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TAR SICILIA, Catania, Sez. I, 29 gennaio 2008, sentenza n. 206
INQUINAMENTO - Siti contaminati interessati da procedure fallimentari - Accordo
di programma di cui all'art. 1, cc. 434-437 della L. 266/2005 - Presupposti -
Inadempimento degli obblighi di bonifica in capo alla curatela - Responsabilità
per dolo o colpa. Per poter pervenire all’applicazione dell’istituto di cui
all’art. 1, commi da 434 a 437 della l. 266/2005, devono concorrere più
requisiti che dovranno essere oggetto di puntuale apprezzamento da parte della
P.A.: primo tra tali requisiti è l’inadempimento degli obblighi di bonifica in
capo alla curatela fallimentare, ascrivibile a colpa o dolo della stessa, che va
accertato nel termine di 180 giorni dalla dichiarazione di fallimento. Peraltro,
il richiamo alla disciplina vigente in tema di responsabilità per inquinamento è
sufficiente a porre la “sanzione” dell’acquisizione dell’area dell’industria
fallita al demanio pubblico ai fini dell’accordo di programma di cui al comma
434, sotto l’egida delle regole generali in tema di sanzioni e di illecito
amministrativo (l. 689/81), che, com’è noto, postula l’accertamento della
responsabilità del soggetto agente ed in coerenza al quale è informato anche il
sistema dell’illecito ambientale (cfr. TAR Catania, I, sent. nr. 1254/07). Pres.
Zingales, Est. Gatto Costantino - Fallimento C. s.p.a. (avv. Galassi) c.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv.
Stato) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 29 gennaio 2008 n. 206
INQUINAMENTO - Siti contaminati interessati da procedure fallimentari - Art. 1,
c. 434 L. 266/2005 - Art. 304, c. 4 D.Lgs. n. 152/2006 - Rapporto di concorrenza
- P.A. - Scelta dello strumento più idoneo. La norma di cui al comma 434
dell’art. 1 della l. 266/2005 si pone in rapporto di concorrenza e non di
specialità con l’art. 304, c.4 del d.lgs. n. 152/2006; essa, nel prevedere
l’istituto dell’accordo di programma per il recupero dei siti contaminati
interessati dalle procedure di fallimento, per ragioni di interpretazione
sistematica con la disposizione del T.U.A. successivamente intervenuta, va letta
in termini di facoltà e non di obbligo per la P.A.. Entrambe le norme in esame,
quindi, costituiscono altrettanti “strumenti” di intervento da utilizzarsi per
risolvere le situazioni di inquinamento ambientale nella direzione del pieno
ripristino al contempo dell’equilibrio ambientale e produttivo, e come tali
obbligano l’Amministrazione a preferire, volta per volta, lo strumento più
idoneo in termini di efficacia e di efficienza dell’azione della P.A. con
corrispondente riflesso nella motivazione dell’atto con cui tale scelta si
compie. Pres. Zingales, Est. Gatto Costantino - Fallimento C. s.p.a. (avv.
Galassi) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e
altri (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 29 gennaio 2008 n. 206
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA
- Sezione staccata di Catania - Sezione Prima
N. 0206/08 Reg. Sent.
N. 1063/07 Reg. Gen.
composto dai Signori Magistrati:
Dott. Vincenzo Zingales, Presidente
Dott.ssa Rosalia Messina, Giudice
Dott. Salvatore Gatto Costantino Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1063/2007 R.G., proposto dal Fallimento della CO.GE.MA. S.p.a.,
rappresentato e difeso dall’Avv. Antonino Galasso, con domicilio presso la
Segreteria del TAR;
CONTRO
- il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare, la
Direzione Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare il Ministero della Salute, il Ministero dello
Sviluppo economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Presidente
della Regione Siciliana, il commissario delegato per l’emergenza rifiuti e per
la tutela delle acque nella Regione Sicilia, l’Assessorato alla Presidenza della
Regione Siciliana, l’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana,
ognuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutti
rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Catania, presso i cui uffici in Catania, via Vecchia Ognina n. 149 sono
domiciliati;
E NEI CONFRONTI
Del Comune di Priolo Gargallo e della Provincia di Siracusa, in persona dei
rispettivi rappresentanti legali p.t., non costituiti;
PER L’ANNULLAMENTO
1) del decreto della Dir.Gen. per la Qualità della Vita del Min.dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare n. 3387/QDV/DI/B del 1.3.2007, pervenuto
il 15.3.2007, con il quale è stato approvato il verbale della Conferenza dei
Servizi decisoria del 16.2.2007;
2) il suddetto verbale della Conferenza dei servizi decisoria del 16.2.2007,
convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, nella parte relativa alle prescrizioni stabilite per il Fallimento della
COGEMA Spa;
3) degli atti presupposti e conseguenziali;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’ atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate, a
mezzo dell’Avvocatura di Stato;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore all’udienza pubblica dell’ 11 ottobre 2007 il Referendario
dr. Salvatore Gatto Costantino;
Uditi altresì gli avvocati delle parti, come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
IN FATTO
Il Fallimento della società ricorrente, dichiarato con la Sentenza nr. 12 del 10
maggio 2006 dal Tribunale di Siracusa, espone che (con provvedimento pervenuto
al Fallimento per il tramite della Prefettura di Siracusa in data 31.5.2006) la
Direzione generale Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente disponeva
interventi di “Messa In Sicurezza d’Emergenza” (M.I.S.E.) riguardo allo
stabilimento industriale della CO.GE.MA, ubicato in c.da Marina di Melilli, nel
quale si erano verificate perdite di acido solforico dai serbatoi di stoccaggio.
Tra gli interventi ordinati, figuravano la rimozione dei rifiuti, l’esecuzione
di indagini di caratterizzazione, invio di un piano di caratterizzazione
dell’area ed infine la comunicazione di chiarimenti sull’accaduto.
Il Fallimento rispondeva, con nota del 1 giugno 2006, che durante le procedure
di concordato preventivo era stata disposta dal Giudice delegato una Consulenza
Tecnica sulla problematica in oggetto, la cui relazione (datata 20.04.2006)
escludeva pericoli immediati di ulteriori sversamenti; in ogni caso, nella
medesima nota, si comunicava che il CTU era stato richiamato, ad istanza del
curatore fallimentare, dal giudice delegato affinchè indicasse le modalità
necessarie a dare ottemperanza alle prescrizioni del Ministero dell’Ambiente.
Seguiva un sopralluogo (in data 23.6.2006), in esito al quale, con ulteriore
provvedimento del 13.7.2006 comunicato a mezzo fax in pari data, l’Autorità
procedente dettava nuove prescrizioni, tra le quali si prevedeva la rimozione
dell’acido dai serbatoi, l’esecuzione delle indagini di caratterizzazione, la
predisposizione e l’invio del piano di caratterizzazione, la fornitura di idonea
cartografia, l’adozione di sistemi di delimitazione delle aree al mare e la
caratterizzazione dell’area marina.
La Curatela fallimentare comunicava in data 20.7.2006 che il giudice delegato
aveva integrato l’incarico già conferito al CTU con riferimento alle nuove
prescrizioni, facendo presente, tuttavia, che il Fallimento non disponeva dei
mezzi sufficienti a provvedere agli incombenti ordinati dal Ministero, quindi
rappresentando che probabilmente quest’ultimo avrebbe dovuto fare ricorso ai
poteri sostitutivi.
Veniva quindi prodotta la relazione tecnica del CTU, il quale stimava assommare
il costo degli interventi richiesti dal Ministero a circa 745.000 euro,
individuando le operazioni da compiere ed allegando le planimetrie del sito
richieste.
In esito a tale relazione, con provvedimento del giudice delegato del
10.10.2006, comunicato al Ministero a cura della Curatela in data 16.10.2006, il
Fallimento dichiarava di non avere i mezzi per ottemperare alle prescrizioni
della PA e chiedeva formalmente al Ministero l’attivazione dei poteri
sostitutivi,a mente dell’art. 304 del dlgs 3.4.2006, nr. 152.
A detta richiesta faceva riscontro l’Ufficio Legislativo del Ministero
dell’Ambiente, con nota del 9.11.2006, prot. n. 7196, che, nell’esprimersi
favorevolmente rispetto alla proposta del Fallimento, invitava la Direzione
Generale della Qualità della Vita dello stesso Ministero a disporre, ove ne
ricorressero i presupposti, le misure di cui all’art. 304 comma 4 del dlgs
152/06; la nota veniva indirizzata anche alla Curatela fallimentare, affinchè
quest’ultima provvedesse ad informare tempestivamente il Ministero degli
sviluppi del fallimento, al fine di consentire l’esercizio dell’eventuale
diritto di rivalsa di cui all’art. 304 comma 4 Dlgs 152/06.
Mentre la Curatela restava dunque in attesa di risposta da parte della Direzione
generale Qualità della Vita, da parte di questa stessa autorità perveniva invece
il decreto nr. 3387/Qdv/DI/B dell’1.3.2007, di approvazione del verbale della
conferenza dei servizi del 16.2.2007 ove, in relazione al sito della società
Co.GE.MA. oltre alla reiterazione degli ordini di intervento già precedentemente
impartiti, e nel presupposto dell’inadempimento della società CO.GE.MA.
all’ordine contenuto nelle note ministeriali del 25.5.2006 e dell’11.07.2006, si
prevedeva l’attivazione del trasferimento coattivo della proprietà del sito
industriale del Fallimento COGEMA spa ai sensi dei commi 343, 344 e 345
dell’art. 1 della l. 23.12.2005, n. 266.
Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente ha proposto quindi l’odierno
gravame, notificato il 5 ed il 7 maggio 2007 e depositato il 17 maggio
successivo, affidandolo alle seguenti censure:
I- Eccesso di potere per errore sul presupposto, per difetto di istruttoria e
per contraddittorietà con precedenti atti della stessa Amministrazione – Difetto
di motivazione – Violazione degli artt. 242, 250, 252, 253 e 304 e ss del dlgs
3.4.2006 nr. 152 – Violazione dell’art. 17 del Dlgs 5.2.1997 n. 22, degli artt.
8, 14 e 15 del DM 25.10.1999 n. 471 e dell’art. 4 dell’O.M. 25.5.2001 n. 133 –
illogicità ed ingiustizia manifeste;
II- eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di
motivazione – Falsa applicazione dei commi 434, 435 e 436 dell’art. 1 l.
23.12.2005 nr. 266 – Illogicità ed ingiustizia manifeste – Incostituzionalità;
III- violazione e falsa applicazione dell’art. 8 e ss. dalla l.r. 30 aprile 1991
n. 10 ;
IV- eccesso di potere sotto il profilo della carenza istruttoria in relazione al
disposto di cui all’art. 146 del d.lgs. n.42/2004 violazione e falsa
applicazione dell’art. 146 d.lgs n. 42/2004.
Con memoria depositata il 28 settembre 2007, si è costituita, a difesa delle
Amministrazioni intimate, l’Avvocatura di Stato, che resiste al ricorso
chiedendone il rigetto, previa pronuncia di estraneità delle Amministrazioni
concludenti.
Le parti hanno scambiato memorie e documenti.
Alla Udienza Pubblica dell’11 ottobre 2007, la causa è stata trattenuta in
decisione.
IN DIRITTO
Va preliminarmente respinta la richiesta di estromissione delle Amministrazioni
rappresentate dall’Avvocatura di Stato, contenuta nella memoria di costituzione
depositata il 28 settembre 2007.
Tutte le Amministrazioni intimate sono infatti parti della Conferenza dei
servizi le cui determinazioni sono oggetto di gravame, o hanno comunque titolo,
ex lege 152/06, alla difesa dei provvedimenti impugnati per essere titolari di
specifiche potestà nel campo del recupero ambientale e della difesa del
territorio e del mare dall’inquinamento.
*****
Con il presente ricorso, la Curatela del Fallimento della Società CO.GE.MA. si
duole delle determinazioni della Conferenza dei servizi del 16 febbraio 2007,
rese esecutive dal decreto del Direttore della Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente del 1.3.2007, con cui si dettano prescrizioni di bonifica del sito
industriale di proprietà della società fallita e quindi nella disponibilità del
Fallimento, e, nel presupposto dell’avvenuto inadempimento da parte di
quest’ultimo organo delle precedenti prescrizioni intese a fronteggiare un
fenomeno di inquinamento prodottosi nel sito industriale medesimo, ne dispone il
trasferimento di proprietà in favore dello Stato.
La ricorrente afferma che i suddetti provvedimenti sono illegittimi, in quanto
fondati sull’unico presupposto della pretesa inerzia del Fallimento e
l’insufficienza delle risposte che lo stesso diede al Ministero con le note
(richiamate in parte narrativa) dell’ 1.6.2006 e del 20.7.2006 e con la perizia
del CT del Giudice delegato del 20.4.2006 ed omettono quindi di considerare del
tutto le comunicazioni successivamente intercorse, pure richiamate in parte
narrativa, ed in particolare la seconda relazione del perito datata 29.09.2006,
con cui si era anche data una (parziale) esecuzione delle prescrizioni imposte
(I motivo di censura); inoltre, l’Amministrazione avrebbe attivato le procedure
previste dai commi 434, 435 e 436 dell’art. 1 della l. 23.12.2005, n. 266, senza
che ne ricorressero i presupposti, posto che la legge sanziona con
l’acquisizione della proprietà del sito solo la mancanza di esecuzione delle
prescrizioni imposte (che la ricorrente deduce avere avuto un inizio di
esecuzione) che, a sua volta, può venire in considerazione solo laddove
“rimproverabile”, ossia imputabile a colpevole inerzia del proprietario (II
motivo); infine, lamenta l’avvenuta violazione delle regole poste dalla legge a
tutela della partecipazione al procedimento della parte interessata, in
particolare con riguardo all’adozione del provvedimento finale (III motivo).
La difesa dell’Avvocatura, nell’opporsi all’accoglimento della domanda della
parte ricorrente, eccepisce che dal momento del fallimento entrano nella massa
fallimentare anche i rifiuti, che come tali obbligano la gestione del Fallimento
medesimo alla loro rimozione, non essendo possibile far gravare sulla
collettività i risultati dell’inquinamento medesimo prodotti dalla ditta ancora
in bonis.
I) Il Collegio prende in esame preliminarmente il primo e l’ultimo motivo di
gravame, che sono strettamente connessi e li accoglie.
La Conferenza dei servizi ha infatti approvato le determinazioni oggetto di
gravame, senza rispettare le regole in tema di partecipazione al procedimento,
in particolare sotto l’aspetto del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l.
241/90, che non è stato emanato e che da solo costituisce un vizio determinante
l’annullamento degli atti impugnati; ma si riscontra anche una palese infrazione
delle regole volte a presidiare lo svolgimento della istruttoria e la
motivazione dell’atto.
Già dalla semplice esposizione dei fatti, così come emergenti dagli atti di
causa, è evidente che, a fronte di una precisa serie di richieste da parte del
Fallimento, il quale ha comunicato di non possedere i mezzi per attivare le
procedure di carattere ripristinatorio necessarie a fare fronte
all’inconveniente ambientale per il quale si è proceduto, l’Amministrazione ha
agito come se ci si trovasse di fronte ad un soggetto negligente o comunque
inadempiente.
Da un punto di vista istruttorio, l’Autorità procedente ha omesso (ciò emerge
già nelle premesse dell’atto, ove dovrebbero essere richiamati i presupposti in
fatto ed in diritto della decisione amministrativa), di annoverare e considerare
la relazione tecnica del CT del giudice del 29.09.2006, nonché il provvedimento
del 10.10.2006 del Giudice delegato, nonché la successiva nota del 15.10.2006,
con cui il Fallimento chiede l’attivazione dei poteri sostitutivi ed, infine, la
nota dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Ambiente che invitava la
Direzione generale per la Qualità della Vita ad esercitare i poteri sostitutivi
richiesti, esprimendo quindi, a nome dell’Autorità Pubblica, un parere
contenente l’apprezzamento favorevole delle ragioni della parte odierna
ricorrente.
Ne consegue che l’azione della P.A., nel caso di specie, è illegittima in
quanto, a fronte di una precisa richiesta dell’interessato e di una proposta da
parte di quest’ultimo inerente la bonifica del sito, oggetto della prescrizione
dell’Autorità, quest’ultima ha direttamente attivato una procedura (gravemente)
sanzionatoria senza preavvisare il proponente del rigetto (implicito) della sua
proposta, quindi in violazione dell’art. 10 bis della l. 241/90; senza prendere
in considerazione ai fini dell’istruttoria e quindi della motivazione dell’atto,
i contenuti variamente proposti dall’interessato nel procedimento; senza fornire
alcuna motivazione circa la difformità tra l’atto finale (lesivo) e la proposta
istruttoria proveniente da altro ufficio dell’Amministrazione e che era invece
favorevole all’accoglimento della proposta del privato stesso.
Ne consegue anche l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione
dell’obbligo gravante sull’Amministrazione di non adottare provvedimenti
sanzionatori nei confronti del privato se non previo esame espresso e nelle
forme di rito, aperte alla sua partecipazione, delle eventuali istanze che lo
stesso abbia eventualmente proposto per la regolarizzazione di quella medesima
situazione: come condivisibilmente dedotto dalla difesa della parte ricorrente,
è questo un principio immanente all’attività della Pubblica Amministrazione,
riscontrabile in vari e differenti campi, che non può non considerarsi come
espressione di un principio di logica e di ordinato svolgimento dell’attività
dei pubblici poteri direttamente ricavabile dall’art. 97 della Costituzione e
dalle norme sul procedimento amministrativo in tema di motivazione dell’atto
(cfr. CGA 19.2.1988, n. 66; TAR Catania, III, 30.7.2002, n. 1366 e II,
28.2.1994, n. 245).
II) Resta adesso al Collegio l’esame delle censure introdotte al secondo punto
del ricorso.
Va precisato che l’esame del secondo gruppo di censure va condotto
essenzialmente al fine di concorrere ad orientare la futura azione della P.A.,
nella riedizione del potere che necessariamente consegue dall’accoglimento del
gravame per le ragioni di doglianza introdotte ai punti 1 e 3 del ricorso.
Infatti, annullate le prescrizioni impugnate con l’odierno gravame, per effetto
dell’accoglimento dei motivi di ricorso sub 1 e 3, la P.A. dovrà necessariamente
esaminare le proposte di intervento del Fallimento e procedere alla riedizione
del potere secondo diritto e nel rispetto dell’apporto partecipativo offerto dal
privato stesso; tuttavia, anche l’esame del secondo gruppo di censure contiene
argomenti che incidono sulla riedizione del potere e, conseguentemente, in tali
limiti sussiste interesse attuale della parte ricorrente alla pronuncia anche su
questa parte del gravame.
A tale proposito, osserva il Collegio che l’istanza non evasa della parte
ricorrente (e tacitamente respinta dal provvedimento impugnato) era intesa a che
l’Amministrazione, a fronte di una carenza di risorse da parte del fallimento,
facesse uso dei poteri affidatile dal legislatore all’art. 304 comma 4 del dlgs
152/06, a norma del quale “4. Se l'operatore non si conforma agli obblighi
previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere
individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del
presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha
facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del
danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso
chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato
entro il termine di cinque anni dall'effettuato pagamento.”
La tesi difensiva dell’Avvocatura, invece, contesta la ammissibilità di un
intervento sostitutivo, posto che sarebbe iniquo far ricadere sulla collettività
il costo della bonifica di un sito inquinato dall’impresa ancora in bonis, sol
perché, nel frattempo, la stessa è stata dichiarata fallita.
Osserva ancora il Collegio che l’Amministrazione ha fatto applicazione delle
norme di cui all’art. 1 comma 436 della l. 266/2005, a norma del quale
“L'accordo di programma di cui al comma 434 individua il soggetto pubblico al
quale deve essere trasferita la proprieta' dell'area. Il trasferimento della
proprieta' avviene trascorsi centottanta giorni dalla dichiarazione di
fallimento qualora non sia stato avviato l'intervento di messa in sicurezza
d'emergenza, caratterizzazione e bonifica.”
Va a questo punto osservato che la disposizione in esame è collocata all’interno
di un istituto normativo pù generale volto a consentire nei siti di bonifica di
interesse nazionale la “realizzazione degli interventi di messa in sicurezza
d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale delle aree
inquinate per le quali sono in atto procedure fallimentari” (art. 1 l. cit.
comma 434).
In tale contesto normativo, si prevede per i siti di imprese fallite la
sottoscrizione di appositi accordi di programma tra il Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio con gli enti locali interessati e la Regione, aventi
il contenuto ampiamente prescritto al citato comma 434, da finanziarsi con le
modalità di cui al successivo comma 435 e salva, comunque, “la vigente
disciplina normativa in materia di responsabilita' del soggetto che ha causato
l'inquinamento nelle aree e nei siti di cui al comma 434” (comma 437).
Dalla complessiva impostazione difensiva dell’Amministrazione, scaturente sia
dalle difese dell’Avvocatura che dal contenuto sostanziale del provvedimento
impugnato, emerge dunque che la Conferenza dei Servizi ha agito come se le
disposizioni di cui all’art. 1 comma 436 fossero da intendersi in un rapporto di
specialità rispetto a quelle generali contenute nell’art. 304 comma 4 del dlgs
152/06.
Rispetto a tale interpretazione, appropriatamente la difesa della parte
ricorrente pone il dubbio sulla legittimità costituzionale delle disposizioni di
cui alla legge 266/2005, per disparità di trattamento (in quanto a fronte di una
medesima violazione all’obbligo di bonifica, sarebbero previste irrazionalmente
due diverse sanzioni delle quali la più grave, quella dell’acquisizione al
patrimonio pubblico del sito industriale, comminata proprio a fronte di una
situazione di oggettiva impossibilità di adempiere, data appunto dalla
situazione fallimentare che è per definizione di insolvenza), con violazione
degli artt. 24 Cost. (perché incide sul diritto di azione dei creditori), 42
Cost. (viola il diritto di proprietà e l’obbligo di indennizzo in caso di
espropriazione), e 27 comma 1 Cost. (in quanto l’effetto finale della sanzione
verrà a gravar sugli incolpevoli creditori).
Osserva il Collegio che la questione di legittimità costituzionale, in questa
sede, non può essere sollevata perché, per effetto della riedizione del potere
necessariamente conseguente all’annullamento degli atti impugnati conseguente
all’accoglimento dei motivi di gravame sub 1 e 3, la norma di cui si sospetta
l’incostituzionalità non trova applicazione ai fini della decisione della causa,
posto che si potrà eventualmente ricorrere ad essa solamente all’esito del
procedimento amministrativo che sarà nuovamente posto in essere.
Tuttavia, in accoglimento delle tesi difensive poste al secondo argomento di
ricorso, va anche affermato che per poter pervenire all’applicazione
dell’istituto di cui ai commi da 434 a 437 della l. 266/2005, devono concorrere
più requisiti che dovranno essere oggetto di puntuale apprezzamento da parte
della P.A. e che, nel caso di specie, non sono stati presi in considerazione
dall’Autorità.
Il primo tra essi è indubbiamente quello indicato dalla parte ricorrente: ossia
per poter attivare l’acquisizione al demanio dell’are inquinata, per le più
generali finalità dell’accordo di programma, è necessario, innanzitutto, che
sussista un inadempimento degli obblighi di bonifica in capo alla curatela
fallimentare, rimproverabile e quindi ascrivibile a colpa (o dolo) della stessa.
Tale requisito va accertato dalla P.A., con conseguente onere istruttorio e
motivazionale; ed è necessario che nel termine di 180 giorni dalla dichiarazione
di fallimento l’intervento di bonifica non abbia avuto neppure un minimo inizio
di esecuzione.
Sotto il primo aspetto, la tesi difensiva della parte ricorrente è suffragata
dal comma 437 della disposizione in esame, che fa salva la disciplina vigente in
tema di responsabilità per l’inquinamento.
Questa Sezione ha affermato che l’istituto, nel vigore del dlgs 152/06, è
pienamente regolato dal principio della responsabilità soggettiva “colpevole”,
in applicazione della regola di matrice comunitaria “chi inquina paga” (TAR
Catania, I, sent. n. 1254/07), e con esclusione quindi di qualsiasi tipo di
responsabilità oggettiva.
Pertanto, il richiamo alla disciplina vigente in tema di responsabilità per
inquinamento è sufficiente a porre anche la “sanzione” dell’acquisizione
dell’area dell’industria fallita al demanio pubblico ai fini dell’accordo di
programma di cui al comma 434, sotto l’egida delle regole generali in tema di
sanzioni e di illecito amministrativo (l. 689/81), che, com’è noto, postula
l’accertamento della responsabilità del soggetto agente ed in coerenza al quale
è informato anche il sistema dell’illecito ambientale (cfr. TAR Catania, I,
sent. nr. 1254/07).
Nel caso di specie, nessun accertamento di responsabilità è stato condotto dalla
P.A. che ha disposto l’acquisizione dell’area per il solo fatto “oggettivo”
della mancanza dell’intervento di bonifica nel termine dei 180 giorni dalla
dichiarazione del fallimento, ignorando quindi sia le stesse “richieste di
aiuto” della Curatela, sia la necessità di una apposita istruttoria sul punto
dell’esigibilità dell’adempimento.
Quest’ultimo aspetto conduce all’esame dell’ulteriore presupposto normativamente
previsto per l’attivazione dell’istituto in esame, fondato, a sua volta, sulla
lettura testuale della disposizione di cui al citato comma 436, secondo il quale
l’acquisizione può avvenire laddove, nel termine di 180 giorni dal fallimento,
l’intervento di bonifica non “sia stato avviato”.
Dal punto di vista dell’esercizio del potere, quindi, la disposizione, a fronte
della affermazione di parte ricorrente secondo cui il fallimento ha dato avvio
alle procedure di bonifica, individuando tutti gli interventi di bonifica e
progettando l’intervento stesso, salvo fermarsi per mancanza di risorse e
supplendo a ciò con la richiesta di attivazione dei poteri sostitutivi, impone
che, prima di procedere all’acquisizione dell’area, vada espressamente
apprezzato lo sforzo del soggetto agente al fine di accertare se esso
costituisca o meno un avvio dell’intervento di bonifica.
A giudizio del Collegio, la lettura della disposizione in esame consente di
ritenere compreso nello schema normativo ogni positivo sforzo del soggetto
agente, da apprezzare in relazione alle concrete situazioni di fatto, per
rimuovere l’inconveniente ambientale: infatti, le disposizioni di cui alla legge
266/2005 si pongono rispetto alla più generale previsione di cui al citato art.
304 comma 4 in un rapporto di concorrenza e non di specialità, come vorrebbe la
interpretazione datane dall’Amministrazione.
In altri termini, posto lo scopo di interesse pubblico che è quello di
pervenire, nel modo più rapido ed accurato alla integrale bonifica e recupero
ambientale dei siti interessati da fenomeni di inquinamento, entrambe le norme
in esame costituiscono altrettanti “strumenti” di intervento da utilizzarsi per
risolvere le situazioni di inquinamento ambientale nella direzione del pieno
ripristino al contempo dell’equilibrio ambientale e produttivo, e come tali
obbligano l’Amministrazione a preferire, volta per volta, lo strumento più
idoneo in termini di efficacia e di efficienza dell’azione della P.A. con
corrispondente riflesso nella motivazione dell’atto con cui tale scelta si
compie.
Infatti, da un punto di vista letterale (e tenendo conto del noto atecnicismo
del legislatore delle finanziarie, che produce norme che spesso pongono problemi
interpretativi di notevole portata, specie a livello sistematico), va ritenuto
che il comma 434 dell’art. 1 della l. 266/2005, nel prevedere l’istituto
dell’accordo di programma per il recupero dei siti contaminati interessati dalle
procedure di fallimento, costituisce una facoltà in capo alle P.A. procedenti
(Ministero ed Enti locali) e non certamente un obbligo di azione.
Sebbene l’uso dell’indicativo presente solitamente esprime un precetto cogente
(ossia va interpretato come un attuale obbligo a procedere), nel caso in esame
ragioni di interpretazione sistematica della norma con la (successivamente
intervenuta) disposizione di cui al dlgs 152/06, nonché una lettura
costituzionalmente orientata dell’istituto, impongono all’interprete di
considerare la norma in esame come costitutiva di una “facoltà” di azione, in
capo alla P.A., interpretandola quindi come se dicesse “Possono essere stipulati
accordi di programma….”.
D’altronde, è la stessa struttura dell’istituto che ne impone una lettura in
termini di facoltà e non di obbligo per la P.A.: l’acquisizione dell’impianto è
funzionale alla realizzazione di un accordo di programma, che come tale va prima
sottoscritto; inoltre gli oneri dell’accordo di programma devono essere
appositamente finanziati (a tale funzione assolve il comma 435 della
disposizione in esame) e quindi l’acquisizione del sito è condizionata non solo
alla stipula dell’accordo di programma, ma anche al suo effettivo finanziamento;
lo stesso accordo di programma, infine, deve indicare una serie di finalità di
recupero e di riutilizzo che non sono assolutamente compatibili con un esercizio
obbligatorio del potere amministrativo, in quanto si tratta di finalità
intimamente connesse con le funzioni di programmazione degli Enti locali
interessati, aspetto questo che non è certo compatibile con una acquisizione del
sito coattiva non solo nei confronti del privato, ma obbligatoria anche per la
P.A.
Tra l’altro, a condizionare la scelta della P.A. concorrerà anche la concreta
tipologia del fallimento: tenendo presente che il credito della P.A. per il
recupero degli oneri finanziari connessi alla bonifica “d’ufficio” è assistito
da cospicue garanzie tra le quali l’onere reale sul sito (cfr. TAR Catania, I,
sent. nr. 1254/07), la convenienza a procedere con l’uno o con l’altro strumento
potrà essere misurata anche sulle concrete capacità del fallimento di consentire
il pieno soddisfacimento dei propri creditori.
Ne consegue che, una volta riedito il potere, solo una effettiva valutazione di
convenienze ed opportunità possono indurre la P.A. a stipulare un accordo di
programma per acquisire il sito, in assenza del quale troverà piena applicazione
la disposizione generale dell’art. 304 comma 4 del dlgs 152/06 invocata dalla
parte ricorrente (e, comunque, l’applicazione concreta dell’istituto
dell’acquisizione del sito della impresa fallita porrà comunque l’ulteriore
questione dell’esame del sospetto di incostituzionalità della norma che la
difesa della parte ricorrente ha articolato nel presente gravame).
Pertanto, anche sotto questi profili il ricorso è fondato e come tale va
accolto, disponendosi l’annullamento degli atti impugnati e l’obbligo
dell’Amministrazione di procedere al riesame della proposta del Fallimento della
società COGEMA secondo tutto quanto esposto nella parte motiva della presente
sentenza entro 180 giorni dalla comunicazione da parte della Segreteria o sua
notifica a cura di parte.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, forfetariamente e
definitivamente, in euro 3.000, oltre all’importo del contributo unificato,
delle altre spese sostenute per le notifiche, IVA e CPA.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia –Sezione staccata di Catania
(Sez.1°):
- RIGETTA la richiesta di estromissione delle Amministrazioni rappresentate
dall’Avvocatura di Stato;
- ACCOGLIE il ricorso in epigrafe;
- per l’effetto ANNULLA gli atti ed i provvedimenti impugnati;
- DICHIARA l’obbligo della parte pubblica resistente di procedere all’esame
della proposta di parte ricorrente, meglio descritta in premessa narrativa e
nella parte motiva, entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione della
presente sentenza o sua notifica a cura di parte e con le modalità pure in parte
motiva specificate.
CONDANNA le Amministrazioni resistenti, in solido tra loro, alla refusione
integrale delle spese di giudizio che liquida, forfetariamente e
definitivamente, in euro 3.000 oltre l’importo del contributo unificato,
notifiche, IVA e CPA, in favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e
manda alla Segreteria di comunicarla alle parti.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2007
L’Estensore
Dr. Salvatore Gatto Costantino
Il Presidente
Dr. Vincenzo Zingales
Depositata in Segreteria il 29 gennaio 2008
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