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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. Grande, 24/03/2009, Sentenza
C-445/06
DIRITTO SANITARIO - Carni fresche - Controlli veterinari - Responsabilità
extracontrattuale di uno Stato membro - Termine di prescrizione -
Determinazione del danno - Misure di effetto equivalente - Polizia sanitaria
- Scambi intracomunitari. I soggetti lesi dalla trasposizione e
dall’applicazione carenti delle direttive del Consiglio 26 giugno 1964,
64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e
l’immissione sul mercato di carni fresche, come modificata dalla direttiva
del Consiglio 29 luglio 1991, 91/497/CEE, e del Consiglio 11 dicembre 1989,
89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi
intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno,
possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per
chiamare in causa la responsabilità dello Stato per violazione del diritto
comunitario. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. Grande,
24/03/2009, Sentenza C-445/06
DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - Procedimento per inadempimento -
Risarcimento nei confronti dello Stato - Termine di prescrizione - Domanda
di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE - Diritto comunitario e disciplina
nazionale. Il diritto comunitario non richiede che, quando la
Commissione delle Comunità europee avvia un procedimento per inadempimento
ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei
confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del
diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o
sospeso durante tale procedimento. Inoltre, il diritto comunitario non osta
a che il termine di prescrizione di un’azione di risarcimento nei confronti
dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a
decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta
trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche
qualora tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della
direttiva in parola. Infine, il diritto comunitario non osta
all’applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un
soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso,
dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni
in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente
esigere dal soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al
giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della
causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una
domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l’esistenza di un
ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono
costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia
ragionevole far ricorso a un’azione in giudizio. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE
COMUNITA' EUROPEE, Sez. Grande, 24/03/2009, Sentenza C-445/06
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
24 marzo 2009 (*)
«Misure di effetto equivalente - Polizia sanitaria - Scambi
intracomunitari - Carni fresche - Controlli veterinari - Responsabilità
extracontrattuale di uno Stato membro -Termine di prescrizione -
Determinazione del danno»
Nel procedimento C-445/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania) con
decisione 12 ottobre 2006, pervenuta in cancelleria il 6 novembre 2006,
nella causa
Danske Slagterier
contro
Repubblica federale di Germania,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A.
Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, M. Ilešic e A. Ó. Caoimh, presidenti
di sezione, G. Arestis, A. Borg Barthet (relatore), J. Malenovský, J.
Klucka, U. Lõhmus e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Slawiczek, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21
maggio 2008,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Danske Slagterier, dall’avv. R. Karpenstein, Rechtsanwalt;
- per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e C. Blaschke, in qualità
di agenti, assistiti dall’avv. L. Giesberts, Rechtsanwalt;
- per il governo ceco, dal sig. T. Bocek, in qualità di agente;
- per il governo ellenico, dal sig. V. Kontolaimos e dalle sig.re S.
Charitaki e S. Papaioannou, in qualità di agenti;
- per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A.-L.
During, in qualità di agenti;
- per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di
agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;
- per il governo polacco, dalla sig.ra E. Osniecka-Tamecka e dall’avv.
P. Kucharski, prewnik, in qualità di agenti;
- per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra S. Lee, barrister;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Erlbacher e H.
Krämer, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 4 settembre 2008,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli
artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva
del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni
sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche
(GU 1964, n. 121, pag. 2012), come modificata dalla direttiva del
Consiglio 29 luglio 1991, 91/497/CEE (GU L 268, pag. 69; in prosieguo:
la «direttiva 64/433»), degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva del
Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari
applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della
realizzazione del mercato interno (GU L 395, pag. 13), nonché dell’art.
28 CE.
2 Tale domanda è stata sottoposta nell’ambito di una controversia fra la
Danske Slagterier e la Repubblica federale di Germania, vertente su una
richiesta di risarcimento danni.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 L’art. 5, n. 1, della direttiva 64/433 così prevede:
«Gli Stati membri provvedono affinché siano dichiarati non idonei al
consumo umano dal veterinario ufficiale:
(...)
o) le carni che presentino intenso odore sessuale».
4 L’art. 6, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché:
(...)
b) le carni:
(...)
iii) fatti salvi i casi di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera o),
di suini maschi non castrati di peso, espresso in carcassa, superiore a
80 chilogrammi, tranne qualora lo stabilimento sia in grado di
garantire, in base a un metodo riconosciuto secondo la procedura di cui
all’articolo 16 oppure, in mancanza di tale metodo, secondo un metodo
riconosciuto dall’autorità competente interessata, che è possibile
individuare le carcasse che presentano un intenso odore sessuale,
siano munite del bollo speciale stabilito dalla decisione 84/371/CEE
[della Commissione 3 luglio 1984, che stabilisce le caratteristiche del
bollo speciale per le carni fresche di cui all’articolo 5, lettera a),
della direttiva 64/433/CEE del Consiglio (GU L 196, pag. 46)] e
sottoposte al trattamento previsto dalla direttiva 77/99/CEE [del
Consiglio 21 dicembre 1976, relativa a problemi sanitari in materia di
scambi intracomunitari di prodotti a base di carne (GU 1977, L 26, pag.
85)];
(...)
g) i trattamenti previsti alle lettere precedenti siano effettuati nello
stabilimento d’origine o in qualsiasi altro stabilimento designato dal
veterinario ufficiale;
(...)».
5 Le disposizioni della direttiva 64/433 dovevano essere trasposte nel
diritto nazionale entro il 1° gennaio 1993.
6 L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/662 stabilisce che:
«Gli Stati membri destinatari adottano le seguenti misure di controllo:
a) la competente autorità può, nei luoghi di destinazione della merce,
verificare tramite controlli veterinari per sondaggio non discriminatori
il rispetto delle condizioni poste dall’articolo 3; in tale occasione
essa può procedere a prelievi di campioni.
Inoltre, se la competente autorità dello Stato membro di transito o
dello Stato membro destinatario dispone di elementi di informazione che
consentano di ipotizzare un’infrazione, possono essere effettuati
altresì controlli durante il trasporto della merce sul suo territorio,
incluso il controllo di conformità dei mezzi di trasporto;
(...)».
7 Ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva in parola:
«Se, in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione
della spedizione o durante il trasporto, la competente autorità di uno
Stato membro constata:
(...)
b) che la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive
comunitarie o, in mancanza di decisioni sulle norme comunitarie previste
dalle direttive, dalle norme nazionali, essa può lasciare allo speditore
o al suo mandatario, se le condizioni di salubrità o di polizia
sanitaria lo consentono, la scelta tra:
- la distruzione della merce, oppure
- la sua utilizzazione ad altri fini, compresa la rispedizione su
autorizzazione della competente autorità del paese dello stabilimento
d’origine.
(...)».
8 Infine, l’art. 8 della direttiva in questione così dispone:
«1. Nei casi previsti dall’articolo 7, la competente autorità di uno
Stato membro destinatario si mette immediatamente in contatto con la
competente autorità dello Stato membro speditore. Quest’ultima prende
tutte le misure necessarie e comunica alla competente autorità del primo
Stato membro la natura dei controlli effettuati, le decisioni prese e le
relative motivazioni.
(...)
2. (…)
Le decisioni adottate dalla competente autorità dello Stato destinatario
devono essere comunicate, con l’indicazione delle relative motivazioni,
allo speditore o al suo mandatario, nonché alla competente autorità
dello Stato membro speditore.
A richiesta dello speditore o del suo mandatario, le decisioni motivate
devono essergli comunicate per iscritto con l’indicazione delle vie di
ricorso offerte dalla legislazione vigente nello Stato membro di
destinazione, nonché della forma e dei termini prescritti per il ricorso
stesso.
(...)».
La normativa nazionale
9 Ai sensi dell’art. 839 del codice civile tedesco (Bürgerliches
Gesetzbuch), nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2001 (in
prosieguo: il «BGB»):
«(1) Il pubblico ufficiale che, con un comportamento doloso o colposo,
violi gli obblighi impostigli dal proprio ufficio nei confronti di un
terzo è tenuto a risarcire al terzo il danno che ne deriva. Se il
pubblico ufficiale ha agito solo colposamente, egli è tenuto al
risarcimento solo se il soggetto leso non riesce ad ottenerlo in altro
modo.
(2) Il pubblico ufficiale che violi gli obblighi imposti dal proprio
ufficio nel giudizio in una causa è responsabile del danno derivante
solo ove la violazione dell’obbligo costituisca un reato. La presente
norma non è applicabile ad un rifiuto o ad un ritardo contrario al
proprio dovere nell’esercizio dell’ufficio.
(3) L’obbligo di risarcimento non sussiste se il soggetto leso abbia
omesso, dolosamente o colposamente, di evitare il danno avvalendosi di
un mezzo d’impugnazione».
10 L’art. 852 del BGB prevedeva:
«(1) Il diritto al risarcimento del danno derivante da un atto illecito
si prescrive in tre anni dal momento in cui il soggetto leso viene a
conoscenza del danno e dell’identità della persona obbligata al
risarcimento; in trent’anni dalla commissione dell’atto,
indipendentemente dalla suddetta conoscenza.
(2) Ove siano in corso trattative circa il risarcimento del danno da
corrispondere fra l’obbligato al risarcimento e l’avente diritto allo
stesso, la prescrizione è sospesa fino a quando una delle due parti non
si rifiuti di continuare le trattative.
(3) Qualora l’obbligato al risarcimento abbia ottenuto un beneficio
mediante l’atto illecito a spese del soggetto leso, egli è tenuto alla
restituzione anche dopo il decorso della prescrizione in base alle
disposizioni sulla restituzione dell’indebito».
Causa principale e questioni pregiudiziali
11 La Danske Slagterier, un’associazione di categoria di imprese danesi
di macelli, organizzate in cooperative, e di allevatori di suini, che
agisce sulla base del diritto ad essa delegato dai propri membri, chiede
alla Repubblica federale di Germania il risarcimento dei danni dovuti
per una violazione del diritto comunitario. Detta associazione addebita
allo Stato in parola di avere, in violazione del diritto comunitario,
imposto dal 1993 al 1999 un divieto all’importazione di carni di suini
maschi non castrati. A suo parere siffatto divieto avrebbe causato agli
allevatori di suini e ai macelli, nel corso del periodo menzionato, un
danno pari ad almeno DEM 280 milioni.
12 All’inizio degli anni ’90 è stato lanciato in Danimarca un progetto
chiamato «Male-Pig-Projekt», diretto all’allevamento di suini maschi non
castrati. Orbene, detto tipo di allevamento, interessante da un punto di
vista economico, presenta il rischio che la carne, dopo essere stata
riscaldata, emani un intenso odore sessuale. Secondo alcuni ricercatori
danesi si può constatare detta intensità olfattiva già nel corso
dell’operazione di macellazione, misurando il tenore di scatolo. Per
tale ragione, in Danimarca, tutte le linee di macellazione sono state
equipaggiate di strumenti di misurazione dello scatolo, al fine di
consentire di individuare e scartare la carne che presentasse l’odore in
questione. All’epoca la Repubblica federale di Germania ha ciò nondimeno
ritenuto che detta intensità olfattiva fosse dovuta all’ormone
androstenone, la cui formazione può essere evitata tramite la
castrazione in una fase precedente, e che il tenore di scatolo,
considerato isolatamente, non potesse costituire di per sé un metodo
affidabile per identificare l’odore sessuale.
13 Nel gennaio 1993 la Repubblica federale di Germania ha informato le
massime autorità veterinarie degli Stati membri che la norma di cui
all’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433 era stata trasposta
nel diritto nazionale in modo da fissare un valore di µg/g 0,5 di
androstenone, indipendentemente dal limite di peso. Qualora, infatti,
detto valore fosse superato, la carne presenterebbe un intenso odore
sessuale e pertanto sarebbe inidonea al consumo umano. Con ciò essa
sottolineava che solo il test immuno-enzimatico modificato del prof.
Claus era riconosciuto come metodo specifico che permette di evidenziare
l’androstenone, e che le carni di suini maschi non castrati, che
superassero tale valore limite, non potevano essere importate in
Germania quali carni fresche.
14 Numerosi lotti di carni suine provenienti dalla Danimarca sono quindi
stati esaminati dalle autorità tedesche e respinti a causa del
superamento del valore limite di androstenone. Peraltro, gli allevatori
di suini e le imprese di macelli che avevano praticamente interrotto la
produzione di suini maschi castrati hanno dovuto riavviarla per non
compromettere le esportazioni verso la Germania. La Danske Slagterier fa
valere che, se le carni di suini esportate fossero provenute, come
previsto dal Male-Pig-Projekt, da suini non castrati, sarebbe stato
possibile realizzare un risparmio in termini di costi di almeno DEM 280
milioni.
15 Il Landgericht Bonn (Tribunale di Bonn), investito dalla Danske
Slagterier, il 6 dicembre 1999, di un’azione di responsabilità civile
nei confronti della Repubblica federale di Germania, ha ritenuto tale
azione fondata per il periodo a partire dal 7 dicembre 1996,
respingendola in quanto prescritta nella parte relativa alle richieste
di risarcimento dei danni sorte anteriormente a detta data. L’Oberlandesgericht
Köln (Corte d’appello di Colonia), adito in appello, ha dichiarato
complessivamente giustificata nel merito la domanda. Con un ricorso per
cassazione («Revision») dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di
cassazione tedesca), la Repubblica federale di Germania vuole ottenere
il rigetto integrale della domanda.
16 La Corte, peraltro, con la sentenza 12 novembre 1998, causa C-102/96,
Commissione/Germania (Racc. pag. I-6871), ha dichiarato che la
Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi che le
incombono ai sensi degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b),
della direttiva 64/433, nonché ai sensi degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della
direttiva 89/662, da un lato, avendo imposto l’obbligo di marchiare e
sottoporre a trattamento termico le carcasse di suini maschi non
castrati quando le carni, indipendentemente dal peso degli animali,
presentino una concentrazione di androstenone superiore a µg/g 0,5,
individuata mediante il test immuno-enzimatico modificato del prof.
Claus, e, dall’altro, avendo considerato che, in caso di superamento del
limite di µg/g 0,5 di androstenone, le carni presentino un intenso odore
sessuale, il che ha come conseguenza di renderle inidonee al consumo
umano.
17 In tale contesto il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1,
lett. b), (...) sub iii), della direttiva [64/433] e degli artt. 5, n.
1, 7 e 8 della direttiva 89/662 (...) conferiscano ai produttori e ai
commercianti di carni suine una posizione giuridica che, in caso di
errori di trasposizione o di applicazione, possa far sorgere un diritto,
fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello
Stato.
2) Se i produttori e commercianti di carni suine possano, a prescindere
dalla risposta alla prima questione, lamentare la violazione dell’art.
30 del Trattato CE [divenuto art. 28 CE] per motivare un diritto,
fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello
Stato in caso di trasposizione e applicazione della suddetta direttiva
contrarie al diritto comunitario.
3) Se il diritto comunitario imponga che la prescrizione del diritto,
fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello
Stato venga interrotta in seguito a un procedimento per inadempimento ai
sensi dell’art. 226 CE o se, comunque, venga sospesa fino alla
conclusione di tale procedimento, quando manchi un rimedio giuridico
interno efficace per costringere lo Stato membro a trasporre una
direttiva.
4) Se il termine di prescrizione per un diritto, fondato
sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato
che si basi sulla carente trasposizione di una direttiva e su un
conseguente divieto (di fatto) di importazione, cominci a decorrere, a
prescindere dal diritto nazionale applicabile, solo a partire dalla
completa trasposizione della direttiva, oppure se il termine di
prescrizione possa cominciare a decorrere, conformemente al diritto
nazionale, già dal momento in cui si sono prodotti i primi effetti
lesivi e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione
di una direttiva dovesse incidere sull’inizio del termine di
prescrizione, se ciò valga in generale o soltanto nei limiti in cui la
direttiva conferisca un diritto ai soggetti dell’ordinamento.
5) Se, considerato che gli Stati membri non devono stabilire condizioni
per fare valere il diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un
risarcimento del danno da parte dello Stato più sfavorevoli rispetto ad
altre azioni del medesimo genere che coinvolgono solo il diritto interno
e che l’attribuzione di un risarcimento non deve essere resa di fatto
impossibile o oltremodo difficile, sussistano obiezioni di principio nei
confronti di una normativa nazionale ai sensi della quale l’obbligo di
risarcimento non sorge quando la persona lesa ha dolosamente o
colposamente omesso di far ricorso alle vie giudiziarie per evitare il
danno. Se parimenti sussistano obiezioni nei confronti di questa
“priorità di tutela del diritto primario”, qualora essa sia sottoposta
alla condizione di dovere essere ragionevolmente esigibile
dall’interessato. Se sia irragionevole esigerla già ai sensi del diritto
comunitario, qualora il giudice adito non possa presumibilmente
risolvere le questioni controverse di diritto comunitario senza un
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (...), o qualora sia già
pendente un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima e seconda questione
18 Con le prime due questioni, che vanno trattate congiuntamente, il
giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il combinato disposto degli
artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva
64/433 e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 conferiscano
ai produttori e ai commercianti di carni suine, qualora dette direttive
non siano correttamente trasposte o applicate, una posizione giuridica
tale da far sorgere un diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad
un risarcimento da parte dello Stato per violazione del diritto
comunitario e se, in siffatte circostanze, possano far valere una
violazione dell’art. 28 CE per motivare il diritto a un risarcimento,
stante la menzionata responsabilità dello Stato.
19 In proposito occorre preliminarmente ricordare che, secondo una
costante giurisprudenza, il principio della responsabilità dello Stato
per danni causati ai soggetti dell’ordinamento da violazioni del diritto
comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato CE
(sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e
a., Racc. pag. I-5357, punto 35; 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e
C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31;
23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I-2553, punto 24,
nonché 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a
C-190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I-4845, punto 20).
20 La Corte ha dichiarato che ai soggetti lesi è riconosciuto un diritto
al risarcimento purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che
la norma giuridica comunitaria violata sia preordinata a conferire loro
diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente
qualificata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la
violazione in parola e il danno subito dai soggetti lesi (v. citate
sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51; Hedley Lomas,
punto 25, nonché Dillenkofer e a., punto 21).
21 Per quanto riguarda la prima condizione, la Corte ha avuto occasione
di esaminare la responsabilità degli Stati membri per violazioni del
diritto comunitario nei casi di mancata trasposizione di direttive
tendenti a realizzare il mercato interno (v., in particolare, citate
sentenze Francovich e a. nonché Dillenkofer e a.). Tuttavia, a
differenza delle controversie all’origine delle due menzionate sentenze,
ove solamente il diritto derivato aveva creato un contesto giuridico che
conferiva diritti ai soggetti, la causa principale tratta di una
situazione in cui una delle parti della causa principale, ossia la
Danske Slagterier, afferma che l’art. 28 CE le attribuirebbe già i
diritti che essa invoca.
22 A tal proposito occorre ricordare che è pacifico che l’art. 28 CE ha
efficacia diretta, nel senso che conferisce ai soggetti diritti che gli
stessi possono direttamente far valere davanti ai giudici nazionali e
che la violazione di dette norme può dar luogo a risarcimento (sentenza
Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 23).
23 La Danske Slagterier si avvale altresì delle disposizioni delle
direttive 64/433 e 89/662. Come risulta dal tenore del titolo e dal
primo ‘considerando’ della direttiva 89/662, quest’ultima è stata
adottata nella prospettiva della realizzazione del mercato interno,
proprio come la direttiva 91/497, che modifica la direttiva 64/433, così
come precisa il terzo ‘considerando’ della stessa. La libera
circolazione delle merci è quindi uno degli obiettivi delle direttive in
parola che, attraverso l’eliminazione delle disparità esistenti fra gli
Stati membri in materia di prescrizioni sanitarie per le carni fresche,
sono dirette a favorire gli scambi intracomunitari. Il diritto conferito
dall’art. 28 CE viene dunque precisato e concretizzato dalle direttive
di cui trattasi.
24 Relativamente al contenuto delle direttive 64/433 e 89/662, si deve
rilevare che esse disciplinano, in particolare, i controlli sanitari e
la certificazione delle carni fresche prodotte in uno Stato membro e
consegnate in un altro. Come risulta, segnatamente, dall’art. 7, n. 1,
lett. b), della direttiva 89/662, gli Stati membri possono opporsi alle
importazioni di carni fresche solamente quando la merce non soddisfa le
condizioni previste dalle direttive comunitarie o in talune circostanze
molto particolari, come in caso di epidemie. Il divieto per gli Stati
membri d’impedire l’importazione conferisce ai soggetti il diritto di
commercializzare la carne fresca conforme alle prescrizioni comunitarie
in un altro Stato membro.
25 Peraltro, dal combinato disposto delle direttive 64/433 e 89/662
emerge che le misure dirette ad individuare un intenso odore sessuale di
suino maschio non castrato sono state oggetto di armonizzazione
comunitaria (sentenza Commissione/Germania, cit., punto 29). Detta
armonizzazione vieta pertanto agli Stati membri, nell’ambito
tassativamente armonizzato, di giustificare l’ostacolo alla libera
circolazione delle merci per ragioni diverse da quelle previste dalle
direttive 64/433 e 89/662.
26 Di conseguenza, si devono risolvere le prime due questioni
dichiarando che i soggetti lesi dalla trasposizione e dall’applicazione
carenti delle direttive 64/433 e 89/662 possono avvalersi del diritto
alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la
responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.
Sulla terza questione
27 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in
sostanza, se il diritto comunitario imponga che, quando la Commissione
delle Comunità europee avvia un procedimento per inadempimento ex art.
226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei
confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del
diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto
o sospeso durante tale procedimento, quando nello Stato interessato non
esistono rimedi giuridici efficaci che consentano di esigere da
quest’ultimo la trasposizione di una direttiva.
28 Una cronologia dei fatti della causa principale consente di chiarire
detta questione. Dalla decisione di rinvio risulta infatti che il
procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica federale
di Germania, all’origine della citata sentenza Commissione/Germania, è
stato avviato il 27 marzo 1996. I primi effetti dannosi sono stati
subiti dai soggetti lesi a partire dal 1993, ma è solamente nel dicembre
1999 che questi ultimi hanno proposto ricorso per far valere la
responsabilità dello Stato. Se, come prospettato dal giudice del rinvio,
si applicasse il termine di prescrizione di tre anni di cui all’art.
852, n. 1, del BGB, il decorso di detto termine inizierebbe dalla metà
del 1996, data in cui, secondo tale giudice, i soggetti lesi hanno avuto
conoscenza del danno e dell’identità della persona su cui gravava la
responsabilità. Pertanto, nella causa principale, il diritto al
risarcimento nei confronti dello Stato sarebbe prescritto. Alla luce di
ciò, è rilevante per la soluzione della controversia accertare se il
deposito di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione
abbia avuto effetti sul termine di prescrizione in parola.
29 Tuttavia, per poter fornire una risposta utile al giudice a quo
occorre verificare, in via preliminare, la questione implicitamente
sollevata da quest’ultimo, ossia se il diritto comunitario osti
all’applicazione per analogia del termine di prescrizione di tre anni di
cui all’art. 852, n. 1, del BGB nella causa principale.
30 Relativamente all’applicazione dell’art. 852, n. 1, del BGB, la
Danske Slagterier ha, infatti, lamentato una mancanza di chiarezza
dell’ordinamento giuridico tedesco quanto alla norma nazionale sulla
prescrizione applicabile al diritto al risarcimento nei confronti dello
Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto
comunitario, dato che detta questione non è ancora stata oggetto di
misure legislative né di decisioni delle corti supreme e che la dottrina
è parimenti divisa su tale argomento, essendo ipotizzabili vari
fondamenti giuridici. L’applicazione, per la prima volta e per analogia,
del termine ex art. 852 del BGB ai ricorsi per far valere la
responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario
costituirebbe una violazione dei principi di certezza e chiarezza del
diritto, così come dei principi di effettività e di equivalenza.
31 In proposito si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza,
in mancanza di una normativa comunitaria, spetta all’ordinamento
giuridico nazionale di ogni Stato membro designare i giudici competenti
e disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi diretti a garantire
la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto
comunitario. È quindi nell’ambito del diritto nazionale in tema di
responsabilità che allo Stato incombe porre rimedio alle conseguenze del
danno provocato, fermo restando che le condizioni, segnatamente quanto
ai termini, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di
risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che
riguardano azioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza)
e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento
(principio di effettività) (v., in particolare, sentenze Francovich e
a., cit., punti 42 e 43, nonché 10 luglio 1997, causa C-261/95,
Palmisani, Racc. pag. I-4025, punto 27).
32 Per quanto concerne quest’ultimo principio, la Corte ha riconosciuto
compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di
ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza
del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione
interessata (v. sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile, Racc.
pag. I-7141, punto 19 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, termini del
genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti
dall’ordinamento giuridico comunitario. A tal proposito appare
ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale (v., in
particolare, sentenze Aprile, cit., punto 19, nonché 11 luglio 2002,
causa C-62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I-6325, punto 35).
33 Ciò posto, dal punto 39 della menzionata sentenza Marks & Spencer
risulta parimenti che un termine di prescrizione, per adempiere la sua
funzione di garantire la certezza del diritto, dev’essere stabilito
previamente. Orbene, una situazione caratterizzata da un’incertezza
normativa significativa può costituire una violazione del principio di
effettività, poiché il risarcimento dei danni causati alle persone da
violazioni del diritto comunitario imputabili ad un Stato membro
potrebbe essere resa eccessivamente gravosa nella pratica, se detti
soggetti non potessero determinare il termine di prescrizione
applicabile con un ragionevole grado di certezza.
34 Spetta al giudice nazionale, tenuto conto del complesso degli
elementi che caratterizzano la situazione di fatto e di diritto
all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, verificare, alla luce
del principio d’effettività, se l’applicazione per analogia del termine
ex art. 852, n. 1, del BGB alle domande di risarcimento dei danni
provocati a seguito della violazione del diritto comunitario da parte
dello Stato membro interessato fosse sufficientemente prevedibile dai
soggetti.
35 Peraltro, relativamente alla compatibilità dell’applicazione per
analogia del termine in parola con il principio di equivalenza, spetta
parimenti al giudice nazionale accertare se, considerata siffatta
applicazione, le condizioni per il risarcimento dei danni causati ai
soggetti dalla violazione del diritto comunitario da parte di detto
Stato membro non siano state meno favorevoli rispetto a quelle
applicabili al risarcimento di danni analoghi di natura interna.
36 Quanto all’interruzione o sospensione del termine di prescrizione in
occasione della presentazione di un ricorso per inadempimento, dalle
considerazioni che precedono risulta che spetta agli Stati membri
disciplinare detto tipo di modalità procedurali, purché siano osservati
i principi di equivalenza e di effettività.
37 Al riguardo va rilevato che non si può subordinare il risarcimento
del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della
Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile allo Stato
(v. citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punti 94-96, e
Dillenkofer e a., punto 28).
38 Infatti, la constatazione dell’inadempimento è certo un elemento
significativo, ma non indispensabile per verificare che sia soddisfatta
la condizione secondo cui la violazione del diritto comunitario dev’essere
sufficientemente qualificata. Inoltre, i diritti conferiti ai soggetti
non possono dipendere dalla valutazione della Commissione in ordine
all’opportunità di avviare un procedimento ex art. 226 CE nei confronti
di uno Stato membro, né dalle eventuali sanzioni della Corte che
dichiari l’inadempimento (v. sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame,
cit., punti 93 e 95).
39 Un soggetto può quindi presentare una domanda di risarcimento
osservando le modalità previste a tal fine dal diritto nazionale senza
dover attendere la pronuncia di una sentenza che dichiari la violazione
del diritto comunitario da parte dello Stato membro. Di conseguenza, la
circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l’effetto di
interrompere o sospendere il termine di prescrizione non rende
impossibile o eccessivamente difficile, per il soggetto, esercitare i
diritti conferitigli dal diritto comunitario.
40 La Danske Slagterier, peraltro, fa valere una violazione del
principio di equivalenza, in quanto il diritto tedesco prevede
l’interruzione del termine di prescrizione qualora venga azionato in
parallelo un rimedio giuridico nazionale conformemente all’art. 839 del
BGB; ebbene, un ricorso ex art. 226 CE dev’essere assimilato a siffatto
genere di rimedio giuridico.
41 In proposito occorre rilevare che, al fine di una pronuncia
sull’equivalenza delle norme procedurali, si deve accertare in modo
oggettivo ed astratto l’analogia delle norme di cui trattasi in
considerazione della loro rilevanza nel procedimento complessivamente
inteso, dello svolgimento del procedimento medesimo e delle specificità
di tali norme (v., in tal senso, sentenza 16 maggio 2000, causa C-78/98,
Preston e a., Racc. pag. I-3201, punto 63).
42 Nella valutazione dell’analogia delle norme in parola occorre tenere
conto delle particolarità della procedura ex art. 226 CE.
43 A tale riguardo va ricordato che, nell’esercizio delle competenze di
cui è investita in forza dell’art. 226 CE, la Commissione non è tenuta a
dimostrare il proprio interesse ad agire (v. sentenze 4 aprile 1974,
causa 167/73, Commissione/Francia, Racc. pag. 359, punto 15, e 10 aprile
2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag.
I-3609, punto 29). La Commissione, infatti, ha il compito di vigilare
d’ufficio e nell’interesse generale sull’applicazione, da parte degli
Stati membri, del diritto comunitario e di far dichiarare l’esistenza di
eventuali inadempimenti degli obblighi che ne derivano, allo scopo di
farli cessare (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 15, e 10
aprile 2003, Commissione/Germania, punto 29).
44 L’art. 226 CE non è dunque inteso a tutelare i diritti propri della
detta istituzione. Spetta soltanto ad essa decidere se sia opportuno
iniziare un procedimento per la dichiarazione di un inadempimento e, se
del caso, per quale comportamento od omissione tale procedimento debba
essere intrapreso (sentenza 2 giugno 2005, causa C-394/02,
Commissione/Grecia, Racc. pag. I-4713, punto 16 e giurisprudenza ivi
citata). In proposito la Commissione dispone quindi di un potere
discrezionale, che esclude il diritto dei soggetti di esigere dalla
stessa istituzione di decidere in un senso determinato (v. sentenza 14
febbraio 1989, causa 247/87, Star Fruit/Commissione, Racc. pag. 291,
punto 11).
45 Occorre, pertanto, constatare che il principio di equivalenza è
rispettato da una normativa nazionale che non prevede l’interruzione o
la sospensione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento
nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione
del diritto comunitario quando la Commissione abbia avviato un
procedimento ex art. 226 CE.
46 Alla luce di tutte le considerazioni precedenti si deve pertanto
risolvere la terza questione dichiarando che il diritto comunitario non
richiede che, quando la Commissione avvia un procedimento per
inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al
risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di
una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa
nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento.
Sulla quarta questione
47 Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se il termine di
prescrizione di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato,
basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere,
a prescindere dal diritto nazionale applicabile, unicamente a partire
dalla completa trasposizione di tale direttiva, o se il termine in
parola cominci a decorrere, conformemente al diritto nazionale, dalla
data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si
siano verificati e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa
trasposizione incida sul decorso del termine di prescrizione di cui
trattasi, il giudice a quo chiede se ciò valga in generale o soltanto
quando la direttiva attribuisca un diritto ai soggetti dell’ordinamento.
48 In proposito giova ricordare che, come menzionato ai punti 31 e 32
della presente sentenza, in mancanza di una normativa comunitaria,
spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali dei
ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti ai
soggetti dal diritto comunitario, norme sulla prescrizione incluse,
purché tali modalità rispettino i principi di equivalenza e di
effettività. Occorre inoltre ricordare che la fissazione di termini di
ricorso ragionevoli, a pena di decadenza, rispetta siffatti principi e,
in particolare, non si può ritenere che renda praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti
dall’ordinamento giuridico comunitario.
49 Nemmeno la circostanza che il termine di prescrizione previsto dal
diritto nazionale inizi a decorrere dal momento in cui si sono
verificati i primi effetti lesivi, e che siano prevedibili ulteriori
effetti analoghi, è tale da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti
dall’ordinamento giuridico comunitario.
50 La sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C-295/04 a C-298/04,
Manfredi e a. (Racc. pag. I-6619), cui fa riferimento la Danske
Slagterier, non è tale da inficiare detta conclusione.
51 Ai punti 78 e 79 della citata sentenza, la Corte ha considerato che
non è da escludersi che un termine di prescrizione breve per la
proposizione di un ricorso per risarcimento danni, decorrente dal giorno
in cui un’intesa o una pratica concordata è stata posta in essere, possa
rendere praticamente impossibile l’esercizio del diritto di chiedere il
risarcimento del danno causato da tale intesa o pratica vietata. In caso
di infrazioni continuate o ripetute, non è quindi impossibile che il
termine di prescrizione si estingua addirittura prima che sia cessata
l’infrazione e, in tal caso, chiunque abbia subìto danni dopo la
scadenza del termine di prescrizione si troverebbe nell’impossibilità di
presentare un ricorso.
52 Orbene, ciò non si verifica nella fattispecie della causa principale.
Dalla decisione di rinvio, infatti, risulta che il termine di
prescrizione di cui trattasi nella presente controversia non può
cominciare a decorrere prima che il soggetto leso abbia avuto conoscenza
del danno e dell’identità della persona tenuta al risarcimento. In
siffatte circostanze è quindi impossibile che un soggetto che ha subìto
un danno si trovi in una situazione nella quale il termine di
prescrizione inizi a decorrere, e addirittura si estingua, senza che
detto soggetto nemmeno sappia di essere stato leso, caso che invece si
sarebbe potuto verificare nel contesto della controversia all’origine
della citata sentenza Manfredi e a., ove il termine di prescrizione
cominciava a decorrere dal momento in cui veniva posta in essere
l’intesa o la pratica concordata, e di cui taluni interessati potevano
avere conoscenza unicamente in un momento decisamente successivo.
53 Quanto alla possibilità di stabilire il momento iniziale del termine
di prescrizione prima della completa trasposizione della direttiva in
parola, è vero che, al punto 23 della sentenza 25 luglio 1991, causa
C-208/90, Emmott (Racc. pag. I-4269), la Corte ha dichiarato che, al
momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro
inadempiente non può eccepire la tardività di un’azione giudiziaria
avviata nei suoi confronti da un soggetto al fine di tutelare i diritti
che ad esso riconoscono le disposizioni della direttiva, e che un
termine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere solo
da tale momento.
54 Tuttavia, come confermato dalla sentenza 6 dicembre 1994, causa
C-410/92, Johnson (Racc. pag. I-5483, punto 26), dalla sentenza 27
ottobre 1993, causa C-338/91, Steenhorst-Neerings (Racc. pag. I-5475),
deriva che la soluzione elaborata nella menzionata sentenza Emmott era
giustificata dalle circostanze proprie di detta causa, dove la decadenza
dai termini arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa
principale della possibilità di far valere il suo diritto alla parità di
trattamento in virtù di una direttiva comunitaria (v., altresì, sentenze
17 luglio 1997, causa C-90/94, Haahr Petroleum, Racc. pag. I-4085, punto
52, e cause riunite C-114/95 e C-115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark,
Racc. pag. I-4263, punto 48, nonché 15 settembre 1998, cause riunite da
C-279/96 a C-281/96, Ansaldo Energia e a., Racc. pag. I-5025, punto 20).
55 Orbene, nella causa principale, né dal fascicolo né dai dibattimenti
nel corso della fase orale risulta che l’esistenza del termine
controverso abbia condotto, come nella causa all’origine della citata
sentenza Emmott, a privare totalmente i soggetti lesi della possibilità
di far valere i loro diritti dinanzi ai giudici nazionali.
56 La quarta questione va pertanto risolta dichiarando che il diritto
comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un’azione di
risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente
trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i
primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano
verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia
antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola.
57 Alla luce della risposta data alla prima parte della quarta
questione, non è necessario risolvere la seconda parte della stessa.
Sulla quinta questione
58 Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza,
se il diritto comunitario osti ad una disposizione come quella di cui
all’art. 839, n. 3, del BGB, la quale prevede che un soggetto non possa
ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o
colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio
a sua disposizione. Il giudice a quo precisa la sua questione, chiedendo
se siffatta disciplina nazionale sia contraria al diritto comunitario
nella misura in cui sia applicata a condizione che il ricorso a tale
mezzo di tutela giuridica possa ritenersi ragionevolmente a disposizione
dell’interessato. Il giudice del rinvio vorrebbe infine sapere se agire
in giudizio possa considerarsi ragionevole qualora sia probabile che il
giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE, o
qualora sia stato avviato un procedimento per inadempimento ex art. 226
CE.
59 Come ricordato nell’ambito delle soluzioni alle due questioni
precedenti, in mancanza di una normativa comunitaria in materia, spetta
agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali delle azioni in
giudizio dirette a garantire la tutela dei diritti conferiti ai soggetti
dal diritto comunitario, purché tali modalità rispettino i principi di
equivalenza e di effettività.
60 Relativamente all’impiego delle vie giudiziarie disponibili, la Corte
ha dichiarato, al punto 84 della citata sentenza Brasserie du pêcheur e
Factortame, per quanto riguarda la responsabilità di uno Stato membro
per violazione del diritto comunitario, che il giudice nazionale poteva
verificare se il soggetto leso avesse dato prova di una ragionevole
diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità e, in particolare,
se esso avesse tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua
disposizione.
61 Invero, in forza di un principio generale comune agli ordinamenti
giuridici degli Stati membri, la persona lesa, per evitare di doversi
accollare il danno, deve dimostrare di avere agito con ragionevole
diligenza per limitarne l’entità (sentenze 19 maggio 1992, cause riunite
C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag.
I-3061, punto 33, e Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 85).
62 Sarebbe tuttavia contrario al principio di effettività imporre ai
soggetti lesi di esperire sistematicamente tutti i mezzi di tutela
giudiziaria a loro disposizione, tenendo conto che ciò causerebbe
difficoltà eccessive o non si potrebbe ragionevolmente esigerlo da loro.
63 Nella sua sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98,
Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I-1727, punto 106), la Corte ha
infatti dichiarato che l’esercizio dei diritti che le norme del diritto
comunitario direttamente applicabili conferiscono ai privati sarebbe
reso impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di
risarcimento, fondate sulla violazione del diritto comunitario,
dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che i privati non
abbiano richiesto di beneficiare del diritto ad essi conferito dalle
norme comunitarie, e negato loro dalla legge nazionale, impugnando il
rifiuto dello Stato membro con i mezzi di ricorso previsti a tale scopo,
richiamandosi al primato e all’applicabilità diretta delle disposizioni
del diritto comunitario. In tal caso non sarebbe stato ragionevole
esigere dai soggetti lesi che azionassero i mezzi di ricorso a loro
disposizione, dal momento che dette persone avrebbero dovuto effettuare
in ogni caso anticipatamente il pagamento controverso e che, anche
qualora il giudice nazionale avesse dichiarato il carattere anticipato
di tale pagamento incompatibile con il diritto comunitario, i soggetti
di cui trattasi non avrebbero potuto ottenere gli interessi dovuti su
detto importo e si sarebbero esposti ad un’eventuale sanzione (v., in
tal senso, sentenza Metallgesellschaft e a., cit., punto 104).
64 Di conseguenza si deve concludere che il diritto comunitario non osta
all’applicazione di una disciplina nazionale quale quella ex art. 839,
n. 3, del BGB, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal
soggetto leso l’utilizzo dell’azione in giudizio in parola. Spetta al
giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze
della causa principale, se tale caso si verifichi nella fattispecie.
65 Quanto alla possibilità che la via giudiziaria così intrapresa sia lo
spunto per la proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale e
all’incidenza che ciò possa avere sulla ragionevolezza di detta via
giudiziaria, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il
procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione
tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima
fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto
comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi
pendenti (v. sentenze 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc.
pag. I-4871, punto 22, e 5 febbraio 2004, causa C-380/01, Schneider,
Racc. pag. I-1389, punto 20). I chiarimenti così ottenuti dal giudice
nazionale consentono quindi di agevolare ad esso l’applicazione del
diritto comunitario, cosicché l’utilizzo di tale strumento di
cooperazione non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente
difficile per il soggetto l’esercizio dei diritti attribuitigli dal
diritto comunitario. Non sarebbe pertanto ragionevole non utilizzare
un’azione in giudizio per il solo motivo che in seguito ad essa venga
probabilmente proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale.
66 Ne risulta che la forte probabilità che in seguito a un’azione in
giudizio venga proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale non
costituisce di per sé un motivo per concludere che l’utilizzo di detto
mezzo non sia ragionevole.
67 Quanto alla ragionevolezza dell’obbligo di utilizzare i mezzi di
ricorso disponibili quando un ricorso per inadempimento sia pendente
dinanzi alla Corte, basti constatare che il procedimento ex art. 226 CE
è assolutamente indipendente dai procedimenti nazionali e non li
sostituisce. Come esposto relativamente alla soluzione della terza
questione, un ricorso per inadempimento costituisce, infatti, un
sindacato obiettivo di legittimità nell’interesse comune. Anche se il
risultato di un ricorso del genere può essere funzionale agli interessi
del soggetto, resta ciò nondimeno ragionevole che quest’ultimo cerchi di
evitare la realizzazione del danno azionando tutti i mezzi a sua
disposizione, ossia utilizzando le vie giudiziarie disponibili.
68 Da ciò deriva che l’esistenza di un ricorso per inadempimento
pendente dinanzi alla Corte o la probabilità che la Corte sia investita
di una domanda di pronuncia pregiudiziale non possono costituire, di per
sé, un motivo sufficiente per concludere nel senso dell’irragionevolezza
del ricorso ad un mezzo di tutela per via giudiziaria.
69 Si deve pertanto risolvere la quinta questione dichiarando che il
diritto comunitario non osta all’applicazione di una disciplina
nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il
risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente,
di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua
disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal
soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al giudice
del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della
causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una
domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l’esistenza di un
ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono
costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia
ragionevole far ricorso a un’azione in giudizio.
Sulle spese
70 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) I soggetti lesi dalla trasposizione e dall’applicazione carenti delle
direttive del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle
condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di
carni fresche, come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 luglio
1991, 91/497/CEE, e del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa
ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella
prospettiva della realizzazione del mercato interno, possono avvalersi
del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa
la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.
2) Il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione delle
Comunità europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE,
il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti
dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto
comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o
sospeso durante tale procedimento.
3) Il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di
un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla
carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in
cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano
verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia
antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola.
4) Il diritto comunitario non osta all’applicazione di una disciplina
nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il
risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente,
di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua
disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal
soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al giudice
del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della
causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una
domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l’esistenza di un
ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono
costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia
ragionevole far ricorso a un’azione in giudizio.
Firme
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