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CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 29/10/2009, Sentenza C-249/08
PESCA - Divieto di reti da posta derivanti - Assenza di sistemi di controllo
efficaci volti al rispetto di tale divieto - Conservazione delle risorse -
Regime di controllo nel settore della pesca - Art. 11, Reg. n. 894/97/CE -
Art. 1, nn. 1 e 2, Reg. n. 2241/87/CEE - Artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2
Regolamento n. 2847/93/CEE - Inadempimento di uno Stato (Italia). Non
avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato,
sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria
sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto
riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a
bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in
misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei
confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in
materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti,
segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di
cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le
incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23
luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle
attività di pesca, nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del
regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un
regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della
pesca, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998,
n. 2846. Pres. Lindh (Rel.) - Commissione delle Comunità europee c.
Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 29/10/2009,
Sentenza C-249/08
DIRITTO PROCESSUALE COMUNITARIO - Stati membri - Perseguimento delle
infrazioni accertate - Obbligo - Finalità - Art. 31, nn. 1 e 2, Reg. n.
2847/93/CEE - Art. 1, nn. 1 e 2, Reg. n. 2241/87/CEE. L’art. 31, nn. 1 e
2, del regolamento n. 2847/93, che riprende gli obblighi previsti all’art.
1, n. 2, del regolamento n. 2241/87, impone agli Stati membri di perseguire
le infrazioni accertate. Detta disposizione precisa, al riguardo, che le
azioni promosse devono essere idonee a privare effettivamente i responsabili
del beneficio economico derivante dalle infrazioni o produrre effetti
proporzionati alla gravità delle infrazioni medesime, tali da fungere da
deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo. Pres. Lindh (Rel.) -
Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana. CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 29/10/2009, Sentenza C-249/08
DIRITTO PROCESSUALE COMUNITARIO - Scadenza del termine - Inadempimento di
uno Stato - Valutazione della Corte. L’esistenza di un inadempimento dev’essere
valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava
alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può
tenere conto dei mutamenti successivi (C.G.E. sentenze 2/06/2005, causa
C-282/02, Commissione/Irlanda; C.G.E. 22/12/2008, causa C-189/07,
Commissione/Spagna e 11/06/2009, causa C-564/07, Commissione/Austria). Pres.
Lindh (Rel.) - Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana.
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 29/10/2009, Sentenza C-249/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)
29 ottobre 2009 (*)
«Inadempimento di uno Stato - Politica comune della pesca -
Conservazione delle risorse - Regime di controllo nel settore della
pesca - Regolamento (CE) n. 894/97 - Art. 11 - Regolamento (CEE) n.
2241/87 - Art. 1, nn. 1 e 2 - Regolamento (CEE) n. 2847/93 - Artt. 2, n.
1, e 31, nn. 1 e 2 - Divieto di reti da posta derivanti - Assenza di
sistemi di controllo efficaci volti al rispetto di tale divieto»
Nella causa C-249/08,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226
CE, proposto il 5 giugno 2008,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re K. Banks
e C. Cattabriga, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di
agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato, con domicilio
eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Settima Sezione),
composta dalla sig.ra P. Lindh (relatore), presidente della Sesta
Sezione, facente funzione di presidente della Settima Sezione, dai sigg.
U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,
avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di
giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede
alla Corte di dichiarare che:
- non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo
adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla
propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente
per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la
detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e
- non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati
adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni
alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di
utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di
sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in
forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio
1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività
di pesca (GU L 207, pag. 1), e degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del
regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce
un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune
della pesca (GU L 261, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del
Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846 (GU L 358, pag. 5, e - rettifica -
GU 1999, L 105, pag. 32; in prosieguo: il «regolamento n. 2847/93»).
Contesto normativo
La normativa in materia di reti da posta derivanti
2 Il primo regime comunitario di conservazione e gestione delle risorse
della pesca è stato istituito con il regolamento (CEE) del Consiglio 25
gennaio 1983, n. 170, che istituisce un regime comunitario di
conservazione e di gestione delle risorse della pesca (GU L 24, pag. 1).
Sulla base di tale regolamento, è stato adottato il regolamento (CEE)
del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3094, che istituisce misure tecniche
per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 288, pag. 1).
3 L’art. 9 bis del regolamento n. 3094/86, come modificato dal
regolamento (CEE) del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 345 (GU L 42, pag.
15), ha istituito il principio del divieto delle reti da posta derivanti
la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 km.
4 Il regolamento n. 3094/86 è stato abrogato e sostituito con
regolamento (CE) del Consiglio 29 aprile 1997, n. 894, che istituisce
misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L
132, pag. 1).
5 Gli artt. 11, 11 bis e 11 ter del regolamento n. 894/97, come
modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 8 giugno 1998, n. 1239 (GU
L 171, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 894/97»), così recitano:
«Articolo 11
È vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o effettuare attività di pesca
con una o più reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o
addizionata sia superiore a 2,5 chilometri.
Articolo 11 bis
1. Dal 1° gennaio 2002 è vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o
effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti
destinate alla cattura di specie elencate nell’allegato VIII.
(...)
Articolo 11 ter
(...)
6. In caso di inadempimento degli obblighi di cui agli articoli 11 e 11
bis e al presente articolo, le autorità competenti adottano le misure
appropriate nei confronti delle navi in questione, a norma dell’articolo
31 del regolamento (CEE) n. 2847/93».
Il regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune
della pesca
Il regolamento n. 2241/87
6 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 precisava quanto
segue:
«1. Per garantire l’osservanza di tutta la normativa in vigore in
materia di misure di conservazione e di controllo, ogni Stato membro
controlla, nel proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla
propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca e delle
attività connesse. Esso ispeziona i pescherecci e tutte le attività la
cui ispezione dovrebbe consentire la verifica dell’applicazione del
presente regolamento, in particolare le attività di sbarco, di vendita,
di magazzinaggio del pesce e di registrazione degli sbarchi e delle
vendite.
2. Se, in seguito ad un controllo o ad un’ispezione effettuata ai sensi
del paragrafo 1, le autorità competenti di uno Stato membro constatano
il non rispetto della normativa in vigore in materia di conservazione e
di controllo, esse intentano un’azione penale o amministrativa contro il
capitano del peschereccio o qualsiasi altra persona responsabile».
Il regolamento n. 2847/93
7 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 così dispone:
«1. Per garantire l’osservanza delle disposizioni della politica comune
della pesca, è istituito un regime comunitario comprendente, in
particolare, disposizioni sul controllo tecnico:
- delle misure di conservazione e di gestione delle risorse,
- delle misure strutturali,
- delle misure relative all’organizzazione comune dei mercati,
nonché disposizioni relative all’efficacia delle sanzioni da applicare
in caso di inosservanza delle misure medesime.
2. A tal fine ogni Stato membro adotta, conformemente alla normativa
comunitaria, provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime. Esso
dota altresì le proprie autorità competenti di mezzi sufficienti
all’espletamento delle loro funzioni ispettive e di controllo definite
nel presente regolamento».
8 L’art. 2, n. 1, di tale regolamento così recita:
«Per garantire l’osservanza di tutta la normativa vigente, ciascuno
Stato membro controlla, ispeziona e sorveglia, nel proprio territorio e
nelle acque marittime sotto la sua sovranità o giurisdizione, tutte le
attività della filiera pesca e in particolare l’esercizio della pesca,
le attività di trasbordo e di sbarco, di immissione in commercio, di
trasporto e di magazzinaggio dei prodotti della pesca nonché la
registrazione degli sbarchi e delle vendite. Gli Stati membri prendono
le misure necessarie per garantire il migliore controllo possibile nel
proprio territorio e nelle acque marittime sotto la loro sovranità o
giurisdizione tenendo conto della loro situazione particolare».
9 L’art. 31 del medesimo regolamento precisa quanto segue:
«1. Gli Stati membri garantiscono che siano prese adeguate misure,
compreso l’avvio di azioni amministrative o penali conformemente alle
legislazioni nazionali, contro le persone fisiche o giuridiche
responsabili, qualora sia stata constatata una violazione delle norme
della politica comune della pesca, in particolare in seguito
all’ispezione o al controllo effettuati in conformità del presente
regolamento.
2. Le azioni promosse ai sensi del paragrafo 1 devono, secondo le
pertinenti disposizioni legislative nazionali, privare effettivamente i
responsabili del beneficio economico derivante dall’infrazione o
produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da
fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo.
(...)
3. Le sanzioni conseguenti alle azioni di cui al paragrafo 2 possono
includere, a seconda della gravità dell’infrazione:
- la comminazione di pene pecuniarie,
- il sequestro di attrezzi e catture proibiti,
- il sequestro conservativo del natante,
- l’immobilizzazione temporanea del natante,
- la sospensione della licenza,
- il ritiro della licenza.
(...)».
10 Il sucecssivo art. 39 precisa quanto segue:
«1. Il regolamento (CEE) n. 2241/87 è abrogato il 1° gennaio 1994 (...)
2. I riferimenti al regolamento abrogato in forza del paragrafo 1 si
intendono fatti al presente regolamento».
11 Ai sensi del suo art. 40, il regolamento n. 2847/93 è entrato in
vigore il 1° gennaio 1994.
La fase precontenziosa del procedimento
12 Nel 1992 e nel 1993, avendo ricevuto numerose denunce riguardanti
l’uso da parte di pescherecci italiani di reti da posta derivanti di
lunghezza superiore a 2,5 km, la Commissione effettuava due ispezioni
che avrebbero rilevato carenze da parte delle autorità italiane nel
controllo del rispetto della normativa comunitaria attinente
all’utilizzazione delle reti da posta derivanti.
13 Con lettera del 14 marzo 1994, la Commissione richiamava l’attenzione
della Repubblica italiana sull’esigenza di garantire, conformemente
all’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87, mediante controlli e
l’irrogazione di sanzioni, il rispetto della normativa attinente alla
lunghezza delle reti da posta derivanti quale stabilita dall’art. 9 bis
del regolamento n. 3094/86, come modificato dal regolamento n. 345/92.
L’istituzione intimava quindi a tale Stato membro di presentare le sue
osservazioni entro il termine di due mesi.
14 Con comunicazione di risposta dell’11 maggio 1994, le autorità
italiane replicavano agli addebiti della Commissione.
15 Secondo la Commissione, ispezioni e controlli effettuati nei mesi di
luglio 1994, agosto, settembre e ottobre 1995 nonché nei mesi di maggio
e giugno 1996 avrebbero rilevato la persistenza di numerose infrazioni
alla normativa che vieta il possesso di reti da posta derivanti di
lunghezza superiore a 2,5 km. Sarebbe stata parimenti rilevata
l’insufficienza e l’inefficacia dell’intervento delle autorità italiane
in materia.
16 Con comunicazione del 24 settembre 1996, trasmessa il 23 ottobre
seguente, la Commissione inviava alla Repubblica italiana una diffida
complementare in cui contestava allo Stato membro medesimo, in
particolare, la persistenza delle carenze in materia di controlli e di
sorveglianza del rispetto della normativa attinente all’utilizzazione
delle reti da posta derivanti.
17 Nei mesi di maggio e giugno 1997, la Commissione effettuava sei
ispezioni in loco: essa avrebbe rilevato la persistenza di violazioni
della normativa comunitaria in materia di utilizzazione delle reti da
posta derivanti nonché l'inerzia delle autorità italiane incaricate dei
controlli. Tale constatazione sarebbe stata confermata da quattro
ispezioni effettuate nei mesi di maggio, giugno e luglio 1998, da cinque
ispezioni compiute nei mesi di maggio e settembre 1999, da sette
ispezioni nel 2000 e da tre ispezioni compiute nell’aprile e nel giugno
del 2001.
18 Con lettera del 18 luglio 2001, trasmessa il 24 luglio seguente, la
Commissione inviava quindi alla Repubblica italiana una nuova lettera di
diffida che riprendeva, sostanzialmente, gli addebiti già formulati in
quella precedente.
19 Nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002, nonché nei mesi di maggio,
giugno e luglio 2003, la Commissione effettuava controlli che avrebbero
consentito di constatare violazioni della normativa attinente
all’utilizzazione o al possesso di reti da posta derivanti nonché
carenze nel sistema volto al rispetto di tali disposizioni ed a
sanzionarne la violazione.
20 In data 16 marzo 2005, la Commissione trasmetteva quindi alla
Repubblica italiana un parere motivato in cui le contestava le carenze
seguenti:
- molteplicità delle strutture incaricate del controllo sull’uso di reti
da posta derivanti non accompagnata da un adeguato coordinamento e dalla
necessaria cooperazione tra tali strutture;
- assenza di un programma specifico di controllo per le reti da posta
derivanti e di un’adeguata strategia di controllo;
- mancanza di tempo, nonché delle risorse umane e dei mezzi logistici
necessari a svolgere un controllo efficace, tenuto conto in particolare
della lunghezza delle coste, della dispersione della flotta e della
molteplicità di compiti da espletare;
- scarsa conoscenza, da parte del personale incaricato delle procedure
di controllo, della normativa applicabile e dell’elenco delle navi
autorizzate;
- insufficienza tanto dei controlli a terra, troppo blandi, quanto di
quelli in mare, solo occasionali;
- reticenza delle autorità preposte per il rischio di reazioni sociali
alle misure di repressione adottate;
- mancata previsione di sanzioni per la semplice detenzione a bordo di
reti da posta derivanti;
- basso tasso di denuncia, da parte delle autorità di controllo, delle
irregolarità constatate ai fini dell’apertura delle conseguenti
procedure sanzionatorie, amministrative o penali, e
- inadeguatezza delle ammende applicate, di gran lunga inferiori a
quelle applicate in caso di violazione del codice della navigazione o
delle norme sanitarie e non aggravate in caso di recidiva.
21 Conseguentemente, veniva contestato alla Repubblica italiana di
essere venuta meno, per effetto di tali carenze, agli obblighi ad essa
incombenti a norma dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 nonché
degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93. Lo
Stato membro medesimo veniva invitato a conformarsi al parere motivato
entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.
22 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dalle osservazioni
formulate dalla Repubblica italiana, faceva effettuare un’ispezione in
loco nel mese di luglio 2005, da cui emergeva che la situazione non
presentava cambiamenti.
23 Con lettere del 31 agosto 2005 e del 31 maggio 2006, la Commissione
chiedeva alle autorità italiane informazioni precise in ordine al
sistema di controllo (risorse umane e materiali, programmazione dei
controlli, formazione del personale) e sanzione da esse applicato per
garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia di reti da
posta derivanti.
24 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dagli elementi di
risposta forniti dalle autorità italiane con lettere del 17 ottobre
2005, trasmessa il 6 gennaio 2006, e del 13 luglio 2006 nonché da quelli
risultanti da una riunione svoltasi a Roma in data 20 e 21 febbraio
2006, decideva di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
25 A sostegno del proprio ricorso, la Commissione deduce che, fin dalla
sua introduzione nel 1992, la normativa sulla pesca mediante le reti da
posta derivanti e sulla detenzione a bordo di tali dispositivi è stata
sistematicamente ed ampiamente violata dalla flotta da pesca italiana,
secondo quanto rilevato dai propri ispettori in occasione di una serie
di missioni effettuate in loco. L’istituzione ritiene che l’ampiezza e
la gravità di tale fenomeno siano direttamente imputabili
all’inefficienza delle autorità italiane, da cui deriva che la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a
norma degli artt. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del
regolamento n. 2847/93 per quanto attiene al controllo del rispetto del
divieto dell’uso e della detenzione di reti di tal genere. Lo Stato
membro medesimo non rispetterebbe peraltro gli obblighi ad esso
incombenti ai sensi degli artt. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87 e
31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 per quanto attiene alla
repressione delle violazioni di tale divieto.
26 La Repubblica italiana chiede alla Corte di voler respingere il
ricorso e di condannare la Commissione alle spese. Essa osserva di aver
sempre contestato le affermazioni della Commissione, contrariamente a
quanto sostenuto da quest’ultima, la quale, peraltro, non avrebbe
dimostrato la veridicità delle proprie affermazioni.
27 Detto Stato membro sottolinea, al contrario, che la normativa
italiana consente una repressione completa ed efficace delle violazioni
della normativa attinente alla detenzione a bordo e all’impiego delle
reti da posta derivanti. Peraltro, il Corpo delle Capitanerie di porto,
organo specificamente incaricato della sorveglianza e del controllo
della pesca, pianificherebbe ed effettuerebbe la propria azione
efficacemente.
Osservazioni introduttive
28 Secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento dev’essere
valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si
presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la
Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v. sentenze 2
giugno 2005, causa C-282/02, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-4653,
punto 40; 22 dicembre 2008, causa C-189/07, Commissione/Spagna, punto
27, e 11 giugno 2009, causa C-564/07, Commissione/Austria, punto 23).
29 Pertanto, nel presente procedimento, considerato che il parere
motivato è stato notificato in data 16 marzo 2005, gli elementi di fatto
prodotti dalla Repubblica italiana e relativi ad un periodo in gran
parte successivo alla scadenza del termine fissato nel parere medesimo
non possono essere presi in considerazione ai fini della valutazione
della fondatezza del presente ricorso (v., per analogia, sentenza
Commissione/Spagna, cit., punto 28).
Sulla portata degli obblighi incombenti sugli Stati membri nel settore
della politica comune della pesca
30 L’art. 1 del regolamento n. 2847/93, il quale costituisce, nel
settore della pesca, un’espressione particolare degli obblighi imposti
agli Stati membri dall’art. 10 CE, prevede che questi ultimi adottino
provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime comunitario di
conservazione e di gestione delle risorse in materia di pesca (v.
sentenze 12 luglio 2005, causa C-304/02, Commissione/Francia, Racc. pag.
I-6263, punto 32, e Commissione/Spagna, cit., punto 35).
31 Il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza
delle norme comunitarie è da ritenersi imperativo per garantire la
protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine
ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali
appropriate (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 34, e
Commissione/Spagna, punto 36).
32 Gli Stati membri sono tenuti, segnatamente, a garantire il rispetto
della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo di reti da
posta derivanti di lunghezza individuale o addizionata superiore a 2,5
km ovvero l’impiego delle medesime nell’esercizio delle attività di
pesca nonché, a decorrere dal 1° gennaio 2002, la detenzione a bordo o
l’utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro
lunghezza, ai fini della cattura di talune specie.
33 A tal fine, l’art. 2 del regolamento n. 2847/93, che ricalca gli
obblighi dettati dall’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87, impone
agli Stati membri di controllare l’esercizio della pesca e le attività
ad essa connesse. Esso impone che gli Stati membri ispezionino i
pescherecci e controllino tutte le attività nel settore della pesca e,
in particolare, l’esercizio della pesca. A tale scopo, gli Stati membri
devono adottare le misure necessarie per garantire il miglior controllo
possibile sul loro territorio e nelle acque marittime soggette alla loro
sovranità o alla loro giurisdizione.
34 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la
Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a
norma dell’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 nonché degli
artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, per quanto
attiene alla verifica del rispetto della normativa comunitaria relativa
all’esercizio della pesca mediante reti da posta derivanti ed alla
repressione delle violazioni alla normativa medesima.
Sul primo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 1, del
regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93
Argomenti delle parti
35 A sostegno di tale censura la Commissione ritiene, in primo luogo,
che l’inefficacia del sistema di controllo sia connesso alla
molteplicità delle strutture incaricate della sorveglianza del controllo
delle attività di pesca nonché al fatto che tali strutture non siano
coordinate e non cooperino in modo adeguato. Peraltro, le strutture
medesime non disporrebbero di sufficienti risorse materiali ed umane. In
secondo luogo, l’istituzione lamenta l’assenza di un’adeguata strategia
di controllo.
36 A parere della Commissione, il sistema italiano di controllo delle
attività di pesca è garantito da quattro strutture differenti, vale a
dire il Corpo delle Capitanerie di Porto (Guardia Costiera), la Guardia
di Finanza, l'Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato. Esclusa la
prima, le altre strutture eserciterebbero tali attività in maniera
residuale. Inoltre, lo scambio di informazioni ed il coordinamento tra
le strutture medesime sarebbero limitati.
37 Il Corpo delle Capitanerie di Porto non avrebbe quale unico compito
quello di garantire il controllo delle attività di pesca, dovendo
parimenti assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia
delle vite in mare. Orbene, quest’ultimo compito verrebbe svolto
principalmente in primavera e in estate, vale a dire durante le stesse
stagioni in cui sono più utilizzate le reti da posta derivanti, il che
impedirebbe all’amministrazione medesima di dedicarsi pienamente alla
propria attività di controllo e di vigilanza sulla pesca. Tale struttura
non disporrebbe peraltro di risorse sufficienti, ove tale insufficienza
sarebbe caratterizzata dalla mancanza di imbarcazioni, dall’assenza di
un sistema di localizzazione via satellite dei pescherecci nonché dalla
mancata informatizzazione dei giornali di bordo. L’unica struttura che
disporrebbe di imbarcazioni adeguate alle operazioni in alto mare
sarebbe la Guardia di Finanza, la quale le utilizzerebbe per le proprie
attività. Infine, lo scambio di informazioni tra dette amministrazioni
sarebbe limitato e vi sarebbe assenza di coordinamento della loro
azione.
38 La Commissione deduce che, sebbene le prime relazioni di ispezione da
essa prodotte a sostegno del ricorso risalgano al 1994 ed al 1996, le
violazioni alla normativa attinente all’impiego delle reti da posta
derivanti e l’atteggiamento lassista delle autorità persisterebbero,
come emergerebbe dalle denunce trasmesse dalle associazioni di tutela
dell’ambiente e da una relazione effettuata a seguito di una missione
effettuata da ispettori della Commissione nel mese di luglio 2008.
39 Per quanto attiene all’assenza di una strategia di controllo, la
Commissione sostiene che il Corpo delle Capitanerie di Porto non
programmi in modo adeguato e non pianifichi le proprie operazioni di
controllo sull’impiego delle reti da posta derivanti. Peraltro, i
controlli si concentrerebbero sul periodo immediatamente precedente
l’inizio della campagna di pesca, verrebbero svolti a terra e sarebbero
sporadici.
40 Tale pianificazione potrebbe essere assicurata qualora si tenesse
conto che la pesca mediante reti da posta derivanti viene praticata
essenzialmente nelle regioni tirreniche, vale a dire al largo della
Calabria, della Campania e del Lazio, nonché della Sardegna. Inoltre,
tale pesca verrebbe effettuata unicamente nei mesi compresi tra aprile e
settembre e le imbarcazioni che la praticano misurerebbero più di dieci
metri e sarebbero equipaggiate con un rullo salva rete. Infine, talune
di queste imbarcazioni, benché abbiano beneficiato di aiuti comunitari
per facilitare la loro riconversione, continuerebbero ad esercitare
l’attività di pesca mediante reti da posta derivanti laddove sarebbe
facile effettuare controlli.
41 Nonostante le reiterate richieste della Commissione, le autorità
italiane non avrebbero trasmesso elementi concreti volti a dimostrare
l’esistenza di operazioni di pianificazione delle attività di controllo.
42 Secondo la Repubblica italiana, l’organismo incaricato dei controlli
in materia di pesca è il Corpo delle Capitanerie di Porto. Non sarebbe
necessario coordinare l’azione di tale struttura con quelle delle altre
strutture che si limiterebbero ad un’attività di sostegno all’esercizio
di tale compito. Le azioni di panificazione e di controllo attuate
sarebbero soddisfacenti.
43 Le relazioni delle ispezioni effettuate del luglio 1994 e del maggio
1996 menzionate dalla Commissione sarebbe risalenti nel tempo e non
rispecchierebbero in modo significativo la situazione attuale delle
azioni svolte dalle autorità italiane. Secondo la Repubblica italiana, i
rapporti redatti dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di
Porto relativi agli anni 2005-2007 hanno ben diverso valore. Tali
rapporti evidenzierebbero come detta amministrazione abbia posto in
essere un’azione efficace, d’altronde riconosciuta dagli ispettori
comunitari in occasione della loro missione effettuata nel giugno del
2006. Peraltro, le relazioni prodotte dalla Commissione e provenienti da
organizzazioni private sarebbero inidonee a dimostrare alcunché. Infine,
la relazione della missione effettuata dagli ispettori della Commissione
nel mese di luglio 2008 sarebbe poco significativa, in quanto effettuata
nell’estate del 2008 nella zona di Lampedusa, caratterizzata all’epoca
da un imponente flusso di immigrazione clandestina tale da rendere
indispensabile l’intervento delle autorità.
44 Per quanto attiene alla pianificazione dei controlli, la Repubblica
italiana afferma che dai rapporti redatti dal Comando Generale delle
Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005-2007 emerge che tale
amministrazione ha posto in essere un’azione efficace e pianificata di
monitoraggio e controllo delle attività di pesca.
Giudizio della Corte
45 Nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art.
226 CE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito
inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari
affinché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi
basare su alcuna presunzione (v. sentenza 26 aprile 2005, causa
C-494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3331, punto 41 e
giurisprudenza ivi richiamata).
46 Tuttavia, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far
risultare che le autorità di uno Stato membro hanno posto in essere una
prassi reiterata e persistente contraria al diritto comunitario, spetta
allo Stato membro medesimo confutare in modo sostanziale e dettagliato i
dati in tal modo forniti, nonché le conseguenze che ne derivano (v., per
analogia, sentenze Commissione/Irlanda, cit., punto 47 e giurisprudenza
ivi richiamata, nonché 26 aprile 2007, causa C-135/05,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-3475, punto 32).
47 A sostegno del ricorso la Commissione ha prodotto 33 relazioni di
ispezioni cui essa ha fatto procedere, nel periodo compreso tra il 1993
e il 2005, in vari porti di pesca italiani al fine di verificare il
rispetto della normativa comunitaria relativa alla pesca mediante reti
da posta derivanti.
48 Dalle singole ispezioni emerge che la detenzione a bordo e l’impiego,
da parte dei pescatori italiani, di reti da posta derivanti di cui è
vietato l’uso erano frequenti, abituali e ampiamente diffusi durante
tutto il periodo oggetto del presente procedimento.
49 Dalle ispezioni medesime risulta parimenti che le autorità incaricate
della vigilanza di controllo delle attività di pesca non avevano posto
in essere un’azione sufficientemente efficace per reprimere le
violazioni alla normativa comunitaria e per evitare la loro
reiterazione. Dalle ispezioni è emerso, in particolare, che il Corpo
delle Capitanerie di Porto non disponeva delle risorse umane e materiali
sufficienti per effettuare operazioni in alto mare e che operazioni di
tal genere potevano essere effettuate unicamente dalla Guardia di
Finanza. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva, peraltro, di
sistemi di localizzazione via satellite dei pescherecci. Infine, è
apparso che l’azione del Corpo delle Capitanerie di Porto non costituiva
oggetto di una pianificazione che consentisse di renderla più efficace.
50 Si deve necessariamente rilevare che la Repubblica italiana non
contesta il fatto che durante il periodo oggetto del presente
procedimento per inadempimento fossero frequenti le violazioni, da parte
dei pescatori italiani, al divieto di detenzione a bordo e di impiego di
reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Peraltro, la Repubblica
italiana, sebbene sostenga che le azioni di sorveglianza e controllo
delle attività di pesca nonché la pianificazione delle azioni medesime
siano quasi esclusivamente compito del Corpo delle Capitanerie di Porto,
produce, al fine di dimostrare che l’azione di tale amministrazione sia
pianificata ed efficace, relazioni concernenti unicamente gli anni
2005-2007. Orbene, tali relazioni riguardano un periodo largamente
successivo alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e non
possono pertanto essere prese in considerazione.
51 La Repubblica italiana non ha peraltro contraddetto l’affermazione
della Commissione secondo cui il Corpo delle Capitanerie di Porto non ha
quale unico compito quello di sorvegliare e controllare le attività di
pesca, dovendo parimenti far fronte ad altri compiti come assicurare la
sicurezza della navigazione e la salvaguardia delle vite umane in mare,
compiti esercitati principalmente nello stesso periodo in cui vengono
utilizzate le reti da posta derivanti. Il Corpo delle Capitanerie di
Porto non può quindi esercitare pienamente i propri compiti di controllo
e di sorveglianza delle attività di pesca.
52 Dai suesposti rilievi emerge che, nel periodo oggetto del presente
procedimento, la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non
erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e che l’addebito
relativo all’inefficienza delle autorità italiane nell’esercizio e nella
pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo è
fondato.
Sul secondo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 2, del
regolamento n. 2241/87 e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93
53 A sostegno di tale censura la Commissione, in primo luogo, contesta
l’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla
repressione della detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è
proibito l’impiego. In secondo luogo, l’istituzione sostiene che le
autorità di controllo non denuncino in misura sufficiente le violazioni
accertate ai fini dell’avvio dei relativi procedimenti. Le sanzioni
inflitte nei casi di perseguimento delle violazioni non sarebbero
peraltro né efficaci né dissuasive.
Sull’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla
repressione della detenzione di reti da posta derivanti di cui è vietato
l’impiego
- Argomenti delle parti
54 La Commissione osserva, in primo luogo, che, contrariamente a quanto
disposto dagli artt. 11 e 11 bis del regolamento n. 894/97, la normativa
italiana vigente all’epoca del parere motivato, vale a dire la legge 14
luglio 1965, n. 963 (GURI n. 203 del 14 agosto 1965), non prevedeva
sanzioni per la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è
vietato l’uso. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della
normativa italiana, la detenzione a bordo di tali reti verrebbe
sanzionata solamente ove sia stata accertata durante la navigazione
ovvero nel momento in cui l’imbarcazione salpa. La mancata tipizzazione
quale illecito della semplice detenzione di dette reti a bordo delle
imbarcazioni produrrebbe la conseguenza che l’accertamento delle
violazioni potrebbe avvenire solo in mare o al momento dell’uscita dal
porto, il che complicherebbe i controlli.
55 La Commissione prende atto della legge 6 giugno 2008, n. 101 (GURI n.
132 del 7 giugno 2008, pag. 4), che prevede come illecito la semplice
detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso.
Tuttavia, tale legge è intervenuta tre anni dopo il termine fissato nel
parere motivato. Peraltro, gli artt. 15 e 26 della legge 14 luglio 1965,
n. 963, avrebbero consentito di sanzionare solamente la pesca effettuata
mediante strumenti non ammessi, ma non la semplice detenzione a bordo
dei medesimi. Infine, sarebbero sussistiti seri dubbi quanto alla
validità, quale fondamento del divieto della detenzione di dette reti,
dei regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155.
Infatti, la giurisprudenza dominante avrebbe considerato il regio
decreto 4 aprile 1940, n. 1155, implicitamente abrogato per effetto
della legge 14 luglio 1965, n. 963.
56 La Repubblica italiana deduce che la legge 6 giugno 2008, n. 101,
vieta la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è
vietato l’impiego.
57 Lo Stato membro medesimo sottolinea che, già prima della modifica
legislativa intervenuta nel 2008, la pesca effettuata mediante strumenti
non consentiti risultava vietata, nell’ordinamento giuridico italiano,
dalla legge 14 luglio 1965, n. 963.
58 La Repubblica italiana sostiene parimenti che, anche prima
dell’adozione della legge 6 giugno 2008, n. 101, l’amministrazione
nazionale riteneva possibile sanzionare la semplice detenzione di reti
da posta derivanti di cui è proibito l’uso richiamandosi ai regi decreti
8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155, impartendo istruzioni
in tal senso. Conseguentemente, la detenzione a bordo di strumenti di
pesca di cui è vietato l’impiego era considerata vietata in Italia. La
legge 6 giugno 2008, n. 101, avrebbe semplicemente raddoppiato l’importo
delle ammende previste, disponendo la confisca delle reti di cui
trattasi, la loro immediata distruzione e la sospensione della licenza
di pesca. Lo Stato membro medesimo ne trae la conclusione che
l’addebito, nella parte attinente all’insufficienza della normativa di
repressione, è venuto meno.
- Giudizio della Corte
59 In caso di violazione della normativa comunitaria in materia di
conservazione e controllo della pesca e, più in particolare, della
normativa relativa alle restrizioni all’impiego delle reti da posta
derivanti, le autorità competenti di uno Stato membro erano tenute ad
intentare un’azione penale o amministrativa contro i responsabili, in
conformità dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87. Analogo
obbligo incombe agli Stati membri dal 1° gennaio 1994, ai sensi
dell’art. 31, n. 1, del regolamento n. 2847/93 (v. sentenza 25 aprile
2002, cause riunite C-418/00 e C-419/00, Commissione/Francia, Racc. pag.
I-3969, punto 62).
60 La Repubblica italiana era dunque tenuta ad adottare e porre in
essere una normativa che prevedesse azioni amministrative o penali nei
confronti dei responsabili delle violazioni del divieto di detenzione a
bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego.
61 È pacifico che la legge 6 giugno 2008, n. 101, preveda sanzioni in
caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge è
stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel
parere motivato e resta priva di effetti sulla valutazione della
sussistenza dell’inadempimento contestato.
62 Peraltro, è altresì pacifico che, prima della modifica per effetto
della legge 6 giugno 2008, n. 101, la legge 14 luglio 1965, n. 963, non
puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti. Occorre quindi
accertare se, come sostiene la Repubblica italiana e come contesta
invece la Commissione, al momento della scadenza del termine fissato nel
parere motivato, i regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile
1940, n. 1155, costituissero un fondamento normativo sufficiente per
l’esercizio di azioni volte a sanzionare la detenzione a bordo di reti
da posta derivanti il cui impiego è vietato dalla normativa comunitaria.
63 A tale riguardo, dalle circolari 19 giugno 2006, n. 1/2006, e 10
gennaio 2007, n. 4/2007, prodotte all’udienza, emerge che il governo
italiano incitava l’amministrazione a procedere alla confisca delle reti
da posta derivanti di cui è vietato l’impiego e a disporre sanzioni
amministrative fondandosi sui regi decreti medesimi. Tuttavia, nelle
proprie memorie la Repubblica italiana riconosce che la confisca delle
reti in questione si fondava su un’interpretazione di detti decreti i
quali, secondo l’amministrazione, potevano continuare ad essere
considerati vigenti laddove sussistevano invece dubbi in ordine alla
questione se fossero stati abrogati o meno.
64 Tuttavia, oltre al fatto che le menzionate circolari sono state
adottate successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere
motivato, non si può ritenere che semplici prassi amministrative, per
loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di
adeguata pubblicità, costituiscano valido adempimento degli obblighi
incombenti agli Stati membri nel contesto dell’applicazione dei
regolamenti comunitari (v., in tal senso, per quanto attiene alla
trasposizione delle direttive, sentenza 10 maggio 2007, causa C-508/04,
Commissione/Austria, Racc. pag. I-3787, punto 80 e la giurisprudenza ivi
richiamata, nonché, per quanto attiene all’adempimento degli obblighi
risultanti dal Trattato CE, sentenza 8 luglio 1999, causa C-203/98,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4899, punto 14).
65 Ne consegue che, al momento della scadenza del termine fissato nel
parere motivato, nella normativa italiana non esistevano disposizioni
che vietassero chiaramente la detenzione a bordo di reti da posta
derivanti di cui è vietato l’uso e prevedessero sanzioni per le
violazioni del divieto medesimo. Il secondo addebito risulta pertanto
fondato sotto tale profilo.
Sull’insufficienza delle denunce delle violazioni e sull’esiguità delle
sanzioni
- Argomenti delle parti
66 A parere della Commissione, dai documenti trasmessi dalle autorità
italiane nell’ambito della fase precontenziosa del procedimento emerge
che, anche nei casi in cui sono state accertate infrazioni, le autorità
di controllo non hanno trasmesso l’informativa alle autorità competenti
ai fini del relativo perseguimento. Inoltre, le infrazioni non sarebbero
state né perseguite né sanzionate efficacemente. Infatti, il numero di
sanzioni inflitte sarebbe ridotto e le ammende risulterebbero di esigua
entità rispetto agli importi previsti dalla normativa nazionale nonché
rispetto al prezzo di una rete da posta derivante. Infine, le ammende
non sarebbero state aumentate in caso di recidiva.
67 Peraltro, i provvedimenti accessori quali il sequestro delle reti da
posta derivanti di cui è vietato l’uso sarebbero stati inefficaci.
Infatti, le reti sequestrate sarebbero state lasciate sotto la custodia
degli stessi autori delle violazioni. Il numero di reti sequestrate,
anche relativamente agli anni 2005-2007, sarebbe troppo esiguo rispetto
al numero di pescherecci che utilizzano tale tipo di rete. La
Commissione relativizza parimenti l’entità delle confische di reti
indicate dalle autorità italiane, deducendo che, atteso che ogni rete da
posta derivante ha una lunghezza media di 10 km, il sequestro di 790 000
metri di reti corrisponde al sequestro di 79 reti, cifra ampiamente
inferiore al numero di pescherecci multati dalle autorità italiane nel
2007 per violazione del divieto di impiego di reti da posta derivanti di
cui è vietato l’uso.
68 Infine, la Commissione fa valere che le autorità italiane non
considerano come reti da posta derivanti talune reti la cui
utilizzazione è invece vietata dalla normativa comunitaria.
69 La Repubblica italiana produce una serie di rapporti del Comando
generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi agli anni
2005-2007 da cui emergerebbe che l’azione svolta per controllare la
detenzione e l’uso delle reti da posta derivanti sarebbe stata
pianificata, efficace e produttiva di risultati soddisfacenti. In tal
senso, 790 000 metri di reti sarebbero stati confiscati nel 2005, 633
136 metri nel 2006 e 700 000 metri nel 2007. Tale efficacia sarebbe
stata riconosciuta dagli ispettori della Commissione in occasione delle
loro missioni effettuate nel giugno del 2006.
- Giudizio della Corte
70 L’art. 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, che riprende gli
obblighi previsti all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87, impone
agli Stati membri di perseguire le infrazioni accertate. Detta
disposizione precisa, al riguardo, che le azioni promosse devono essere
idonee a privare effettivamente i responsabili del beneficio economico
derivante dalle infrazioni o produrre effetti proporzionati alla gravità
delle infrazioni medesime, tali da fungere da deterrente per ulteriori
infrazioni dello stesso tipo.
71 L’obbligo degli Stati membri di vegliare a che le infrazioni alla
normativa comunitaria formino oggetto di sanzioni a carattere effettivo,
proporzionato e dissuasivo presenta un’importanza essenziale nel settore
della pesca. Infatti, se le autorità competenti di uno Stato membro si
astenessero sistematicamente dal perseguire i responsabili di tali
infrazioni, ne risulterebbero pregiudicate sia la conservazione e la
gestione delle risorse della pesca, sia l’applicazione uniforme della
politica comune della pesca (v. citate sentenze 12 luglio 2005,
Commissione/Francia, punto 69, e Commissione/Spagna, punto 39).
72 I regolamenti nn. 2241/87 e 2847/93 forniscono infatti indicazioni
precise quanto al contenuto delle misure che debbono essere adottate
dagli Stati membri e che debbono tendere all’accertamento della
regolarità delle operazioni di pesca allo scopo di prevenire eventuali
irregolarità e nel contempo di reprimerle. Tale obiettivo implica che le
misure attuate debbano avere un carattere effettivo, proporzionato e
dissuasivo (v. citate sentenze 12 luglio 2005, Commissione/Francia,
punto 37, e Commissione/Spagna, punto 40).
73 Dai dati comunicati nell’allegato alla lettera del Ministero delle
Politiche agricole, alimentari e forestali del 5 novembre 2001, n.
13544, e, segnatamente, dal rapporto del Comando Generale del Corpo
delle Capitanerie di Porto prodotto nell’allegato 27 al ricorso della
Commissione emerge che, per quanto riguarda l’anno 2000, non erano
praticamente mai state avviate azioni penali. Le stesse constatazioni
risultano dagli allegati alla lettera del Ministero medesimo del 13
luglio 2006, prodotti nell’allegato 42 al ricorso della Commissione.
Infatti, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006, le sanzioni
inflitte sono state scarse e le ammende amministrative ammontano ad un
importo di circa EUR 1 000. Il numero di sanzioni inflitte e l’esiguità
dei loro importi rispetto ai benefici ricavati dalle violazioni non sono
contestati dalla Repubblica italiana.
74 Per quanto attiene alla confisca delle reti da posta derivanti di cui
è vietato l’uso, si deve, in primo luogo, rilevare che la Repubblica
italiana non ha fornito dati quantitativi se non con riferimento agli
anni 2005-2007. Tuttavia, tali dati attengono ad un periodo largamente
successivo alla data di scadenza fissata nel parere motivato, ragion per
cui non consentono di valutare se, nel periodo precedente tale data, le
autorità italiane procedessero alla confisca di dette reti, in modo tale
da dissuadere dal compimento di infrazioni della stessa natura.
75 In secondo luogo, anche qualora i dati prodotti dalla Repubblica
italiana al punto 17 della propria controreplica potessero essere presi
in considerazione, dai medesimi emergerebbe che, nel 2006, sono stati
sequestrati 633 000 metri di reti, corrispondenti a 108 reti, e che, nel
2007, tali cifre ammontano rispettivamente a 697 000 metri e a 235 reti.
Tali dati sembrano quindi confermare le affermazioni della Commissione
secondo cui il quantitativo di metri di reti sequestrato non è di per sé
significativo e corrisponde ad un numero di reti decisamente ridotto.
76 Da tali elementi emerge che la Repubblica italiana è venuta meno ai
propri obblighi di avviare azioni amministrative o penali
sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni
della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e
per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle
infrazioni medesime. Ne consegue che il secondo addebito risulta fondato
sotto tale profilo.
77 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni emerge che, non avendo
provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato,
sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria
sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per
quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la
detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non
avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati
provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla
normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di
reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni
dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è
venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1,
del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2,
del regolamento n. 2847/93.
Sulle spese
78 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché
la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in
modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette
alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca,
segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che
disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta
derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero
adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle
infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e
di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione
di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art.
1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241,
che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca,
nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del
Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di
controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca,
come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998, n.
2846.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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