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T.A.R. VENETO, Sez. III - 30 ottobre 2008, n. 3382
RIFIUTI - Centri di messa in riserva - Localizzazione rispetto ai siti di
recupero - Rilevanza ai fini della classificazione dell’attività come messa in
riserva - Esclusione. I centri di messa in riserva del materiale destinato
al recupero possono essere localizzati in siti diversi da quelli in cui sono
effettuate le operazioni di riciclaggio e di recupero di cui ai punti da R1 a R9
dell’allegato C del D.lgs. 22/97 - è anzi normale che le imprese che raccolgono,
stoccano e trattano il materiale destinato alle opere di recupero ambientale
dispongano di siti di messa in riserva integrati nel ciclo di recupero
ambientale che non coincidono con l’area di reimpiego finale del rifiuto. La
localizzazione o meno nello stesso sito di recupero, tuttavia, non è elemento
rilevante ai fini della classificazione dell’attività come “messa in riserva”,
quando essa presenta tutti gli elementi di cui alla definizione degli artt. 6 e
7 del D.M. 5.2.1977 ossia quando consista “nell’attività di stoccaggio a tempo
indeterminato di rifiuti non pericolosi destinati ad una delle operazioni di
recupero di cui ai punti da R1 a R12 “ (escluso quindi il deposito temporaneo,
prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti). Pres. ed Est. De Zotti
-Z. s.r.l. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Provincia di Treviso (avv.ti Botteon,
Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez.III - 30 ottobre 2008, n.3382
RIFIUTI - Stoccaggio a tempo indeterminato - Messa in riserva - Deposito
provvisorio. Una cosa è lo stoccaggio a tempo indeterminato (consentito fino
ad un anno) del materiale raccolto per la lavorazione in funzione del suo
impiego (futuro) nelle operazioni di recupero consentite alle ditte autorizzate
che, giusta la definizione dell’art. 6 del D.M. 5 febbraio 1997, si qualifica
come messa a riserva ed altra cosa il deposito (stoccaggio) provvisorio del
materiale già pronto per il reimpiego e collocato nel luogo stesso del suo
riutilizzo, che per la sua destinazione assolutamente temporanea nel cantiere
dove è in corso l’operazione di recupero non è tecnicamente “messo a riserva” e
quindi non è soggetto al pagamento delle garanzie fideiussorie previste per
l’attività R13. Pres. ed Est. De Zotti -Z. s.r.l. (avv.ti Tassetto e
Zambelli) c. Provincia di Treviso (avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R.
VENETO, Sez.III - 30 ottobre 2008, n.3382
RIFIUTI - Art. 33 d.lgs.n. 22/97 - Operazioni di recupero - Svolgimento in
luoghi diversi dalla sede autorizzata - Dichiarazione di inizio attività -
Provincia - Controllo sulle varie fasi di gestione dei rifiuti. La
dichiarazione di inizio di attività deve essere presentata in tutti i casi in
cui le operazioni di recupero ambientale (ed in particolare quelle di categoria
R5 e R10 che consistono nel reimpiego dei rifiuti in opere da realizzarsi in
siti specifici) si svolgano in luoghi diversi dalla sede autorizzata ex art. 33
d.lgs. n. 22/97 e cioè quelle che non vengono svolte nello stabilimento in cui
l’azienda effettua solo operazioni di recupero (raccolta, lavorazione e messa in
riserva) che non comportano l’uscita dei materiali dallo stabilimento nè il loro
reimpiego in siti diversi, per operazioni che, ai sensi della previsione
generale dell’art. 33 co. 1 ^, sono soggette a previa comunicazione
all’amministrazione provinciale. L’art. 33 citato non esonera, infatti, alcuna
operazione di recupero ambientale, anche se ricadente nel regime semplificato,
dalla comunicazione preventiva all’amministrazione provinciale e dal decorso del
termine dilatorio di 90 giorni, previsto per consentire a quest’ultima la
verifica dell’ammissibilità dell’intervento ed il controllo della gestione di
tutte le specifiche operazioni di recupero ambientale. Non è sufficiente,
pertanto, che il soggetto abilitato al recupero comunichi solo l’inizio
dell’attività che intende svolgere ai fini dell’iscrizione nell’albo provinciale
(comma 3^) ma occorre, ai fini del controllo sulle varie fasi di gestione dei
rifiuti non pericolosi espressamente previsto dalla legge, una specifica
dichiarazione per ogni intervento di recupero ambientale da attuare in quello
che, ai fini dell’autorizzazione di cui all’art. 33 del d.lgs 22/1997, va
considerato, uno specifico “stabilimento”, corredata da tutte le indicazioni
necessarie per consentire la valutazione dell’ammissibilità dell’intervento ed
il controllo degli adempimenti normativi previsti per la gestione del materiale
(registro di carico e scarico, formulari, test di cessione etc.). Pres. ed
Est. De Zotti -Z. s.r.l. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Provincia di Treviso
(avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez.III - 30 ottobre 2008,
n.3382
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Ric. n. 1114/05
Sent. n. 3382/08
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con
l’intervento dei signori magistrati:
Angelo De Zotti - Presidente, relatore
Marco Buricelli - Consigliere
Angelo Gabbricci - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1114/05 proposto dalla ditta Zanardo s.r.l., rappresentata e
difesa dagli avv.ti Annamaria Tassetto e Franco Zambelli, come da mandato a
margine del ricorso, con domicilio eletto presso il loro studio in Venezia
Mestre, via Cavallotti n. 22;
contro
la Provincia di Treviso, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Franco Botteon, Antonio Sartori e Sebastiano Tonon con
domicilio eletto presso lo studio del terzo in Venezia S. Marco – Calle Avvocati
3901;
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in
giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento della Provincia di Treviso n. 49948 del 10 marzo 2005,
avente ad oggetto: Ditta Zanardo s.r.l. Rinnovo posizione 304 delle ditte che
effettuano attività di recupero di rifiuti non pericolosi in procedura
semplificata. Richiesta integrazioni e avvio procedimento volto alla sospensione
dell'attività di recupero rifiuti non pericolosi. D. Lgs. 22/97 - D.M.
05.02.1998"; e della delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 2528 del
14.7.1999.
Visto il ricorso, notificato l’11 maggio 2005 e depositato il 19 maggio 2005 con
i relativi allegati;
visto il controricorso e la successiva memoria depositati in segreteria il 6
giugno 2005 e il 26 maggio 2008 con i relativi allegati;
visto il decreto 11/2008, con cui il presidente della III Sezione ha disposto la
chiamata in rilettura del ricorso in epigrafe;
visti gli atti tutti della causa;
uditi alla pubblica udienza del 5 giugno 2008 - relatore il presidente Angelo De
Zotti - l’avv. Avino in sostituzione dell’avv. Zambelli per la ricorrente e
l’avv. Sartori per l’Amministrazione provinciale di Treviso;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
La società Zanardo, che svolge attività di recupero di rifiuti non pericolosi,
ed è soggetta, ai sensi dell'art. 33 del D. Lgs. 22/1997 nonché dell'art. 31
L.R. 3/2000, alla procedura semplificata della mera comunicazione di inizio
dell'attività, decorsi cinque anni dalla prima autorizzazione, ne chiese, in
data 27.6.2003, il rinnovo.
L'Amministrazione provinciale nell’accordare il rinnovo dell’autorizzazione
comunicava, tuttavia, alla ditta Zanardo, che tutte le attività di recupero dei
rifiuti da essa svolte - recupero ambientale, realizzazione di rilevati e
sottofondi stradali ed esecuzione di terrapieni ed arginature - avrebbero potuto
essere effettuate esclusivamente presso il sito oggetto, rispettivamente, del
recupero ambientale, della realizzazione di sottofondo o arginature.
Sulla base di questo presupposto, la Provincia ha ritenuto che l'attività svolta
dalla ditta Zanardo nel sito di via Passo Lovadina 1 a Cimadolmo, da essa
indicato, fosse da qualificare come di "messa in riserva" ed ha pertanto
richiesto la prestazione delle garanzie finanziare previste dalla D.G.R.V. n.
2528 del 14.7.1999 (una polizza RCI del valore di € 2.582.284,50 ed una
ulteriore polizza fideiussoria con un valore assicurato pari a € 116,10 per
tonnellata di rifiuti sottoposti alla messa in riserva.
L'Amministrazione ha, inoltre, imposto alla società ricorrente di effettuare,
per ogni sito sottoposto a recupero ambientale ovvero oggetto della
realizzazione di sottofondi e rilevati stradali o terrapieni ed arginature,
un'ulteriore specifica comunicazione di inizio attività, corredata dalla
relativa documentazione. Adempimenti, questi ultimi, che avrebbero dovuto essere
espletati nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, a pena
di sospensione dell'attività di recupero.
Ritenendo illegittima la posizione assunta dall'Amministrazione, la ditta
Zanardo impugna gli atti in epigrafe e ne chiede l’annullamento per i seguenti
motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell'art. 33 D. L. 22/1997 e dell'art. 31
della L.R. 3/2000; eccesso di potere per erroneità di presupposto, illogicità e
difetto di motivazione.
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 33 del D. Lgs. 22/1997 e dell'art.
31 della L.R. 3/2000. e successive modificazioni ed integrazioni; violazione del
D.M. 5.2.1998; eccesso di potere per difetto di motivazione e illogicità.
3) violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 241/1990; violazione delle
norme sul contraddittorio e sulla partecipazione al procedimento amministrativo.
L’amministrazione provinciale si è costituita in giudizio e con controricorso e
successiva memoria difensiva contrasta i motivi di gravame chiedendone la
reiezione con vittoria di spese.
All’udienza pubblica del 19 giugno 2008, previa audizione delle parti, il
ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari
sollevate dall’amministrazione resistente, perché nel merito il ricorso è
infondato e andrà quindi respinto.
E’ opportuno chiarire innanzitutto che il provvedimento impugnato, emesso in
sede di domanda di rinnovo dell’iscrizione nel registro provinciale delle ditte
che effettuano attività di recupero di rifiuti non pericolosi in procedura
semplificata (art. 33 c. 3^ d.lgs 22/1997) non consiste nel rigetto dell’istanza
ma nella richiesta di integrazione documentale e nella diffida rivolta alla
ditta Zanardo: di produrre una polizza fideiussoria con un valore assicurato
pari a 116, 10 euro per tonnellata di rifiuti sottoposti all’attività di messa
in riserva presso il sito di via Passo Lovadina 1 a Cimadolmo e di presentare
una singola comunicazione di inizio di attività (e l’annessa documentazione) per
ogni sito oggetto di interventi di bonifica ambientale (realizzazione di
sottofondi e rilevati stradali o terrapieni ed arginature (R5) ovvero recuperi
ambientali (R10) realizzati con il reimpiego dei rifiuti di cui al D.M. 5
febbraio 1998).
La nota contiene inoltre l’avvio del procedimento di sospensione dell’attività
di recupero rifiuti non pericolosi e di immediata sospensione di ogni attività
della ditta Zanardo nel caso di mancato inoltro della documentazione richiesta
nel termine di 30 giorni.
Procedimento, quest’ultimo, che non ha avuto, evidentemente, seguito poiché la
ditta Zanardo, secondo quanto sostiene l’amministrazione che ha depositato
documentazione al riguardo, si è adeguata alle prescrizioni imposte, presentando
due distinte domande di inizio di attività per due diversi interventi di
recupero ambientale ed osservato anche tutte le restanti prescrizioni.
L’interesse al ricorso, nondimeno, non è cessato perché parte ricorrente, che
secondo l’amministrazione avrebbe ceduto medio tempore l’attività a terzi, ha
dichiarato di avere tuttora interesse all’annullamento delle prescrizioni
contestate che, aggravando le procedure autorizzative quanto a tempi, costi e
oneri economici riflessi, hanno inciso negativamente e tuttora incidono
sull’attività di recupero ambientale della ditta Zanardo.
Ciò premesso e chiarito in punto di persistente interesse al ricorso, va
esaminato innanzitutto il motivo di censura con il quale la ricorrente contesta
all’amministrazione di aver erroneamente qualificato l’attività svolta dalla
ditta Zanardo nel sito di Cimadolmo, indicato nella domanda di rinnovo come
stabilimento dell’azienda, come attività di mera “messa in riserva” (R13)
facendone derivare l’obbligo della produzione delle garanzie finanziarie
previste dalla D.G.R.V. 2528/1999, ossia una polizza RCI del valore di €
2.582.284,5 ed una garanzia fideiussoria con un valore assicurato pari a 116, 10
euro per tonnellata di rifiuti sottoposti al solo R13.
Parte ricorrente contesta la legittimità di tale qualifica del sito assumendo
che le attività di recupero ambientale soggette ad autorizzazione semplificata,
per la loro stessa configurazione unitaria escludono che la fase di recupero
denominata "messa in riserva" di cui al punto R 13 allegato C del D.lgs 22/1997,
consistente nella raccolta e nello stoccaggio dei materiali destinati alle
operazioni di recupero ambientale, possa assumere un rilievo autonomo, agli
effetti delle previste garanzie fideiussorie, in funzione del mero fatto che
essa si collochi o meno nello stesso sito di recupero (nella specie delle
operazioni classificate R5 e R10), posto che ciò che unicamente rileva ai fini
della qualificazione dell’attività stessa è la sua inerenza al procedimento
produttivo complessivo di recupero ambientale.
Ne consegue che l’attività svolta dalla ditta Zanardo nella sede di Cimadolmo
non può essere qualificata come attività di messa in riserva ma di stoccaggio
temporaneo ex art. 6 co. 1^ lett. m del d.lgs 22/97 e dunque non va soggetta
alle ricordate prescrizioni onerose che riguardano coloro i quali svolgono solo
un’attività di messa in riserva dei materiali, non integrata in quella di
riciclaggio e recupero ambientale mediante il loro reimpiego sul suolo.
Tesi che d’altronde, si sostiene, trova conferma implicita anche nell’articolo
33, comma 12 ter, Dlgs 22/1997, il quale prevede che “le norme tecniche di cui
ai commi 1, 2 e 3 stabiliscono le caratteristiche impiantistiche dei centri di
messa in riserva non localizzati presso gli impianti dove sono effettuate le
operazioni di riciclaggio e di recupero individuate ai punti da R1 a R9”.
Senonchè tale assunto non pare al Collegio fondato.
Infatti, mentre non c’è dubbio che i centri di messa in riserva del materiale
destinato al recupero possono essere localizzati in siti diversi da quelli in
cui sono effettuate le operazioni di riciclaggio e di recupero di cui ai punti
da R1 a R9 dell’allegato C del D.lgs. 22/97 – e piuttosto che è normale che le
imprese che raccolgono, stoccano e trattano il materiale destinato alle opere di
recupero ambientale dispongano di siti di messa in riserva integrati nel ciclo
di recupero ambientale che non coincidono con l’area di reimpiego finale del
rifiuto – ciò che appare dubbio è la rilevanza di tale elemento ai fini della
classificazione dell’attività come “messa in riserva” quando essa presenta tutti
gli elementi di cui alla definizione degli artt. 6 e 7 del D.M. 5.2.1977 ossia
quando consista “nell’attività di stoccaggio a tempo indeterminato di rifiuti
non pericolosi destinati ad una delle operazioni di recupero di cui ai punti da
R1 a R12 “ (escluso quindi il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel
luogo in cui sono prodotti).
Non è quindi chiaro perché l’attività svolta dalla ditta Zanardo presso lo
stabilimento di Cimadolmo non possa essere qualificata di messa in riserva
(R13), anche ai fini dell’obbligo della fideiussione e delle ulteriori garanzie
finanziarie previste per tale attività, quando appare pacifico che in quello
stabilimento la ricorrente stocca il materiale destinato alle lavorazioni
(frantumazione, macinazione vagliatura, eventuale omogeneizzazione ed
integrazione con materia prima inerte) e successivamente al reimpiego nelle
forme di cui alle categorie R5 e R10 (in particolare per realizzazione di
rilevati e sottofondi stradali, ferroviari ed aeroportuali) nei diversi siti
previsti dagli specifici progetti di recupero.
Il fatto che nell’impianto in questione vengano svolte attività di “messa in
riserva” di rifiuti non pericolosi è, peraltro, condizione sufficiente a rendere
la ditta Zanardo soggetta alle prescrizioni in materia di garanzie fideiussorie,
indipendentemente dal (se e in quale) sito vengono effettuate le successive
attività di recupero che la stessa ricorrente definisce “complementari
all’attività di messa a riserva” (R13).
E ciò anche a prescindere dal fatto che se parte del materiale messo in riserva
viene venduto dalla ditta Zanardo a terzi (ossia commercializzato) ed è quindi
impiegato per interventi che non ineriscono al ciclo di attività di recupero
svolto dalla ricorrente, non può nemmeno sostenersi, in punto di fatto, che la
messa in riserva costituisca fase “non autonoma” del procedimento di recupero e
che il materiale stoccato nello stabilimento di lavorazione, in attesa di
cessione e di reimpiego, possa considerarsi stoccato provvisoriamente ex art. 6
co. 1^ lett. m del d.lgs 22/97.
Una cosa è, infatti, lo stoccaggio a tempo indeterminato (consentito fino ad un
anno) del materiale raccolto per la lavorazione in funzione del suo impiego
(futuro) nelle operazioni di recupero consentite alle ditte autorizzate che,
giusta la definizione dell’art. 6 del D.M. 5 febbraio 1997, si qualifica come
messa a riserva ed altra cosa il deposito (stoccaggio) provvisorio del materiale
già pronto per il reimpiego e collocato nel luogo stesso del suo riutilizzo, che
per la sua destinazione assolutamente temporanea nel cantiere dove è in corso
l’operazione di recupero non è tecnicamente “messo a riserva” e quindi non è
soggetto al pagamento delle garanzie fideiussorie previste per l’attività R13.
Il motivo è perciò infondato e va respinto.
Analoga sorte merita il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente
contesta l’erronea applicazione degli artt. 33 del d.lgs 22/1997 e 31 della l.r.
3/2000 nella parte in cui questa ha imposto la prescrizione che “ per ogni sito
sottoposto a recupero ambientale (R10) e (R5) la ditta Zanardo, o la ditta cui
quest’ultima cede i rifiuti, dovranno trasmettere una nuova domanda di inizio di
attività corredata dalla documentazione ivi specificata e che si dovranno
espletare tutti gli adempimenti normativi riguardanti la gestione dei rifiuti
(registri di carico e scarico, formulari, test di cessione etc.).”
Sostiene, infatti, la ditta Zanardo, con argomenti che fanno soprattutto leva
sulla lettera della norma, che la prescrizione è illegittima perchè, avendo essa
già comunicato, in sede di domanda di rinnovo dell’autorizzazione, l’intenzione
di svolgere le operazioni indicate nei codici R5 e R10 dell’allegato C al D.M.
5/2/1998, la ditta non può essere obbligata a presentare una singola denuncia di
inizio di attività per ciascun sito oggetto di intervento “dal momento che la
procedura dell’art. 33 riguarda nel suo complesso le operazioni di recupero
riconducibili al D.M. 5/2/98 e dunque che una volta indicato il tipo di attività
di recupero ammesso (al quale la singola ditta è abilitata con l’iscrizione
nell’elenco provinciale) l’assenso, formatosi con il decorso di 90 giorni dalla
predetta comunicazione riguarda il trattamento in generale di tali rifiuti, con
la conseguenza che la ditta beneficiaria dell’autorizzazione è legittimata ad
effettuare le operazioni di recupero ambientale senza necessità di acquisire
ulteriori permessi e indipendentemente dal luogo in cui si svolga la singola
operazione, ovvero venga reimpiegato il prodotto classificato ancora rifiuto e
utilizzato per tale intervento.
La pretesa dell’amministrazione di imporre una comunicazione di inizio di
attività per ogni sito operativo sarebbe quindi arbitraria e non troverebbe
sostegno neppure nel D.M. 5/2/98 e nei suoli allegati, atteso che l’attività di
messa in riserva e quella di recupero costituiscono attività integrate che fanno
parte del procedimento unitario assoggettato all’autorizzazione ex art. 33 D.
Lgs 22/97.
Sostiene, per contro, l’amministrazione provinciale che è ben vero che l’art. 33
del d.lgs 22/97 subordina l’attività di recupero dei rifiuti non pericolosi in
regime di disciplina semplificata alla comunicazione di inizio di attività di
cui al comma 1^ e che la provincia (comma 3^) “iscrive in un apposito registro
le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività e verifica
d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti” tra cui
“stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel
quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati”, ma che la stessa
norma prevede che tale comunicazione (comma 5^) “deve essere rinnovata ogni 5
anni e comunque in caso di modifica sostanziale delle operazioni di recupero”:
il che implica che la dichiarazione di inizio di attività deve essere presentata
in tutti i casi in cui le operazioni di recupero ambientale (ed in particolare
quelle di categoria R5 e R10 che consistono nel reimpiego dei rifiuti in opere
da realizzarsi in siti specifici) si svolgano in luoghi diversi dalla sede
autorizzata ex art. 33 e cioè quelle che non vengono svolte nello stabilimento
in cui l’azienda effettua solo operazioni di recupero (raccolta, lavorazione e
messa in riserva) che non comportano l’uscita dei materiali dallo stabilimento
nè il loro reimpiego in siti diversi, per operazioni che, ai sensi della
previsione generale dell’art. 33 co. 1 ^, sono soggette a previa comunicazione
all’amministrazione provinciale.
L’art. 33 citato non esonera, infatti, alcuna operazione di recupero ambientale,
anche se ricadente nel regime semplificato, dalla comunicazione preventiva
all’amministrazione provinciale e dal decorso del termine dilatorio di 90
giorni, previsto per consentire a quest’ultima la verifica dell’ammissibilità
dell’intervento ed il controllo della gestione di tutte le specifiche operazioni
di recupero ambientale.
Non è sufficiente, pertanto, come ritiene la ditta ricorrente, che il soggetto
abilitato al recupero comunichi solo l’inizio dell’attività che intende svolgere
ai fini dell’iscrizione nell’albo provinciale (comma 3^) ma occorre, ai fini del
controllo sulle varie fasi di gestione dei rifiuti non pericolosi espressamente
previsto dalla legge, una specifica dichiarazione per ogni intervento di
recupero ambientale da attuare in quello che, ai fini dell’autorizzazione di cui
all’art. 33 del d.lgs 22/1997, va considerato, uno specifico “stabilimento”,
corredata da tutte le indicazioni necessarie per consentire la valutazione
dell’ammissibilità dell’intervento ed il controllo degli adempimenti normativi
previsti per la gestione del materiale (registro di carico e scarico, formulari,
test di cessione etc.).
Il Collegio condivide tale tesi e osserva che se (come sostiene la ditta Zanardo),
l’autorizzazione generale ex art. 3 art. 33 l. 22/1997 fosse valida per
qualsiasi intervento dovunque realizzato, perché “il sito diverso da quello
dello stabilimento di trattamento in cui impiegare il prodotto finale è
indifferente e non costituisce elemento di valutazione” ne deriverebbe, per ciò
stesso, che l’amministrazione provinciale non sarebbe mai posta nella condizione
di conoscere preventivamente gli interventi di recupero ambientale effettuati
dalle ditte abilitate, ma unicamente l’elenco di tali ditte e la loro sede
operativa, nella quale, peraltro, l’attività svolta è rappresentata (e lo si
evince dagli elementi oggetto di comunicazione) solo da una fase delle
operazioni di recupero ambientale, ossia quella di raccolta, lavorazione e messa
a riserva del materiale-rifiuto.
Materiale che, quindi, potrebbe essere utilizzato dalla ditta che lo produce, o
da altra alla quale è ceduto, per interventi di recupero ambientale che non
sarebbero, come pretende parte ricorrente, più controllati né controllabili
dall’amministrazione provinciale perché attuati con materiale che una volta
uscito dallo stabilimento nel quale viene prodotto non sarebbe più
rintracciabile, potendo essere reimpiegato per interventi sottratti a qualsiasi
comunicazione e quindi del tutto sconosciuti all’amministrazione o, se si vuole,
attuati con modalità che sfuggono totalmente alla sua attività di controllo.
Ciò che equivale, di fatto, non già ad una gestione dell’attività di recupero in
regime semplificato, come sostiene la ditta ricorrente, ma ad un'attività libera
ed incontrollata, a partire dal momento in cui il materiale destinato a recupero
(e ancora classificato come rifiuto) ed uscito regolarmente dallo stabilimento
nel quale è stato prodotto, viene ceduto ed impiegato, nella fase conclusiva
dell’attività di recupero ambientale, mediante ricollocazione nel suolo per la
realizzazione di opere che rientrano nella tipologia prevista dall’allegato C
del D.M. 5/2/1977.
Procedimento che si caratterizza certamente per essere più rapido e meno
complesso per le imprese che operano in regime semplificato ma che tuttavia
contrasta con l’art. 31 co. 1^ della legge 22/1997 il quale prescrive che “le
procedure semplificate devono comunque garantire un elevato livello di
protezione ambientale e controlli efficaci”, posto che se l’iscrizione della
ditta nel registro delle imprese operanti in regime semplificato fosse ritenuta
valida per qualsiasi operazione di recupero e in qualunque sito da questa
prescelto, sarebbe evidente ed implicitamente paradossale come tutto il
complesso di adempimenti finalizzati alla vigilanza sul ciclo di impiego dei
rifiuti, gli obblighi documentali previsti per la loro (presenza nel cantiere di
un registro di carico e scarico corredato dai formulari di trasporto (artt. 12 e
15 d.lgs. 22/97) nonché la stessa previsione del test di cessione del materiale
tal quale, da effettuarsi su campioni ottenuti nella stessa forma fisica
prevista nelle condizioni finali d’uso (e non all’uscita dallo stabilimento)
risulterebbe funzionale all’esercizio del tutto virtuale e non efficace ed
effettivo, come richiede la legge, delle attività di recupero ambientale.
Ne consegue, a giudizio del collegio, che le prescrizioni imposte
dall’amministrazione provinciale con la nota impugnata, in ordine alla
necessaria comunicazione di inizio di attività riferita al singolo sito di
reimpiego dei rifiuti non pericolosi, costituiscono applicazione corretta
dell’art. 33 del d.lgs 22/1997 e del D.M. 5/2/1998 e non prescrizioni arbitrarie
(donde la legittimità delle circolari della Provincia di Treviso, peraltro non
impugnate, che questa procedura hanno introdotto ed imposto alle ditte operanti
in ambito provinciale), siccome espressione del principio, indefettibile in
materia di operazioni di recupero dei rifiuti non pericolosi, che il regime
semplificato al quale è soggetta l’attività in questione, deve comunque attuarsi
nelle forme autorizzatorie idonee a consentire all’amministrazione provinciale
il controllo “effettivo” degli interventi autorizzati, in assenza del quale
sarebbero sostanzialmente prive di funzione, assai più che inefficaci, come
sopra rilevato, tutte le forme di controllo previste per quella tipologia di
operazioni e quindi contrarie al principio di convenienza che gli interventi di
recupero ambientale dei rifiuti non pericolosi sottendono a fronte del più
costoso ma altrimenti necessario, smaltimento in discarica di quegli stessi
materiali.
Il secondo motivo è quindi anch’esso infondato e va respinto.
Uguale sorte va infine riservata al terzo ed ultimo motivo, con cui parte
ricorrente contesta la mancata valutazione delle osservazioni presentate dalla
ditta Zanardo ex art. 7 l. 241/1990.
In realtà la censura appare, in parte priva di interesse, giacchè il preavviso
di sospensione dell’attività di recupero presso la sede di via Passo di Lovadina,
che costituisce il provvedimento minacciato con la comunicazione di avvio del
procedimento non risulta essere stato in seguito adottato.
Né rileva il motivo, poiché sia che la ditta Zanardo abbia prestato acquiescenza
al provvedimento o che comunque, il procedimento minacciato non sia pervenuto,
per volontà dell’amministrazione, alla sospensione dell’attività svolta dalla
ricorrente, ciò che conta è l’irrilevanza sostanziale della censura.
Quanto alle altre prescrizioni contestate, anche a non voler tener conto
dell’eccezione che trattasi di prescrizioni che rinvengono la loro fonte in
altro provvedimento conosciuto e non impugnato, e comunque non fatto oggetto di
osservazioni tempestive, ditalchè le osservazioni stesse sarebbero ormai
tardive, resta il fatto che coincidendo le osservazioni con i motivi dedotti nel
ricorso, le stesse sono tali, all’esito del giudizio, da non potersi ritenere
determinanti ex art. 21 octies l. 241/90 sulla legittimità dei provvedimenti
impugnati.
Il ricorso va quindi respinto.
Le spese e le competenze di causa possono essere nondimeno compensate tra le
parti, stante l’oggettiva incertezza della materia.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione,
definitivamente pronunciando respinge il ricorso in epigrafe.
Spese e competenze di causa compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 5 giugno 2008
Il Presidente estensore
Il Segretario.
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