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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07
DIRITTO DEI CONSUMATORE - Qualità del prodotto alimentare - Etichettatura
atta ad indurre in errore - Compiti del giudice nazionale - Fattispecie:
denominazione generica di “Salame Felino” - Reg.(CEE) n. 2081/92 - Reg. n.
2796/2000. Ai fini della valutazione dell’idoneità ad indurre in errore
di un’indicazione che compare su un’etichetta, il giudice nazionale deve
basarsi essenzialmente sull’aspettativa presunta, in riferimento a detta
indicazione, di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente
attento ed avveduto circa l’origine, la provenienza e la qualità del
prodotto alimentare, essendo essenziale che il consumatore non sia indotto
in errore e portato a considerare, erroneamente, che il prodotto abbia
un’origine, una provenienza o una qualità diverse da quelle che ha realmente
(v., in tal senso, sentenze 6/07/1995, causa C-470/93, Mars; nonché
13/01/2000, causa C-220/98, Estée Lauder). Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský
- Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07
DIRITTO AGRARIO - Prodotti agricoli ed alimentari - Denominazioni
generiche - Rilevanza - Etichettatura atta ad indurre in errore l’acquirente
circa l’origine o la provenienza del prodotto alimentare - Artt. 3, n. l, e
13, n. 3, reg. n. 2081/92 mod. dal reg. n. 2796/2000. Gli artt. 3, n. l,
e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n.
2796/2000, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la
relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che la
denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici,
che non è registrata come denominazione di origine protetta o indicazione
geografica protetta, può essere legittimamente utilizzata a condizione che
l’etichettatura del prodotto così denominato non induca in errore il
consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed
avveduto. Per valutare se ciò si verifichi, i giudici nazionali possono
prendere in considerazione la durata dell’uso della denominazione.
L’eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è invece rilevante a
tale proposito. Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici
Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV,
10/09/2009, Sentenza C-446/07
DIRITTO AGRARIO - Etichettatura dei prodotti agricoli ed alimentari -
Domanda di registrazione come denominazione di origine protetta o
indicazione geografica protetta - Funzione e limiti - Artt. 3, n. 1, e 13,
n. 3, reg. n. 2081/92 - Reg. n. 2796/2000 - Direttiva 2000/13/CE. Gli
artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio
1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e
delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come
modificato dal regolamento (CE) della Commissione 20 dicembre 2000, n. 2796,
devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto
alimentare contenente riferimenti geografici, la quale sia oggetto di una
domanda di registrazione come denominazione di origine protetta o
indicazione geografica protetta ai sensi del regolamento n. 2081/92, come
modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere considerata generica
in attesa dell’eventuale trasmissione alla Commissione delle Comunità
europee, da parte delle autorità nazionali, della domanda di registrazione.
La genericità di una denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92,
come modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere presunta
fintantoché la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda di
registrazione della denominazione, respingendola, se del caso, per la
ragione specifica che detta denominazione è divenuta generica. Pres.
Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione
Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza
C-446/07
DIRITTO PROCESSUALE COMUNITARIO - Pronuncia pregiudiziale - Valutazione -
Giudice nazionale - Competenza - Limiti - Art. 234 CE. Nell’ambito del
procedimento previsto dall’art. 234 CE, in linea di principio spetta ai
giudici nazionali, cui è sottoposta la controversia, valutare sia la
necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare
la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopongono alla
Corte. Tuttavia, quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una questione
pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale, in particolare qualora
risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario
richiesta da quest’ultimo non ha alcuna relazione con l’effettività o con
l’oggetto della causa principale e non risponde quindi ad una necessità
oggettiva per la soluzione di detta controversia (v., in particolare,
sentenze 15 giugno 1999, causa C-421/97, Tarantik, Racc. pag. I-3633, punto
33, e 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air Liquide
Industries Belgium, Racc. pag. I-5293, punto 24). Pres. Lenaerts - Rel.
Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna.
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
10 settembre 2009 (*)
«Direttiva 2000/13/CE - Etichettatura dei prodotti alimentari
destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale -
Etichettatura atta ad indurre in errore l’acquirente circa l’origine o
la provenienza del prodotto alimentare - Denominazioni generiche ai
sensi dell’art. 3 del regolamento (CEE) n. 2081/92 - Rilevanza»
Nel procedimento C-446/07,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale civile di Modena, con
decisione 26 settembre 2007, pervenuta in cancelleria il 1° ottobre
2007, nella causa
Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante
della Cavazzuti e figli SpA, ora Grandi Salumifici Italiani SpA,
contro
Regione Emilia-Romagna,
con l’intervento di:
Associazione fra Produttori per la Tutela del «Salame Felino»,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. T. von
Danwitz, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis e J.
Malenovský (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11
dicembre 2008,
considerate le osservazioni presentate:
- per il sig. Severi e la Grandi Salumifici Italiani SpA, dagli avv.ti
G. Forte e C. Marinuzzi;
- per la Regione Emilia-Romagna, dall’avv. G. Puliatti;
- per l’Associazione fra Produttori per la Tutela del «Salame Felino»,
dagli avv.ti S. Magelli e A. Ballestrazzi;
- per il governo ellenico, dai sigg. I. Chalkia e V. Kondolaimos nonché
dalla sig.ra M. Tassopoulou, in qualità di agenti;
- per il governo italiano, dal sig. R. Adam, in qualità di agente,
assistito dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;
- per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. Cattabriga
e dal sig. B. Doherty, in qualità di agenti;
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 7 maggio 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
dell’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20
marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei
prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29),
degli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14
luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed
alimentari (GU L 208, pag. 1), nonché dell’art. 15, n. 2, della prima
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU
1989, L 40, pag. 1).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il
sig. Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della
Grandi Salumifici Italiani SpA (in prosieguo: la «GSI»), già Cavazzuti e
figli SpA, e la Regione Emilia-Romagna in merito all’etichettatura di
salami e salamini che la GSI commercializza con la denominazione «Salame
tipo Felino».
Contesto normativo
La normativa comunitaria
La direttiva 2000/13
3 Il quarto ‘considerando’ della direttiva 2000/13 così enuncia:
«La presente direttiva ha lo scopo di stabilire le norme comunitarie di
carattere generale ed orizzontale applicabili a tutti i prodotti
alimentari immessi in commercio».
4 Ai sensi del sesto ‘considerando’ della direttiva 2000/13:
«Qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti
alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e
tutelare i consumatori».
5 L’ottavo ‘considerando’ di tale medesima direttiva è formulato nei
termini seguenti:
«Un’etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le
caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la
sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto
crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci».
6 L’art. 1 della direttiva 2000/13 dispone quanto segue:
«1. La presente direttiva riguarda l’etichettatura dei prodotti
alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore
finale, nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e
la relativa pubblicità.
(...)
3. Ai sensi della presente direttiva s’intende per:
a) etichettatura: le menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di
commercio, immagini o simboli riferentisi ad un prodotto alimentare e
figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartello, etichetta,
anello o fascetta che accompagni tale prodotto alimentare o che ad esso
si riferisca;
(…)».
7 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone quanto segue:
«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:
a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:
i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in
particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la
quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di
fabbricazione o di ottenimento;
(…)
3. I divieti o le limitazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 valgono anche
per:
a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o
l’aspetto conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il
materiale utilizzato per l’imballaggio, il modo in cui sono disposti e
l’ambiente nel quale sono esposti;
b) la pubblicità».
8 L’art. 3, n. 1, della citata direttiva contiene un elenco tassativo di
indicazioni che debbono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei
prodotti alimentari. Il punto 7 di tale disposizione prescrive
l’apposizione del nome o della ragione sociale e dell’indirizzo del
fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella
Comunità, mentre il punto 8 prescrive l’indicazione del luogo d’origine
o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre
in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del
prodotto alimentare.
9 A tenore dell’art. 5 della direttiva 2000/13:
«1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la
denominazione prevista per tale prodotto dalle disposizioni comunitarie
ad esso applicabili.
a) In mancanza di disposizioni comunitarie, la denominazione di vendita
è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale
si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività.
In assenza di queste ultime, la denominazione di vendita è costituita
dal nome sancito dagli usi dello Stato membro nel quale si effettua la
vendita al consumatore finale o alle collettività o da una descrizione
del prodotto alimentare e, all’occorrenza, della sua utilizzazione, che
sia sufficientemente precisa da consentire all’acquirente di conoscerne
l’effettiva natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe
essere confuso.
(…)».
Il regolamento n. 2081/92
10 Anche se il giudice nazionale fa riferimento, nella sua ordinanza di
rinvio, al regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510,
relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle
denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 93,
pag. 12), che abroga il regolamento n. 2081/92, emerge dai fatti della
causa principale che tale regolamento n. 510/2006 non è applicabile a
detta controversia. Si deve, invece, applicare, tenuto conto della data
in cui la Cavazzuti e figli SpA è stata sanzionata dalla polizia
italiana, il regolamento n. 2081/92 come modificato dal regolamento (CE)
20 dicembre 2000, n. 2796 (GU L 324, pag. 26; in prosieguo: il
«regolamento n. 2081/92 modificato»).
11 Il regolamento n. 2081/92 modificato stabilisce norme per la
protezione delle denominazioni di origine (DOP) e delle indicazioni
geografiche (IGP) dei prodotti agricoli ed alimentari. Tale protezione,
concessa qualora esista un collegamento tra le caratteristiche del
prodotto o del bene e la sua origine geografica, è ottenuta secondo una
procedura comunitaria di registrazione.
12 Il quarto ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato
enuncia che, «data la diversità dei prodotti immessi sul mercato e il
numero elevato di informazioni fornite al riguardo il consumatore deve
disporre, per operare una scelta ottimale, di informazioni chiare e
sintetiche che forniscano esattamente l’origine del prodotto».
13 Il quinto ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato è
formulato come segue:
«considerando che in relazione all’etichettatura i prodotti agricoli e
alimentari sono soggetti alle norme generali fissate dalla Comunità e
segnatamente all’osservanza della direttiva [2000/13]; che, tenuto conto
della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di disposizioni
particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari
provenienti da una determinata area geografica».
14 Ai sensi del settimo ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92
modificato «un quadro normativo comunitario recante un regime di
protezione favorirà la diffusione delle indicazioni geografiche e delle
denominazioni d’origine poiché garantirà, tramite un’impostazione più
[uniforme], condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei
prodotti che beneficiano di siffatte diciture, ciò che farà aumentare la
credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori».
15 In forza dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2081/92 modificato,
quest’ultimo si applica senza pregiudizio di altre disposizioni
comunitarie particolari.
16 L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2081/92 modificato dispone:
«Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.
Ai fini del presente regolamento, si intende per “denominazione divenuta
generica” il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur
collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo
o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è
divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto
agricolo o alimentare.
Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si
tiene conto di tutti i fattori, in particolare:
- della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua
origine e nelle zone di consumo,
- della situazione esistente in altri Stati membri,
- delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.
Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7,
venga respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione
è divenuta generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella
Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».
17 L’art. 5 del regolamento n. 2081/92 modificato illustra la procedura
che lo Stato membro deve seguire qualora venga inoltrata una domanda di
registrazione. Il n. 5 di detto art. 5 così prevede:
«Lo Stato membro verifica che la domanda sia giustificata e, qualora
ritenga che i requisiti del presente regolamento siano soddisfatti,
trasmette alla Commissione la domanda (...)
Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla
denominazione così trasmessa una protezione ai sensi del presente
regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di
adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della
trasmissione; (…)
La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla
data in cui è adottata una decisione sulla registrazione in virtù del
presente regolamento (…)
(…)».
18 L’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato prevede che
«[l]e denominazioni protette non possono diventare generiche».
La normativa nazionale
19 Ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109,
che recepisce le disposizioni dell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i), della
direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al
consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU L 33, pag. 1), le
quali sono ormai contenute nell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i), della
direttiva 2000/13, con cui è stata abrogata e sostituita la direttiva
79/112 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 109/92»):
«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione sono
destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione del
consumatore. Esse devono essere effettuate in modo da:
a) non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto
alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità,
sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o
la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto
stesso;
(…)».
Causa principale e questioni pregiudiziali
20 La GSI, la cui sede sociale è situata a Modena, produce e vende
salami e salamini.
21 Il 12 dicembre 2002, la polizia municipale di Milano contestava al
sig. Severi, a suo nome nonché in qualità di legale rappresentante di
tale società, la violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n.
109/92 concernente l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei
prodotti alimentari, in ragione del fatto che detta società aveva
immesso in commercio un salame prodotto a Modena sulla cui etichetta
compare la denominazione «Salame tipo Felino».
22 Il verbale di accertamento d’infrazione indica, da un lato, che
sull’etichetta oggetto della causa principale la parola «tipo» appare in
caratteri grafici talmente piccoli da renderla di nessuna evidenza e,
dall’altro, che dalle ulteriori indicazioni presenti in etichetta
possono ricavarsi unicamente gli ingredienti nonché nome e sede della
ditta produttrice, ma nessun elemento ulteriore figura circa il luogo di
produzione, o il fatto che questo coincida con la sede della ditta
produttrice. Il verbale conclude che, alla luce di tali elementi,
l’etichetta del prodotto può indurre in errore il consumatore
sull’origine e la provenienza del salame, poiché non consente una chiara
e corretta identificazione della provenienza del prodotto, intesa come
il luogo ove la carne è stata trattata e confezionata. La denominazione
«Salame tipo Felino» evoca, infatti, un metodo di produzione
tradizionale e un luogo di produzione - il territorio del comune di
Felino, situato in Emilia-Romagna, in provincia di Parma - e ciò non
corrisponde ai fatti di cui alla causa principale, dato che in essa si
controverte di un alimento prodotto a Modena, altro capoluogo di
provincia situato nella stessa regione, l’Emilia-Romagna.
23 Sulla base delle constatazioni contenute nel verbale della polizia
municipale di Milano, il 16 maggio 2006 la Regione Emilia-Romagna
irrogava al sig. Severi una sanzione amministrativa dell’importo di EUR
3 108,33 per violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92.
24 Nella sua decisione, con cui avalla l’interpretazione della polizia
municipale, la Regione Emilia-Romagna riteneva che la denominazione
«Salame Felino» indicasse un prodotto genuino e tipico, caratteristico
del territorio del comune di Felino. Dato che le caratteristiche
attribuite al Salame Felino non potrebbero essere riconosciute a tutti
gli insaccati confezionati a partire da una ricetta simile ma
provenienti da altre zone, o prodotti con metodi «industriali», non è
sufficiente aggiungere la menzione «tipo» per escludere ogni rischio di
confusione nel consumatore. L’etichetta controversa nella causa
principale potrebbe dunque indurre il consumatore in errore circa il
luogo di produzione dell’alimento di cui trattasi, non consentendo,
quindi, a detto consumatore di operare una scelta di acquisto in piena
consapevolezza.
25 Il sig. Severi impugnava la sanzione del 16 maggio 2006 dinanzi al
Tribunale civile di Modena. A sostegno del suo ricorso egli affermava
che l’art. 2 della direttiva 2000/13, recepito dall’art. 2 del decreto
legislativo n. 109/92, volto a stabilire modalità di etichettatura dei
prodotti alimentari che non inducano in errore il consumatore
sull’origine e la provenienza degli stessi, dovesse essere interpretato
in combinato disposto con altre disposizioni comunitarie, e segnatamente
con il regolamento n. 2081/92 modificato. Infatti, poiché la direttiva
2000/13 non contiene alcuna definizione delle nozioni di origine e
provenienza, il contenuto di tali nozioni si dovrebbe evincere dal
regolamento n. 2081/92 modificato.
26 La Regione Emilia-Romagna respingeva tali argomenti invocando il
carattere autonomo dell’art. 2 della direttiva 2000/13, la cui
interpretazione non necessiterebbe alcun riferimento al regolamento n.
2081/92 modificato e che si applicherebbe ad ogni caso di discordanza
tra il luogo indicato in etichetta e quello di effettiva produzione,
indipendentemente dalla circostanza che la denominazione d’origine
interessata sia protetta o meno.
27 L’argomento della Regione Emilia-Romagna, fondato sull’autonomia
dell’art. 2 della direttiva 2000/13, non veniva considerato convincente
dal Tribunale civile di Modena. Accogliendo la tesi del ricorrente nella
causa principale, detto Tribunale riteneva infatti che il concetto di
origine e provenienza non potesse essere limitato al luogo inteso come
stabilimento di produzione, ma dovesse fondarsi sulle aspettative che il
consumatore conferisce al toponimo in ordine al tipo di prodotto e alle
sue caratteristiche qualitative. Al fine di stabilire se l’etichettatura
del prodotto di cui trattasi dovesse essere considerato ingannevole, il
giudice del rinvio reputava necessario definire giuridicamente la
denominazione «Salame Felino». Esso considerava del pari necessario
accertare se con tale denominazione ci si riferisse ad una ricetta o ad
una tipologia di prodotto e essa fosse quindi generica, ovvero se essa
si riferisse a qualità, caratteristiche, reputazione dovute
esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine e
costituisse pertanto una vera e propria denominazione di origine ai
sensi del regolamento n. 2081/92 modificato.
28 Inoltre, in ragione del fatto che esiste un marchio collettivo avente
ad oggetto la menzione «Salame Felino», il giudice del rinvio riteneva
necessaria una valutazione del rapporto reciproco tra tale marchio e la
denominazione utilizzata in buona fede per più di dieci anni da
operatori aventi sede al di fuori del territorio del comune di Felino.
29 Alla luce di quanto suesposto, il Tribunale civile di Modena
sospendeva il giudizio in corso e sottoponeva alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1. Se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92
(ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento n. 510/2006) in
riferimento all’art. 2 del decreto legislativo 109/92 (art. 2 della
direttiva 2000/13) debbano essere interpretati nel senso che la
denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti
geografici, per la quale vi sia stato in sede nazionale un “rigetto” o
comunque un blocco dell’inoltro della richiesta alla Commissione europea
di registrazione come denominazione d’origine protetta (DOP) o
indicazione d’origine protetta (IGP) ai sensi dei citati regolamenti,
debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui
pendono gli effetti del suddetto “rigetto” o “blocco”;
2. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 (ora
artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento n. 510/2006) in riferimento
all’art. 2 del decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva
2000/13) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di
un prodotto alimentare evocativo di un luogo non registrata come DOP o
IGP ai sensi dei citati regolamenti, possa essere legittimamente
utilizzata nel mercato europeo dai produttori che ne abbiano fatto uso
in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in
vigore del regolamento n. 2081/92 (ora regolamento n. 510/2006) e nel
periodo successivo a tale entrata in vigore;
3. se l’art. 15, n. 2, della [direttiva 89/104] debba essere
interpretato nel senso che al soggetto titolare di un marchio collettivo
di prodotto alimentare, contenente un riferimento geografico, non è
consentito impedire ai produttori di un prodotto, avente le stesse
caratteristiche, di designarlo con una denominazione simile a quella
contenuta nel marchio collettivo, qualora detti produttori abbiano usato
tale denominazione in buona fede, in modo costante per un tempo molto
anteriore alla data di registrazione del suddetto marchio collettivo».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
30 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza,
se una denominazione geografica, per la quale una richiesta di
registrazione come DOP o IGP sia stata respinta o comunque bloccata a
livello nazionale, debba essere considerata generica quantomeno per
tutto il periodo in cui restano pendenti gli effetti di tale rigetto o
blocco.
31 In via preliminare occorre rammentare che tale prima questione, la
cui ricevibilità è contestata sia dal governo italiano sia dalla
Commissione, è originata dall’argomento sollevato dalla GSI nell’ambito
del ricorso da essa proposto avverso la sanzione irrogatale per la
violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92.
32 A sostegno del suo ricorso volto a constatare che l’etichettatura dei
salami da essa commercializzati con la denominazione «Salame tipo
Felino» non è ingannevole ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo
n. 109/92, la GSI ha sviluppato un argomento in due parti.
33 La GSI ha fatto valere, anzitutto, che l’etichettatura oggetto della
causa principale non può essere considerata ingannevole poiché la
denominazione «Salame tipo Felino» è da considerarsi generica ai sensi
dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato. La GSI illustra,
inoltre, che la denominazione «Salame tipo Felino» era da considerarsi
generica in quanto, peraltro, una domanda di registrazione della
denominazione «Salame Felino» come IGP era stata inoltrata da due
associazioni di produttori locali e, al momento dell’irrogazione della
sanzione oggetto della causa principale, ancora non era stata presa una
decisione su tale domanda.
34 Il giudice del rinvio ha ritenuto pacifico il primo elemento
dell’argomento della GSI e ha deferito alla Corte, di conseguenza, solo
la seconda parte dell’argomento, oggetto della prima questione.
35 Tuttavia, sia il governo italiano sia la Commissione contestano la
premessa secondo la quale la genericità della denominazione «Salame tipo
Felino», ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato,
inciderebbe sulla valutazione dell’ingannevolezza dell’etichetta, ai
sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13. Essi sostengono che la
questione proposta, relativa al valore giuridico della denominazione
stessa, è irricevibile per mancanza di collegamento con la controversia
principale, che verte sull’ingannevolezza dell’etichetta dei prodotti
così denominati.
36 Prima di entrare nel merito della questione sottoposta, conviene
dunque pronunciarsi sulla ricevibilità della stessa.
Sulla ricevibilità della questione
37 Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito del procedimento
previsto dall’art. 234 CE, in linea di principio spetta ai giudici
nazionali, cui è sottoposta la controversia, valutare sia la necessità
di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la
propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopongono alla
Corte. Tuttavia, quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una
questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale, in
particolare qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del
diritto comunitario richiesta da quest’ultimo non ha alcuna relazione
con l’effettività o con l’oggetto della causa principale e non risponde
quindi ad una necessità oggettiva per la soluzione di detta controversia
(v., in particolare, sentenze 15 giugno 1999, causa C-421/97, Tarantik,
Racc. pag. I-3633, punto 33, e 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e
C-41/05, Air Liquide Industries Belgium, Racc. pag. I-5293, punto 24).
38 Si deve sicuramente evidenziare che la genericità di una
denominazione, ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92
modificato, non può escludere a priori l’eventuale ingannevolezza, ai
sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13, dell’etichettatura dei
prodotti che recano tale denominazione. Come sottolineato dall’avvocato
generale, ai paragrafi 53 e 54 delle sue conclusioni, vi sono
circostanze in cui un consumatore può ben essere indotto in errore
dall’uso di una denominazione generica nell’etichettatura di un
prodotto, relativamente alle caratteristiche intrinseche di
quest’ultimo. Così, il fatto che l’utilizzo da parte di un produttore di
una denominazione generica, non protetta per definizione, non violi il
regolamento n. 2081/92 modificato, non implica che l’interesse dei
consumatori, tutelato dalla direttiva 2000/13, sia necessariamente
garantito.
39 Nondimeno, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano
dalla Commissione, il valore giuridico della denominazione, segnatamente
la sua eventuale genericità, costituisce uno degli elementi che, senza
essere di per sé determinante, può essere utilmente preso in
considerazione nella valutazione dell’ingannevolezza dell’etichetta.
40 Infatti, la Commissione, per determinare se una denominazione sia
generica, deve considerare una serie di fattori, e in particolare, in
forza dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato, «la situazione
esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle
zone di consumo». Dal suo canto, anche il giudice del rinvio dovrà tener
conto di tali fattori per determinare se l’etichetta del prodotto
interessato sia idonea a indurre in errore il consumatore, ai sensi
dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13.
41 Ne consegue che è rilevante che il giudice del rinvio, nell’ambito
della valutazione che dovrà effettuare sul carattere potenzialmente
ingannevole dell’etichettatura del prodotto di cui trattasi nella causa
principale, determini se la denominazione controversa sia o meno
generica.
42 Emerge da quanto precede che la questione sottoposta non è
manifestamente irrilevante ai fini della decisione della causa
principale e che essa è, pertanto, ricevibile.
Nel merito
43 In via preliminare, si deve rilevare che la prima questione, come
risulta dalla decisione di rinvio, si riferisce a due circostanze. Da un
lato, la denominazione «Salame Felino» sarebbe stata oggetto di una
domanda di registrazione come DOP o IGP ai sensi del regolamento n.
2081/92 modificato, e, dall’altro, l’inoltro di tale domanda alla
Commissione sarebbe poi stato respinto o per lo meno bloccato dalle
autorità italiane.
44 Emerge dalla lettura congiunta delle disposizioni dell’art. 5, nn. 4
e 5, dell’art. 6, nn. 2-5, e dell’art. 3, n. 1, ultimo comma, del
regolamento n. 2081/92 modificato, che solo la Commissione è, in ultima
analisi, competente a decidere sulle domande di registrazione
inoltratele dalle autorità nazionali, accordando la protezione richiesta
o, al contrario, rifiutando la registrazione oggetto della domanda in
ragione, se del caso, della genericità della denominazione trattata.
Pertanto, la circostanza che la domanda di registrazione sia stata
respinta o bloccata dalle autorità nazionali, nonché le cause di un tale
rigetto o blocco, non possono in alcun modo influenzare la soluzione
della questione proposta.
45 Ciò posto, il giudice del rinvio, facendo riferimento alle
disposizioni dell’art. 3, n. 1, e dell’art. 13, n. 3, del regolamento n.
2081/92 modificato, chiede, in sostanza, se si possa eventualmente
configurare una presunzione di genericità della denominazione dal
momento dell’inoltro della domanda di registrazione, e prima della
decisione della Commissione, che valga almeno per il periodo che
intercorre tra la data di tale inoltro e la data dell’eventuale
trasmissione della domanda alla Commissione da parte delle autorità
nazionali.
46 A tale proposito il giudice del rinvio, nel riferirsi all’art. 13, n.
3, del regolamento n. 2081/92 modificato, sembra interrogarsi sulla
questione se l’interpretazione a contrario di tale disposizione non
conduca a siffatta presunzione.
47 Si deve necessariamente rilevare che ciò non si verifica nel caso di
specie. L’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato dispone
che le denominazioni (già) protette non possono diventare generiche. Da
tale disposizione consegue ovviamente, a contrario, che le denominazioni
non ancora protette, poiché oggetto di una domanda di registrazione,
possono divenire generiche in assenza di ostacoli posti da una
protezione già in vigore.
48 Tuttavia, un’interpretazione a contrario siffatta consente unicamente
di dedurre la mera possibilità che la denominazione di cui trattasi
divenga generica. Per contro, detta interpretazione non consente di
ritenere che si debba presumere che le denominazioni non ancora
protette, per le quali è stata inoltrata une domanda di registrazione,
siano generiche.
49 Emerge da quanto esposto che gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del
regolamento n. 2081/92 modificato, in combinato disposto, non possono
essere interpretati nel senso che una denominazione che è stata oggetto
di una domanda di registrazione debba essere considerata generica in
attesa dell’eventuale trasmissione della domanda di registrazione alla
Commissione.
50 Tale conclusione è corroborata dal contenuto stesso della nozione di
genericità, come precisato dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la
denominazione di un prodotto diventa generica a seguito di un processo
oggettivo, al termine del quale essa, benché contenga il riferimento al
luogo geografico in cui il prodotto di cui trattasi è stato inizialmente
fabbricato o commercializzato, diventa il nome comune di detto prodotto
(v., in tal senso, sentenze 25 ottobre 2005, cause riunite C-465/02 e
C-466/02, Germania e Danimarca/Commissione, Racc. pag. I-9115, punti
75-100, nonché 26 febbraio 2008, causa C-132/05, Commissione/Germania,
Racc. pag. I-957, punto 53).
51 Pertanto, la circostanza che per la denominazione oggetto della causa
principale fosse stata inoltrata una domanda di registrazione deve, di
per sé, essere considerata irrilevante per l’esito di siffatto processo
oggettivo di volgarizzazione o di distacco tra la denominazione e il
territorio.
52 Occorre inoltre rilevare che l’introduzione di una presunzione di
genericità collegata all’inoltro della domanda di registrazione sarebbe
contraria agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 2081/92
modificato.
53 Infatti, il sistema di registrazione delle denominazioni come DOP o
IGP, introdotto dal regolamento n. 2081/92 modificato, soddisfa sia la
necessità di tutela del consumatore, come sancita dal quarto
‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato, sia quella di
garantire condizioni di concorrenza uguali tra i produttori, come emerge
dal settimo ‘considerando’ di detto regolamento. Orbene, il
riconoscimento della genericità della denominazione osta, per
definizione, all’attribuzione di una siffatta protezione. Così, qualora
si presumesse generica, per il semplice fatto che sia stata inoltrata
una domanda di registrazione, una denominazione che infine non dovesse
rivelarsi tale, si rischierebbe di compromettere il conseguimento dei
due obiettivi succitati. Pertanto, il riconoscimento della genericità di
una denominazione non può considerarsi acquisito durante tutto il
periodo che precede la decisione della Commissione sulla domanda di
registrazione.
54 Alla luce delle precedenti considerazioni, la prima questione va
risolta statuendo che gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento n.
2081/92 modificato devono essere interpretati nel senso che la
denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti
geografici, la quale sia oggetto di una domanda di registrazione come
DOP o IGP ai sensi di detto regolamento, non può essere considerata
generica in attesa dell’eventuale trasmissione alla Commissione, da
parte delle autorità nazionali, della domanda di registrazione. La
genericità di una denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92
modificato, non può essere presunta fintantoché la Commissione non si
sia pronunciata sulla domanda di registrazione della denominazione,
respingendola, se del caso, per la ragione specifica che detta
denominazione è divenuta generica.
Sulla seconda questione
55 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in
sostanza, se gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92
modificato, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva 2000/13,
debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un
prodotto alimentare evocativa di un luogo, non registrata come DOP o IGP,
possa essere legittimamente utilizzata dai produttori che ne abbiano
fatto uso in buona fede ed in modo costante prima dell’entrata in vigore
del regolamento n. 2081/92 nonché successivamente.
Sulla ricevibilità della questione
56 Il governo italiano e l’Associazione fra Produttori per la Tutela del
«Salame Felino» sostengono che tale seconda questione è irricevibile. In
particolare, tale governo solleva l’assenza di pertinenza della
questione in esame con l’oggetto della controversia principale in quanto
nessuna disposizione comunitaria o nazionale sull’etichettatura dei
prodotti prende in considerazione la buona fede dell’operatore economico
che ha immesso nel mercato un prodotto recante un’etichetta ingannevole.
57 Tuttavia, si deve constatare che un siffatto argomento, relativo al
merito della questione sottoposta, non può avere alcuna incidenza sulla
ricevibilità della stessa.
Nel merito
58 In via preliminare occorre rammentare, come fa l’avvocato generale al
paragrafo 49 delle sue conclusioni, che, nonostante la sussistenza di
differenze tra la direttiva 2000/13 e il regolamento n. 2081/92
modificato, tanto riguardo ai loro obiettivi quanto riguardo
all’ampiezza della protezione che essi accordano, l’uso di denominazioni
geografiche nelle etichette di prodotti alimentari, in un caso come
quello oggetto della causa principale, può rientrare contemporaneamente
nell’ambito di applicazione di entrambi tali strumenti giuridici.
59 Tuttavia, nell’ambito della controversia principale, il giudice del
rinvio è tenuto a pronunciarsi su un unico punto, vale a dire se, in
riferimento all’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92, che recepisce
l’art. 2 della direttiva 2000/13, la società GSI abbia potuto indurre in
errore il consumatore indicando, sulle etichette dei prodotti da essa
commercializzati, la denominazione «Salame tipo Felino». Il giudice del
rinvio si chiede dunque se la circostanza che la denominazione di cui
trattasi nella causa principale - non registrata come DOP o IGP - sia
utilizzata da produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in
modo costante per molto tempo abbia un’incidenza sulla valutazione dell’ingannevolezza
dell’etichettatura controversa nella causa principale.
60 A questo proposito occorre rammentare che, in linea di principio, non
spetta alla Corte risolvere la questione se l’etichettatura di taluni
prodotti sia tale da indurre in errore l’acquirente o il consumatore o
se una certa denominazione di vendita sia eventualmente ingannevole.
Tale compito spetta al giudice nazionale (v., in particolare, sentenze
16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut Springenheide e Tusky, Racc. pag.
I-4657, punto 30, e 12 settembre 2000, causa C-366/98, Geffroy, Racc.
pag. I-6579, punti 18 e 19). Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un
rinvio pregiudiziale, può, ove necessario, fornire precisazioni dirette
a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v. sentenza Geffroy,
cit., punto 20).
61 Emerge dalla giurisprudenza della Corte che, ai fini della
valutazione dell’idoneità ad indurre in errore di un’indicazione che
compare su un’etichetta, il giudice nazionale deve basarsi
essenzialmente sull’aspettativa presunta, in riferimento a detta
indicazione, di un consumatore medio normalmente informato e
ragionevolmente attento ed avveduto circa l’origine, la provenienza e la
qualità del prodotto alimentare, essendo essenziale che il consumatore
non sia indotto in errore e portato a considerare, erroneamente, che il
prodotto abbia un’origine, una provenienza o una qualità diverse da
quelle che ha realmente (v., in tal senso, sentenze 6 luglio 1995, causa
C-470/93, Mars, Racc. pag. I-1923, punto 24; Gut Springenheide e Tusky,
cit., punto 31, nonché 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder,
Racc. pag. I-117, punto 30).
62 Tra gli elementi da prendere in considerazione per valutare il
carattere potenzialmente ingannevole dell’etichetta di cui trattasi
nella causa principale, la durata dell’uso di una denominazione
costituisce un elemento oggettivo che potrebbe modificare le aspettative
del consumatore ragionevole. Al contrario, la buona fede di un
produttore o rivenditore, essendo un elemento soggettivo, non può
incidere sull’impressione oggettiva suscitata nel consumatore dall’uso
di una denominazione geografica in un’etichetta.
63 Alla luce di quanto precede si deve risolvere la seconda questione
dichiarando che gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n.
2081/92 modificato, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva
2000/13, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un
prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, che non è
registrata come DOP o IGP, può essere legittimamente utilizzata a
condizione che l’etichettatura del prodotto così denominato non induca
in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente
attento ed avveduto. Per valutare se ciò si verifichi, i giudici
nazionali possono prendere in considerazione la durata dell’uso della
denominazione. L’eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è
invece rilevante a tale proposito.
Sulla terza questione
64 Con la sua terza questione il giudice del rinvio intende,
sostanzialmente, chiarire se, basandosi sulla direttiva 89/104, il
titolare di un marchio collettivo riguardante un prodotto alimentare e
contenente un riferimento geografico identico alla denominazione
controversa nella causa principale possa opporsi all’uso di detta
denominazione.
65 Il governo italiano sostiene che tale terza questione è irricevibile
in quanto la causa dinanzi al giudice nazionale non riguarda i marchi
collettivi. Detto governo fa valere che la Regione Emilia-Romagna, che
ha irrogato alla GSI la sanzione oggetto della causa principale, non è
essa stessa titolare di alcun marchio e neppure afferma peraltro che la
GSI abbia violato un qualsivoglia marchio collettivo. Inoltre, in
udienza, il governo italiano ha rammentato che il giudice del rinvio si
chiedeva unicamente se l’etichetta «Salame tipo Felino», come quella
apposta dalla GSI, fosse idonea ad indurre il consumatore in errore
circa l’origine reale del prodotto in causa. Nonostante l’intervento nel
procedimento di un’associazione di produttori locali, titolare di un
marchio collettivo «Salame Felino», l’argomento dell’eventuale
violazione di un marchio collettivo non sarebbe stato presentato nella
causa sottoposta al giudice nazionale.
66 Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, citata al
punto 37 della presente sentenza, la Corte non è competente a fornire
una soluzione al giudice che l’ha adita con una questione pregiudiziale,
nell’ambito del procedimento di cui all’art. 234 CE, qualora le
questioni sottopostele non abbiano manifestamente alcun collegamento con
l’effettività o con l’oggetto della causa principale e non rispondano
quindi ad una necessità oggettiva per la soluzione della controversia
principale.
67 Orbene, è pacifico che il giudice del rinvio è chiamato a
pronunciarsi, nella controversia di cui è investito, unicamente sul
quesito se l’etichettatura dei salami denominati «Salame tipo Felino»
possa indurre in errore il consumatore e, di conseguenza, violare le
disposizioni nazionali che recepiscono la direttiva 2000/13.
68 Pertanto, è manifestamente irrilevante per la soluzione della
controversia principale sapere se il titolare di un marchio collettivo
riguardante un prodotto alimentare e contenente un riferimento
geografico identico alla denominazione controversa in via principale
possa opporsi all’uso di detta denominazione e, di conseguenza, la terza
questione dev’essere dichiarata irricevibile.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14
luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed
alimentari, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 20
dicembre 2000, n. 2796, devono essere interpretati nel senso che la
denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti
geografici, la quale sia oggetto di una domanda di registrazione come
denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta ai
sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n.
2796/2000, non può essere considerata generica in attesa dell’eventuale
trasmissione alla Commissione delle Comunità europee, da parte delle
autorità nazionali, della domanda di registrazione. La genericità di una
denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal
regolamento n. 2796/2000, non può essere presunta fintantoché la
Commissione non si sia pronunciata sulla domanda di registrazione della
denominazione, respingendola, se del caso, per la ragione specifica che
detta denominazione è divenuta generica.
2) Gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92, come
modificato dal regolamento n. 2796/2000, in combinato disposto con
l’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo
2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati
nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente
riferimenti geografici, che non è registrata come denominazione di
origine protetta o indicazione geografica protetta, può essere
legittimamente utilizzata a condizione che l’etichettatura del prodotto
così denominato non induca in errore il consumatore medio normalmente
informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Per valutare se ciò si
verifichi, i giudici nazionali possono prendere in considerazione la
durata dell’uso della denominazione. L’eventuale buona fede del
produttore o rivenditore non è invece rilevante a tale proposito.
Firme
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