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CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 4 dicembre 2009, n. 7618
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO - Cava a cielo aperto - Piazzale di
frantumazione, stoccaggio e trasporto del materiale estratto - Componente
coessenziale dell'impianto - Acque meteoriche di dilavamento - Qualificazione di
acque reflue industriali - Esclusione - Ragioni - Art. 2 d.lgs. n. 152/99 - Art.
74, lett. h) d.lgs. n. 152/2006, come modificato dal d.lgs. n. 4/2008 -
Provenienza "funzionale". Nel caso di una cava a cielo aperto, il piazzale
dove avviene la frantumazione, lo stoccaggio, il caricamento ed il trasporto del
materiale estrattivo costituisce una componente coessenziale dell’impianto
utilizzato per l’esercizio dell’attività produttiva; l’attività complessiva in
questione trova, infatti, in tali operazioni dei momenti di ineliminabile
svolgimento del ciclo produttivo e quindi il piazzale finalizzato a tali
essenziali lavorazioni rientra a titolo primario nel concetto di “impianto..in
cui si svolge attività…di produzione di beni” utilizzato nella definizione di
acque reflue industriali posta dall’art.2 del d.lgs. n. 152/99 e ribadita
dall’attuale art.74, lettera h) del D.lgs. 3 aprile 2006, n.152. Tale
connotazione, tuttavia, non risulta sufficiente a trasformare le acque
meteoriche di dilavamento in “acque reflue industriali”, giacchè il principale
ostacolo a tale qualificazione è frapposto dalla stessa definizione di queste
ultime, quale ricavabile dall’art.2 del D.lgs. n.152\99, conforme, nella sua
integralità, al testo attualmente vigente dell’art.74, comma 1, lett.h), del
D.lgs. 3 aprile 2006, n.152, quale interpolato dall’art.2, comma 1, del D.lgs.
16 gennaio 2008, n.4. (Quest’ultimo ha infatti soppresso l’inciso finale
precedentemente inserito nel testo dell’art.74, comma 1, lett.h) medesimo,
secondo il quale si intendevano come acque meteoriche di dilavamento “anche
quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non
connessi con le attività esercitate nello stabilimento”). In sostanza, per il
legislatore assume importanza dirimente, ai fini della qualificazione in parola,
la circostanza che le acque reflue siano immesse nel ciclo produttivo in
conseguenza dell’iniziativa umana ascrivibile all’attività economica esercitata,
risultando cioè l’immissione un momento costitutivo del processo produttivo,
come conferma altresì la pari eccettuazione dal regime prevista per le “acque
reflue domestiche” (oltre che, appunto, per quelle “meteoriche di dilavamento”).
Non può perciò condividersi il riferimento alla giurisprudenza di merito dell’A.G.O.
relativa ad acque che, ancorchè meteoriche, siano da ritenersi comunque
“provenienti dall’insediamento produttivo”; ciò perché, da un lato, la
provenienza dall’impianto non è considerata elemento di qualificazione di per sé
sufficiente alla stregua della stessa evidente ed obiettiva formulazione
legislativa, dall’altro, le acque derivanti da eventi atmosferici non possono
neppure, a rigore, considerarsi, “comunque” provenienti dall’insediamento
produttivo, perché la loro origine rimane essenzialmente atmosferica e la
provenienza dall’impianto deve ritenersi incidentale, cioè ascrivibile al
“luogo” ma indipendentemente dalla natura produttiva di questo e dalla (dovuta)
funzionalità e strumentalità dell’utilizzazione delle acque rispetto al ciclo
produttivo. La provenienza presa in considerazione dalla legge, nel complesso
della formulazione legislativa qui in rilievo, deve quindi ritenersi
“funzionale” in relazione al ciclo produttivo e non solo “spaziale” in relazione
all’ubicazione di un impianto, come attesta l’eccettuazione delle acque
meteoriche di dilavamento unitamente a quelle “reflue domestiche”. Pres.
Barbagallo, Est. Barra Caracciolo - B. s.p.a. (avv. Narese) c. Regione Toscana e
altri (avv. Bianchi), Comune di Barberino di Mugello (avv. Padoa), Autorita' di
Bacino del Fiume Arno e altro (Avv. Stato) e Arpat (avv.ti Bora, Ciari e
Lorenzoni) - (Riforma TAR Toscana, n. 1044/2007) - CONSIGLIO DI STATO,
Sez. VI - 4 dicembre 2009, n. 7618
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO - Acque meteoriche di dilavamento - Relazione di
contrapposizione con le acque reflue industriali - Materiali risultanti da
attività industriali - Contatto e trascinamento - Fenomeno del dilavamento -
Riconducibilità alle acque reflue industriali - Esclusione. Nel concetto
normativo di “acque meteoriche di dilavamento”, -posto in relazione di
contrapposizione con l’enunciato delle “acque reflue industriali”, intese come
quelle provenienti da edificio od impianto di esercizio di attività
industriali-, è insito e connaturato sia che le acque “dilavino” cioè entrino in
contatto e trascinino i materiali che si trovano sul suolo, sia che questi
materiali possano essere quelli risultanti da attività industriali svolte presso
l’impianto di volta in volta considerato. Le acque meteoriche non quindi sono
ontologicamente riconducibili, nella considerazione normativa, alle acque reflue
industriali, mentre la circostanza che esse, ricadendo all’interno dell’area
dell’insediamento produttivo, entrino a contatto con i prodotti di lavorazione e
si arricchiscano di tali elementi, non descrive altro che il fenomeno del
“dilavamento”, perfettamente compatibile con il carattere proprio e tipico delle
“acque meteoriche”, appunto, “di dilavamento”; tale fenomeno, nella stessa
concettualizzazione normativa, non può comportare che le stesse “perdano” tale
natura “assumendo quella di acque reflue industriali o, quanto meno, quella di
“acque dilavanti contaminate”. Pres. Barbagallo, Est. Barra Caracciolo - B.
s.p.a. (avv. Narese) c. Regione Toscana e altri (avv. Bianchi), Comune di
Barberino di Mugello (avv. Padoa), Autorita' di Bacino del Fiume Arno e altro
(Avv. Stato) e Arpat (avv.ti Bora, Ciari e Lorenzoni) - (Riforma TAR Toscana, n.
1044/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 4 dicembre 2009, n. 7618
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N. 07618/2009 REG.DEC.
N. 07143/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 7143 del 2007, proposto da:
Berti Sisto & C. Lavori Stradali S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv.
Calogero Narese, con domicilio eletto presso Studio Grez in Roma, Lgt.
Flaminio,46-Pal. Iv-Sc. B;
contro
Regione Toscana, Comunita' Montana del Mugello, Azienda Sanitaria di Firenze;
Provincia di Firenze, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Bianchi, con
domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale N.43; Comune
di Barberino di Mugello, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Padoa, con
domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso V.Emanuele II, N.18;
Autorita' di Bacino del Fiume Arno, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per
legge in Roma, via dei Portoghesi 12; Arpat, rappresentato e difeso dagli avv.
Lucia Bora, Fabio Ciari, Fabio Lorenzoni, con domicilio eletto presso Fabio
Lorenzoni in Roma, via del Viminale N.43;
per la riforma
della sentenza del Tar Toscana - Firenze :sezione I n. 1044/2007, resa tra le
parti, concernente AUTORIZZAZIONE CAVE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2009 il consigliere di Stato
Luciano Barra Caracciolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza in epigrafe il Tar della Toscana ha respinto il ricorso proposto
dalla s.p.a. Berti Sisto & C. Lavori Stradali avverso l’autorizzazione cave n.6
del 17 ottobre 2005, rilasciata dal Comune di Barberino del Mugello,
limitatamente alla condizione n.3, implicante l’obbligo di chiedere
l’autorizzazione per lo scarico di acque meteoriche provenienti dai piazzali di
cava. Con motivi aggiunti la società ha impugnato la nota del 9 ottobre 2006 con
cui il Comune stesso invitava la ricorrente a provvedere all’adempimento
dell’obbligo.
L’adito Tribunale riteneva che la particolare tipologia delle lavorazioni che si
effettuavano sui piazzali di cava e la conseguente formazione di fanghi, che
sono considerati rifiuti e come tali trattati, comportava che le acque
meteoriche perdessero la loro natura e si trasformassero in acque reflue
industriali. Nel caso di specie era ragionevole ritenere che le acque di
dilavamento, venute in contatto con sostanze o materiali connessi con
lavorazioni industriali, ivi compresi non solo gli oli e quanto proveniente dai
mezzi meccanici utilizzati, ma anche le terre ed i fanghi prodotti dalle
lavorazioni, perdessero la loro natura di “acque scese dal cielo”. Rimanevano
sottratte a vincoli o prescrizioni solo le acque meteoriche di dilavamento che
tali rimanevano prima della loro immissione dell’ambiente e cioè quelle non
venute a contatto con sostanze o materiali connessi con le lavorazioni
industriali.
Peraltro, le eventuali deroghe al principio, nelle quali potrebbero rientrare i
casi di acque meteoriche contaminate per la presenza di materiali derivanti dal
ciclo industriale, sono disciplinate dalle regioni, con conseguente censura di
violazione dell’art.39 del D.lgs.n.152\99. Con la deliberazione della G.R. n.138
dell’11.2.2002, la Regione Toscana aveva stabilito che fossero soggette a regime
autorizzatorio le eventuali immissioni nell’ambiente di acque derivanti da
coltivazioni di cave e\o da connesse attività di trattamento e lavorazione dei
materiali estratti che rientrassero nella definizione di scarico individuata dal
D.lgs.152\99. Osservava il Tar, circa la dedotta estraneità della deliberazione
regionale alla disciplina di ipotesi di deroga al principio generale di non
soggezione delle acque meteoriche di dilavamento, che le acque meteoriche che
ricadevano all’interno dell’area interessata, a contatto con i prodotti di
lavorazione e con il terreno denudato e movimentato, si arricchiscono di “solidi
sospesi”, prodotti dalla pioggia che erode e trasporta i materiali interi più
fini, e di idrocarburi, dovuti alla presenza di macchine operatrici. Ricompresi
pertanto i piazzali di cava nella nozione di “stabilimento industriale”, le
acque che li dilavavano perdevano la natura di acque meteoriche assumendo quella
di “acque reflue industriali” o, quanto meno, quella di “acque dilavanti
contaminate”. La delibera regionale non poteva quindi non ritenersi riferita
anche alle acque meteoriche dilavanti i piazzali di cava, come confermava
l’art.2, comma 1, della l.r. n.20\2006, individuante la categoria della acque
dilavanti contaminate (lett e)). La distinzione trovava conferma nell’art.74
comma 1, lett.h) del D.lgs.n.152\2006, che modificando la definizione di “acque
reflue industriali” ex D.lgs.152\99, precisava che esse erano diverse dalle
acque meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali “anche quelle venute in
contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le
attività esercitate nello stabilimento”. Ne conseguiva che la acque meteoriche
venute a contatto con materiale inquinante connesso con il processo di
lavorazione andavano qualificate acque reflue industriali, senza che occorresse
la previa individuazione da parte della Regione delle “attività che
comportassero oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche di
dilavamento, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare
effettivi pregiudizi ambientali”, al fine di qualificare come contaminate le
acque in questione. Erano perciò respinti anche il terzo e quarto motivo di
ricorso, poiché la necessità di sottoporre ad autorizzazione lo scarico delle
acque in questione non derivava dalla loro potenzialità inquinante da accertare
appositamente, bensì dalla loro natura di acque contaminate per l’accertata
mescolanza con i materiali e le sostanze derivanti dal ciclo industriale, come
tali soggette ad autorizzazione indipendentemente dal loro effettivo carico
inquinante. In ogni caso l’autorizzazione allo scarico avrebbe imposto solo di
controllare le emissioni nei corpi recettori dei solidi sospesi totali e
comunque l’adozione di cautele per salvaguardare l’integrità dei corpi idrici.
Era pure respinta la censura relativa alla violazione dell’art.14 quater della
legge n.241\90, avendo eccepito la Provincia di non essere stata convocata o di
essere stata convocata tardivamente ed avendo in ogni caso l’ARPAT fatto proprio
il parere della Provincia espresso al di fuori del procedimento in questione
nella conferenza del 30 agosto 2005.
Appella l’originaria ricorrente deducendo i seguenti motivi:
1. Erroneità e contraddittorietà della motivazione. Violazione del
D.lgs.15.11.1999, n.152. Travisamento dei fatti.
Premesso che le acque e i fanghi di lavorazione seguono un percorso a circuito
chiuso che non si interseca mai col percorso delle acque meteoriche, e ribadito
che i fanghi di lavorazione decantano in vasche di sedimentazione diverse da
quelle in cui sono convogliate le acque meteoriche, la nota del responsabile del
servizio dell’ARPAT contraddice le conclusioni del Tar, in quanto l’acqua
meteorica cade sui piazzali e, in parte erodendo il terreno, in parte dilavando
i “frammenti di roccia” depositati sul terreno, trasporta questi materiali,
materiali sedimentabili, solidi che non si sciolgono nell’acqua, rimanendo
separati da essa e che non ne alterano la composizione chimica, senza che si
produca quel miscuglio inscindibile di cui parla il Tar; quindi, nella vasca in
cui le acque sono convogliate, il materiale sedimentabile si sedimenta e un
disoleatore elimina completamente problemi eventuali di idrocarburi. Solo dopo
questo processo l’acqua meteorica viene immessa nel corpo ricettore, senza
rischio che le particelle solide possano “banalizzare” l’alveo. Le acque piovane
arrivano alle vasche di sedimentazione cariche di solidi sospesi raccolti lungo
il tragitto e qui vengono chiarificate ed escono pulite, senza che vi sia il
rilascio nell’ambiente esterno né di acqua né di fanghi, né di reflui derivanti
dal ciclo produttivo, essendo perciò il Tar incorso sul punto in travisamento
dei fatti.
1.b. Ciò ha comportato l’assurda abrogazione della categoria giuridica delle
“acque meteoriche di dilavamento”, non essendo inoltre state assoggettate a
prescrizioni, e meno che mai ad autorizzazione, le immissioni di acque
meteoriche di dilavamento, dato che la Regione, competente a provvedere, non ha
previsto nulla ai sensi dell’art.39 del D.lgs.n.152\99, previsione confermata
dall’art.113 del D.lgs.n.152\06. Alla luce della disciplina intervenuta nel
2006, sia statale che regionale, emerge che le acque meteoriche sono sempre
dilavanti ma non per questo si trasformano in reflui, e, a seconda di ciò che
dilavano, possono essere contaminate o no. Però l’individuazione delle sostanze
che rendono contaminate le acque meteoriche è demandata ad un regolamento che la
regione Toscana non ha ancora emanato. In assenza di tale regolamento continua
ad applicarsi la vecchia previsione del D.lgs. 152 per cui, mancando la
normativa regionale, le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o
prescrizioni. E’ dunque “contra legem” l’assimilazione contenuta in sentenza tra
le acque meteoriche provenienti dai piazzali di cava e le acque reflue
industriali, contraddicendo una categoria prevista e voluta dal legislatore,
come già dedotto nei motivi I e III del ricorso di primo grado.
II. Violazione del D.lgs.11.5.1999, n.152. Erroneità e contraddittorietà della
motivazione. Difetto dei presupposti e travisamento dei fatti.
La delibera regionale 11.2.2002, n.138, non si riferisce affatto alle acque
meteoriche e non rappresenta quell’intervento regionale previsto dall’art.39 del
D.lgs.152\99; essa solo stabilisce che qualora le acque derivanti dall’attività
produttiva svolta sui piazzali di cava siano da considerarsi come “scarico di
acque reflue industriali”, allora sarebbero soggette all’obbligo generale di
preventiva autorizzazione. L’equivoco in cui è incorso il Tar di ritenere che la
delibera si riferisse alle acque meteoriche deriva dalla sua convinzione che la
ricorrente nel processo estrattivo e di lavorazione non immetta e non utilizzi
acqua di processo, mentre invece l’attività consiste anche nel lavaggio degli
inerti, dove sono utilizzate acque di lavorazione anche se non sono scaricate ma
ripompate a ciclo continuo. Ed è alle acque di lavorazione che si riferisce la
delibera regionale in questione.
III. Violazione art.39 del D.lgs. 152\99 sotto altro profilo. Violazione artt. 2
e 13 l.r. Toscana 31 maggio 2006, n.20. Contraddittorietà della motivazione e
difetto dei presupposti. Straripamento di potere.
Il Tar afferma poi che anche se fosse errata la parificazione delle acque
piovane dilavanti ai reflui industriali, le acque meteoriche sarebbero comunque
da considerarsi “contaminate”. Tuttavia le acque meteoriche di dilavamento
contaminate secondo la lettera e) della l.r. n.20\2006, sono quelle “derivanti
dalle attività che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nella acque
meteoriche, di sostanze pericolose e di sostanze in grado di determinare
effettivi pregiudizi ambientali” individuate dal regolamento di cui all’art.13,
che non è stato mai emanato. In mancanza di esso, la stessa l.r. non può operare
e trova applicazione il secondo comma dell’art.39 del D.lgs. N.152\99, per cui
la acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni.
III.b. Per il Tar le acque meteoriche diventano, se non acque reflue
industriali, acque dilavanti contaminate perché cadendo sul piazzale di cava, si
arricchiscono di solidi sospesi totali e di idrocarburi. Ebbene, siccome la
nozione di “acqua meteorica di dilavamento” contiene in sé l’idea che essa
dilava e trascina con sé altri materiali; siccome la normativa regionale
stabilisce che il fatto che l’acqua trascini altro materiale non la rende di per
sé pericolosa o contaminata; siccome allora occorre discernere cosa si è
trascinato; siccome, infine, quelli di cui si discute sono materiali che non
interagiscono con l’acqua e che naturalmente se ne separano (“interi”); allora
non v’è ragione di affermare che le acque in questione siano da considerarsi
pericolose, tanto più che l’unica volta in cui il legislatore regionale si è
occupato delle acque in ambito di cava (d.G.R. n.138\2002) ha stabilito che
“l’eventuale utilizzo di acque nelle fasi di taglio non costituisce scarico ai
sensi del D.lgs.n.152\92”, onde non necessita di autorizzazione.
Quanto agli idrocarburi, la definizione di acque meteoriche non contaminate
richiamata dal Tar (quelle derivanti da superfici impermeabili non adibite allo
svolgimento di attività produttive, compresi i piazzali di sosta e di
movimentazione di automezzi, anche di aree industriali), contraddice la
qualificabilità delle acque in questione come “contaminate”; se gli idrocarburi-
trattati in cava con un disoleatore ed eliminati quindi dall’acqua restituita al
reticolo idrografico- non sono idonei a contaminare l’acqua quando vengono
dilavati dai piazzali di sosta e di movimentazione automezzi, come potrebbero
esserlo se vengono dilavati in un piazzale di cava, dato che anche questo è un
piazzale industriale in cui il rischio di rilascio di idrocarburi potrebbe
derivare solo dalla movimentazione dei mezzi, non essendovi svolta alcuna
attività ulteriore che comporti l’utilizzo di idrocarburi?
IV. Contraddittorietà della motivazione. Violazione del D.lgs.n.152\99 sotto
ulteriore profilo. Violazione della l.r. 31.5.2006, n.20, sotto ulteriore
profilo. Difetto assoluto di presupposti.
Secondo il Tar l’acqua meteorica nel caso si trasforma in refluo industriale
perché cadendo entrerebbe in contatto con “materiale inquinante”.
Era stato dedotta in proposito la censura che l’art.39 del D.lgs.n.152\99
utilizza la locuzione “particolari ipotesi in relazione all’attività svolta”,
esigendo che deve trattarsi di situazione in cui il rischio si presenti a
seguito di un giudizio concreto e qualificato, giudizio che l’ARPAT non ha
ritenuto di effettuare, basandosi sull’assioma per cui basta l’esercizio
dell’attività di cava per ritenere sussistente un carico inquinante tale da
dover dettare particolari prescrizioni. Per il Tar la necessità di sottoporre ad
autorizzazione lo scarico de quo non deriva però dalla loro potenzialità
inquinante, bensì dalla natura di acque contaminate per l’accertata sussistenza
di contatto con i materiali e le sostanze derivanti dal ciclo industriale, per
cui sono soggette ad autorizzazione indipendentemente dal loro effettivo carico
inquinante. Pare allora che l’autorizzazione sia necessaria non tanto per la
qualificazione delle acque come reflue industriali, ma per la loro natura di
“acque contaminate”.
IV.b. In precedenza è stata dedotta l’impossibilità giuridica di qualificare le
acque in questione come meteoriche dilavanti contaminate; inoltre la possibilità
di tale qualificazione secondo la legge regionale presuppone che esse comportino
un “oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche dilavanti, di
sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi
ambientali”. I relativi casi dovevano essere determinati dal legislatore
regionale con regolamento; l’accertamento di tale rischio oggettivo sarebbe
comunque spettato all’ARPAT, che però non ha svolto nessuna verifica e nessuna
valutazione del carico inquinante effettivamente e concretamente presente
nell’area.
V. Erroneità della motivazione. Travisamento dei fatti. Manifesta ingiustizia,
vessatorietà e disparità di trattamento.
Il Tar richiama il verbale di sopralluogo ARPAT del 25 ottobre 2006 per
individuare un ulteriore rischio di inquinamento dei corpi idrici derivanti
dallo scarico delle acque che cadono sui piazzali di cava; ma dal verbale emerge
che gli esiti attengono ad aree del tutto diverse dai piazzali, su una strada
esterna all’area di cava che non è di proprietà della ricorrente, strada di
cantiere che altra impresa, nell’ambito dei lavori della Variante di Valico,
stava realizzando per raggiungere il proprio cantiere, e nello stesso verbale si
fa riferimento alla ripercussioni negative sui torrenti vicini della acque
originate dal lavaggio di quella stessa strada, operato dalla stessa impresa.
Mentre non risulta che alcuna prescrizione sia stata imposta a tale impresa, il
Tar adduce i rischi derivanti dallo scarico di tali acque come motivo per
imporre alla ricorrente l’autorizzazione allo scarico della acque che piovono
altrove.
VI. Sull’estromissione dal giudizio di ARPAT e Provincia di Firenze.
Lo stesso Tar ammette che il parere della Provincia ha contribuito quale atto
endoprocedimentale a determinare il contenuto finale del provvedimento
impugnato, con la conseguenza che costituirebbe un provvedimento che, pur
assorbito nella determinazione finale della conferenza di servizi, impone alla
parte che intenda contestarlo l’onere di notificazione del ricorso anche
all’amministrazione alla quale sia soggettivamente imputabile. Ma disposta tale
estromissione, comunque, il Tar non avrebbe dovuto tener conto degli scritti
difensivi depositati dagli enti estromessi, mentre la sentenza si basa sulle
tesi difensive svolte da queste stesse Amministrazioni, configurandosi un grave
vizio procedurale.
Si è costituito il Comune di Barberino del Mugello deducendo l’infondatezza
dell’appello.
Si sono costituite altresì ARPAT e Provincia di Firenze; la prima ha ribadito la
propria carenza di legittimazione passiva ed ha svolto controdeduzioni sul
merito dell’appello, la seconda ha dedotto l’inammissibilità ed infondatezza
dell’appello medesimo.
Si è costituito il Ministero dell’ambiente unitamente all’Autorità di bacino del
fiume Arno senza svolgere particolari difese.
DIRITTO
1. Va ribadita la carenza di legittimazione passiva dell’ARPAT e della Provincia
di Firenze nella presente controversia.
Ed infatti la prima ha emesso un parere, in data 30 agosto 2005, all’interno del
procedimento avente perciò, come tale, secondo la corretta qualificazione
fornita dal Tar, natura endoprocedimentale e non provvedimentale, sicchè non si
applica l’orientamento giurisprudenziale richiamato in appello, dovendo
piuttosto ritenersi che l’impugnazione della prescrizione imposta dal Comune, in
caso di suo accoglimento, sia idonea a rimuovere integralmente la lesione
lamentata, senza che possa residuare un’autonoma operatività del predetto atto
endoprocedimentale, e dell’attività istruttoria che esso presuppone, che non sia
travolta dall’eventuale caducazione del provvedimento finale.
A maggior ragione tali considerazioni valgono per il parere della Provincia,
soltanto richiamato dall’ARPAT nel suo opinamento, e che rimane sullo sfondo,
come rinvio extraprocedimentale determinativo del contenuto del parere ARPAT, ma
insieme ad esso assorbito, nella sua valenza lesiva, dal medesimo provvedimento
finale.
1.1. Quanto al “grave vizio procedurale” determinatosi dall’avere asseritamente
il primo giudice tenuto conto delle difese degli enti estromessi, esso perde di
rilevanza, anche con riferimento alla sua astratta prospettazione, alla luce
delle considerazioni che seguono, in cui la decisione è assunta alla stregua
delle risultanze probatorie versate in atti e comunque utilizzabili nel processo
amministrativo, avente un sistema istruttorio anche acquisitivo, nonchè di
argomentazioni in punto di diritto comunque commisurate alle doglianze svolte in
primo grado ed ai motivi di appello strettamente correlati al merito della
vicenda.
2. Il punto centrale della controversia concerne la qualificazione da attribuire
alle acque piovane, cioè “meteoriche di dilavamento”, secondo il concetto
offerto dal legislatore già ai sensi degli artt.2 e 39 del D.lgs. 11 maggio
1999, n.152, le quali precipitino in un piazzale utilizzato per la
frantumazione, lo stoccaggio, il caricamento ed il successivo trasporto di
materiale estrattivo proveniente da un’adiacente cava, piazzale come tale
ingombrato da residui di tale materiale, che tende ad essere ridotto in polveri
dal passaggio degli automezzi che, a loro volta, lasciano sullo stesso terreno
residui di idrocarburi.
Sul piano del fatto, poi, risulta pacifico che tali acque meteoriche siano
convogliate, nel caso specifico, in vasche di decantazione, dove vengono
separati i fanghi in esse presenti in sospensione, che essendo “inerti” non
alterano chimicamente le stesse acque (la circostanza risulta del pari pacifica
alla luce dei rilievi svolti dalla stessa ARPAT), e dove un “disoleatore”
trattiene gli idrocarburi eventualmente presenti. Solo dopo tale “decantazione”
e depurazione, le acque originariamente meteoriche in questione vengono immesse
nei corpi idrici dell’ambiente circostante. E’ altettanto pacifico che la parte
solida sedimentata dei “fanghi” è separatamente smaltita come “rifiuto”.
Il Tar ha ritenuto, nella sua più pregnante e decisiva statuizione, che la
particolare tipologia delle lavorazioni che si effettuano sui piazzali di cava e
la conseguente formazione di fanghi, considerati rifiuti e, come s’è visto,
trattati come tali, comporta che le acque meteoriche perdano nel caso la loro
natura e si trasformino in acque reflue industriali, soggette cioè ad
autorizzazione allo scarico, come in effetti imposto in base all’impugnata
prescrizione n.3) della rilasciata autorizzazione all’esercizio della cava.
3. La conclusione non è da condividere.
Ed infatti, deve ritenersi che, nel caso di una cava a cielo aperto, come quello
che ci occupa, il piazzale dove avviene la frantumazione, lo stoccaggio, il
caricamento ed il trasporto del materiale estrattivo costituisca una componente
coessenziale dell’impianto utilizzato per l’esercizio dell’attività produttiva;
l’attività complessiva in questione trova, infatti, in tali operazioni dei
momenti di ineliminabile svolgimento del ciclo produttivo e quindi il piazzale
finalizzato a tali essenziali lavorazioni rientra a titolo primario nel concetto
di “impianto..in cui si svolge attività…di produzione di beni” utilizzato nella
definizione di acque reflue industriali posta dall’art.2 citato e ribadita
dall’attuale art.74, lettera h) del D.lgs. 3 aprile 2006, n.152.
3.1. Tale connotazione, in definitiva operata anche dal giudice di prime cure,
tuttavia, non risulta sufficiente a trasformare le acque meteoriche di
dilavamento in “acque reflue industriali”, giacchè il principale ostacolo a tale
qualificazione è frapposto dalla stessa definizione di queste ultime, quale
ricavabile dall’art.2 del D.lgs. n.152\99, conforme, d’altra parte, nella sua
integralità, al testo attualmente vigente dell’art.74, comma 1, lett.h), del
D.lgs. 3 aprile 2006, n.152, quale interpolato dall’art.2, comma 1, del D.lgs.
16 gennaio 2008, n.4.
Quest’ultimo ha infatti soppresso l’inciso finale precedentemente inserito nel
testo dell’art.74, comma 1, lett.h) medesimo, secondo il quale si intendevano
come acque meteoriche di dilavamento “anche quelle venute in contatto con
sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate
nello stabilimento” (la rilevanza di tale soppressione e, prima ancora,
dell’inciso stesso, non sussistono peraltro nella presente controversia, in cui
il provvedimento finale reca la data del 17 ottobre 2005, quando non era
dubitabile che l’unica disciplina a cui fare riferimento fosse quella ritraibile
dal solo D.lgs.11 maggio 1999, n.152, allora vigente).
Ed invero, la disciplina “ratione temporis” applicabile, ed in effetti
applicata, prevedeva la natura di “acque reflue industriali” delle sole acque
che, comunque provenienti da edifici od impianti in cui si svolgessero attività
commerciali o di produzione, fossero comunque diverse dalle “acque meteoriche di
dilavamento”.
3.2. In sostanza, per il legislatore assume importanza dirimente, ai fini della
qualificazione in parola, la circostanza che le acque reflue siano immesse nel
ciclo produttivo in conseguenza dell’iniziativa umana ascrivibile all’attività
economica esercitata, risultando cioè l’immissione un momento costitutivo del
processo produttivo, come conferma altresì la pari eccettuazione dal regime
prevista per le “acque reflue domestiche” (oltre che, appunto, per quelle
“meteoriche di dilavamento”).
Non può perciò condividersi il riferimento operato dal Tar alla giurisprudenza
di merito dell’A.G.O. relativa ad acque che, ancorchè meteoriche, siano da
ritenersi comunque “provenienti dall’insediamento produttivo”; ciò perché, da un
lato, la provenienza dall’impianto non è considerata elemento di qualificazione
di per sé sufficiente alla stregua della stessa evidente ed obiettiva
formulazione legislativa, dall’altro, le acque derivanti da eventi atmosferici
non possono neppure, a rigore, considerarsi, “comunque” provenienti
dall’insediamento produttivo, perché la loro origine rimane essenzialmente
atmosferica e la provenienza dall’impianto deve ritenersi incidentale, cioè
ascrivibile al “luogo” ma indipendentemente dalla natura produttiva di questo e
dalla (dovuta) funzionalità e strumentalità dell’utilizzazione delle acque
rispetto al ciclo produttivo.
3.3. La provenienza presa in considerazione dalla legge, nel complesso della
formulazione legislativa qui in rilievo, deve quindi ritenersi “funzionale” in
relazione al ciclo produttivo e non solo “spaziale” in relazione all’ubicazione
di un impianto, come attesta l’eccettuazione delle acque meteoriche di
dilavamento unitamente a quelle “reflue domestiche”.
Né è condivisibile il passaggio della sentenza di primo grado che, tralasciando
il dato testuale e logico derivante dalla lettera della disposizione in
questione, con un salto logico puntualmente denunziato in appello, ritiene che
le acque di dilavamento venute in contatto con sostanze o materiali connessi con
le lavorazioni industriali perdano la loro natura di “acque scese dal cielo”: ed
infatti, nel concetto normativo di “acque meteoriche di dilavamento”, -posto in
relazione di contrapposizione con il precedente enunciato delle “acque reflue
industriali”, intese come quelle provenienti da edificio od impianto di
esercizio di attività industriali-, è insito e connaturato sia che le acque
“dilavino” cioè entrino in contatto e trascinino i materiali che si trovano sul
suolo, sia che questi materiali possano essere quelli risultanti da attività
industriali svolte presso l’impianto di volta in volta considerato.
4. La conclusione qui tratteggiata trova poi conferma nell’altra disposizione
normativa in tema di “acque meteoriche di dilavamento”, come ulteriormente
denunzia l’appello in esame, e ciò in un senso del tutto opposto a quello
ritenuto dal giudice di prime cure.
Tale norma è l’art.39 del D.lgs.n.152\99, per il quale il comma 1, lett. b)
prevede che le Regioni disciplinino “i casi in cui può essere richiesto che le
immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre
condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa
l’eventuale autorizzazione”, mentre il comma 2 dispone che “ le acque meteoriche
non disciplinate ai sensi del comma precedente non sono soggette a vincoli o
prescrizioni derivanti dal presente decreto”.
4.1. La disposizione si connette sistematicamente alla previsione dell’art.2
stesso D.lgs., sopra analizzata, nel configurare una disciplina dove le acque
meteoriche sono, in linea di principio, esenti da autorizzazioni o prescrizioni
ed estranee al sistema di controllo preventivo della immissione previsto per le
acque derivanti da insediamento umano, e ciò ancorchè concernano, con la loro
precipitazione, luoghi utilizzati come insediamenti produttivi, in cui il
“dilavamento” rimane un fenomeno naturale, non oggetto di una presunzione
assoluta di automatica capacità inquinante.
La possibile, ed anzi probabile, interferenza della precipitazione atmosferica e
del suo effetto “dilavante” con la potenzialità inquinante degli insediamenti
umani, anche produttivi, evenienza innegabile secondo il senso comune, è
peraltro oggetto di una specifica previsione, che affida alla Regione
l’individuazione in via normativa dei casi che, secondo un apprezzamento
tecnico-discrezionale dell’esperienza produttiva (e, più ampiamente,
insediativa), siano tali da evidenziare il superamento di una soglia di
pericolosità inquinante che esige un particolare regime cautelativo
(prescrizioni ed “eventuale autorizzazione”).
4.2. Dunque le acque meteoriche non sono ontologicamente riconducibili, nella
considerazione normativa, alle acque reflue industriali, mentre la circostanza,
utilizzata dal Tar come premessa qualificante del suo ragionamento, che esse,
ricadendo all’interno dell’area dell’insediamento produttivo, entrando a
contatto con i prodotti di lavorazione, si arricchiscano, nel caso, di “solidi
sospesi” e di “idrocarburi” (dovuti alla presenza di macchine operatrici), non
descrive altro che il fenomeno del “dilavamento”, perfettamente compatibile con
il carattere proprio e tipico delle “acque meteoriche”, appunto, “di
dilavamento”; tale fenomeno, nella stessa concettualizzazione normativa, non può
comportare che le stesse “perdano” tale natura “assumendo quella di acque reflue
industriali o, quanto meno, quella di “acque dilavanti contaminate””(cfr; pag 14
sentenza di primo grado).
4.3. Se, come già precisato, si fa correttamente riferimento alla disciplina al
tempo vigente (ma non divergenti rilievi scaturiscono dall’esame della
disciplina attuale), si conclude, invece, nel senso che la pur ragionevole
maggior pericolosità dell’interferenza tra acque meteoriche e dilavamento di
materiali estrattivi provenienti dalle cave, ben avrebbe potuto costituire
l’oggetto della disciplina regionale relativa ai casi in cui tali acque piovane
risultino assoggettate a misure di prevenzione del pericolo di inquinamento, ai
sensi del citato art.39, comma 1, lett. b).
Ma tale disciplina non era stata, al tempo, dettata dalla Regione Toscana ed in
assenza della medesima non era legittimo ricorrere, in definitiva per colmare
una lacuna nella disciplina prevista dal D.lgs.n.152\99, (quale poi ribadita
dall’art.113 del D.lgs.n.152\2006), ad una forzatura del concetto di “acque
reflue industriali”, qual’è quella posta a base della prescrizione impugnata e
del parere dell’ARPAT del 30 agosto 2005, richiamante analoghe conclusioni di un
parere della Provincia reso il 16 maggio 2003.
4.4. Va soggiunto che una tale disciplina regionale non può riconoscersi nelle
previsioni della deliberazione di Giunta regionale n.138 dell’11 febbraio 2002,
che appare con tutta evidenza dettata per le immissioni nell’ambiente delle
diverse “acque derivanti da coltivazioni di cave e\o da connesse attività di
trattamento e lavorazione dei materiali estratti”, e che quindi concerne acque
immesse nel ciclo produttivo a seguito della connessa iniziativa umana, sul cui
carattere di “reflue industriali” e sulla cui connessa esigenza di
autorizzazione all’immissione non possono sorgere dubbi.
4.5. Neppure può coadiuvare le conclusioni assunte in primo grado il riferimento
alla disciplina di cui alla l.r. 31 maggio 2006, n.20, che agli artt.1 e 2 pone
il concetto di “acque meteoriche dilavanti contaminate” (art.2, comma 1, lett
e)), intese come quelle “derivanti da attività che comportino oggettivo rischio
di trascinamento…di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare
effettivi pregiudizi ambientali individuate dal regolamento di cui all’art.13”.
Detta disciplina regionale, infatti, in primo luogo, è successiva all’adozione
del provvedimento impugnato, sicchè corrobora la conclusione che la clausola di
salvaguardia ambientale in tema di acque meteoriche prevista dall’art.39, comma
1, lett.b), del D.lgs.n.152\99, non avesse trovato attuazione fino a quel
momento, sicchè non poteva farsene una legittima applicazione nei confronti
della ricorrente.
D’altra parte, poi, la disciplina regionale in rilievo può risultare applicabile
soltanto in presenza dell’adozione del “regolamento di cui all’art13” della
stessa l.r., in assenza del quale il concetto di “acque meteoriche dilavanti
contaminate” non opera in quei termini di tipicità e determinatezza che
consentono l’attivazione del sistema delle autorizzazioni comunali previste
dalla legge regionale medesima.
5. Va peraltro soggiunto che il sopra illustrato sistema di decantazione e di
prima depurazione delle acque meteoriche in questione, autonomamente attivato
dalla impresa appellante, conferma, sul piano del fatto, l’esistenza di quelle
interferenze tra precipitazioni atmosferiche e attività estrattiva che
comportano rischi di inquinamento idrico che sono contemplate dal sistema di
tutela di livello regionale previsto dall’art.39 D.lgs.n.152\99, ma non per
questo implicano l’accertamento legittimo di un fenomeno inquinante direttamente
connesso alle acque meteoriche impingenti sul piazzale di cava, mentre neppure
attestano una sorta di ammissione implicita del carattere refluo industriale
delle acque stesse da parte dell’impresa, perché si tratta comunque di
circostanze di fatto che non alterano la riconducibilità dei fatti in rilievo
alle corrette definizioni normative qui assunte.
6. Alla luce dei rilievi finora svolti, comportanti l’accoglimento dei motivi
secondo e terzo di appello (B1 e B2), deve ritenersi caducata l’intera sentenza
di primo grado, posto che una volta accertato che le “acque meteoriche di
dilavamento” non possono essere qualificate come “acque reflue industriali”, e
neppure sussumibili nella categoria speciale delle acque meteoriche
sottoponibili a particolari prescrizioni o eventuale autorizzazione, ovvero
“contaminate”, per l’assenza, al momento dell’esecuzione dell’istruttoria e
dell’adozione del provvedimento impugnato della dovuta disciplina regionale
(subentrata successivamente e che, comunque, esige l’adozione del “regolamento
di cui all’art13”), ne risulta accolta in misura satisfattiva l’originaria
impugnazione caducante la prescrizione impugnata in via principale.
E’ evidente come, sulla scorta di ciò, non rilevi più la questione della
effettuazione o meno, da parte degli organi tecnici deputati all’espletamento
dell’istruttoria, degli accertamenti circa l’effettivo rischio di inquinamento e
della riconducibilità o meno di tale fase istruttoria al regime delle “acque
meteoriche contaminate”, previsto dalla posteriore disciplina regionale di cui
si è esclusa l’applicabilità al caso in esame.
6.1. Ad ogni buon conto, l’istruttoria espletata a seguito della decisione
interlocutoria n.894 del 2009, ha chiarito che la ricorrente ha chiesto ed
ottenuto l’autorizzazione allo scarico delle acque meteoriche in questione, in
virtù di atto dirigenziale della Provincia di Firenze n.2733 del 20 agosto 2007;
è emerso altresì in corso di causa che tale autorizzazione è (soltanto) ora
espressamente prevista in forza del regolamento emanato dalla Regione ai sensi
del già citato art.13 delle l.r. n.20 del 2006, cioè del regolamento approvato
con DRGT 8 settembre 2008, n.46.
La stessa Provincia sostiene che “ad avallare al posizione a suo tempo assunta…”
cioè che lo scarico delle acque meteoriche fosse, nel caso, soggetto ad
autorizzazione, “interviene il comma 5 dell’art.39” dello stesso regolamento del
2008. La Provincia opina inoltre che “quanto autorizzato soddisfi i requisiti
previsti dal regolamento e pertanto debba essere confermato”.
La Provincia in sede istruttoria dichiara inoltre che in occasione del rilascio
dell’autorizzazione allo scarico in questione si è chiesto il trattamento di
tutte le acque “anticipando” i contenuti dell’art.43, comma 2, del successivo
regolamento” del 2008.
Le stesse risultanze istruttorie e, obiettivamente, l’emanazione di quest’ultimo
regolamento, di circa tre anni successivo all’atto impugnato, confermano dunque
quanto qui finora ritenuto, ossia che, in conformità delle previsioni
dell’art.39, comma 1, lett. b) del D.lgs. n.152\99 e dei corrispondenti artt.2
(introducente ex novo rispetto al testo legislativo statale il concetto di
“acque meteoriche dilavanti”) e 13 della della citata l.r. n.20 del 2006, al
momento della emanazione del provvedimento impugnato con il ricorso di primo
grado, non sussisteva alcun obbligo di autorizzazione allo scarico delle acque
meteoriche ancorchè interessanti un’area utilizzata per l’attività di cava.
Alla luce di quanto precede appare evidente il permanere dell’interesse alla
decisione dell’attuale appellante, atteso che la mancata rimozione dell’atto
impugnato renderebbe operativo un obbligo a suo carico che, se mantenuto,
comporterebbe, in caso di sua violazione e per il periodo tra il 2005 ed il
2008, l’esposizione dell’impresa e dei suoi legali rappresentanti a
responsabilità da illecito amministrativo ed eventualmente penale, pur a fronte
di una normativa che, al tempo, non consentiva l’imposizione di dotarsi di
un’autorizzazione.
L’incertezza della complessa disciplina in applicazione e la natura degli
interessi coinvolti giustifica peraltro la compensazione delle spese tra tutte
parti costituite per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe, lo accoglie e per
l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie l’originario ricorso e
annulla il provvedimento nella parte impugnata..
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Luciano Barra Caracciolo, Consigliere, Estensore
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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