle more della regolarizzazione
dell’autorizzazione (che doveva venire chiesta entro 60 giorni dal 3.6.98, data
di pubblicazione dell’ordinanza sul BUR, termine poi prorogato).
Il Consorzio presentava domanda di autorizzazione il 31.7.98.
In data 18.9.98, il Comune di San Giorgio di Nogaro rilasciava concessione
edilizia per l’impianto FENTON.
Il 4.1.99, la Regione precisava che dovevano ritenersi soggetti al D.Lg. 22/97
solo gli impianti di depurazione che ricevevano rifiuti liquidi (che pervenivano
per via diversa da quella fognaria) per conto terzi; per “gli impianti di
depurazione già realizzati ma non ancora in esercizio il 3.6.98”, era
sufficiente la procedura di cui all’art. 22 del D.Lg. medesimo; mentre - per gli
impianti non ancora completati o in corso di autorizzazione alla suddetta data -
si sarebbe dovuta espletare l’intera procedura degli artt. 26 e 28.
Ritenendo di rientrare nel primo caso, il Consorzio agiva di conseguenza.
In data 12.4.99, la Provincia rilasciava l’autorizzazione richiesta.
In prosieguo, entrava in vigore il D.Lg. 152/99 di tutela delle acque, le
modalità di applicabilità del quale, al caso di specie - ad avviso del
ricorrente - non era affatto chiara.
Così, in data 20.7.01, la Provincia - sia per quest’ultima ragione, che per la
pendenza nei confronti del Consorzio di un procedimento penale, nel corso del
quale era intervenuto anche il sequestro delle linee FENTON ed essiccamento, le
quali, da quel momento, non sono più state in uso - comunicava l’apertura di un
procedimento per la rideterminazione delle scadenze delle autorizzazioni in
essere, in attesa di rilasciare un nuovo titolo, in regola con tutti i necessari
adempimenti normativi.
Seguiva, il 12.2.02, l’atto della Provincia n. 118 che fissava il termine di
scadenza dell’autorizzazione al 31.12.02, termine poi prorogato al 30.6.03.
Il 16.1.02, il ricorrente otteneva l’autorizzazione definitiva per lo scarico in
mare della durata di 4 anni.
Il 27.6.02, faceva istanza per ottenere l’autorizzazione per la gestione ed
esercizio di un impianto di trattamento per rifiuti liquidi.
Vari problemi sorgevano, successivamente, in ordine alla necessità di sottoporre
il progetto anche alla procedura di VIA, finchè perveniva al provvedimento
provinciale del definitiva reiezione della domanda.
Contro quest’atto è stato proposto il ricorso 623/04 (dichiarato improcedibile
con sentenza n. 297/07).
In data 25.9.06, il progetto veniva sottoposto alla verifica tecnica del
Ministero dell’Ambiente.
1.2. - Quanto all’autorizzazione
allo scarico in mare, in data 10.1.05 il Consorzio provvedeva a chiederne il
rinnovo alla Provincia (nel frattempo divenuta competente), la quale decideva
solo in data 13.7.06, con l’atto n. 5040, oggetto del ricorso n. 459/06, con il
quale si contestano alcune clausole, in particolare quelle che pongono limiti
più restrittivi rispetto a quelli fissati in via generale dalla legge.
Detta autorizzazione, valevole fino al 28.2.07, veniva dalla Provincia dapprima
prorogata al 15.6.07, e, con atto n. 3713 del 14.6.07, sostituita da un nuovo
atto autorizzatorio, avente durata di 4 anni, emesso sulla scorta
dell’acquisizione di una rinnovata indagine ad opera del prof. Collivignarelli
(del 18.5.07) ed al parere (favorevole) dell’ARPA del 13.6.07.
Il Consorzio precisa che alcuni problemi legati alla precedente autorizzazione
sono stati superati, ma che anche il nuovo titolo contiene limiti e
determinazioni - a suo dire - illegittime, che vengono, per l’appunto,
contestate col secondo ricorso (n. 417/07).
1.3. - In ordine ai limiti di
quantità di acque reflue depurate (premesse, lett. a), lamenta:
1.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione degli artt. 101, 124 e sg.
e all. 5, parte III, del D.Lg. 152/06; errore di fatto.
L’autorizzazione stabilisce che “l’impianto potrà trattare una portata influente
massima di 23.400 mc/g”.
La prescrizione è illogica e non in linea coi dettami del D.Lg. 152/06.
L’autorizzazione, infatti, avrebbe dovuto indicare solo la portata massima
dell’impianto, e cioè 83.000 mc/g.
Il gestore, inoltre, non può effettuare un controllo preventivo pieno e
incondizionato di quanto conferito all’impianto, dovendo comunque accogliere i
reflui che i soggetti hanno diritto di inviarvi.
1.2. - Illogicità, contraddittorietà tra premesse e motivazione.
Nel medesimo atto, si pongono limiti alla quantità dei reflui da trattare, ma,
contemporaneamente, si impone al Consorzio l’obbligo di ricevere le acque reflue
di un certo numero di Comuni nonché le acque reflue industriali “convogliabili
attraverso la rete fognaria dell’impianto di depurazione che provengono da
stabilimenti insediati nell’Aussa Corno”, senza limiti di sorta.
Sulla quantità di tali reflui il Consorzio non può esercitare alcun controllo.
2. - Quanto all’indicazione dei soggetti ammessi alla rete fognaria (n. 3 del
dispositivo):
2.1. - illogicità, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della L.
241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento amministrativo. Violazione del
principio del minimo mezzo. Incompetenza.
L’autorizzazione specifica - con indicazione tassativa - chi sono i soggetti
legittimati a conferire reflui all’impianto.
Ciò è contrario alle prerogative del Consorzio, che, in quanto gestore di una
rete fognaria, gode di una potestà autorizzativa propria, che non può venire
vulnerata dalla Provincia, cui devono interessare solo i limiti in uscita
dall’impianto.
2.2. - Illogicità e contraddittorietà
Detta clausola è anche contrastante con quanto disposto al n. 10, ove viene
precisato che di ogni nuovo allacciamento si dovrà dar comunicazione alla
Provincia medesima.
O il numero degli “utenti” dei servizi resi dal Consorzio è tassativamente
indicato dalla Provincia, o non lo è.
3. - Quanto ai limiti di emissione:
3.1. - violazione degli artt. 74 e 91 e all. I, della parte III, del D.Lg. n.
152/06. Travisamento, errore si fatto e carenza di istruttoria..
Nel precedente atto autorizzatorio, la Provincia aveva ritenuto che gli scarichi
del Consorzio si collocassero in area sensibile, ai sensi dell’art. 91 del D.Lg.
152/06. In questo nuovo provvedimento, pur in termini più prudenti, l’Ente
continua ad essere dell’opinione che lo scarico avvenga in area sensibile,
applicando il criterio della batimetria. Secondo la Provincia, infatti, poiché
la profondità dello stesso è inferiore a 50 m., l’area è senza meno sensibile.
Così non è. Infatti, anche se l’art. 91 definisce “aree sensibili” tutte le
acque costiere dell’Adriatico settentrionale, e l’all. I della parte III,
definisce “acque marine costiere” quelle comprese entro 3000 m dalla costa e
comunque entro la batimetria di 50 m.; tuttavia la definizione di area sensibile
è data ai soli fini della determinazione degli obiettivi di qualità ambientale,
ma non già per l’individuazione delle aree sensibili considerate
“significative”.
“Acque costiere” poi - a tenore dell’art. 74 - sono “ le acque superficiali
situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo
punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di
base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e
che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di
transizione”.
Infine, secondo la normativa comunitaria (dir. 91/91, all. II) i criteri per la
classificazione delle aree sensibili si riferiscono, in particolare, alle acque
dolci e non salate, con la conseguenza che la più ampia definizione data dalla
normativa italiana, non può trovare un’applicazione restrittiva e tassativa.
Ne consegue che le acque costiere dell’Adriatico settentrionale, da ritenersi
aree sensibili, sono quelle situate sino ad un miglio marino dalla costa e non
quelle situate entro la batimetria di 50 m., che possono essere, al più,
qualificate “acque significative”.
3.2. - Travisamento, difetto di presupposto.
Secondo la Provincia, il ricettore, nei pressi dei punti di scarico, presenta
concentrazioni anomale di metalli pesanti (in specie, stagno e cadmio), di
inquinanti organici e di idrocarburi.
Da tale circostanza di fatto, e dal disposto dell’art. 108, detto Ente ritiene
derivi il potere di imporre limiti di emissione più restrittivi di quelli
fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in relazione alle sostanze
elencate nella tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Il Consorzio osserva che la presenza di “concentrazioni anomale” di metalli
pesanti - registrati peraltro nei sedimenti e non nell’acqua - sono desunti
dalla relazione del prof. Collivignarelli, il quale, peraltro, non ha affatto
ritenuto esistente una situazione di pericolo (come è stato evidenziato anche
nel corso del giudizio penale).
Per gli idrocarburi, vale lo stesso.
La Provincia ha enfatizzato una situazione ritenuta non pericolosa dagli esperti
interpellati.
3.3. - Violazione dell’art. 108 e dell’all. 5 alla parte III del D.Lg. 152/06;
degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul procedimento della
Provincia di Udine. Difetto di presupposti e incompetenza.
La Provincia, ripetendo le prescrizioni già contenute nella precedente
autorizzazione, ha creato un suo proprio sistema tabellare di riferimento,
diverso da quello della legge, motivandolo con la considerazione che la mancanza
del Piano di Tutela delle Acque consentirebbe di imporre limiti di emissione più
restrittivi di quelli fissati dall’art. 101, commi 1 e 2, del D.Lg. 152/06, in
relazione alle sostanze elencate nella Tab. 5 dell’all. 5 alla parte III.
Così non è, in quanto l’applicazione dell’art. 108 non prescinde, ma presuppone
l’esistenza del Piano, che, nella specie, non c’è ancora.
3.4.- Perplessità, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo.
Incompetenza. Violazione degli artt. 101 e 108 e dell’all. 5 alla parte III del
D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90 e 12 del Regolamento sul
procedimento della Provincia di Udine. Carenza di potere.
La scelta di imporre limiti più restrittivi doveva comunque trovare una
giustificazione di carattere tecnico ed una congrua motivazione.
La Provincia richiama infatti gli esiti dell’indagine penale e le indicazione
dell’ARPA e della Regione, ma, pur riconoscendo - in sostanza - che non vi sono
concreti pericoli, applica il principio di precauzione, riducendo del 60% i
limiti di emissione delle sostanze pericolose, senza tener conto delle esigenze
del Consorzio e dei soggetti che recapitano nella sua rete, e ignorando del
tutto quanto precisato dall’ARPA che aveva escluso l’esistenza di qualsivoglia
pericolo e riteneva possibile autorizzare lo scarico senza limitazioni..
La riduzione delle emissioni ad oltre la metà di quanto consentito dalla legge
senza che sia stato evidenziato un concreto pericolo o pregiudizio per
l’ambiente doveva essere “ampiamente giustificata e ben altrimenti spiegata”.
La Provincia, inoltre, neppure possiede tale potere limitativo, dovendo
attendere le determinazioni della Regione - ex art. 106, comma 3 - la quale non
ha stabilito ancora neppure gli obiettivi di qualità.
Il limite imposto non si giustifica nemmeno con riferimento alla tab. 4, che si
riferisce agli scarichi di acque reflue urbane e industriali che recapitano sul
suolo (nella specie si tratta, invece, di scarico a mare, in profondità e a 6 km
dalla linea di costa).
4. - Quanto agli oneri imposti al Consorzio:
4.1. violazione degli artt. 73, 124 e 128 del D.Lg. 152/06 e degli artt. 41 e 97
della Costituzione. Illogicità.
Sub n. 8, lett. R, l’autorizzazione impone al Consorzio di effettuare una
valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità
biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati
alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.
La prescrizione è priva di fondamento, e mira solo a riversare sul Consorzio -
con costi a carico dello stesso - oneri che fanno capo ai soggetti pubblici.
A tenore dell’art. 324, infatti, gravano sul richiedente l’autorizzazione solo
gli oneri per “rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi” necessari per
l’istruttoria della domanda, ma non certo quelli relativi al monitoraggio e
controllo ambientale, che incombono sul soggetto pubblico, ed esattamente sulla
Regione, a tenore dell’art. 120 del D.Lg. 152706, che vi provvede anche tramite
accordi di programma con altri soggetti, quali l’ARPA.
4.2. - Violazione dell’art. 124 del D.Lg. 152/06; degli artt. 3 della L. 241/90
e 12 del Regolamento sul procedimento della Provincia di Udine.
Contraddittorietà, illogicità, violazione del principio del minimo mezzo.
Difetto di motivazione.
Anche la prescrizione di cui al punto 8, lett. M - che impone di eseguire, ogni
15 giorni, analisi di controllo delle acque reflue in uscita, relativamente a
tutti i parametri di cui alla tab. 3 dell’all. 5 alla parte III del D.lg. 151/06
- è illegittima, se non altro perché l’ARPA aveva previsto che dette analisi si
svolgessero con cadenza mensile.
L’obbligo di effettuare il doppio delle analisi indicate come ottimali
dall’organo tecnico competente non ha adeguata giustificazione di ordine
tecnico, né motivazione; viola inoltre il principio di proporzionalità e di
necessario contemperamento delle diverse esigenze.
4.3. - Violazione dell’art. 127 del D.Lg. 152/06. Travisamento, errore di fatto,
illogicità.
Al Consorzio viene anche imposto di effettuare la registrazione quotidiana delle
quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, che dovranno essere gestiti e
smaltiti conformemente a quanto prevede la normativa sui rifiuti.
Nell’impianto di cui trattasi, la nastropressa non conclude il ciclo di
trattamento dei fanghi, che transitano attraverso le vasche di
post-disidratazione, prima di essere smaltiti. Non è dato comprendere perché si
debbano registrare le quantità giornaliere dei fanghi in una fase intermedia del
processo depurativo, dato che solo il prodotto finale soggiace alla disciplina
sui rifiuti.
Inoltre, tali operazioni non vengono svolte giornalmente.
2. - La Provincia di Udine si è costituita in entrambi i ricorsi, puntualmente
controdeducendo nel merito degli stessi, e concludendo per la loro reiezione.
In limine, eccepisce l’improcedibilità del ric. n. 459/06, poiché
l’autorizzazione impugnata ha - medio tempore - perduto efficacia, ed è stata in
toto sostituita - con modifica e/o soppressione di alcune delle clausole
contestate con tale ricorso - da quella opposta con il successivo ric. n.
417/07, sul quale, quindi, l’interesse del ricorrente si è concentrato.
2.1. - Entrambe le parti hanno presentato memorie.
2.2. - Dopo ampia discussione, in data odierna, le cause sono state trattenute
per la decisione
DIRITTO
1. - Dapprima il Collegio dispone la riunione dei due ricorsi, connessi
soggettivamente ed oggettivamente.
2. - Il ric. n. 459/06, come eccepito dalla Provincia di Udine, è improcedibile,
per sopravvenuta carenza di interesse, dato che l’autorizzazione - di cui ivi si
controverte - ha cessato di produrre i propri effetti già in data 15.6.07.
Il ricorrente Consorzio, in memoria, dichiara di avere ancora interesse alla
decisione perché - essendo alcune (non meglio precisate) delle prescrizioni
contestate soggette a sanzione penale - è suo preciso interesse che le stesse
siano dichiarate illegittime, a scanso di ulteriori problemi che potrebbero
insorgere in tale diversa sede.
La prospettazione - espressa in termini meramente ipotetici - non può essere
condivisa. E, infatti, il timore di possibili - future, ma, allo stato,
inesistenti - ripercussioni di carattere penale, non fa permanere l’interesse
alla decisione relativamente ad un’autorizzazione che ha oramai esaurito ogni
suo effetto, e le cui prescrizioni in parte non sono state riprodotte, in parte
si sono trasferite nella nuova autorizzazione, e sono state puntualmente
contestate col ric. n. 417/07.
In definitiva, le clausole confermate sono oggetto di ricorso, e quelle non
riprodotte nel testo della nuova autorizzazione non esistono più, nè risulta
siano state trasgredite, cosicché, allo stato, la paventata azione penale appare
del tutto ipotetica, e, comunque, non rilevante (ai fini della permanenza
dell’interesse alla decisione), dato che ben potrà l’istante difendersi in tale
(eventuale) giudizio penale deducendo l’illegittimità delle prescrizioni, che il
giudice penale ha comunque facoltà di disapplicare, ove le ritenga contra legem.
Il ric. n. 459/06 va quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse.
3. - Il ric. n. 417/07 è invece fondato in parte, e va accolto, nei termini di
cui infra.
Per completezza, si ritiene tuttavia, sia pure brevemente, di esaminare (invece
che assorbire) anche i motivi non accolti .
3. 1. - Con il motivo sub 1.1, il ricorrente lamenta che l’autorizzazione non
consenta l’utilizzo dell’impianto alla sua massima potenzialità di 83.000 mc/g.
Ad avviso del Collegio la prescrizione è corretta dal momento che - dalla
documentazione in atti - emerge con chiarezza che la capacità dell’impianto di
abbattere i valori inquinanti del cadmio e dello stagno, in relazione alle
complessive capacità di trattamento - è quasi al limite (97,5% per il cadmio e
oltre il 100% per lo stagno, secondo le stime prudenziali effettuate dai
tecnici).
Quindi, la riduzione disposta appare una ragionevole precauzione per contenere
il già pesante stato di inquinamento delle acque.
3. 2. - Col motivo sub 1.2, il Consorzio lamenta la contraddittorietà del limite
stante l’impossibilità di controllare la quantità di acque reflue in entrata,
poiché quelle reflue urbane provengono da una vasta area e i reflui industriali
dalla rete fognaria collegata agli stabilimenti industriali dell’Aussa Corno.
La prescrizione non appare illegittima: una volta posto un limite in ingresso -
a causa dell’estrema difficoltà dell’impianto di trattare efficacemente
determinate sostanze inquinanti - sarà compito dell’ oculata gestione del
Consorzio far sì che detto limite non venga superato.
Sul punto, la Provincia rileva peraltro che eventuali superamenti, dovuti a
condizioni eccezionali, potranno verificarsi senza che il Consorzio - se la
situazione è veramente straordinaria e imprevedibile - incorra in
responsabilità.
3. 3. - Anche i motivi sub 2 sono infondati, in fatto prima ancora che in
diritto: come rileva la Provincia, l’indicazione dei soggetti legittimati a
scaricare le acque reflue presso il depuratore sono stati indicati dal Consorzio
medesimo, ed esso è bensì libero di consentire ulteriori allacciamenti (come è
espressamente previsto anche dal titolo), previa comunicazione alla Provincia,
affinchè quest’ultima ne possa previamente valutare la fattibilità e le
conseguenze (in altre parole: perché la Provincia verifichi che gli ulteriori
reflui conferiti possono essere efficacemente trattati e sversati senza
provocare ulteriore inquinamento).
3. 4 - . Neppure i motivi sub 3 possono trovare accoglimento.
Il Consorzio, con tale censura, contesta la sufficienza del criterio della
batimetria (punto di scarico inferiore a 50 metri) per qualificare un’area come
“sensibile” ex art. 91, comma 1, lett. i, del D.Lg. 152/06, ritenendo altresì
che i concetti di “acque significative” e “aree sensibili” non siano equivalenti
e valgano solo ai fini del conseguimento degli obiettivi di qualità.
L’art. 73 del D.Lg. 152/06, al comma 1, indica le finalità delle disposizioni
della Sezione “Tutela delle acque dall’inquinamento”, e, al comma 2, elenca gli
strumenti per raggiungere gli obiettivi di protezione di cui al comma
precedente, indicando, alla lett. a) “l'individuazione di obiettivi di qualità
ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici”, e alla lett. e)
“l'individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento
nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili”. Quanto a queste ultime, l’art.
91 (il primo del Titolo III - Tutela dei corpi idrici e disciplina degli
scarichi - del Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione
dall'inquinamento e di risanamento), testualmente stabilisce che “sono comunque
aree sensibili… le acque costiere dell'Adriatico settentrionale”.
L’All. 1 alla parte III., inoltre, che si occupa del “monitoraggio e
classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale”,
stabilisce che “sono corpi idrici significativi quelli che le autorità
competenti individuano sulla base delle indicazioni contenute nel presente
allegato e che conseguentemente vanno monitorati e classificati al fine del
raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale”, e, per quanto concerne le
“acque marine costiere”, prevede che “sono significative le acque marine
comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la
batimetrica dei 50 metri”.
Questa definizione di “acqua marina costiera”, per la sua specialità prevale
sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74, a tenore del
quale sono “acque costiere: le acque superficiali situate all'interno rispetto a
una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato
esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per
definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente
fino al limite esterno delle acque di transizione”.
A quanto esposto consegue che le acque dell’Adriatico, comprese entro “la
distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50
metri”, sono sia aree sensibili che acque significative.
E, dato che lo scarico in questione pacificamente recapita ad una batimetria
inferiore a 50 metri, ancorchè a distanza superiore a 3000 m. dalla costa, esso
per certo recapita in area sensibile.
E‘ parimenti incontroverso (e ne fanno fede le relazioni in atti, in specie
quelle acquisite nel corso del giudizio penale) che i valori (quantomeno) di
cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, sono superiori ai limiti
consentiti; il che ha creato una situazione, ancorchè forse - come osserva il
ricorrente - non “drammatica o pericolosa”, ma certamente di grave rischio.
Tale accertato stato di fatto è sufficiente a consentire alla Provincia, in
applicazione dell’art. 108, comma 2, del D Lg. 152/06 (“tenendo conto della
tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata
nell'ambiente in cui è effettuato lo scarico, l'autorità competente in sede di
rilascio dell'autorizzazione può fissare, nei casi in cui risulti accertato che
i valori limite definiti ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2, impediscano o
pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di
tutela di cui all'articolo 121, anche per la compresenza di altri scarichi di
sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli
fissati ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2”.) di imporre limiti più
restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.
E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento
dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere
dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.
Va da sé che il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente
apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale
dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non
per macroscopica irragionevolezza, nella specie non sussistente.
3.5. - Sono invece fondate, e vanno conseguentemente accolte, le censure sub n.
4.
3.5.1. - L’art. 124 espressamente pone a carico del richiedente “le spese
occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e
sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo
scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle
relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.
Infatti, l’art. 128 espressamente riserva all’ “autorità competente”
l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla
base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale
sistema di controlli”. Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la
finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e
totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla
scorta di apposite convenzioni).
3.5.2. - Illegittima - per carenza di idonea motivazione - appare anche
l’imposizione di eseguire ogni 15 giorni l’analisi di controllo delle acque
reflue in uscita, poiché l’organo tecnicamente competente ad effettuare tale
valutazione - e cioè l’ARPA - aveva ritenuto sufficiente l’effettuazione di un
controllo mensile.
Se la Provincia riteneva tale periodicità non adeguata alla situazione di fatto,
aveva l’onere di esternarlo con adeguata motivazione.
Va tuttavia notato che la stessa Provincia afferma che “è probabile che, col
tempo, la prescrizione si ridimensionerà in conformità alla riduzione del grado
di inquinamento” del corpo ricettore. Quindi la nuova prescrizione dovrà tener
conto della situazione attuale delle acque.
3.5.3. - Il Collegio ritiene fondato anche l’ultimo punto del motivo sub 4
(obbligo di registrazione quotidiana della quantità di fanghi provenienti dalla
nastropressa).
E, invero, la pur giusta preoccupazione della Provincia di sapere con esattezza
quanti fanghi produca il ricorrente Consorzio e se gli stessi vengano
correttamente smaltiti a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente
riferita al “rifiuto” vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione
inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente
essere eliminato.
Poiché è incontroverso che la nastropressa non esaurisce il ciclo di trattamento
dei fanghi stessi, non pare ragionevole che essi vengano misurati in questa
fase, bensì solo dopo il completamento del ciclo.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto in parte, ut supra
precisato.
4. - In ragione della parziale soccombenza, spese e competenze di causa possono
essere totalmente compensate, tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli - Venezia Giulia,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, e,
per l’effetto, annulla l’autorizzazione impugnata, limitatamente al punto 8,
lettere I, M ed R.
Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 16/04/2008 con
l'intervento dei Magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Vincenzo Farina, Consigliere
Rita De Piero, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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