Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
TAR FRIULI-VENEZIA GIULIA, Sez. I, 28 gennaio 2008, sentenza n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Iter procedurale - Ruolo del
Ministero dell’Ambiente - Art. 252, c. 4, D.Lgs. n. 152/2006 - Art. 4 D.M.
471/1999 - Differenza. Mentre l’articolo 15, comma 4 del D.M. n. 471 del
1999 (in attuazione dell’articolo 17, comma 4 del D.Lgs. n. 22/1997) stabiliva
che “il Ministro dell'Ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria del
commercio e i dell'artigianato e della sanità d'intesa con la regione
territorialmente competente, approva il progetto definitivo, tenendo conto delle
conclusioni dell'istruttoria tecnica e autorizza la realizzazione dei relativi
interventi”, l’art. 252, comma 4 del D. Lgs. n. 152/2006 ha attribuito la
competenza relativa alla procedura di bonifica dei siti inquinati di interesse
nazionale al Ministero dell’Ambiente, che vi procede, sentito il Ministero delle
attività produttive, potendo avvalersi, dell’APAT, delle ARPA regionali, delle
regioni interessate, dell’Istituto Superiore della Sanità, ovvero di altri
soggetti qualificati pubblici o privati: si tratta di un cambiamento del ruolo
regionale nell’ambito della complessa procedura di bonifica dei siti inquinati,
nel senso che, al posto dell’intesa tra enti paritari, (che costituiva uno
strumento di codeterminazione tra soggetti costituzionalmente paritetici), la
nuova disciplina ha introdotto lo schema dell’eventuale avvalimento delle
Regioni da parte statale (il che - ovviamente - non impinge sulla possibilità
per la Regione di continuare ad essere partecipe nei procedimenti di bonifica
dei siti da bonificare di interesse nazionale). Inutile dire che il Ministero
dell’ambiente - cui anche in precedenza era attribuito il coordinamento delle
operazioni di bonifica - resta il soggetto principale del procedimento di
bonifica dei siti inquinati; la partecipazione del Ministro per le attività
produttive, invece, si sostanzia nella espressione di un parere obbligatorio
(“sentito il Ministero delle attività produttive”), la cui mancanza non è
suscettibile di inficiare il provvedimento finale, a meno che non siano
ravvisabili specifici vizi procedimentali. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l.
(avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti
Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez.
I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti di interesse nazionale - Iter procedurale -
D.Lgs. n. 152/2006 - Innovazioni normative - Analisi di rischio. In materia
di bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale, il D. Lgs. n. 152/2006 ha
modificato la previgente disciplina non solo sotto il profilo delle competenze,
ma anche introducendo un meccanismo procedimentale più complesso e rigoroso, che
si sostanzia in tutta una serie di momenti procedurali intermedi, legati tra
loro da un nesso di stretta interdipendenza funzionale: oltre al procedimento di
caratterizzazione, già previsto in precedenza (composto, da una fase
istruttoria, da una di approvazione e da una di integrazione dell’efficacia ed
esecutiva) e da quello relativo alla progettazione (anch’esso composto da
istruttoria, approvazione, integrazione dell’efficacia e esecuzione), il decreto
ha previsto una terza fase, cioè quella della analisi del rischio. Pres. Borea,
Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione
Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) -
T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - D.Lgs. n. 152/2006 - D.M. 471/99
e 468/2001 - Permanenza in vigore. L’art. 264, lettera i) del decreto
n. 152 del 2006 ha disposto l’abrogazione del D. Lgs. n. 22/1997, ma non anche
del D.M. n. 471/1999 ed ha previsto che “al fine di assicurare che non vi sia
alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a
quella prevista dalla parte IV del presente Decreto, i provvedimenti attuativi
del D. Lgs. 05.02.1997 n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata
in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte IV del
presente Decreto”. Restano validi, anche a seguito delle modifiche apportate al
d.lgs. n. 152/2008 da due decreti correttivi, in quanto non formalmente abrogati
e per effetto delle disposizioni transitorie sopra citate, il D.M. n. 471/1999,
il D.M. n. 468/2001 ed il D.M. n. 24.02.2003. Pres. Borea, Est. Farina -
C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia
(avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA
GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - Art. 265, c. 4, d.lgs. n.
152/2006 - Mancata richiesta della rimodulazione degli obiettivi di bonifica -
Conseguenze. L’art. 265, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006 dispone che, ad
eccezione degli interventi già conclusi, entro 180 giorni dall’entrata in vigore
del T.U., “può essere presentata all’autorità competente adeguata relazione
tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla
base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto”: di
conseguenza, qualora il privato non chieda nei termini la riformulazione degli
obiettivi, questi continuerà ad attuare la procedura di bonifica secondo la
normativa precedente. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala,
Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri
(Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e
altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti inquinati - Approvazione del progetto
definitivo - Termini - Art. 10, c. 3 del D.M. n. 471/99. I procedimenti di
bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale sono peculiarmente
caratterizzati da tutta una serie di sub procedimenti particolarmente complessi
e delicati, attesi gli interessi in giuoco di assoluto rilievo in quanto
impingenti su quel bene primario, costituzionalmente garantito, che è costituito
dalla salute. In questo contesto occorre ricordare la previsione dell’art. 10,
comma 3 del D.M. n. 471/1999, secondo cui: “Il progetto definitivo deve essere
presentato al Comune e alla Regione entro e non oltre un anno dalla scadenza del
termine di cui al comma 2. Il Comune o, se l'intervento riguarda un'area
compresa nel territorio di più Comuni, la Regione, approva il progetto
definitivo entro novanta giorni dalla presentazione, sentita una Conferenza di
servizi convocata ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241”:
è evidente che la disposizione in parola - l’art. 10, comma 3 del D.M. n.
471/1999 - ha inteso superare i termini più ristretti, non superiori a 90
giorni, contemplati dalla L. n. 241/1990, sul verosimile assunto che questi
termini siano inadeguati in relazione alla complessa procedura di bonifica dei
siti inquinati. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala
e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.)
- T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Procedimento amministrativo -
Conferenza di servizi - Finalità - Partecipazione del privato - Estraneità.
La conferenza di servizi - caratterizzata da un momento istruttorio e da un
momento conclusivo, costituito dal provvedimento successivo e monocratico
adottato dall’Amministrazione procedente - è ontologicamente preordinata ad
apprezzare quegli interessi che fanno capo alle pubbliche amministrazioni
coinvolte nel procedimento di bonifica ambientale ed è, in definitiva,
funzionalizzata alla concreta attuazione dei principi costituzionali che
presiedono all’azione amministrativa (art. 97 della Costituzione). In questa
ottica, non può affermarsi che tra le finalità della conferenza di servizi deve
essere annoverata quella di garantire la partecipazione dei privati al
procedimento: questa partecipazione trova, infatti, la sua legittimazione
normativa in altre disposizioni, e, in particolare, negli artt. 7, 9 e 10 della
L. n. 241/1990.Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e
Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.)
- T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Interventi di risanamento -
Coinvolgimento del privato - Strumenti - Accordo di programma - Art. 246 d.lgs.
n. 152/2006. Le esigenze di un più penetrante coinvolgimento del soggetto
tenuto agli interventi di risanamento possono trovare un supporto normativo
nello strumento dell’accordo di programma: esso, riducendo i rischi di un
eventuale contenzioso, consente di definire, approvare ed attuare opere,
interventi o programmi di intervento che richiedono, per la loro completa
attuazione, l’azione integrata e coordinata di più soggetti pubblici e privati.
Il D. Lgs. n. 152/2006, all’art. 246, in tema di bonifica dei siti inquinati,
prevede, all’uopo, che: “I soggetti obbligati agli interventi di cui al presente
titolo ed i soggetti altrimenti interessati hanno diritto di definire modalità e
tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma
stipulati, entro sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio
di cui all'articolo 242, con le amministrazioni competenti ai sensi delle
disposizioni di cui al presente titolo”. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l.
(avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti
Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez.
I - 28 gennaio 2008, n. 90
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Procedimento amministrativo - Discrezionalità tecnica
- Merito amministrativo - Differenza - Sindacato del giudice amministrativo -
Limiti. La discrezionalità tecnica della Pubblica amministrazione non
sfugge, aprioristicamente, al sindacato del giudice amministrativo, perché
riguarda una ipotesi diversa dal merito amministrativo, ossia la ipotesi in cui,
in relazione a particolari materie, l'operato dell' Amministrazione deve
svolgersi secondo criteri, regole e parametri tecnici scientifici, direttamente
o indirettamente richiamati dalla norma giuridica che disciplina il potere
esercitato: la discrezionalità è, però, sindacabile in sede giurisdizionale solo
in presenza di elementi sintomatici di scorretto esercizio del potere, quali il
difetto e la incongruità della motivazione, l’illogicità manifesta, l’errore di
fatto, la evidente irragionevolezza, dovendo apparire le valutazioni delle
Autorità adeguatamente motivate, corrette, ragionevoli, proporzionate ed
attendibili (Cfr., ex permultis, Cons. St., VI, 22 agosto 2003, n. 4762; IV, 30
luglio 2003, n. 4409; T.A.R. Toscana, 20 settembre 2002, n. 2055).Pres. Borea,
Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione
Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) -
T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Provvedimento amministrativo - Discrezionalità
tecnica - Accertamento tecnico - Differenza. Non può parlarsi di
discrezionalità tecnica (e degli eventuali connessi limiti del sindacato
giurisdizionale) nei casi in cui il presupposto del provvedimento da adottare
non sia una valutazione di fatti suscettibili di vario apprezzamento alla
stregua delle attuali conoscenze scientifiche e specialistiche, ma semplicemente
un accertamento tecnico, e cioè l' accertamento di un fatto verificabile in modo
non opinabile in base a conoscenze di strumenti tecnici di sicura acquisizione;
in tali casi, per quanto sia necessario riferirsi a criteri di ordine tecnico,
il provvedimento è soggetto alla sindacabilità piena del giudice amministrativo,
in particolare sotto il profilo del travisamento dell'accertamento stesso (Cfr.
Cons. St., IV, 12 dicembre 1996, n. 1299 e IV, 25 luglio 2003, n. 4251). Pres.
Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione
Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) -
T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Tutela ambientale - Principio di
proporzionalità - Art. 242 d. lgs. n. 152/2006 - Principio di precauzione.
Il principio generale di proporzionalità si attaglia particolarmente alla
materia delle limitazione del diritto di proprietà, della attività di
autotutela, delle ordinanze di necessità ed urgenza, delle irrogazione di
sanzioni e della tutela ambientale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2005, n.
1195): in base ad esso la pubblica amministrazione deve adottare la soluzione
idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi
compresenti e si risolve, in buona sostanza, nell'affermazione secondo cui le
autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi,
sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino,
tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a
quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento
dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare; in modo che il provvedimento
emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire e necessario, nel
senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente
incidente, sia disponibile (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo
2007, n. 1736). In questo contesto va ricordato che l’art. 242 ( Procedure
operative ed amministrative) del D. Lgs. n. 152/06 rimarchi, sotto il versante
delle tecniche di intervento, la importanza del principio comunitario della
sostenibilità dei costi: principio che, in buona sostanza, è correlato a quello
di proporzionalità. Va soggiunto che alla stregua di un altro principio, cioè
del principio di precauzione, che trova origine nei procedimenti comunitari
posti a tutela dell’ambiente, è consentito all’amministrazione procedente
adottare i provvedimenti necessari laddove essa paventi il rischio di una
lesione ad un interesse tutelato anche in mancanza di un rischio concreto: è
evidente che questo secondo principio deve armonizzarsi, sul versante della
concreta applicazione, con il primo, cioè con il principio di proporzionalità;
non potendo chiaramente prefigurarsi la prevalenza del primo sul secondo, ma
dovendosi ricercare un loro equilibrato bilanciamento in relazione agli
interessi pubblici e privati in giuoco. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l.
(avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti
Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez.
I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Decisioni assunte in materia
ambientale - Apparato motivazionale rigoroso. Tutte le decisioni adottate
dalle competenti autorità in materia ambientale, e, segnatamente in materia di
bonifica, devono essere assistite - in relazione alla pluralità ed alla
rilevanza degli interessi in giuoco - da un apparato motivazionale
particolarmente rigoroso, che tenga conto di una attività istruttoria parimente
ineccepibile. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e
Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.)
- T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Procedura di analisi di rischio -
Art. 242, c. 4, d.lgs. n. 152/2006 - CSC e CSR. L’art. 242, comma 4 -
procedura di analisi di rischio - prevede livelli differenziati di
contaminazione che, solo in parte, rispecchiano quelli fissati dal D.M. n.
471/99: il primo denominato “CSC” (“concentrazione soglia di contaminazione”:
art. 240 lett. b.) e il secondo “CSR” (“concentrazione soglia di rischio”: art.
240 lett. c.); il sito di riferimento è qualificato “contaminato” solo se sia
superata la soglia “CSR” mentre se risulta superata quella “CSC” (coincidente
con i valori limite prima previsti dall’allegato 1 del D.M. n. 471/99) l’area è
definita “potenzialmente contaminata” e può quindi usufruire, ai sensi dell’art.
240 lett. f) del D.lgs n. 152/2006, del trattamento riservato ai terreni “non
contaminati”. Pres. Borea, Est. Farina - C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e
Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv.
Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.)
- T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Acque emunte dalla falda -
Qualificazione - Acque reflue industriali - Limiti allo scarico. Le acque di
falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica
si un sito, sono riconducibili al paradigma delle acque reflue di provenienza
industriale, a termini dell’art. 243, c. 1 del d.lgs. n. 152/2006. Pertanto, i
limiti da rispettare allo scarico sono quelli della emissione in acque reflue
industriali in acque superficiali, di cui alla tabella 3 dell’allegato 5 della
Parte III del D.Lgs. n. 152 del 2006 , non quelli di cui all’Allegato I -
Tabella “Acque sotterranee” del D.M. 471 del 1999. Pres. Borea, Est. Farina -
C.s.r.l. (avv.ti Pollino, Sala, Sala e Sala) c. Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Friuli-Venezia Giulia
(avv.ti Bevilacqua e Di Danieli) e altri (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA
GIULIA, Sez. I - 28 gennaio 2008, n. 90
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
N. 00090/2008 REG.SEN.
N. 00314/2007 REG.RIC.
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 314 del 2007, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Caffaro Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Pollino, Giuseppe Sala,
Claudio Sala, Maria Sala, con domicilio eletto presso Antonio Pollino Avv. in
Trieste, via Coroneo 5;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero della Salute,
Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello
Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia 3; Regione
Friuli-Venezia Giulia, rappresentata e difesa dagli avv. Enzo Bevilacqua, Gianna
Di Danieli, domiciliata per legge in Trieste, via Carducci 6; Agenzia per la
Protezione dell'Ambiente e Per i Servizi Tecnici - A.P.A.T., A.R.P.A. Regione
Friuli-Venezia Giulia, Istituto Superiore di Sanita', Commissario Delegato per
la Laguna di Marano Lagunare e Grado;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
-del decreto dd. 3 maggio 2007, Prot. n. 3602/QdV/DI/B;
-del decreto dd. 3 maggio 2007, Prot. n. 3601/QdV/B;
-dei verbali delle Conferenze dei Servizi decisorie dd. 14.2.2007, dd. 7.9.2006,
dd. 13.3.2006, dd. 13.10.2005;
Visti i motivi aggiunti depositati in data 31.10.2007 con i quali si impugnano i
seguenti atti:
- decreto dd. 26 settembre 2007, Prot. n. 3938/QdV/DI/B;
- verbale della Conferenza dei Servizi decisoria dd. 26.7.2007;
- comunicazione del Ministero dell'Ambiente Prot. 25328/Qd/DI/VII/VIII/XII dd.
28.9.2007.
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Regione Friuli-Venezia Giulia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12/12/2007 il dott. Vincenzo Farina e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La attuale ricorrente società Caffaro s.r.l. è proprietaria di un’area di circa
141 ettari (pari a 1.410.000 mq.) in Comune di Torviscosa (UD), inclusa nel sito
di interesse nazionale “Laguna di Grado e Marano” (D.M. 24.2.2003); all’interno
di detta area sorge uno stabilimento industriale ove si producono prodotti
chimici (l’attività risale al 1938); all’esterno dello stabilimento è situata
un’”area delle casse di colmata”, che raccoglie i sedimenti provenienti dal
dragaggio (onde consentire il trasporto di materiale vario) della darsena e del
canale di collegamento della darsena stessa al fiume Aussa.
Con i ricorsi n. 115/2006 e n. 524/2006 la società Caffaro aveva chiesto
l’annullamento in parte qua dei seguenti atti:
– quanto al ricorso n. 115/2006 –
il verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 13.10.2005;
e, tramite i motivi aggiunti impugnatori,
il verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 13. 3. 2006;
- quanto al ricorso n. 524/2006 –
il verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 7.9.2006.
La ricorrente, che esponeva di aver presentato il piano di caratterizzazione per
la procedura di bonifica ex D.M. n. 471/99 dell’area interna allo stabilimento
sito nel Comune di Torviscosa, aveva impugnato alcune delle prescrizioni
adottate nei suoi confronti dalla conferenza dei servizi decisoria del
13.10.2005.
In particolare erano state contestate le seguenti richieste:
a) con riferimento all'area dell'idrovora Zamaro, la realizzazione di un sistema
di raccolta delle acque meteoriche, quale misura di messa in sicurezza
d'emergenza;
b) la realizzazione di un confinamento fisico esteso da Via Vittorio Veneto
(Roggia Zuina) a Villa Diotti, per garantire il completo sbarramento delle acque
di falda a valle dello stabilimento. Detta misura veniva contestata in parte,
ritenendosi inutile il confinamento fisico a ovest delle discariche interne fino
a Roggia Zuina, essendo già in corso di realizzazione il confinamento fisico per
il tratto restante, lungo il fronte discariche interne, lungo circa mt. 550.
c) la presentazione del progetto definitivo di bonifica delle acque di falda
delle aree attraversate dalle opere di interconnessione con la nuova centrale
termoelettrica;
d) la presentazione, con riferimento all'area delle discariche interne, del
progetto definitivo di bonifica della falda.
Con i motivi aggiunti impugnatori era poi stato impugnato il verbale della
Conferenza decisoria del 13.3.2006 in occasione della quale erano state ribadite
le prescrizioni già contestate, senza che venisse presa in considerazione la
nota consegnata dalla ricorrente in occasione della Conferenza di Servizi
istruttoria del 23 gennaio 2006 nella quale venivano esposte le ragioni tecniche
e di diritto che le rendevano illegittime.
Con il successivo ricorso n. 524/2006 la medesima ricorrente aveva poi impugnato
il verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 7.9.2006. La ricorrente
esponeva di aver presentato in data 12.5.2006 il progetto preliminare di
bonifica dell’intero sito, che però non è stato condiviso e le è stato invece
imposto di effettuare un marginamento fisico perimetrale integrale inteso come
intervento di messa in sicurezza d’emergenza, con la contestuale prescrizione di
trasmettere il progetto di bonifica della falda, basato sul medesimo
marginamento, entro trenta giorni dal ricevimento del verbale, unitamente alle
altre prescrizioni di seguito riepilogate:
per l’area interna allo stabilimento e con particolare riferimento alla falda la
bonifica avrebbe dovuto basarsi sul marginamento fisico integrale dello
stabilimento e le acque avrebbero dovuto essere trattate come rifiuti liquidi ai
sensi e per gli effetti sia degli artt. 27 e 28 D.lgs. n. 22/97 (per le
autorizzazioni) che della tabella acque sotterranee del D.M. n. 471/99 (per i
limiti). I rifiuti avrebbero dovuto, poi, essere conferiti in impianti di
smaltimento esterni.
Per l’area “casse di colmata” esterna al perimetro dello stabilimento veniva
prescritto il marginamento fisico integrale da realizzarsi attraverso un
diaframma che raggiungesse lo strato di argilla e non mediante
l’impermeabilizzazione e la chiusura delle vasche stesse.
Per l’area interna allo stabilimento interessata dalle opere di interconnessione
con la nuova centrale termoelettrica si richiedeva il progetto definitivo di
bonifica della falda invece di attendere la definizione di un unico progetto
definitivo della falda stessa valido per tutta l’area interna dello
stabilimento.
Si erano costituite in giudizio le Amministrazioni intimate controdeducendo per
il rigetto dei ricorsi ed eccependone, in via preliminare, l’inammissibilità in
quanto rivolti nei confronti di atti endoprocedimentali.
Con sentenza di questo Tribunale 5 aprile 2007, n. 291 il ricorso ed i motivi
aggiunti sono stati dichiarati inammissibili, sull’assunto che tutti gli atti
impugnati rivestivano natura endoprocedimentale, trattandosi di verbali di
conclusione dei lavori di conferenze di servizi che, seppur decisorie, non
assurgevano al rango di provvedimenti conclusivi, “non essendo questi gli atti
che definiscono il procedimento con la creazione di obblighi a carico dei
soggetti interessati essi non sono sicuramente idonei a pregiudicare la
posizione giuridica soggettiva che la parte ricorrente intendeva tutelare in via
giudiziale”(così testualmente la sentenza).
Con il ricorso in esame, rubricato al n. 314/07, la società Caffaro s.r.l.
ha chiesto l’annullamento in parte qua:
del decreto 3 maggio 2007, Prot. n. 3602/QdV/DI/B a firma del Direttore generale
della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e del Mare;
del decreto 3 maggio 2007, Prot. n. 3601/QdV/DI/B a firma del Direttore generale
della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e del Mare;
di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, inclusi i verbali delle
Conferenze di servizi decisorie del 14 febbraio 2007, del 7 settembre 2006, del
13 marzo 2006 e del 13 ottobre 2005.
Come si è visto sopra, i verbali delle conferenze di servizi decisorie del 7
settembre 2006, del 13 marzo 2006 e del 13 ottobre 2005 erano stati impugnati
con i ricorsi n. 115/2006 e n. 524/2006: ricorsi decisi con la sentenza di
questo Tribunale 5 aprile 2007, n. 291.
Ciò premesso, va detto che con D.M. 18.9.2001, n. 468 (Regolamento recante: <<
Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale>>) l’area di proprietà
della ricorrente (che complessivamente ammonta a circa 141 ettari), che
costituisce la zona industriale di Torviscosa, è stata inserita nel sito di
bonifica di interesse nazionale “Laguna di Grado e Marano” e con il decreto
ministeriale del 24.02.2003 (Gazzetta Ufficiale n. 121 del 27.5.2003), è stata
disposta la relativa perimetrazione.
Con comunicazione inviata alle Autorità competenti il 30.3.2001 la società
Caffaro s.r.l. aveva attivato motu proprio, a termini dell’articolo 9 del D.M.
n. 471/1999, le procedure per gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza,
di bonifica e di ripristino ambientale, ai sensi dell'articolo 17, comma 13 bis
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; in particolare, la società
rappresentava la situazione di inquinamento così come era stata rilevata e gli
interventi di messa in sicurezza d’emergenza previsti; prendeva, quindi, avvio
la procedura per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area, con particolare
riguardo ad alcune situazioni critiche interne allo stabilimento e ad un’area,
esterna allo stesso, definita come “area delle casse di colmata”, di cui già si
è fatto cenno (nella quale sono raccolti i sedimenti provenienti dal dragaggio
della darsena e del canale di collegamento di quest’ultima al fiume Aussa).
L’intervento di risanamento era caratterizzato da diverse conferenze di servizi,
istruttorie e decisorie (le conclusioni delle prime, propedeutiche alle seconde,
venivano trasfuse nei verbali delle conferenze decisorie), ai sensi dell’art.
14, comma 2 della L. n. 241/1990, cui prendevano parte i rappresentanti del
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, del Ministero delle
Attività produttive, del Ministero della Salute e della Regione Friuli Venezia
Giulia, coordinate dal Ministero dell’Ambiente; quest’ultimo – è bene ricordarlo
- è competente per quanto riguarda i siti di bonifica di interesse nazionale, e,
dunque, anche per il sito in questione (individuato, come si è detto, dal D.M.
18.9.2001, n. 468 e perimetrato con il D.M. 24.2.2003).
Va, altresì, ricordato che alle conferenze di servizi ministeriali di tipo
istruttorio per i siti inquinati di interesse nazionale possono partecipare
tutti i soggetti pubblici e privati che, svolgendo la loro attività nel
territorio dei siti interessati, vengano invitati dal Ministero o si presentino
spontaneamente, come consente il D.M. n. 471/1999; la conferenza di servizi -
nell’ambito dei propri poteri istruttori – svolge una propedeutica attività
valutativa volta ad acquisire una visione completa della situazione di
inquinamento oggetto di verifica.
La società Caffaro, in questa fase, adottava specifiche misure di messa in
sicurezza di emergenza relativamente ad alcuni punti del sito particolarmente
inquinati e predisponeva un apposito Piano di caratterizzazione, che veniva
approvato con prescrizioni nella conferenza di servizi decisoria del 7.8.2003, e
definitivamente, sempre con prescrizioni, nella conferenza di servizi decisoria
del 10.12.2003: nel corso di quest’ultima conferenza venivano, tra l’altro,
esaminati e discussi gli “interventi di messa in sicurezza già adottati, in
corso di adozione e da adottare nel perimetro del sito di bonifica di interesse
nazionale”, con la previsione – in particolare - di termini entro i quali la
società avrebbe dovuto adempiere alcune prescrizioni.
Intervenivano, poi, altre conferenze decisorie, e, segnatamente, per quello che
qui rileva, quella in data 15.12.2004, con la quale veniva, tra l’altro,
ordinato alla società di completare sollecitamente la operazione concordate di
rimozione delle peci tolueniche, nonché il potenziamento del sistema di
sbarramento delle acque contaminate realizzato dalla società ma ritenuto
insufficiente; quella in data 27.4.2005, con la quale veniva approvato con
prescrizioni il progetto definitivo di bonifica relativo alle opere di
interconnessione con la nuova Centrale termoelettrica; quella in data 22.6.2005
con la quale veniva, tra l’altro, richiesto un monitoraggio bimestrale per
verificare l’efficienza della barriera idraulica realizzata; quella in data
13.10.2005, con la quale veniva richiesto alla società di procedere ad una serie
puntuale di adempimenti, e, cioè:
la messa in sicurezza di emergenza con marginamento fisico esteso “al fine di
garantire il completo sbarramento delle acque di falda a valle dello
stabilimento”, a seguito di una serie di monitoraggi effettuati e di un
aggiornamento delle misure ritenute necessarie;
la presentazione del progetto definitivo di bonifica delle acque di falda delle
aree attraversate dalle opere di interconnessione con la nuova centrale
termoelettrica;
la presentazione entro 60 giorni dal ricevimento del verbale della conferenza
del progetto definitivo di bonifica delle acque di falda in riferimento all’area
delle discariche interne;
la realizzazione di un sistema di raccolta delle acque meteoriche quale misura
di messa in sicurezza (nell’area dell’idrovora Zamoro), come già richiesto dalla
conferenza dei servizi decisoria del 10.12.2003.
Come si è visto, con ricorso n. 115/2006 la società Caffaro ha impugnato la
deliberazione assunta in data 13.10.2005 dalla conferenza di servizi decisoria
convocata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio; con ricorso
per motivi aggiunti, notificato in data 6.6.2006, la società ha impugnato, poi,
la successiva deliberazione della conferenza dei servizi tenutasi il 13.3.2006,
con la quale venivano ribadite alcune prescrizioni già impartite nel corso delle
conferenze di servizi in data 15.12.2004, 22.6.2005 e 13.10.2005, il cui
contenuto era già stato oggetto di impugnazione con il ricorso introduttivo del
giudizio; in particolare, la conferenza di servizi decisoria del 13.3.2006
deliberava di chiedere alla società la presentazione, entro 60 giorni dal
ricevimento del verbale, del Progetto preliminare di bonifica dei suoli delle
aree dello stabilimento Caffaro di Torviscosa.
Con nota del 12.5.2006 la società trasmetteva il Progetto preliminare di
bonifica delle aree dello stabilimento, redatto secondo le prescrizioni del D.M.
n. 471/1999, riservandosi “di presentare una revisione del progetto preliminare,
che tenga conto delle modifiche apportate dalla nuova norma, con particolare
riferimento alla procedura dell’analisi di rischio”, e ribadendo di non
condividere le prescrizioni impartite dalla conferenza decisoria del 13.3.2006.
Con nota del 23.5.2006, poi, la società trasmetteva il Progetto esecutivo per la
realizzazione, quale messa in sicurezza di emergenza, dell’opera di sbarramento
fisico parziale da realizzarsi mediante barriera permeabile reattiva: nel corso
della conferenza di servizi istruttoria del 29.5.2006 la società illustrava il
progetto di bonifica della falda mediante barriera permeabile reattiva da
realizzare lungo il lato sud dello stabilimento; la conferenza chiedeva alla
società di trasmettere con sollecitudine il progetto di bonifica della falda
basato sul marginamento fisico dell’intero stabilimento, e, precisamente, “entro
venti giorni dalla medesima conferenza di servizi istruttoria” (come risulta dal
verbale della conferenza di servizi decisoria del 7.9.2006).
Nel corso di quest’ultima conferenza si prendeva nuovamente atto che
“l’elaborato trasmesso dalla Caffaro s.r.l. con nota del 23.5.2006 non prevede
il marginamento fisico, come richiesto dalle Conferenze di servizi decisorie del
13.10.05 e 13.03.06”; conseguentemente venivano ribadite le prescrizioni già più
volte impartite (in particolare nei precedenti verbali delle Conferenze di
servizi del 13.10.2005 e del 13.3.2006) e si stabiliva che la società
provvedesse al “marginamento fisico integrale mediante diaframma”, assegnando
alla società il termine di 30 giorni dal ricevimento del verbale per trasmettere
il progetto di bonifica della falda basato sul medesimo sistema di marginamento
fisico, pena la attivazione dei “poteri sostitutivi in danno del medesimo
soggetto inadempiente”, sottolineando il fatto che “ulteriori inerzie
dell’Azienda medesima appaiono integrare gli estremi del reato di cui all’art.
51 bis dell’ex D. Lgs. 22/1997, ora art. 257 del D. Lgs. 152/06”.
In data 30.10.2006 si svolgeva un’altra Conferenza di servizi istruttoria, nel
corso della quale venivano ribadite le prescrizioni formulate dalla conferenza
di servizi decisoria del 7.9.2006.
Con istanza notificata il 16.11.2006, veniva richiesta dalla società la
sospensione degli effetti di tutti i provvedimenti impugnati con il ricorso n.
115/06.
Con successivo ricorso n. 524/2006 veniva, come si è detto, impugnato il verbale
della conferenza di servizi decisoria del 7.9.2006, con particolare riguardo
alla richiesta rivolta alla società ricorrente di presentare, per la definitiva
approvazione, le misure di sicurezza di emergenza ed il progetto di bonifica
definitivo dell’area decise nel corso della suddetta conferenza (decisioni
sostanzialmente confermative di quelle assunte nel corso delle precedenti
conferenze decisorie del 13.10.2005 e del 13.3.2006).
Con ordinanze nn. 218 e 223 del 29.11.2006, questo Tribunale respingeva le
istanze cautelari proposte dalla società Caffaro s.r.l., ritenendo che
all’accoglimento delle stesse ostassero “assorbenti motivi di inammissibilità
del ricorso”.
Successivamente, come si è visto, configurandosi la connessione del ricorso n.
524/2006 con il ricorso n. 115/2006 presentato dalla medesima società
ricorrente, questo Tribunale, previa riunione dei due giudizi, dichiarava con
sentenza n. 292 del 21 marzo 2007 inammissibili entrambi i ricorsi, in
considerazione della “natura endoprocedimentale” degli atti impugnati (ossia i
verbali delle conferenze di servizi) “trattandosi di verbali di conclusione dei
lavori di conferenze di servizi che, seppur decisorie, non assurgono al rango di
provvedimenti conclusivi” ”(così testualmente la sentenza).
In data 14.2.2007 aveva avuto luogo una ulteriore conferenza di servizi
decisoria che:
ribadiva le prescrizioni formulate dalla conferenza di servizi decisoria del
7.9.2006;
chiedeva alla Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (A.P.A.T.),
alla Agenzia per la protezione dell’ambiente (A.R.P.A.) del Friuli Venezia
Giulia e all’Istituto Superiore della Sanità di “formulare un formale parere
istruttorio ai sensi dell’art. 252, comma 4 del D. Lgs. 152/2006”;
richiedeva al Commissario delegato per la Laguna di Grado e Marano, nel caso di
inadempienza da parte della società Caffaro, di attivare i poteri sostitutivi in
danno della stessa, evidenziando come ulteriori inerzie avrebbero integrato gli
estremi del reato di cui all’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22/1997, ora art. 257
del D. Lgs. n.152/2006;
con riferimento al progetto preliminare di bonifica trasmesso dalla società
Caffaro il 12.5.2006, ribadiva le prescrizioni già formulate dalla conferenza di
servizi decisoria del 7.9.2006, non condividendo i criteri di progettazione
proposti dalla società stessa per le ragioni evidenziate e stabiliva ulteriori
prescrizioni tecniche aggiuntive (in 8 punti), in parte formulate dalla A.P.A.T.
nella nota allegata al verbale della conferenza di servizi decisoria.
Con decreto del 3 maggio 2007, Prot. n. 3601/QdV/DI/B, a firma del Direttore
generale della Direzione generale della qualità della vita del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, veniva conclusivamente
recepito il contenuto dei verbali delle conferenze di servizi decisorie del
27.4.2005, 22.6.2005, 13.10.2005, 13.3.2006, 7.9.2006 e 31.10.2006.
Con decreto 3 maggio 2007, Prot. n. 3602/QdV/DI/B, sempre a firma del Direttore
generale della Direzione generale della qualità della vita A.P.A.T. veniva
conclusivamente recepito il contenuto del verbale della conferenza di servizi
decisoria del 14.2.2007.
Come si è visto, questi due decreti sono stati impugnati con il ricorso in
esame, insieme ai verbali delle conferenze di servizi di cui costituiscono le
determinazioni conclusive.
A sostegno del gravame la società ricorrente ha dedotto otto mezzi, con i quali
ha censurato sotto svariati profili di violazione di legge e di eccesso di
potere gli atti impugnati.
Con motivi aggiunti notificati il 23.10.2007 la società ha chiesto
l’annullamento in parte qua:
del decreto 26 settembre 2007, Prot. n. 3938/QdV/DI/B a firma del Direttore
generale della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del Mare, recante la approvazione delle prescrizioni
stabilite nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 3 ottobre 2007;
di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, inclusi il verbale della
conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007 nonché della comunicazione
del Ministero dell’Ambiente Prot. 25328/QdV/DI/VII/VIII/XII del 28 settembre
2007.
Si sono costituiti in giudizio i Ministeri dell’Ambiente e della tutela del
territorio, della Salute, dello Sviluppo economico e la Regione autonoma Friuli
Venezia Giulia.
La causa è passata in decisione nella pubblica udienza del 12.12.2007.
Con il ricorso in esame, rubricato al n. 314/07, la società Caffaro s.r.l.
ha chiesto l’annullamento in parte qua:
del decreto 3 maggio 2007, Prot. n. 3602/QdV/DI/B a firma del Direttore generale
della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e del mare, recante la approvazione delle prescrizioni stabilite
nel verbale della conferenza di servizi del 14.2.2007;
del decreto 3 maggio 2007, Prot. n. 3601/QdV/DI/B a firma del Direttore generale
della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e del mare, recante la approvazione delle prescrizioni stabilite
nei verbali della conferenza di servizi del 27 aprile 2005, del 22 giugno 2005,
del 13 ottobre 2005, del 13 marzo 2006, del 7 settembre 2006 e del 31 ottobre
2006;
di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, inclusi i verbali delle
conferenze di servizi decisorie del 14 febbraio 2007, del 7 settembre 2006, del
13 marzo 2006 e del 13 ottobre 2005.
Sembra opportuno, preliminarmente, richiamare il quadro normativo riguardante la
disciplina della messa in sicurezza d’emergenza, della bonifica e del ripristino
ambientale dei siti inquinati.
Come si è visto, l’area di proprietà della società ricorrente insiste su di un
sito di bonifica di interesse nazionale, come tale perimetrato dal D.M.
24.2.2003 (G.U. n. 121/2003).
Il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. “Decreto Ronchi”) ed il D.M.
25 ottobre 1999, n. 471 hanno disciplinato la materia in questione fino al
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”
(c.d. Codice dell’ambiente), entrato in vigore il 29 aprile 2006.
La vicenda di cui alla presente controversia – è bene sottolinearlo – si snoda
in un arco temporale a cavallo di quest’ultima data.
L’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 così testualmente stabiliva al comma 6:
“chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti […..]
ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti
medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in
sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate e degli
impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.
Il successivo comma 14 disponeva che: “I progetti relativi ad interventi di
bonifica di interesse nazionale sono presentati al Ministero dell’Ambiente ed
approvati con Decreto del Ministro dell’Ambiente […..]”.
L’art. 18 del decreto, tra le competenze attribuite allo Stato, individuava
anche quella (lettera n), della “determinazione d’intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di
Trento e di Bolzano, dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti
inquinati, nonché la determinazione dei criteri per individuare gli interventi
di bonifica che, in relazione al rilievo dell’impatto sull’ambiente connesso
all’estensione all’area interessata, alla quantità e pericolosità degli
inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale.”
In base all’art. 12 D.M. n. 468/2001, poi, “Agli interventi di bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati previsti dal programma nazionale si
applicano le definizioni, i limiti di accettabilità, i criteri, le procedure e
le modalità stabilite dal regolamento di cui al decreto ministeriale 25 ottobre
1999, n. 471”.
Il decreto da ultimo citato, ossia il decreto n. 471/1999, all’art. 15, appronta
la disciplina per gli interventi di interesse nazionale, prevedendo che: “il
responsabile presenta al Ministro dell’Ambiente il piano di caratterizzazione,
il progetto preliminare e il progetto definitivo, predisposti secondo i criteri
generali stabiliti dall’allegato 4, nei termini e secondo le modalità di cui
all’art. 10 […..] Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia
individuabile e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro
soggetto interessato, i progetti sono predisposti dal Ministero dell’Ambiente.”
Per l’istruttoria tecnica degli elaborati progettuali il Ministero dell’Ambiente
si avvale dell’APAT, delle ARPA delle Regioni interessate e dell’Istituto
Superiore della Sanità; circa le modalità di progettazione ed autorizzazione
degli interventi di bonifica, l’art. 10, al quale viene fatto rinvio, prevede
che la progettazione si articoli in “tre livelli di approfondimenti tecnici
progressivi: piano della caratterizzazione, progetto preliminare e progetto
definitivo”.
Il piano della caratterizzazione, in sostanza, costituisce una sorta di
rappresentazione fotografica dell’inquinamento del sito, al fine di guidare le
successive scelte progettuali dirette alla bonifica ed alla messa in sicurezza
permanente dello stesso.
L’articolo 2 del D.M. n. 471/1999 così definisce i principali momenti
procedurali del complesso intervento di bonifica, precisandone il significato:
Messa in sicurezza d’emergenza (MISE) come ogni intervento necessario ed urgente
per rimuovere e contenere le fonti inquinanti ed impedire il loro contatto con
l’esterno in attesa degli interventi a carattere permanente;
Bonifica come l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di
inquinamento o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti a livelli
uguali o inferiori ai valori stabiliti dal Decreto ministeriale:
Bonifica con misure di sicurezza come il complesso degli interventi tesi a
ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti a livelli superiori a quelli
accettabili per la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici,
qualora non sia materialmente possibile ridurre la concentrazione a livelli
accettabili; in tale caso devono essere previste misure di sicurezza, piani di
monitoraggio e limitazioni d’uso, fatte salve la tutela della salute e la
protezione dell’ambiente;
Misure di sicurezza come gli interventi e gli specifici controlli necessari per
impedire danni alla salute o all’ambiente derivanti dai livelli di
concentrazione residui delle sostanze inquinanti, nonché le azioni di
monitoraggio;
Ripristino ambientale come gli interventi di riqualificazione ambientale e
paesaggistica, costituenti complemento degli interventi di bonifica, al fine di
recuperare la fruibilità del sito in conformità agli strumenti urbanistici;
Messa in sicurezza permanente come il complesso degli interventi tesi ad isolare
definitivamente le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti
(aria, acqua, suoli).
Secondo la disciplina del D.M. n. 471/1999, una volta attivata la procedura per
gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino
ambientale ai sensi dell’articolo 9 (“Interventi ad iniziativa degli
interessati”), il successivo articolo 10 prevede che gli interventi siano
effettuati sulla base di progetti da redigere secondo i criteri stabiliti
dall’allegato 4, articolati sui seguenti livelli:
Piano della caratterizzazione: descrive dettagliatamente il sito, le attività
svolte o da svolgere, localizza l’estensione della contaminazione, descrive le
condizioni necessarie alla protezione ambientale e alla tutela della salute,
presenta un piano delle indagini da attuare sull’entità dell’inquinamento;
Progetto preliminare: valuta le investigazioni svolte in sede di
caratterizzazione, definisce qualitativamente gli obiettivi per la bonifica e il
ripristino ambientale, seleziona le migliori tecnologie di bonifica da adottare,
indica compiutamente gli interventi e i lavori da realizzare;
Progetto definitivo: determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il
costo previsto; deve essere puntuale al punto da consentire l’identificazione in
termini di forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo di ogni elemento.
L’articolo 10, comma 3 prevede, poi, che tra l’approvazione del Piano di
caratterizzazione e quella del Progetto definitivo non debba trascorrere più di
un anno; il comma 9 dello stesso articolo dispone altresì che, con
l’approvazione del progetto definitivo, sia fissata l’entità delle garanzie
finanziarie in misura non inferiore al 20% del costo stimato dell’intervento.
Con D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2006) è
stato approvato – lo si è visto - il Codice dell’Ambiente: il decreto è entrato
in vigore il 29 aprile 2006, ad eccezione della Parte II, in materia di VAS e
VIA, la cui entrata in vigore originariamente fissata per il 12 agosto 2006, è
stata successivamente prorogata (da ultimo con il cd. "D.L. Milleproroghe",
convertito con legge n. 17/2007) al 31 luglio 2007.
Il decreto, nella Parte quarta “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di
bonifica dei siti inquinati”, agli articoli dal 177 al 266 e relativi allegati
(in particolare Allegati al Titolo V – Bonifica dei siti inquinati), ha
disciplinato la materia relativa alla gestione dei rifiuti e alla bonifica dei
siti inquinati, sostituendo il D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 come norma quadro
di riferimento; tuttavia – in relazione al caso di specie - quanto ai siti di
interesse nazionale (art. 252) è ravvisabile in linea di massima una sostanziale
coincidenza tra la nuova disciplina e quella pregressa.
Occorre, però, rilevare che mentre l’articolo 15, comma 4 del D.M. n. 471 del
1999 (in attuazione dell’articolo 17, comma 4 del D.Lgs. n. 22/1997) stabiliva
che “il Ministro dell'Ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria del
commercio e i dell'artigianato e della sanità d'intesa con la regione
territorialmente competente, approva il progetto definitivo, tenendo conto delle
conclusioni dell'istruttoria tecnica e autorizza la realizzazione dei relativi
interventi”, l’art. 252, comma 4 del D. Lgs. n. 152/2006 ha attribuito la
competenza relativa alla procedura di bonifica dei siti inquinati di interesse
nazionale al Ministero dell’Ambiente, che vi procede, sentito il Ministero delle
attività produttive, potendo avvalersi, dell’APAT, delle ARPA regionali, delle
regioni interessate, dell’Istituto Superiore della Sanità, ovvero di altri
soggetti qualificati pubblici o privati: si tratta di un cambiamento del ruolo
regionale nell’ambito della complessa procedura di bonifica dei siti inquinati,
nel senso che, al posto dell’intesa tra enti paritari, (che costituiva uno
strumento di codeterminazione tra soggetti costituzionalmente paritetici), la
nuova disciplina ha introdotto lo schema dell’eventuale avvalimento delle
Regioni da parte statale (il che – ovviamente - non impinge sulla possibilità
per la Regione di continuare ad essere partecipe nei procedimenti di bonifica
dei siti da bonificare di interesse nazionale).
Il D. Lgs. n. 152/2006 – è d’uopo sottolineare - ha modificato la previgente
disciplina non solo sotto il profilo delle competenze, ma anche introducendo un
meccanismo procedimentale più complesso e rigoroso, che si sostanzia in tutta
una serie di momenti procedurali intermedi, legati tra loro da un nesso di
stretta interdipendenza funzionale: oltre al procedimento di caratterizzazione,
già previsto in precedenza (composto, da una fase istruttoria, da una di
approvazione e da una di integrazione dell’efficacia ed esecutiva) e da quello
relativo alla progettazione (anch’esso composto da istruttoria, approvazione,
integrazione dell’efficacia e esecuzione), il decreto ha previsto una terza
fase, cioè quella della analisi del rischio.
Va soggiunto che l’art. 264, lettera i) del decreto n. 152 del 2006 ha disposto
l’abrogazione del D. Lgs. n. 22/1997, ma non anche del D.M. n. 471/1999 ed ha
previsto che “al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di
continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla
parte IV del presente Decreto, i provvedimenti attuativi del D. Lgs. 05.02.1997
n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei
corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte IV del presente
Decreto”.
Va, ulteriormente puntualizzato che il decreto legislativo n. 152/2006 è stato
fatto oggetto di una prima modifica legislativa ad opera del D. Lgs. 8 novembre
2006, n. 284.
Nel corso della riunione della Conferenza Unificata del 29 marzo 2007, inoltre,
e' stata raggiunta un'intesa tra Governo, Regioni ed Enti locali sul secondo
decreto legislativo correttivo del Codice ambientale, adottato dal Consiglio dei
Ministri in data 12 ottobre 2006.
Restano, in ogni caso, validi, in quanto non formalmente abrogati e per effetto
delle disposizioni transitorie sopra citate, il D.M. n. 471/1999, il D.M. n.
468/2001 ed il D.M. n. 24.02.2003.
Con riguardo al regime transitorio introdotto dal D. Lgs. n. 152/2006, non
sembra inutile precisare che l’art. 265, comma 4, il quale dispone che, ad
eccezione degli interventi già conclusi, entro 180 giorni dall’entrata in vigore
del T.U., “può essere presentata all’autorità competente adeguata relazione
tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla
base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto”: di
conseguenza, qualora il privato non chieda nei termini la riformulazione degli
obiettivi, questi continuerà ad attuare la procedura di bonifica secondo la
normativa precedente.
Sin qui l’essenziale quadro normativo riguardante la disciplina della messa in
sicurezza d’emergenza, della bonifica e del ripristino ambientale dei siti
inquinati.
Passando ai singoli motivi di ricorso, il primo è così rubricato:
1. Violazione dell’art. 252 del D. Lgs. 152/2006 – Violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 14 ter, commi 6 bis e 9 della L.241/1990 e s.m.i. –
Eccesso di potere per genericità del contenuto.
La ricorrente società, innanzitutto, lamenta il mancato coinvolgimento da parte
del Ministero dell’ambiente, titolare della procedura di bonifica, del Ministero
delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico); in secondo
luogo assume la illegittimità del procedimento posto in essere a causa del lungo
tempo trascorso dallo svolgimento delle conferenze, la sovrapposizione delle
prescrizioni impartite dalle conferenze stesse e la mancata adozione di
provvedimenti conclusivi ad hoc per ogni singola conferenza decisoria.
Le censure vanno disattese.
Il Collegio osserva – sotto il primo profilo - che nella vigenza del D. Lgs. n.
22/1997 la competenza all’approvazione dei progetti definitivi di bonifica
apparteneva al Ministero dell’Ambiente, di concerto con i Ministri
dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato e della Sanità, d'intesa con la
Regione territorialmente competente; con l’entrata in vigore del D. Lgs. n.
152/2006 questa procedura è stata sostanzialmente modificata dall’art. 252,
comma 4 del decreto, secondo cui ”la procedura di bonifica di cui all'articolo
242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività
produttive; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio può
avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi
tecnici (APAT), delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle
regioni interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti
qualificati pubblici o privati”.
Inutile dire che il Ministero dell’ambiente – cui anche in precedenza era
attribuito il coordinamento delle operazioni di bonifica – resta il soggetto
principale del procedimento di bonifica dei siti inquinati; la partecipazione
del Ministro per le attività produttive, invece, si sostanzia nella espressione
di un parere obbligatorio (“sentito il Ministero delle attività produttive”), la
cui mancanza non è suscettibile di inficiare il provvedimento finale, a meno che
non siano ravvisabili specifici vizi procedimentali: non è, però, questo il caso
del procedimento in questione, se solo si considera che il Ministero in parola,
e per esso il Ministro, è sempre stato regolarmente convocato alle Conferenze di
servizi del 7.8.2003, 10.12.2003, 15.12.2004, 27.4.2005, 13.10.2005, 7.9.2006 e
del 14.2.2007.
A tal proposito non è inutile ricordare che l’art. 14 ter della L. n. 241/1990,
come modificata dalla L. n. 15/2005, circa i lavori della conferenza di servizi,
stabilisce, al comma 9 che: “Il provvedimento finale conforme alla
determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli
effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque
denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate
a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza”.
Quanto al lungo tempo trascorso, va rilevato che i procedimenti di bonifica dei
siti inquinati di interesse nazionale sono peculiarmente caratterizzati da tutta
una serie di sub procedimenti particolarmente complessi e delicati, attesi gli
interessi in giuoco di assoluto rilievo in quanto impingenti su quel bene
primario, costituzionalmente garantito, che è costituito dalla salute.
In questo contesto occorre ricordare la previsione dell’art. 10, comma 3 del
D.M. n. 471/1999, secondo cui: “Il progetto definitivo deve essere presentato al
Comune e alla Regione entro e non oltre un anno dalla scadenza del termine di
cui al comma 2. Il Comune o, se l'intervento riguarda un'area compresa nel
territorio di più Comuni, la Regione, approva il progetto definitivo entro
novanta giorni dalla presentazione, sentita una Conferenza di servizi convocata
ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241”: è evidente che la
disposizione in parola - l’art. 10, comma 3 del D.M. n. 471/1999 – ha inteso
superare i termini più ristretti, non superiori a 90 giorni, contemplati dalla
L. n. 241/1990, sul verosimile assunto che questi termini siano inadeguati in
relazione alla complessa procedura di bonifica dei siti inquinati.
Riguardo alla lamentata ripetizione e sovrapposizione delle prescrizioni
impartite in sede di conferenze di servizi, il Collegio osserva che ciò è da
ritenersi fisiologico in un procedimento caratterizzato da una pluralità di
interventi proposti dalla società ricorrente in alternativa alle indicazioni
fatte dalle varie conferenze di servizi: indicazioni, poi, puntualmente definite
e compendiate nei provvedimenti conclusivi.
Il secondo motivo si sostanzia nella denuncia dei seguenti vizi:
Violazione degli artt. 242 e 252 del D. Lgs. 152/2006. Violazione dell’art. 17
del D. Lgs. 22/1997 e degli artt. 9,10,14 e 15 del D.M. 471/1999, Violazione
degli artt. 1, comma 2, 14 e 14 ter della L. 241/1990 e s.m.i. Difetto di
istruttoria e violazione del principio del “giusto procedimento”.
La ricorrente si duole di non essere stata convocata alle conferenze di servizi decisorie, come invece stabilito dagli articoli 1, comma 2, 14 e 14 ter della L. n. 241/1990 e s.m.i , nonché da tutta una serie di disposizioni in tema di bonifica dei siti inquinati e ciò malgrado avesse presentato una domanda in tal senso: il che denoterebbe la pervicace volontà del Ministero dell’ambiente di non coinvolgerla nella procedura di bonifica, relegandola ad un ruolo meramente secondario. A questo proposito l’istante ricorda la procedura dello Sportello unico sulle attività produttive (SUAP), che prevede, ai sensi degli artt. 4, comma 4 e art. 6, comma 13 del D.P.R. n. 447/1998 e s.m.i., la partecipazione dei privati alla conferenza di servizi.
Le doglianze non hanno pregio.
Il Collegio osserva, in linea di
principio, che la conferenza di servizi – caratterizzata da un momento
istruttorio e da un momento conclusivo, costituito dal provvedimento successivo
e monocratico adottato dall’Amministrazione procedente - è ontologicamente
preordinata ad apprezzare quegli interessi che fanno capo alle pubbliche
amministrazioni coinvolte nel procedimento di bonifica ambientale ed è, in
definitiva, funzionalizzata alla concreta attuazione dei principi costituzionali
che presiedono all’azione amministrativa (art. 97 della Costituzione).
In questa ottica, non può affermarsi che tra le finalità della conferenza di
servizi deve essere annoverata quella di garantire la partecipazione dei privati
al procedimento: questa partecipazione trova, infatti, la sua legittimazione
normativa in altre disposizioni, e, in particolare, negli artt. 7, 9 e 10 della
L. n. 241/1990.
Vero è che l’art. 14, comma 4 della L. n. 241/1990 prevede che, qualora un
privato abbia interesse alla convocazione di una conferenza di servizi, può
chiedere all’amministrazione di convocarla; così pure, l’art. 14 ter, comma 8
della legge in parola contempla la facoltà per l’amministrazione di chiedere
chiarimenti agli istanti; tuttavia, le suddette disposizioni non assicurano al
privato un vero e proprio diritto di partecipazione alla conferenza.
Quanto al cenno attoreo alla procedura dello Sportello unico sulle attività
produttive (SUAP), trattasi di fattispecie particolare, affatto diversa da
quella in esame, che resta soggetta alla disciplina generale della legge n.
241/1990 e s.m.i.: la convocazione dei privati è obbligatoria in specifiche
ipotesi previste dal D.P.R. n. 447/98; l'art. 5 del D.P.R. n. 447/98, poi,
prevede l'obbligo di dare contestualmente pubblico avviso dell'indizione della
conferenza di servizi, al fine di consentire a qualunque soggetto interessato di
intervenire e presentare osservazioni: questo intervento – da intendersi come
apporto meramente collaborativo e non decisionale mediante la espressione di un
voto - è consentito ai soggetti, portatori di interessi pubblici o privati,
individuali o collettivi nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione
del progetto, sia attraverso la partecipazione personale, sia attraverso il
deposito di osservazioni documentali.
Ciò posto, non può fondatamente confutarsi che l’Autorità procedente ha
sostanzialmente reso partecipi del procedimento tutti i soggetti coinvolti, i
cui interessi sono stati tenuti presenti nelle varie fasi del procedimento
stesso; in particolare, quanto alla società istante, ad essa è stata data la
possibilità di produrre le proprie osservazioni e di interloquire con la
medesima Autorità (v., tra l’altro, la Conferenza dei servizi istruttoria del
29.7.2005, il documento preparatorio alla Conferenza di servizi istruttoria del
29.5.2006, le note dell’azienda del 20.1.2006 e del 10.8.2006).
Ritiene, dunque, il Collegio che nei confronti dell’istante non sia stato
violato alcun diritto di partecipazione e, di conseguenza, nemmeno il principio
del giusto procedimento.
Altro discorso è quello delle valutazioni concretamente svolte dall’Autorità
procedente nei riguardi degli apporti partecipativi della società istante: di
ciò se ne parlerà più avanti.
Non può sottacersi, in questo contesto argomentativo, che le esigenze di un più
penetrante coinvolgimento del soggetto tenuto agli interventi di risanamento
possono trovare un supporto normativo nello strumento dell’accordo di programma:
esso, riducendo i rischi di un eventuale contenzioso, consente di definire,
approvare ed attuare opere, interventi o programmi di intervento che richiedono,
per la loro completa attuazione, l’azione integrata e coordinata di più soggetti
pubblici e privati. Il D. Lgs. n. 152/2006, all’art. 246, in tema di bonifica
dei siti inquinati, prevede, all’uopo, che: “I soggetti obbligati agli
interventi di cui al presente titolo ed i soggetti altrimenti interessati hanno
diritto di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi mediante
appositi accordi di programma stipulati, entro sei mesi dall'approvazione del
documento di analisi di rischio di cui all'articolo 242, con le amministrazioni
competenti ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo”.
Non risulta che la ricorrente abbia inteso attivare questo diverso strumento
partecipativo.
Con il terzo mezzo sono stati dedotti i vizi di:
Violazione dgli artt. 3 e 10 della L. 241/1990 e s.m.i. Eccesso di potere per
carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Eccesso di potere per errore
nei presupposti di fatto, illogicità e manifesta irragionevolezza. Violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 240 e 242 e dell’Allegato 3 al Titolo V della
Parte IV del D. Lgs. 152/06. Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2 e
dell’Allegato 3 del D.M. 471/1999.
Con il quarto mezzo, strettamente correlato al terzo, la ricorrente ha
denunciato i seguenti vizi:
Violazione del principio di proporzionalità – Violazione degli artt. 41 e 42
della Costituzione. Violazione dell’art. 242, comma 8 e dell’All. 3 alla Parte
IV del D. Lgs. 152/2006. Violazione dell’articolo 17, comma 6 del D. Lgs.
22/1997. Violazione degli artt. 2 e 5 del D.M. 471/99. Violazione dell’art. 114,
comma 9 della legge 388/2000. Difetto di motivazione sotto il profilo della
sostenibilità dei costi
La società ricorrente contesta il contenuto delle conferenze di servizi del 13.10.2005, del 13.3.2006, del 7.9.2006 e del 14.2.2007, nella parte in cui è stato imposto il marginamento fisico integrale dello stabilimento, senza tenere in dovuto conto le proposte progettuali alternative presentate dalla medesima società, senza aver fatto precedere la onerosa decisione (circa € 163.000.000 per i prossimi dieci anni) da una adeguata istruttoria - anche mediante la collaborazione dell’APAT e dell’ARPA - senza supportare la decisione stessa con un congruo apparato giustificativo; l’istante lamenta, poi, la irragionevolezza delle scelte operate dalle suddette conferenze di servizi (e recepite nei consequenziali decreti direttoriali) in ordine al marginamento, avuto riguardo – in particolare - al fatto che esiste già una barriera idraulica realizzata su esplicita richiesta della conferenza di servizi del 10.12.2003.
Con il quarto motivo, poi, la società sostiene che, con riferimento all’area
dello stabilimento ed all’area delle “casse di colmata”, sarebbe state violato
il principio di proporzionalità.
Ritiene il Collegio che lo scrutinio dei suddetti motivi deve essere preceduto
da alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto, va precisato che nel caso di cui alla presente controversia gran
parte dei rilievi attorei attengono a profili di discrezionalità tecnica: questo
particolare tipo di discrezionalità ricorre quando l'Amministrazione, per
provvedere su un determinato oggetto, deve applicare una norma tecnica alla
quale una norma giuridica conferisca rilevanza diretta o indiretta (Cfr. Cons.
St.,VI, 29 novembre 2002, n. 6575).
La discrezionalità tecnica della Pubblica amministrazione, va ricordato, non
sfugge, aprioristicamente, al sindacato del giudice amministrativo, perché
riguarda una ipotesi diversa dal merito amministrativo, ossia la ipotesi in cui,
in relazione a particolari materie, l'operato dell' Amministrazione deve
svolgersi secondo criteri, regole e parametri tecnici scientifici, direttamente
o indirettamente richiamati dalla norma giuridica che disciplina il potere
esercitato: la discrezionalità è, però, sindacabile in sede giurisdizionale solo
in presenza di elementi sintomatici di scorretto esercizio del potere, quali il
difetto e la incongruità della motivazione, l’illogicità manifesta, l’errore di
fatto, la evidente irragionevolezza, dovendo apparire le valutazioni delle
Autorità adeguatamente motivate, corrette, ragionevoli, proporzionate ed
attendibili (Cfr., ex permultis, Cons. St., VI, 22 agosto 2003, n. 4762; IV, 30
luglio 2003, n. 4409; T.A.R. Toscana, 20 settembre 2002, n. 2055).
Occorre, altresì, ricordare che non può parlarsi di discrezionalità tecnica (e
degli eventuali connessi limiti del sindacato giurisdizionale) nei casi in cui
il presupposto del provvedimento da adottare non sia una valutazione di fatti
suscettibili di vario apprezzamento alla stregua delle attuali conoscenze
scientifiche e specialistiche, ma semplicemente un accertamento tecnico, e cioè
l' accertamento di un fatto verificabile in modo non opinabile in base a
conoscenze di strumenti tecnici di sicura acquisizione; in tali casi, per quanto
sia necessario riferirsi a criteri di ordine tecnico, il provvedimento è
soggetto alla sindacabilità piena del giudice amministrativo, in particolare
sotto il profilo del travisamento dell'accertamento stesso (Cfr. Cons. St., IV,
12 dicembre 1996, n. 1299 e IV, 25 luglio 2003, n. 4251).
E’ opportuno, poi, premettere che nel caso di cui alla presente controversia –
come meglio si dirà più avanti - trova applicazione il principio generale di
proporzionalità; principio che, come è noto, si attaglia particolarmente alla
materia delle limitazione del diritto di proprietà, della attività di
autotutela, delle ordinanze di necessità ed urgenza, delle irrogazione di
sanzioni e, appunto, della tutela ambientale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22
marzo 2005, n. 1195): in base ad esso la pubblica amministrazione deve adottare
la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per
gli interessi compresenti e si risolve, in buona sostanza, nell'affermazione
secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con
atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà
del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè
sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il
raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare; in modo che il
provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire e
necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno
negativamente incidente, sia disponibile (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez.
VI, 6 marzo 2007, n. 1736).
In questo contesto va ricordato che l’art. 242 ( Procedure operative ed
amministrative) del D. Lgs. n. 152/06 così recita:
“8. 1 criteri per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e
ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per
l'individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C.
- Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle
normative comunitarie sono riportati nell'Allegato 3 alla parte quarta del
presente decreto”.
E’ significativo che il D. Lgs. n. 152/06 rimarchi, sotto il versante delle
tecniche di intervento, la importanza del principio comunitario della
sostenibilità dei costi: principio che, in buona sostanza, è correlato a quello
di proporzionalità.
Va soggiunto che alla stregua di un altro principio, cioè del principio di
precauzione, che trova origine nei procedimenti comunitari posti a tutela
dell’ambiente, è consentito all’amministrazione procedente adottare i
provvedimenti necessari laddove essa paventi il rischio di una lesione ad un
interesse tutelato anche in mancanza di un rischio concreto: è evidente che
questo secondo principio deve armonizzarsi, sul versante della concreta
applicazione, con il primo, cioè con il principio di proporzionalità; non
potendo chiaramente prefigurarsi la prevalenza del primo sul secondo, ma
dovendosi ricercare un loro equilibrato bilanciamento in relazione agli
interessi pubblici e privati in giuoco.
Corollario delle considerazioni testè svolte è – tra l’altro - che tutte le
decisioni adottate dalle competenti autorità in materia ambientale, e,
segnatamente (per quello che qui rileva) in materia di bonifica, devono essere
assistite – in relazione, per l’appunto, alla pluralità ed alla rilevanza degli
interessi in giuoco - da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che
tenga conto di una attività istruttoria parimente ineccepibile.
Inquadrato così lo spettro del possibile intervento giurisdizionale nella
materia de qua e passando ad esaminare le censure effuse con il terzo mezzo – da
esaminarsi congiuntamente per ragioni di economia processuale – il Collegio
osserva che, come fondatamente sostenuto dalla ricorrente, la conferenza di
servizi decisoria del 7.9.2006 non reca un puntuale giudizio circa il Progetto
esecutivo dell’opera di sbarramento mediante barriera permeabile reattiva, da
realizzarsi sul lato sud dell’area delle discariche e circa il Progetto
Preliminare di bonifica delle aree dello stabilimento di Torviscosa e dell’area
“Casse di colmata”, trasmessi dalla società Caffaro rispettivamente il 23.5.2006
ed il 12.5.2006: la conferenza si è limitata, infatti, a richiamare, oltre alle
decisioni delle precedenti conferenze del 13.10.2005 e del 13.3.2006, il parere
negativo espresso dalla conferenza di servizi istruttoria del 29.5.2006, senza,
però, esplicitarne il contenuto e senza chiarire le ragioni per cui questo
parere sarebbe stato meritevole di condivisione.
Le medesime considerazioni vanno svolte per quanto riguarda la conferenza di
servizi del 14.2.2007: essa, richiamandosi alle precedenti conferenze di servizi
istruttorie (tra cui quella del 30.10.2006) e decisorie, in relazione alle
integrazioni progettuali trasmesse dalla società Caffaro il 27.10.2006 ed il
29.12.2006, sulla base dei pareri degli Uffici della Direzione per la Qualità
della Vita nonché dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi
tecnici (A.P.A.T.), ha confermato le proprie decisioni.
Sotto il profilo dell’inadeguatezza
del congegno ostensivo, per l’appunto, va condivisa la censura attorea nella
parte in cui viene espressa dalla conferenza contrarietà al sistema “funnel &
gate” proposto dalla società istante, omettendo una precisa e circostanziata
indicazione delle concrete ragioni ostative: non potendo – de plano – essere
sussunte nello schema di siffatte ragioni alcune perplessità e richieste di
chiarimenti formulate dagli Uffici della Direzione per la Qualità della Vita.
Anche i pareri degli Uffici della Direzione per la Qualità della Vita nonché
dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (A.P.A.T.)
non si sottraggono ai rilievi attorei sotto il profilo motivazionale.
Come si è detto sopra, tutte le decisioni adottate dalle competenti autorità in
materia ambientale, e, segnatamente (per quello che qui rileva) in materia di
bonifica, devono essere assistite – in relazione, per l’appunto, alla pluralità
degli interessi in giuoco, che non sono di poco momento - da un apparato
motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di una attività
istruttoria parimente ineccepibile.
Ora, l’A.P.A.T., con nota del 30.11.2006 si è limitata a svolgere talune
osservazioni su aspetti specifici (analisi dei rischi da contaminazione,
modalità di rilevamento di quest’ultima, tecnologia di “Biosparging”, ecc.),
però non ha affrontato ex professo la questione – centrale – degli interventi
imposti dalle varie conferenze di servizi.
Gli Uffici della Direzione per la Qualità della Vita, a loro volta, sempre alla
luce dei principi generali di cui si è detto e dell’andamento decrescente dei
valori della contaminazione della falda (come risulta dagli atti di causa e come
sarà meglio precisato più avanti), avrebbero dovuto offrire una dimostrazione
stringente, in relazione alle zone nelle quali – come esattamente sottolineato
dalla deducente – può essere suddiviso il lato sud dello stabilimento - delle
ragioni per cui le proposte progettuali alternative della società non meritavano
condivisione: viceversa, gli Uffici si sono limitati a rappresentare una
indistinta esigenza dell’integrale marginamento fisico dell’intero stabilimento
e delle casse di colmata, in dipendenza dell’asserita (ma non sufficientemente
dimostrata) inadeguatezza del sistema “funnel & gate”.
Va sottolineato, quanto alle zone di cui si è fatto sopra cenno, che in
relazione al tratto orientale, lungo il “fronte discariche interne”, la società
sta già realizzando un diaframma parziale, come da progetto trasmesso il
23.5.2006; per l’altro segmento – quello centrale – lungo il fronte vasche peci
tolueniche (considerate le fonti della contaminazione e che erano state
interamente rimosse al 31.12.2005), esiste già una barriera realizzata su
esplicita richiesta della conferenza di servizi del 10.12.2003; quanto al
segmento “ovest”, non risulta una contaminazione di tipo antropico della falda
esterna (piezometri SP9, SP8 ed SP20), ma solo un superamento dei limiti
tabellari per il ferro ed il manganese.
Va, altresì, sottolineato, in generale, che la conferenza di servizi del
14.2.2007 si è basata su campagne di monitoraggio delle acque di falda
effettuata nel corso del 2006 (onde verificare il rispetto dei limiti fissati
dall’allegato 5 al Titolo V, Parte Quarta, del D.Lgs. n. 152 del 2006): pare al
Collegio che le decisioni della conferenza di servizi si sarebbero dovute basare
su dati più aggiornati (anche in relazione alla evoluzione positiva della
situazione di inquinamento, quale risulta dagli atti di causa).
In conclusione – assorbiti gli altri profili - la imposizione, attraverso la
richiesta di presentazione di progetti ad hoc, del “marginamento fisico
perimetrale integrale” dell’area, “a cominciare dall’intera lunghezza del lato
Sud dello stabilimento, esteso da Via Vittorio Veneto (Roggia Zuina) a Villa
Dotti”, nonché del “marginamento fisico integrale” dell’area ““Casse di colmata”
si appalesa illegittima, con il conseguente annullamento, in parte qua, dei due
decreti impugnati e delle relative decisioni delle conferenze di servizi.
Va, altresì, condiviso l’assunto relativo alla assenza di riscontri
giustificativi, nei verbali del 7.9.2006 e del 14.2.2007, circa il diniego di
confinare in una messa di sicurezza permanente interna al sito de quo i rifiuti
non pericolosi e i suoli contaminati derivanti dalla bonifica dello
stabilimento.
La decisione, inoltre, non apprezza convenientemente la estensione dell’area
(circa 141 ettari, pari a 1.410.000 mq.), atta a raccogliere i rifiuti e non
tiene in debito conto non solo il principio della sostenibilità dei costi, ma
anche la difficoltà obbiettiva di reperire delle discariche idonee, nonché il
principio – ora codificato dall’allegato 3 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs.
n. 152 del 2006 - che postula la esigenza che siano privilegiate le tecniche di
bonifica tendenti a trattare e riutilizzare il suolo contaminato in situ.
Di qui la illegittimità, in parte qua, dei due decreti impugnati e dei verbali
suindicati.
Sotto gli altri profili dedotti dalla ricorrente, il gravame non merita, invece,
condivisione.
Il Collegio ritiene che, fatta eccezione per quello che si è detto sopra in
ordine agli specifici punti ivi considerati, circa la violazione dell’art. 10,
comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990, nonché la carenza di istruttoria e
difetto di motivazione, con riferimento all’obbligo per l’amministrazione di
valutare le memorie scritte e i documenti presentati dai partecipanti, purché
pertinenti, non siano ravvisabili vizi: in particolare, in base ai principi
generali non si rendeva necessaria la puntuale confutazione delle ragioni
espresse dal ricorrente e, inoltre, risulta dagli atti del procedimento che le
stesse siano state sufficientemente vagliate dall’Amministrazione.
Non può, poi, fondatamente confutarsi che la ricorrente abbia potuto
regolarmente interloquire con l’autorità amministrativa, producendo atti e
memorie finalizzati a rappresentare il suo punto di vista.
In particolare, quanto al dedotto eccesso di potere per carenza di istruttoria e
difetto di motivazione, se si escludono i passaggi procedimentali sopra
censurati, non sembra al Collegio che la tesi attorea possa venire condivisa,
posto che la attività istruttoria e quella decisionale si appalesano congrue.
Va, però, condiviso il quarto motivo, con il quale la ricorrente sostiene che,
con riferimento all’area dello stabilimento ed all’area delle “casse di
colmata”, sarebbe state violato il principio di proporzionalità.
Si è visto che nella presente controversia trova pacifica applicazione questo
principio, che si attaglia particolarmente alla materia delle limitazione al
diritto di proprietà, della attività di autotutela, delle ordinanze di necessità
ed urgenza, delle irrogazione di sanzioni e, appunto, della tutela ambientale
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2005, n. 1195). In base ad esso la pubblica
amministrazione deve adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il
minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve, in buona
sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non
possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e
restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in
misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel
pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a
realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato
all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento
ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (cfr., tra
le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2007, n. 1736).
Va soggiunto che alla stregua del principio di precauzione, che trova origine
nei procedimenti comunitari posti a tutela dell’ambiente, è consentito
all’amministrazione procedente di adottare i provvedimenti necessari laddove
paventi il rischio di una lesione ad un interesse tutelato anche in mancanza di
un rischio concreto: è evidente che questo secondo principio deve armonizzarsi,
sul versante della concreta applicazione, con il primo, cioè con il principio di
proporzionalità; non potendo chiaramente prefigurarsi la prevalenza del primo
sul secondo, ma un loro equilibrato bilanciamento in relazione agli interessi
pubblici e privati in giuoco.
Corollario delle considerazioni testè svolte è – tra l’altro - che tutte le
decisioni adottate dalle competenti autorità in materia ambientale, e,
segnatamente, in materia di inquinamento, devono essere assistite – in
relazione, per l’appunto, agli interessi in giuoco, che non sono di poco momento
- da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di una
attività istruttoria parimente ineccepibile.
Ora, avuto riguardo al fatto che le
opposte statuizioni comporterebbero un esborso imponente a carico della società
(circa € 163.000.000 per i prossimi dieci anni, in aggiunta ai costi già
sostenuti di € 12.000.000; circa € 49.000.000 dovrebbero essere destinati alla
cinturazione dello stabilimento ed € 42.000.000 agli interventi sulle casse di
colmata), pare al Collegio che andasse fatta una rigorosa applicazione dei
principi di cui si è detto, attraverso una motivazione particolarmente
stringente che apprezzasse convenientemente tutti gli interessi in questione.
Trattasi di esborso che inciderebbe in modo pesante sul fatturato della società,
come dimostrato dai dati contabili effusi dalla società stessa per dimostrarne
la insostenibilità a mente del principio di proporzionalità e di quello della
sostenibilità dei costi.
A questo proposito va detto che i costi discendenti dagli interventi complessivi
preventivati dalla società ammonterebbero, invece, ad € 67-68.000.000 e la
distribuzione nei dieci anni indicati dalla stessa società comporterebbe il
vantaggio di consentire lo svincolo delle aree bonificate.
Alla stregua di queste osservazioni non pare fondatamente contestabile che la
Autorità procedente avrebbe dovuto, quanto meno, svolgere delle appropriate
valutazioni in ordine all’aspetto dei costi/benefici.
Questa motivazione non emerge dai verbali delle conferenze di servizi, di talchè,
anche sotto questo profilo gli atti impugnati, in parte qua, vanno caducati.
Riguardo al lamentato avvalimento tardivo di ARPAT ed ARPA (o addirittura
posteriore) rispetto all’istruttoria gestita dal Ministero dell’ambiente, va
ricordato che il Ministero, alla luce dell’art. 252, comma 4 del D. Lgs. n. 152
del 2006, rappresenta il soggetto istituzionalmente preposto al procedimento di
bonifica, e, in quanto tale, “può avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle Agenzie regionali per la
protezione dell'ambiente delle regioni interessate e dell'Istituto superiore di
sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati”.
Pertanto, non esiste un obbligo giuridicamente rilevante, ma una semplice
facoltà di avvilimento di soggetti terzi in sede istruttoria.
Il quinto motivo si sostanzia nel vizio di:
Eccesso di potere per disparità di trattamento. Violazione dell’art. 97 della
Costituzione.
La censura va disattesa.
La ricorrente lamenta una disparità di trattamento rispetto ad un’analoga
situazione relativa alla bonifica di un sito inquinato di interesse nazionale
esistente in un’altra Regione, per la quale il Ministero dell’Ambiente,
nell’ambito della medesima procedura di Conferenza di servizi decisoria, avrebbe
approvato un progetto di intervento per la bonifica del sito, incentrato sulla
realizzazione di una modalità di bonifica – realizzazione di una barriera
idraulica – negata invece nel caso della vicenda oggetto del presente ricorso.
Osserva il Collegio che per configurare il vizio di eccesso di potere per
disparità di trattamento è necessario che sussista un rapporto di assoluta
coincidenza fra la situazione dedotta in giudizio e quella richiamata come
termine di paragone, in modo da dimostrare l'esistenza nella condotta
dell'Amministrazione della lamentata disuguaglianza di trattamento e di un
contrasto logico insanabile o di una palese ingiustizia (Cfr. Cons. Stato, V
Sez., 6 maggio 1997, n. 476; T.A.R. Toscana, 20 marzo 2003, 1064).
Nel caso di specie questa situazione non è – de plano – ravvisabile, eppertanto
non è configurabile il vizio de quo.
Con il sesto motivo sono stati dedotti i seguenti vizi:
Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto, illogicità e manifesta
irragionevolezza. Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti della
pubblica amministrazione, per carenza di istruttoria e per difetto di
motivazione. Violazione dell’articolo 1, comma 2 della legge 241/1990 (con
riferimento all’area interessata dalle opere di interconnessione con la nuova
centrale termoelettrica).
Va premesso che le aree interessate dalle opere di interconnessione con la nuova
centrale idroelettrica, esterna allo stabilimento Caffaro, sono state oggetto di
una procedura accelerata di bonifica.
La società ricorrente assume che la prescrizione di presentare il progetto
definitivo di bonifica delle acque di falda delle aree attraversate da tali
opere di interconnessione “ai fini dello svincolo”, imposta dalle conferenze di
servizi del 13.10.2005, 13.3.2006 e 7.9.2006 è in contraddizione logica e
materiale con l’approvazione del progetto definitivo di bonifica delle intere
aree attraversate dalle medesime; più specificatamente, sottolinea il fatto che
la conferenza di servizi decisoria del 27.4.2005 aveva approvato il progetto
definitivo di bonifica per le aree in questione a condizione che fossero state
osservate le prescrizioni ivi indicate, tra cui quella secondo cui “la
realizzazione di nuovi impianti non deve compromettere la messa in sicurezza
d’emergenza e la bonifica delle acque sotterranee” e rinviava la bonifica delle
medesime acque sotterranee ad un secondo momento; pertanto, in un primo tempo
(verbale della conferenza del 27.4.2005), sarebbe stato approvato un progetto
definitivo, relativo all’area interessata dalle opere di interconnessione, ma
successivamente (verbale della conferenza del 13.10.2005) sarebbe stato chiesto
un progetto definitivo anche per la bonifica delle acque sotterranee.
Le prospettazioni non meritano ingresso.
Le conferenze di servizi suindicate hanno chiesto che fosse presentato, ai fini
dello svincolo, il progetto definitivo di bonifica delle acque di falda delle
aree attraversate dalle opere di interconnessione con la nuova centrale
termoelettrica.
La conferenza di servizi decisoria del 27.4.2005 – osserva il Collegio - aveva
“ritenuto approvabile” il progetto definitivo di bonifica per le aree in
questione a condizione che fossero state osservate alcune prescrizioni: la
formula usata – ancorché non perspicua - legittima il convincimento che, in
realtà, la conferenza avesse adottato una decisione interlocutoria e non
definitiva.
La censurata richiesta di presentare il progetto definitivo è, peraltro,
sostanzialmente in linea con quanto previsto dall’art. 12 del D.M. n. 471/1999.
Inoltre, dato che le opere di
interconnessione erano state già realizzate, la restituzione dell’area ad un uso
legittimo richiedeva che fosse intervenuta una bonifica definitiva del luogo, in
modo che le caratteristiche del sito fossero corrispondenti alla destinazione
d’uso prevista dallo strumento urbanistico e non comportassero rischi per la
salute e per l’ambiente, come stabilito dal citato art. 12.
Questa disposizione così recita:
“Controlli.
1. La documentazione relativa al Piano della caratterizzazione, al Progetto
preliminare, al Progetto definitivo, comprensivo delle misure di sicurezza, dei
monitoraggi da effettuare, delle limitazioni d'uso e delle prescrizioni
eventualmente dettate, sono trasmessi alla Provincia ai fini dell'effettuazione
dei controlli sulla conformità degli interventi ai progetti approvati.
2. Il completamento degli interventi di bonifica e ripristino ambientale e la
conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla Provincia
mediante apposita certificazione predisposta in conformità ai criteri ed ai
contenuti indicati nell'Allegato 5. Il completamento degli interventi di messa
in sicurezza permanente e la conformità degli stessi al progetto approvato non
può comunque essere accertato se non decorsi cinque anni dall'effettuazione del
primo controllo ai sensi del comma 4.
3. La certificazione di cui al comma 2 costituisce titolo per lo svincolo delle
garanzie finanziarie di cui all'articolo 10, comma 9.
4. Per gli interventi di cui agli articoli 5 e 6 la Provincia è altresì tenuta
ad effettuare controlli e verifiche periodiche sull'efficacia delle misure di
sicurezza adottate e degli interventi di messa in sicurezza permanente, anche al
fine di accertare, con cadenza almeno biennale, che le caratteristiche del sito
sottoposto ai predetti interventi siano corrispondenti alla destinazione d'uso
prevista e non comportino rischi per la salute e per l'ambiente, tenuto anche
conto delle conoscenze tecniche e scientifiche nel frattempo intervenute”.
Pertanto, non si ravvisa nessun elemento di contraddittorietà nell’operato della
Autorità agente o comunque nessuno dei vizi dedotti; anche perché il tenore
delle prescrizioni contenute nei verbali delle conferenze dei servizi del
15.12.2004 e del 27.4.2005 (“la prevista realizzazione di nuovi impianti
sull’area non dovrà compromettere la messa in sicurezza di emergenza e la
bonifica delle acque sotterranee”) non porta a ritenere la sussistenza di una
successione temporale tra la bonifica delle aree interessate alle opere di
interconnessione e quella delle acque sotterranee; tutt’al più è indicativa
della circostanza che la realizzazione delle opere di interconnessione non
doveva pregiudicare la bonifica delle acque sotterranee.
Il settimo mezzo si sostanzia nella denuncia dei seguenti vizi:
Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 264 e 265, comma 4 del D. Lgs.
152/2006. Errore nell’applicazione di norme abrogate.
La ricorrente assume che, alla luce delle disposizioni rubricate, erroneamente
non è stata fatta applicazione della normativa di cui all’art. 242, comma 4 del
D.lgs n. 152/2006, entrato in vigore il 29.4.2006, ma si è continuato ad
applicare la pregressa normativa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 ed il D.M. n.
471/1999.
La tesi non ha pregio.
Il Collegio osserva che l’art. 242, comma 4 riguarda la procedura di analisi di
rischio, e prevede livelli differenziati di contaminazione che, solo in parte,
rispecchiano quelli fissati dal D.M. n. 471/99: il primo denominato “CSC”
(“concentrazione soglia di contaminazione”: art. 240 lett. b.) e il secondo
“CSR” (“concentrazione soglia di rischio”: art. 240 lett. c.); il sito di
riferimento è qualificato “contaminato” solo se sia superata la soglia “CSR”
mentre se risulta superata quella “CSC” (coincidente con i valori limite prima
previsti dall’allegato 1 del D.M. n. 471/99) l’area è definita “potenzialmente
contaminata” e può quindi usufruire, ai sensi dell’art. 240 lett. f) del D.lgs
n. 152/2006, del trattamento riservato ai terreni “non contaminati”.
Ora, il 29.4.2006 è entrato in vigore il D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale
nella Parte quarta e relativi allegati (in particolare Allegati al Titolo V –
Bonifica dei siti inquinati), disciplina la materia relativa alla gestione dei
rifiuti e alla bonifica dei siti inquinati, sostituendo il D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22 come norma quadro di riferimento in materia.
L’art. 264, lettera i), del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ha abrogato il D. Lgs.
n. 22/1997, ma non anche il D.M. n. 471/1999, in quanto stabilisce che i
provvedimenti attuativi del D.Lgs. n. 22 del 1997 continuino ad applicarsi sino
alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi
previsti dalla parte IV del decreto legislativo.
Di conseguenza bisogna distinguere tra le norme sulle bonifiche dei siti
inquinati immediatamente sostituite dal nuovo decreto legislativo e quelle che
continuano ancora ad applicarsi, fino all’emanazione dei nuovi decreti
attuativi.
Questa conclusione è avvalorata dal fatto che le norme transitorie del D. Lgs.
n. 152 del 2006 (tra cui l’art. 265) fanno espressamente salvi i decreti
attuativi emanati in base all’abrogato D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 fino
all'emanazione dei corrispondenti nuovi decreti.
Orbene, ritiene il Collegio che l’art. 242 e le disposizioni ad esso correlate,
in parte qua, cioè nelle parti di cui si sta parlando, relative alla procedura
di rilevazione della contaminazione, si applichino solo ai procedimenti posti in
essere successivamente alla entrata in vigore del D. Lgs. n. 152 del 2006: a
favore di questa lettura militano argomenti incentrati sulla chiara ed
inequivocabile formulazione letterale dell’art. 242.
Esso così recita:
“Procedure operative ed amministrative.
1. Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il
sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le
misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con
le modalità di cui all'articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica
all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora
comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
2. Il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie misure di
prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine
preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti che il
livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato
superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con
apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per
territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L'autocertificazione
conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando
le attività di verifica e di controllo da parte dell'autorità competente da
effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in cui l'inquinamento non
sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere
individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività
ivi svolte nel tempo.
3. Qualora l'indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l'avvenuto
superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile
dell'inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti
per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in
sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle
predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente il
piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 alla parte
quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione,
convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con
eventuali prescrizioni integrative. L'autorizzazione regionale costituisce
assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad
ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione.
4. Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la
procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle
concentrazioni soglia di rischio (CSR). I criteri per l'applicazione della
procedura di analisi di rischio sono riportati nell'Allegato 1 alla parte quarta
del presente decreto. Entro sei mesi dall'approvazione del piano di
caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla regione i risultati
dell'analisi di rischio. La conferenza di servizi convocata dalla regione, a
seguito dell'istruttoria svolta in contraddittorio con il soggetto responsabile,
cui è dato un preavviso di almeno venti giorni, approva il documento di analisi
di rischio entro i sessanta giorni dalla ricezione dello stesso. Tale documento
è inviato ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima
della data fissata per la conferenza e, in caso di decisione a maggioranza, la
delibera di adozione fornisce una adeguata ed analitica motivazione rispetto
alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.
5 Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la
concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle
concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l'approvazione
del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il
procedimento. In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo
svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione
della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell'analisi di rischio e
all'attuale destinazione d'uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile,
entro sessanta giorni dall'approvazione di cui sopra, invia alla provincia ed
alla regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono
individuati:
a) i parametri da sottoporre a controllo;
b) la frequenza e la durata del monitoraggio.
6. La regione, sentita la provincia, approva il piano di monitoraggio entro
trenta giorni dal ricevimento dello stesso. L'anzidetto termine può essere
sospeso una sola volta, qualora l'autorità competente ravvisi la necessità di
richiedere, mediante atto adeguatamente motivato, integrazioni documentali o
approfondimenti del progetto, assegnando un congruo termine per l'adempimento.
In questo caso il termine per l'approvazione decorre dalla ricezione del
progetto integrato. Alla scadenza del periodo di monitoraggio il soggetto
responsabile ne dà comunicazione alla regione ed alla provincia, inviando una
relazione tecnica riassuntiva degli esiti del monitoraggio svolto. Nel caso in
cui le attività di monitoraggio rilevino il superamento di uno o più delle
concentrazioni soglia di rischio, il soggetto responsabile dovrà avviare la
procedura di bonifica di cui al comma 7.
7. Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la
concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di
concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla
regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di
rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in
sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di
riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad
accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel
sito. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati
mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile,
approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta
giorni dal suo ricevimento. Tale termine può essere sospeso una sola volta,
qualora la regione ravvisi la necessità di richiedere, mediante atto
adeguatamente motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto,
assegnando un congruo termine per l'adempimento. In questa ipotesi il termine
per l'approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto
integrato. Ai soli fini della realizzazione e dell'esercizio degli impianti e
delle attrezzature necessarie all'attuazione del progetto operativo e per il
tempo strettamente necessario all'attuazione medesima, l'autorizzazione
regionale di cui al presente comma sostituisce a tutti gli effetti le
autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e
gli assensi previsti dalla legislazione vigente compresi, in particolare, quelli
relativi alla valutazione di impatto ambientale, ove necessaria, alla gestione
delle terre e rocce da scavo all'interno dell'area oggetto dell'intervento ed
allo scarico delle acque emunte dalle falde. L'autorizzazione costituisce,
altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di
urgenza ed indifferibilità dei lavori. Con il provvedimento di approvazione del
progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le
eventuali prescrizioni necessarie per l'esecuzione dei lavori ed è fissata
l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per
cento del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore
della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi
medesimi.
8. 1 criteri per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e
ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per
l'individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C.
- Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle
normative comunitarie sono riportati nell'Allegato 3 alla parte quarta del
presente decreto,
9. La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati con attività
in esercizio, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed
impedisce un'ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in
sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio
dell'efficacia delle misure adottate ed indicano se all'atto della cessazione
dell'attività si renderà necessario un intervento di bonifica o un intervento di
messa in sicurezza permanente.
10. Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino
ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l'obbligo
di garantire la tutela della salute pubblica e dell'ambiente, in sede di
approvazione del progetto assicura che i suddetti interventi siano articolati in
modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione della attività.
11. Nel caso di eventi avvenuti anteriormente all'entrata in vigore della parte
quarta del presente decreto che si manifestino successivamente a tale data in
assenza di rischio immediato per l'ambiente e per la salute pubblica, il
soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune
competenti l'esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di
caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l'entità e l'estensione con
riferimento ai parametri indicati nelle CSC ed applica le procedure di cui ai
commi 4 e seguenti.
12. Le indagini ed attività istruttorie sono svolte dalla provincia, che si
avvale della competenza tecnica dell'Agenzia regionale per la protezione
dell'ambiente e si coordina con le altre amministrazioni.
13. La procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di
bonifica si svolge in Conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita
dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi,
autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel
piano e nel progetto. La relativa documentazione è inviata ai componenti della
conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la
discussione e, in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve
fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni
dissenzienti espresse nel corso della conferenza. Compete alla provincia
rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica. Qualora la provincia non
provveda a rilasciare tale certificazione entro trenta giorni dal ricevimento
della delibera di adozione, al rilascio provvede la regione”.
I successivi artt. 264, comma 1 e 265, comma 4, a loro volta, così dispongono:
Art. 264 “Abrogazione di norme.
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente
decreto restano o sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente
decreto prevede l'ulteriore vigenza:
[…….]
i) il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non
vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa
a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti
attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad
applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti
attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto; […….].“
Art. 265 “Disposizioni transitorie.
4. Fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della
parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può
essere presentata all'autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di
rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri
definiti dalla parte quarta del presente decreto. L'autorità competente esamina
la documentazione e dispone le varianti al progetto necessarie”.
Non giova alla ricorrente il richiamo al regime transitorio introdotto dal D.
Lgs. 152/2006, laddove, al richiamato art. 265, comma 4, è detto che, ad
eccezione degli interventi già conclusi, entro 180 giorni dall'entrata in vigore
del T.U. “può essere presentata all'autorità competente adeguata relazione
tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla
base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto. L’autorità
competente esamina la documentazione e dispone le varianti al progetto
necessarie”: la disposizione, infatti, lungi dallo stabilire la continuazione
della procedura secondo i nuovi moduli previsti dal D. Lgs. 152/2006, si limita
ad attribuire all’interessato una speciale facoltà.
L’ottavo ed ultimo mezzo è così rubricato:
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 243 del D. Lgs. 152/2006. Eccesso di
potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Inapplicabilità della
normativa sui rifiuti alle acque emunte.
La ricorrente impugna in parte qua il verbale della conferenza decisoria del
7.9.2006 ed il relativo decreto ministeriale di determinazione conclusiva del
3.5.2007, affermando che le determinazioni assunte in sede di conferenza
sarebbero illegittime nella parte in cui, nel pronunciarsi circa la messa in
sicurezza di emergenza della falda (punto 1 all’o.d.g., lettera A) – pag. 3
verbale) hanno imposto che l’impianto di trattamento delle acque emunte
assicuri, allo scarico, il rispetto dei limiti di cui all’Allegato I – Tabella
“Acque sotterranee” del D.M. 471 del 1999, salva l’ipotesi del riutilizzo delle
acque nel ciclo produttivo.
La censura è fondata.
Osserva il Collegio che erroneamente l’Autorità procedente ha qualificato le
acque emunte come rifiuti, essendo esse riconducibili, in realtà, al paradigma
delle acque reflue di provenienza industriale, a termini dell’art. 243, comma 1
del D.Lgs. n. 152 del 2006, secondo cui:
“Acque di falda.
Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi
di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere
state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto
dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui
al presente decreto”.
Pertanto, i limiti da rispettare sono quelli della emissione in acque reflue
industriali in acque superficiali, di cui alla tabella 3 dell’allegato 5 della
Parte III del D.Lgs. n. 152 del 2006 e non è necessaria la autorizzazione di cui
agli artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 22 del 1997.
Va soggiunto che, peraltro, nessun ragguaglio esplicativo è desumibile dalle
impugnate determinazioni.
Pertanto, il decreto e la decisione della conferenza di servizi vanno caducate
nella parte suddetta.
Con motivi aggiunti notificati il 23.10.2007 la società Caffaro s.r.l.
ha chiesto l’annullamento in parte qua:
del decreto 26 settembre 2007, Prot. n. 3938/QdV/DI/B a firma del Direttore
generale della Direzione qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del Mare, recante la approvazione delle prescrizioni
stabilite nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007;
di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, inclusi il verbale della
conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007 nonché della comunicazione
del Ministero dell’Ambiente Prot. 25328/QdV/DI/VII/VIII/XII del 28 settembre
2007.
La società ricorrente insorge contro le seguenti determinazioni contenute nel
verbale della conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007:
1° punto all’ordine del giorno, lettera A) Progetto definitivo di bonifica della
falda mediante marginamento fisico dell’intero stabilimento;
1° punto all’ordine del giorno, lettera B) Area “Casse di colmata” – richiesta
di un progetto di marginamento fisico integrale dell’area;
1° punto all’ordine del giorno, lettera C) Aree critiche oggetto di interventi
di messa in sicurezza di emergenza all’interno dello Stabilimento Caffaro
S.r.l.; richiesta di: a) realizzare un sistema di confinamento fisico esteso da
Via Vittorio Veneto (Roggia Zuina) a Villa Diotti; b) sottoporre l’impianto per
il trattamento delle acque emunte alla autorizzazione in materia di rifiuti; c)
rispettare per quanto riguarda l’impianto per il trattamento delle acque emunte
i limiti di cui alla tabella 2 “Acque sotterranee”, allegato 5, titolo V, Parte
IV del D.Lgs. n. 152 del 2006, salvo il caso di riutilizzo (nel quale non
rientrerebbe l’utilizzo delle acque come acque di raffreddamento);
1° punto all’ordine del giorno, lettera E) Aree interne allo stabilimento
Caffaro di Torviscosa caratterizzate a stralcio: richiesta di presentare il
progetto definitivo di bonifica delle acque di falda delle aree attraversate
dalle opere di interconnessione con la nuova Centrale Termoelettrica, ai fini
dello svincolo delle aree medesime.
La società ha impugnato, altresì, la comunicazione del Ministero dell’Ambiente
Prot. 25328/QdV/DI/VII/VIII/XII del 28 settembre 2007, con la quale erano state
anticipate le conclusioni del verbale del 26.7.2007.
La ricorrente premette di aver presentato il 22.7.2007 una integrazione del
progetto preliminare di bonifica, sulla base – soprattutto – di alcuni rilievi
espressi dall’Istituto pubblico olandese di ricerca scientifica applicata,
specializzato nel campo delle bonifiche TNO Built Environment and Geosciences:
il progetto prevedeva – quale messa in sicurezza d’emergenza, con un onere
aggiuntivo di € 15.000.000 – l’eventuale completamento del marginamento fisico
lungo il lato sud (in caso di inefficacia del sistema di trattamento in situ
“funnel & gate”), la realizzazione di un nuovo tratto di confinamento fisico
delle acque sotterraneee lungo il confine nord, il marginamento fisico di tutta
l’area delle discariche , l’installazione di pozzi di emungimento e di sistemi
di trattamento delle acque sotterranee.
A sostegno dei motivi aggiunti la ricorrente ha riproposto tutte le censure
contenute nel ricorso originario, fatta eccezione per quelle contenute nel primo
dei motivi dedotti con il ricorso stesso, che sono state stralciate (considerata
la peculiarità del provvedimento ivi impugnato); in aggiunta, ha dedotto il
vizio di difetto di istruttoria e di motivazione in relazione al parere del TNO
ed alla proposta integrativa di bonifica.
Osserva il Collegio, in via preliminare, che le impugnate prescrizioni,
contenute nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007
riproducono nella sostanza le precedenti prescrizioni, contenute nei verbali
impugnati con il gravame originario.
Nella parte in cui i motivi aggiunti ripetono censure generali – come quelle sul
procedimento ovvero censure specifiche in relazione a parti dei provvedimenti
impugnati rimaste immutate – si possono ribadire – mutatis mutandis – le
considerazioni svolte in sede di ricorso originario.
Ciò posto, in rito, i motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili nei
confronti della comunicazione del Ministero dell’Ambiente Prot. 25328/QdV/DI/VII/VIII/XII
del 28 settembre 2007, la quale si atteggia ad atto di mera comunicazione
illustrativa.
Passando all’esame dei motivi che si appuntano sulle singole determinazioni
della conferenza di servizi del 26.7.2007, il Collegio osserva che la prima è
quella di cui al 1° punto all’ordine del giorno, lettera A) Progetto definitivo
di bonifica della falda mediante marginamento fisico dell’intero stabilimento
(per un perimetro di oltre 6 chilometri).
Le censure meritano ingresso.
Esse si sostanziano nella denuncia dei vizi di violazione di legge e di eccesso
di potere sotto vari profili.
Il Collegio osserva – in via prioritaria ed assorbente - che è ravvisabile il
difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo la conferenza di servizi
effuso dei puntuali referti giustificativi a sostegno del parere negativo
espresso in ordine all’elaborato integrativo del progetto preliminare di
bonifica prodotto dalla società Caffaro con nota del 21.6.2007.
La conferenza, in realtà, si è limitata a richiamare quattro osservazioni
negative svolte dagli Uffici della Direzione per la Qualità della Vita, le
quali, però, riguardano solo alcuni aspetti tecnici delle proposte alternative
formulate dalla società, e, segnatamente: il diaframma fisico; la priorità degli
interventi e i tempi di realizzazione (circa 10 anni); il trattamento in situ
mediante biosparging; il rispetto dei limiti di cui alla tabella 2 “Acque
sotterranee”, allegato 5, titolo V, Parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006, salvo
il caso di riutilizzo (nel quale non rientrerebbe l’utilizzo delle acque come
acque di raffreddamento).
Non solo.
Le suddette osservazioni, per la loro sinteticità e genericità, non sono da
ritenersi, a loro volta, supportate da un apparato giustificativo sufficiente.
Ed invero, il cenno alla non condivisibilità, da parte della conferenza, del
condizionamento della realizzazione del diaframma fisico all’esito negativo del
trattamento in situ delle acque sotterranee non può essere chiaramente sussunto
tra i motivi ostativi alla progettazione integrativa; il parere negativo circa
la priorità degli interventi ed i tempi di realizzazione (circa 10 anni) è
generico e non tiene conto della complessità degli interventi, nonché di una
situazione di inquinamento che, in base alle ultime rilevazioni, non è omogenea
e presenta dei significativi segnali di miglioramento (v. i dati provenienti dai
piezometri SP22, SP23, SP32, PV, SP9, SP8, SP20) ; il riferimento al trattamento
in situ mediante biosparging non attiene al nucleo fondamentale dell’impianto
progettuale proposto dalla società Caffaro; la questione del rispetto dei limiti
di cui alla tabella 2 “Acque sotterranee”, allegato 5, titolo V, Parte IV del
D.Lgs. n. 152 del 2006, salvo il caso di riutilizzo (nel quale non rientrerebbe
l’utilizzo delle acque come acque di raffreddamento), si appalesa ultronea
rispetto a quella del marginamento fisico integrale.
Avuto riguardo anche al principio di proporzionalità, di cui si è parlato in
sede di ricorso originario, in relazione alla reale contingente situazione di
inquinamento nelle singole zone dell’area considerata ed ai costi rilevantissimi
dell’intervento di bonifica, sembra al Collegio che la conferenza avrebbe dovuto
esternare un rigoroso e circostanziato apparato giustificativo a sostegno del
rigetto delle proposte progettuali alternative formulate dalla società sulla
base anche – come si è detto – di alcuni rilievi espressi dall’Istituto pubblico
olandese di ricerca scientifica applicata, specializzato nel campo delle
bonifiche TNO Built Environment and Geosciences.
Sotto i profili considerati – assorbiti gli altri profili – le doglianze attoree meritano condivisione e gli atti impugnati vanno consequenzialmente annullati in parte qua.
La seconda decisione impugnata è quella di cui al 1° punto all’ordine del
giorno, lettera B) Area “Casse di colmata” – richiesta di un progetto di
marginamento fisico integrale dell’area (per un perimetro di circa 1,8
chilometri).
Le doglianze vanno condivise.
Anche qui è ravvisabile un evidente difetto di istruttoria e di motivazione,
posto che la conferenza di servizi ha omesso una approfondita disamina delle
proposte alternative (in particolare, la messa in sicurezza permanente di tutti
i fanghi mercuriali in una delle due casse dopo una idonea riduzione volumetrica
dei fanghi medesimi); si è limitata a riportare lo studio del TNO in ordine alla
possibile insufficienza del livello argilloso ad impedire la percolazione e il
superamento del livello stesso da parte del mercurio (sotto forma anche di
metilmercurio).
Osserva il Collegio che il suddetto riferimento, in realtà, riguarda la
inaffidabilità del marginamento fisico prescritto dalla conferenza e, comunque,
non è idoneo a sopperire all’assenza degli indispensabili referti motivazionali
circa le proposte della società, che si sostanziano nella impermealizzazione
delle vasche.
Gli atti impugnati, conseguentemente, vanno annullati in parte qua.
La terza determinazione è quella che figura al 1° punto all’ordine del giorno,
lettera C) Aree critiche oggetto di interventi di messa in sicurezza di
emergenza all’interno dello Stabilimento Caffaro S.r.l.; rinnovo da parte della
Conferenza di servizi della richiesta di: a) realizzare un sistema di
confinamento fisico esteso da Via Vittorio Veneto (Roggia Zuina) a Villa Diotti;
b) sottoporre l’impianto per il trattamento delle acque emunte alla
autorizzazione in materia di rifiuti; c) rispettare per quanto riguarda
l’impianto per il trattamento delle acque emunte i limiti di cui alla tabella 2
“Acque sotterranee”, allegato 5, titolo V, Parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006,
salvo il caso di riutilizzo (nel quale non rientra l’utilizzo delle acque come
acque di raffreddamento).
Circa il confinamento fisico si è già detto più sopra; così pure per quanto
riguarda i punti b) e c), anche in sede di esame del ricorso originario.
Le doglianze, in definitiva, vanno accolte, con il conseguente annullamento
delle decisioni impugnate in parte qua.
La quarta ed ultima decisione è quella di cui al 1° punto all’ordine del giorno,
lettera E) Aree interne allo stabilimento Caffaro di Torviscosa caratterizzate a
stralcio: richiesta di presentare il progetto definitivo di bonifica delle acque
di falda delle aree attraversate dalle opere di interconnessione con la nuova
Centrale Termoelettrica, ai fini dello svincolo delle aree medesime.
Le censure sono inammissibili.
La opposta decisione è, infatti, meramente confermativa della precedente
decisione assunta in data 7.9.2006.
In conclusione, alla stregua delle complessive considerazioni che precedono, il
ricorso ed i motivi aggiunti vanno in parte accolti, con il conseguente
annullamento, in parte qua, degli atti impugnati e in parte vanno respinti o
dichiarati inammissibili, ut supra.
Le spese del giudizio, sussistendone le giuste ragioni, possono venire
compensate nella loro integralità.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia,
definitivamente pronunziando sul ricorso e sui motivi aggiunti in premessa,
respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
in parte li respinge, in parte li dichiara inammissibili e in parte li accoglie,
come in motivazione, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, anch’essi
indicati in motivazione.
Spese compensate.
Condanna le parti soccombenti, in solido tra loro, alla rifusione del contributo
unificato alla società ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, del
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 12/12/2007 con
l'intervento dei signori:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Lorenzo Stevanato, Consigliere
Vincenzo Farina, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it