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CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 16/07/2009, Sentenza C-165/08



DIRITTO AGRARIO - Organismi geneticamente modificati (OGM) - Sementi - Divieto di commercializzazione - Divieto di iscrizione nel catalogo nazionale delle varietà - Artt. 22 e 23 Direttive 2001/18/CE e Artt. 4, n. 4, e 16, Dir. 2002/53/CE - Deduzione di motivi di ordine etico o religioso - Onere della prova.
La Repubblica di Polonia, avendo vietato la libera circolazione di sementi di varietà geneticamente modificate, nonché l’iscrizione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo nazionale delle varietà, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 22 e 23 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, e degli artt. 4, n. 4, e 16 della direttiva del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/53/CE, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole. Pres. Timmermans, Rel. Schiemann - Commissione delle Comunità europee c. Repubblica di Polonia. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 16/07/2009, Sentenza C-165/08


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CORTE DI GIUSTIZIA

delle Comunità Europee,


SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

16 luglio 2009

«Organismi geneticamente modificati - Sementi - Divieto di commercializzazione - Divieto di iscrizione nel catalogo nazionale delle varietà - Direttive 2001/18/CE e 2002/53/CE - Deduzione di motivi di ordine etico o religioso - Onere della prova»



Nella causa C-165/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 15 aprile 2008,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. B. Doherty e dalla sig.ra A. Szmytkowska, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica di Polonia, rappresentata dal sig. M. Dowgielewicz, in qualità di agente,

convenuta,


LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann (relatore), P. Kuris, L. Bay Larsen e dalla sig.ra C. Toader, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza


1 Col suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica di Polonia, avendo vietato la libera circolazione di sementi di varietà geneticamente modificate, nonché l’iscrizione di varietà geneticamente modificate nel catalogo nazionale delle varietà, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag. 1), nella sua totalità e, in particolare dei suoi artt. 22 e 23, nonché in forza della direttiva del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/53/CE, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (GU L 193, pag. 1), in particolare dei suoi artt. 4, n. 4, e 16.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

La direttiva 2001/18

2 La direttiva 2001/18 è stata adottata sul fondamento dell’art. 95 CE. A norma dell’art. 1 essa mira, nel rispetto del principio di precauzione, al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell’ambiente, da un lato, quando si emettono deliberatamente nell’ambiente organismi geneticamente modificati (in prosieguo: gli «OGM») a scopo diverso dall’immissione in commercio all’interno della Comunità europea e, dall’altro, quando si immettono in commercio all’interno della Comunità OGM come tali o contenuti in prodotti.

3 Il nono ‘considerando’ della direttiva 2001/18 enuncia quanto segue:

«Il rispetto dei principi etici riconosciuti in uno Stato membro è particolarmente importante. Gli Stati membri possono prendere in considerazione gli aspetti etici quando gli OGM siano deliberatamente emessi o immessi in commercio come tali o contenuti in prodotti».

4 Ai sensi dei ‘considerando’ che vanno dal cinquantaseiesimo al cinquantottesimo di tale direttiva:

«(56) Se un prodotto comprendente un OGM o una combinazione di essi è immesso sul mercato o è stato debitamente autorizzato ai sensi della presente direttiva, uno Stato membro non può vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della presente direttiva. Occorre prevedere una clausola di salvaguardia in caso di rischio per la salute umana o per l’ambiente.

(57) È opportuno consultare il Gruppo europeo della Commissione per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie al fine di ottenere un parere riguardo a problemi etici generali relativi all’emissione deliberata o all’immissione in commercio di OGM. Tale consultazione non dovrebbe pregiudicare la competenza degli Stati membri in merito alle questioni etiche.

(58) Gli Stati membri dovrebbero poter consultare qualsiasi comitato da essi istituito allo scopo di ottenere un parere sulle implicazioni etiche della biotecnologia».

5 La parte B della direttiva in parola tratta delle condizioni alle quali sono rilasciate le autorizzazioni all’emissione deliberata di OGM per qualsiasi fine diverso dalla loro immissione in commercio.

6 La parte C della medesima direttiva, che comprende gli articoli dal 12 al 24 di quest’ultima, riguarda le autorizzazioni all’immissione in commercio di OGM come tali o contenuti in prodotti.

7 Intitolato «Libera circolazione», l’art. 22 della direttiva 2001/18 così dispone:

«Fatto salvo l’articolo 23, gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della presente direttiva».

8 L’art. 23 di tale direttiva, intitolato «Clausola di salvaguardia», recita come segue:

«1. Qualora uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio.

Lo Stato membro provvede affinché, in caso di grave rischio, siano attuate misure di emergenza, quali la sospensione o la cessazione dell’immissione in commercio, e l’informazione del pubblico.

Lo Stato membro informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri circa le azioni adottate a norma del presente articolo e motiva la propria decisione, fornendo un nuovo giudizio sulla valutazione di rischi ambientali, indicando se e come le condizioni poste dall’autorizzazione debbano essere modificate o l’autorizzazione debba essere revocata e, se necessario, le nuove o ulteriori informazioni su cui è basata la decisione.

2. Una decisione in materia è adottata entro 60 giorni, secondo la procedura di cui all’articolo 30, paragrafo 2 (…)».

9 L’art. 29 della suddetta direttiva così dispone:

«1. Fatte salve le competenze degli Stati membri nelle questioni etiche, la Commissione, di sua iniziativa o su richiesta del Parlamento europeo o del Consiglio consulta, su questioni etiche, qualsiasi comitato da essa costituito allo scopo di ottenere un parere sulle implicazioni etiche della biotecnologia, come il Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie.

Tale consultazione può anche essere effettuata su richiesta di uno Stato membro.

(…)

3. Il paragrafo 1 lascia impregiudicate le procedure amministrative previste nella presente direttiva».

10 L’art. 36 della direttiva 2001/18 prevede quanto segue:

«1. La direttiva 90/220/CEE è abrogata il 17 ottobre 2002.

2. I riferimenti fatti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e vanno letti secondo la tabella di correlazione contenuta nell’allegato VIII».

La direttiva 2002/53

11 Come risulta dal suo art. 1, n. 1, la direttiva 2002/53 «riguarda l’ammissione delle varietà di barbabietole, di piante foraggere, di cereali, di patate, di piante oleaginose e da fibra in un catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole le cui sementi o i cui materiali di moltiplicazione possono essere commercializzati secondo le disposizioni delle direttive relative rispettivamente alla commercializzazione delle sementi di barbabietole (2002/54/CE) [del Consiglio 13 giugno 2002, relativa alla commercializzazione delle sementi di barbabietole (GU L 193, pag. 12)], delle sementi di piante foraggere (66/401/CEE) [del Consiglio 14 giugno 1966, relativa alla commercializzazione delle sementi di piante foraggere (GU 125, pag. 2298)], delle sementi di cereali (66/402/CEE) [del Consiglio 14 giugno 1966, relativa alla commercializzazione delle sementi di cereali (GU 125, pag. 2309)], dei tuberi-seme di patate (2002/56/CE) [del Consiglio 13 giugno 2002, relativa alla commercializzazione dei tuberi-seme di patate (GU L 193, pag. 60)] e delle sementi di piante oleaginose e da fibra (2002/57/CE) [del Consiglio 13 giugno 2002, relativa alla commercializzazione delle sementi di piante oleaginose e da fibra (GU L 193, pag. 74)]». Ai sensi del n. 2 del medesimo articolo, il suddetto catalogo comune viene «compilato in base ai cataloghi nazionali degli Stati membri».

12 L’art. 4 della direttiva 2002/53, il quale reca un certo numero di condizioni che gli Stati membri devono rispettare ai fini dell’ammissione di una varietà, al suo n. 4 prevede quanto segue:

«Nel caso di una varietà geneticamente modificata ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/220/CEE, la varietà può essere ammessa solo se sono state adottate tutte le misure appropriate atte ad evitare effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente».

13 L’art. 16 della direttiva 2002/53 così dispone:

«1. Gli Stati membri vigilano affinché, con effetto a partire dalla data di pubblicazione di cui all’articolo 17, le sementi delle varietà ammesse in applicazione delle disposizioni della presente direttiva o in base a principi corrispondenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva non siano soggette ad alcuna restrizione di mercato per quanto concerne la varietà.

2. A richiesta di uno Stato membro questo può essere autorizzato, con la procedura di cui all’articolo 23, paragrafo 2, ovvero all’articolo 23, paragrafo 3, nel caso di varietà geneticamente modificate, a vietare l’impiego, in tutto o in parte del suo territorio, della varietà in questione o a prescrivere le condizioni appropriate di coltivazione della varietà e, nel caso di cui alla lettera c), le condizioni di impiego dei prodotti derivanti dalla sua coltivazione:

a) qualora sia appurato che la coltivazione di tale varietà possa risultare dannosa dal punto di vista fitosanitario per la coltivazione di altre varietà o specie;

b) qualora, in base ad esami ufficiali in coltura, effettuati nello Stato membro richiedente, applicando per analogia le disposizioni dell’articolo 5, paragrafo 4, si sia constatato che la varietà non produce, in nessuna parte del territorio di tale Stato, risultati corrispondenti a quelli ottenuti con un’altra varietà comparabile ammessa nel territorio di detto Stato membro o se è notorio che la varietà, per natura e classe di maturità, non è atta ad essere coltivata in alcuna parte del territorio di detto Stato membro. La domanda è presentata entro la fine del terzo anno di calendario successivo a quello dell’ammissione;

c) qualora sussistano valide ragioni, diverse da quelle già indicate o che possono esserlo nel caso della procedura di cui all’articolo 10, paragrafo 2, per ritenere che la varietà presenta un rischio per la salute umana o l’ambiente».

14 Ai sensi dell’art. 17 di tale direttiva:

«Conformemente alle informazioni fornite dagli Stati membri e via via che esse le pervengono, la Commissione provvede a pubblicare nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, serie C, sotto la designazione “Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole”, tutte le varietà [i] cui sementi e materiali di moltiplicazione, ai sensi dell’articolo 16, non sono soggetti ad alcuna restrizione di commercializzazione per quanto concerne la varietà (…)».

La normativa nazionale

15 L’art. 5, n. 4, della legge sulle sementi 26 giugno 2003 (Dz. U n. 137, posizione 1299), come modificata dalla legge 27 aprile 2006 (Dz. U n. 92, posizione 639, in prosieguo: la «legge sulle sementi») prevede che «le varietà geneticamente modificate non sono iscritte nel catalogo nazionale».

16 Ai sensi dell’art. 57, n. 3, della legge sulle sementi «le sementi di varietà geneticamente modificate non possono essere immesse in commercio sul territorio della Repubblica di Polonia». L’art. 67, n. 1, della medesima legge prevede che colui che commercializza sementi in violazione del suddetto art. 57, n. 3, è passibile di un’ammenda.

Procedimento precontenzioso

17 In esito ad un primo scambio di lettere con la Repubblica di Polonia svoltosi il 19 giugno ed il 19 luglio 2006, il 18 ottobre 2006 la Commissione ha indirizzato a tale Stato membro una lettera di diffida ai sensi dell’art. 226 CE. La Commissione sosteneva nella lettera che gli artt. 5, n. 4, e 57, n. 3, della legge sulle sementi (in prosieguo: le «disposizioni nazionali controverse») violano la direttiva 2001/18, e in particolare i suoi artt. 22 e 23, nonché la direttiva 2002/53, in particolare gli artt. 4, n. 4, e 16 di quest’ultima.

18 Con lettera del 20 dicembre 2006, la Repubblica di Polonia ha contestato il fatto di esser venuta meno ai suoi obblighi. In particolare, essa si è avvalsa del principio di precauzione e dei rischi di conseguenze irreversibili per la biodiversità e l’ambiente in generale, nonché per il settore agricolo polacco in particolare, derivanti dai criteri di valutazione poco chiari, dai controlli e dalle garanzie insufficienti e dalle regole lacunose in materia di coesistenza di colture presenti nella direttiva 2002/53. Tale Stato membro ha parimenti sostenuto che le varietà iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole istituito dalla direttiva 2002/53 non sono state testate nell’ambiente specifico polacco e, pertanto, non offrono garanzie sufficienti quanto all’assenza di effetti nocivi a lungo termine.

19 La Repubblica di Polonia, inoltre, ha richiamato i timori di rischi per la sanità pubblica e per l’ambiente, nonché la decisa opposizione agli OGM manifestati dall’opinione pubblica in Polonia e l’esigenza di rispettare i principi etici ai sensi del nono ‘considerando’ della direttiva 2001/18, deducendo a tal riguardo che l’introduzione nell’ordinamento giuridico polacco di disposizioni non condivise da una maggioranza della società polacca sarebbe contraria all’etica.

20 Non ritenendo tale risposta soddisfacente, il 29 giugno 2007 la Commissione ha inviato alla Repubblica di Polonia un parere motivato, con il quale l’ha invitata ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi a tale parere nel termine di due mesi dalla ricezione dello stesso.

21 Nella sua risposta del 28 agosto 2007, la Repubblica di Polonia ha sostanzialmente reiterato l’argomentazione già svolta nella risposta alla lettera di diffida. Essa ha inoltre fatto valere che l’adozione unanime, nel 2006, da parte delle assemblee dei voivodati polacchi, di risoluzioni secondo cui i territori dei voivodati avrebbero dovuto essere liberi da colture geneticamente modificate e da OGM, militava a favore del fatto che le disposizioni nazionali controverse rientrano nella moralità pubblica, ed ha aggiunto che siffatte misure erano quindi giustificate sul fondamento del solo art. 30 CE, senza che a tal fine fosse necessario far valere i procedimenti speciali istituiti dal diritto derivato preso in considerazione dalla Commissione.

22 In tale contesto la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

23 Nel suo ricorso la Commissione sostiene che l’art. 57, n. 3, della legge sulle sementi è incompatibile con il sistema di libera circolazione istituito dalla direttiva 2001/18 nel suo insieme e, in particolare, con gli artt. 22 e 23. L’art. 22 di tale direttiva esigerebbe infatti che ogni OGM la cui immissione in commercio sia stata autorizzata conformemente alla predetta direttiva possa essere utilizzato liberamente in tutta la Comunità. Dal canto suo l’art. 23 della direttiva 2001/28, che limita rigorosamente la possibilità di adottare misure di salvaguardia nei confronti di singoli OGM all’esito di un’analisi effettuata caso per caso, implicherebbe che gli Stati membri non possano vietare in modo generale l’immissione in commercio di un’intera categoria di OGM nel loro territorio, al di fuori del procedimento previsto dalla suddetta disposizione.

24 Allo stesso modo, l’art. 16, n. 1, della direttiva 2002/53 imporrebbe agli Stati membri di provvedere affinché, con decorrenza dall’inclusione di una varietà nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, le sementi di queste ultime non siano soggette ad alcuna restrizione di mercato. Orbene, allo stato attuale esisterebbero settanta varietà geneticamente modificate, autorizzate ai sensi della direttiva 2001/18, che sono state incluse nel predetto catalogo comune.

25 Peraltro la Commissione afferma che la direttiva 2002/53, che mira a fissare requisiti uniformi di qualità idonei a favorire la libera circolazione delle varietà, non consente agli Stati membri di vietare, in modo generale, l’iscrizione di varietà geneticamente modificate nel loro catalogo nazionale. Dal momento in cui un OGM è stato autorizzato, segnatamente in esito all’analisi scientifica approfondita prescritta dalla direttiva 2001/18, non sarebbe più possibile ritenere che esso presenti un rischio per la salute o per l’ambiente tale da giustificare, ai sensi dell’art. 4, n. 4, della direttiva 2002/53, la non ammissione di detto OGM nel catalogo nazionale delle varietà.

26 Quanto alle obiezioni sollevate dalla Repubblica di Polonia nel corso del procedimento precontenzioso, la Commissione fa valere che i timori espressi dallo Stato membro in ordine alle asserite carenze della direttiva 2001/18 sotto il profilo della tutela dell’ambiente e della salute non possono interferire con l’interpretazione da dare alle sue disposizioni e, in ogni caso, sono infondati. Ad avviso della Commissione, i procedimenti istituiti dalla direttiva 2001/18 garantiscono invero, conformemente al principio di precauzione, per ciascun singolo OGM un’analisi rigorosa degli eventuali rischi per l’ambiente e la salute umana, ed al contempo prevedono meccanismi di controllo e di salvaguardia efficaci.

27 Dal canto suo, il riferimento generale ai principi etici contenuto nella risposta alla diffida non sarebbe corredato da alcun argomento etico preciso in rapporto all’emissione di OGM. Peraltro, dal nono ‘considerando’ della direttiva 2001/18 risulterebbe che le considerazioni etiche non vanno al di là dell’ambito di applicazione di quest’ultima, cosicché un divieto dei prodotti autorizzati in forza della suddetta direttiva non può essere istituito senza i procedimenti da essa previsti. Secondo la Commissione, inoltre, costituisce giurisprudenza costante il fatto che l’art. 30 CE non può più essere invocato qualora talune disposizioni comunitarie disciplinino il settore in questione in modo dettagliato ed armonizzato, come avviene nel caso delle direttive 2001/18 e 2002/53 con riferimento al commercio degli OGM.

28 Nel controricorso la Repubblica di Polonia contesta la ricevibilità del ricorso in quanto i motivi troppo vaghi della Commissione non le consentono di identificare esattamente il suo oggetto, né, conseguentemente, di predisporre utilmente la propria difesa. Infatti, pur chiedendo alla Corte, in particolare, di dichiarare che la Repubblica di Polonia ha violato le direttive 2001/18 e 2002/53 «nel loro insieme», la Commissione non fornirebbe alcuna spiegazione riguardo alle disposizioni più precise indicate nel ricorso, che appaiono citate a titolo di mero esempio.

29 Nel merito la Repubblica di Polonia sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, la giurisprudenza conferma che il ricorso all’art. 30 CE cessa di essere possibile soltanto quando l’armonizzazione comunitaria operata includa le misure necessarie alla realizzazione dello specifico obiettivo che la suddetta disposizione del Trattato CE intende perseguire. Orbene, le considerazioni etiche sarebbero segnatamente estranee alle direttive 2001/18 e 2002/53, le quali sarebbero volte unicamente a tutelare l’ambiente e la salute umana. Il cinquantasettesimo ‘considerando’ e l’art. 29, n. 1, della direttiva 2001/18, inoltre, farebbero espressamente salva la competenza degli Stati membri per disciplinare gli aspetti etici connessi agli OGM.

30 Nella fattispecie l’adozione delle disposizioni nazionali controverse sarebbe stata ispirata da principi di etica cristiana ed umanista condivisi dalla maggioranza della popolazione polacca.

31 A tale proposito la Repubblica di Polonia mette in evidenza una concezione cristiana della vita che si oppone al fatto che taluni organismi viventi creati da Dio vengano manipolati e trasformati in materiali oggetto di diritti di proprietà industriale, una concezione cristiana ed umanista del progresso e dello sviluppo che impone il rispetto del progetto della creazione nonché la ricerca di un’armonia tra l’uomo e la natura e, infine, taluni principi cristiani ed umanisti riguardanti l’ordine sociale, essendo la riduzione di organismi viventi al livello di prodotti a meri fini commerciali idonea a minare i fondamenti della società.

32 Nella sua replica la Commissione contesta che il ricorso sia irricevibile. Infatti le sue censure ed argomentazioni sarebbero state esposte chiaramente ed in termini identici a quelli della lettera di diffida, del parere motivato e del ricorso.

33 Per quanto riguarda la direttiva 2001/18, al di là degli artt. 22 e 23, espressamente menzionati in quanto costituirebbero la pietra angolare del sistema di libera circolazione istituito, sarebbero proprio detto sistema e lo stesso spirito di tale direttiva, nonché l’insieme delle disposizioni di quest’ultima, ad essere violati. Quanto alla direttiva 2002/53, la Commissione chiarisce invece che il suo ricorso ha ad oggetto specificamente gli artt. 4, n. 4 e 16 di tale atto, e non quest’ultimo nel suo complesso.

34 Nel merito la Commissione ribadisce che le questioni inerenti all’autorizzazione ed alla commercializzazione di sementi di OGM sono state oggetto di un’armonizzazione esaustiva, posto che la direttiva 2001/18 ha previsto, tra l’altro, la considerazione dei temi etici, in particolare al suo art. 29, cosicché il ricorso all’art. 30 CE da parte di uno Stato membro non sarebbe più possibile.

35 La Commissione nutre inoltre taluni dubbi in ordine alle ragioni di fatto che avrebbero condotto all’adozione delle disposizioni nazionali controverse. Da un lato, la Repubblica di Polonia non avrebbe presentato elementi idonei a stabilire che, quando ha adottato i divieti di cui trattasi, si è ispirata alle considerazioni etiche e religiose invocate dinanzi alla Corte. Dall’altro, le specifiche ragioni di ordine religioso ed etico esposte nel controricorso non sarebbero state dedotte durante il procedimento precontenzioso, nel corso del quale la Repubblica di Polonia ha soprattutto menzionato considerazioni ambientali e di salute pubblica.

36 Ad avviso della Commissione, inoltre, uno Stato membro non può basarsi sulla percezione di una parte dell’opinione pubblica al fine di rimettere in questione unilateralmente una misura di armonizzazione comunitaria.

37 Nella controreplica la Repubblica di Polonia sostiene che le argomentazioni svolte dalla Commissione per giustificare la ricevibilità del ricorso e che deducono una presunta violazione della direttiva 2001/18 sono irricevibili in quanto del tutto tardive e troppo vaghe. Le suddette spiegazioni sarebbero in ogni caso infondate, quanto meno per il fatto che la suddetta direttiva istituisce più sistemi relativi all’immissione sul mercato degli OGM, alla loro emissione deliberata, o, infine, alla loro emissione accidentale.

38 Nel merito la Repubblica di Polonia sostiene che, qualora una direttiva trascuri taluni aspetti essenziali che caratterizzano una categoria di prodotti, l’armonizzazione operata non può ritenersi completa. La tesi difesa dalla Commissione potrebbe avere per conseguenza, nel caso di specie, che gli aspetti etici connessi agli OGM, la cui importanza è nondimeno riconosciuta dal legislatore comunitario nei ‘considerando’ e nelle disposizioni della direttiva 2001/18, non potrebbero più essere presi in considerazione né nell’ambito dei procedimenti istituiti dalla stessa direttiva, né a titolo di competenze mantenute dagli Stati membri.

39 Date le loro finalità etiche, le disposizioni nazionali controverse possono in realtà essere esaminate soltanto avendo riguardo agli artt. 28 CE e 30 CE, e non secondo il metro delle direttive 2001/18 e 2002/53. Tuttavia, poiché la Commissione non ha denunciato una violazione del suddetto art. 28 CE, né contestato che le disposizioni nazionali di cui trattasi possano rispondere alle esigenze, in particolare di proporzionalità, poste all’art. 30 CE, la questione dinanzi alla Corte può vertere unicamente sul punto se uno Stato membro possa avvalersi di considerazioni etiche in materia di commercio di OGM.

40 Peraltro la Repubblica di Polonia ritiene che la Commissione, alla quale spetta l’onere di dimostrare l’inadempimento denunciato, non avrebbe dimostrato l’inesattezza delle spiegazioni di ordine etico fornite da tale Stato membro. Contrariamente a quanto suggerito dalla Commissione, uno Stato membro resterebbe libero di ordinare secondo l’importanza, dinanzi alla Corte, i motivi invocati a sua difesa durante il procedimento precontenzioso, come pure di sviluppare taluni di essi a scapito di altri.

41 La Repubblica di Polonia sottolinea inoltre che è notorio che, all’epoca dell’adozione delle disposizioni nazionali controverse, la maggioranza dei deputati facevano parte di partiti politici per i quali la fede cattolica costituisce un valore centrale, cosicché non stupisce affatto la circostanza che questi ultimi si siano lasciati guidare da valori cristiani ed umanisti onnipresenti e condivisi dai loro elettori piuttosto che da considerazioni ambientali o di salute pubblica scientificamente complesse e più difficili da comprendere.

Giudizio della Corte

Sull’oggetto del ricorso e sulla ricevibilità

42 In via preliminare, occorre ricordare che, come emerge dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte e dalla giurisprudenza ad esso relativa, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia nonché l’esposizione sommaria dei motivi, e tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (v., in particolare, sentenza 12 febbraio 2009, causa C-475/07, Commissione/Polonia, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

43 La Corte ha altresì dichiarato, in relazione ad un ricorso proposto in applicazione dell’art. 226 CE, che esso deve presentare le censure in modo coerente e preciso, così da consentire allo Stato membro e alla Corte di conoscere esattamente la portata della violazione del diritto comunitario contestata, presupposto necessario affinché il suddetto Stato possa far valere utilmente i suoi mezzi di difesa e affinché la Corte possa verificare l’esistenza dell’inadempimento addotto (v., in particolare, sentenza Commissione/Polonia, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

44 Nel caso di specie, e con riguardo, in primo luogo, alla parte del ricorso inerente alla direttiva 2002/53, è sufficiente ricordare che, nonostante la relativa ambiguità delle conclusioni del ricorso sul punto, la Commissione ha confermato, nella replica, che il suddetto ricorso era inteso ad ottenere la constatazione di un inadempimento della Repubblica di Polonia unicamente rispetto agli obblighi ad essa derivanti dalle disposizioni espressamente individuate nelle suddette conclusioni, vale a dire gli artt. 4, n. 4, e 16 della direttiva in parola. Poiché la Commissione, peraltro, ha chiaramente esposto, sia durante il procedimento precontenzioso, sia nel suo ricorso, le ragioni per le quali reputava che le disposizioni nazionali controverse violassero queste due disposizioni, e poiché, pertanto, la Repubblica di Polonia ha avuto ampia possibilità di far valere utilmente i suoi mezzi di difesa al riguardo, tale parte del ricorso non può essere considerata irricevibile.

45 In secondo luogo, per quanto riguarda la ricevibilità della parte del ricorso inerente alla direttiva 2001/18, occorre rilevare che la Commissione ha espresso le sue censure in modo comprensibile e sufficientemente preciso relativamente agli artt. 22 e 23 della suddetta direttiva. Essa non ha, invece, esposto con la necessaria chiarezza le ragioni per le quali reputava che la Repubblica di Polonia avesse violato l’insieme degli obblighi ad essa derivanti dalla medesima direttiva.

46 Difatti il ricorso della Commissione si limita innanzitutto a riprodurre soltanto le disposizioni di cui all’art. 2, n. 2, della direttiva 2001/18 che includono una definizione degli OGM, nonché quelle di cui agli artt. 19, nn. 1 e 2, 22 e 23, n. 1, di tale direttiva contenute nella sua parte C, relativa all’immissione in commercio di OGM. Lo stesso ricorso, nel prosieguo, dedica argomenti precisi soltanto ai suddetti artt. 22 e 23, prima di concludere che le disposizioni nazionali controverse sono incompatibili «con il sistema di libera circolazione istituito dalla suddetta direttiva nel suo insieme ed in particolare con gli artt. 22 e 23».

47 Come giustamente affermato dalla Repubblica di Polonia, una siffatta affermazione lapidaria non spiega le ragioni per le quali la direttiva 2001/18, che include in particolare una parte B dedicata all’emissione deliberata di OGM per qualsiasi fine diverso dalla loro immissione in commercio, o, ancora, una parte D che comprende talune disposizioni inerenti alla riservatezza, all’etichettatura o allo scambio di informazioni, sarebbe stata violata «nel suo insieme», come affermato nelle conclusioni del ricorso.

48 Ne deriva che il ricorso, nella sua parte relativa alla direttiva 2001/18, è ricevibile soltanto nei limiti in cui concerne la contestazione di un inadempimento agli artt. 22 e 23 di tale direttiva, ma non nella parte in cui mira a far constatare una violazione della medesima direttiva «nel suo insieme».

Nel merito

49 La Repubblica di Polonia ha, nel controricorso e nella controreplica, concentrato la sua argomentazione esclusivamente sui motivi di ordine etico o religioso che sarebbero alla base delle disposizioni nazionali controverse.

50 Senza negare che i divieti introdotti dalle disposizioni nazionali controverse violerebbero le direttive 2001/18 e 2002/53 qualora dovesse risultare che queste ultime sono dirette unicamente a disciplinare gli scambi di sementi di varietà geneticamente modificate e la loro inclusione nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, la Repubblica di Polonia sostiene che ciò non si è verificato nel caso di specie. Le suddette disposizioni nazionali, poiché perseguono finalità etiche estranee agli obiettivi della tutela dell’ambiente e della salute pubblica, nonché della libera circolazione, che caratterizzano le suddette direttive, sarebbero in effetti estranee all’ambito di applicazione di queste ultime, cosicché gli ostacoli alla libera circolazione degli OGM generati da tali disposizioni in potenziale violazione dell’art. 28 CE possono, eventualmente, essere giustificati a titolo dell’art. 30 CE.

51 A tale proposito la Corte ritiene tuttavia, che, per risolvere la presente controversia, non è necessario pronunciarsi sulla questione se, in quale misura ed a quali condizioni, eventualmente, gli Stati membri conservino una facoltà d’invocare motivi etici o religiosi per giustificare l’adozione di misure interne in deroga alle disposizioni delle direttive 2001/18 e 2002/53, come le disposizioni nazionali controverse.

52 Nel caso di specie, infatti, è sufficiente constatare che la Repubblica di Polonia, alla quale spetterebbe, in tale ipotesi, l’onere della prova, non ha comunque dimostrato che le disposizioni nazionali controverse perseguivano effettivamente le finalità religiose ed etiche invocate, finalità la cui effettività è, peraltro, posta in dubbio dalla Commissione.

53 Occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, spetta agli Stati membri dimostrare che sono soddisfatte le condizioni che consentono di derogare all’art. 28 CE (v., in tal senso, sentenza 10 febbraio 2009, causa C-110/05, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 62). Così, in particolare, laddove uno Stato membro contro cui è indirizzato un ricorso per inadempimento invochi, a sua difesa, una giustificazione relativa all’art. 30 CE, la Corte è chiamata ad esaminare possibili giustificazioni soltanto finché sia pacifico o debitamente accertato che il regolamento nazionale in questione persegua effettivamente le finalità attribuitegli al riguardo dallo Stato convenuto (v. in tal senso, in particolare, sentenze 8 febbraio 1983, causa 124/81, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 203, punto 35; 15 novembre 2005, causa C-320/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9871, punto 71, e 11 settembre 2008, causa C-141/07, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47).

54 In primo luogo, per quanto concerne più in particolare la giustificazione relativa alla tutela della moralità pubblica fatta valere dalla Repubblica di Polonia nell’ambito della presente controversia, occorre considerare che affermazioni così generali come quelle dedotte da tale Stato membro durante il procedimento precontenzioso, e consistenti nel riferirsi ai timori in materia ambientale e di salute pubblica ed alla decisa opposizione agli OGM manifestata dalla popolazione polacca, o, ancora, al fatto che le assemblee dei voivodati avevano adottato talune risoluzioni che dichiaravano che il territorio dei voivodati doveva essere libero da colture geneticamente modificate e da OGM, non possono soddisfare siffatta esigenza probatoria.

55 Sembra infatti che, in tale contesto, la moralità pubblica non sia in realtà invocata autonomamente, ma si confonda con la giustificazione inerente alla tutela dell’ambiente e della salute, che, nella fattispecie costituisce proprio lo scopo della direttiva 2001/18 (v., in tal senso, sentenza 19 marzo 1998, causa C-1/96, Compassion in World Farming, Racc. pag. I-1251, punto 66).

56 Orbene, uno Stato membro non può fondarsi sul punto di vista di una parte dell’opinione pubblica per rimettere in discussione unilateralmente una misura di armonizzazione stabilita dalle istituzioni comunitarie (v. sentenza Compassion in World Farming, cit., punto 67). Come ricordato dalla Corte in una causa che riguardava, in particolare, la direttiva 2001/18, uno Stato membro non può eccepire difficoltà di attuazione emerse nella fase dell’esecuzione di un atto comunitario, comprese quelle connesse alla resistenza di privati, per giustificare l’inosservanza degli obblighi e termini risultanti dalle norme del diritto comunitario (v. sentenza 9 dicembre 2008, causa C-121/07, Commissione/Francia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 72).

57 In secondo luogo, relativamente agli argomenti di ordine più prettamente religioso o etico dedotti dalla Repubblica di Polonia per la prima volta nel controricorso e nella controreplica depositati dinanzi alla Corte, occorre constatare che il predetto Stato membro non ha dimostrato che siffatte considerazioni siano state realmente alla base dell’adozione delle disposizioni nazionali controverse.

58 Infatti la Repubblica di Polonia si è riferita nella sostanza, piuttosto, ad una sorta di presunzione generale secondo cui non può destare stupore quanto è avvenuto nel caso di specie. Da un lato, è stato dedotto che, notoriamente, la società polacca attribuisce un’importanza fondamentale ai valori cristiani e cattolici. Dall’altro, la Repubblica di Polonia ha sottolineato che, all’epoca dell’adozione delle disposizioni nazionali controverse, i partiti politici che godevano della maggioranza in seno al Parlamento polacco rivendicavano appunto la loro appartenenza a siffatti valori. In tale contesto, ad avviso dello Stato membro de quo, è ragionevole ritenere che, di norma, i deputati non aventi una formazione scientifica siano più influenzabili dalle concezioni religiose o etiche, che dunque li orientano in modo generale nella loro azione politica, piuttosto che non da considerazioni ambientali o di salute pubblica scientificamente complesse.

59 Siffatte considerazioni, tuttavia, non sono sufficienti a dimostrare che l’adozione delle disposizioni nazionali controverse sia stata realmente guidata dai motivi etici e religiosi descritti nel controricorso e nella controreplica, tanto più che, durante il procedimento precontenzioso, la Repubblica di Polonia aveva imperniato la sua difesa sulle imperfezioni che asseritamente inficiavano la direttiva 2001/18 con riguardo al principio di precauzione e ai rischi che quest’ultima farebbe correre sia all’ambiente che alla salute pubblica.

60 Ciò premesso, per poter decidere sul ricorso della Commissione resta da rilevare che, come affermato da quest’ultima, divieti di carattere generale come quelli introdotti dalle disposizioni nazionali controverse violano gli obblighi che derivano alla Repubblica di Polonia sia dagli artt. 22 e 23 della direttiva 2001/18, sia dagli artt. 4, n. 4, e 16 della direttiva 2002/53.

61 Da un lato, si deve ricordare che gli artt. 22 e 23 della direttiva 2001/18 obbligano gli Stati membri a non vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti della medesima direttiva, ferma restando, nel rispetto delle condizioni previste al riguardo dalla seconda disposizione menzionata, la possibilità di adottare le misure di salvaguardia dalla stessa previste. Inoltre una misura nazionale unilaterale di divieto generale di immissione in commercio di sementi di OGM, come quella prevista all’art. 57, n. 3, della legge sulle sementi, viola manifestamente i suddetti artt. 22 e 23.

62 Un siffatto divieto generale viola parimenti, manifestamente, l’art. 16, n. 1, della direttiva 2002/53, che obbliga gli Stati membri a non assoggettare ad alcuna restrizione di mercato, per quanto concerne la varietà, le sementi delle varietà ammesse in applicazione della medesima direttiva, salve le eccezioni, non invocabili nel caso di specie, previste al n. 2 dell’articolo stesso. È pacifico al riguardo che, come ricordato dalla Commissione, un certo numero di varietà che sono state ammesse in applicazione della suddetta direttiva e che pertanto figurano sul catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole ai sensi dell’art. 17 della stessa, sono varietà geneticamente modificate.

63 Dall’altro lato, deriva in particolare dall’art. 4, n. 4, della direttiva 2002/53 che l’inclusione di varietà geneticamente modificate nel catalogo nazionale delle varietà non può costituire l’oggetto di una misura di divieto generale come quella prevista dall’art. 5, n. 4, della legge sulle sementi. Risulta, infatti, in particolare dal suddetto art. 4, n. 4, che l’eventuale rifiuto dell’inclusione di una varietà nel catalogo nazionale de quo per il solo fatto che essa presenta la caratteristica di essere geneticamente modificata, si giustifica solo se non sono state adottate tutte le misure appropriate atte ad evitare i rischi per la salute umana, il che, come giustamente ha rilevato la Commissione, non avviene nel caso in cui una varietà disponga di un’autorizzazione rilasciata in applicazione delle disposizioni della direttiva 2001/18.

64 In considerazione di tutto quanto precede si deve dichiarare che la Repubblica di Polonia, avendo vietato la libera circolazione di sementi di varietà geneticamente modificate, nonché l’iscrizione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo nazionale delle varietà, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 22 e 23 della direttiva 2001/18 nonché degli artt. 4, n. 4, e 16 della direttiva 2002/53.

65 Il ricorso dev’essere, invece, dichiarato irricevibile, come risulta dal punto 48 supra, nella parte in cui esso mira a far constatare che la Repubblica di Polonia avrebbe violato gli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2001/18 nel suo insieme.

Sulle spese

66 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, ai sensi dell’art. 69, n. 3, primo comma, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Nel caso di specie, benché la Repubblica di Polonia sia rimasta soccombente sui punti essenziali dei propri mezzi difensivi, occorre tenere conto della circostanza che il ricorso della Commissione è stato dichiarato in parte irricevibile. Avuto riguardo alle circostanze del caso, occorre decidere che la Repubblica di Polonia sopporterà, oltre alle proprie spese, i due terzi di quelle sostenute dalla Commissione. La Commissione sopporterà un terzo delle proprie spese.


Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:


1) La Repubblica di Polonia, avendo vietato la libera circolazione di sementi di varietà geneticamente modificate, nonché l’iscrizione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo nazionale delle varietà, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 22 e 23 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, e degli artt. 4, n. 4, e 16 della direttiva del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/53/CE, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole.

2) Il ricorso è respinto per il resto.

3) La Repubblica di Polonia sopporterà le proprie spese nonché i due terzi di quelle sostenute dalla Commissione.

4) La Commissione sopporterà un terzo delle proprie spese.

Firme


 


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