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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07



DIRITTO DEI CONSUMATORE - Qualità del prodotto alimentare - Etichettatura atta ad indurre in errore - Compiti del giudice nazionale - Fattispecie: denominazione generica di “Salame Felino” - Reg.(CEE) n. 2081/92 - Reg. n. 2796/2000.
Ai fini della valutazione dell’idoneità ad indurre in errore di un’indicazione che compare su un’etichetta, il giudice nazionale deve basarsi essenzialmente sull’aspettativa presunta, in riferimento a detta indicazione, di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto circa l’origine, la provenienza e la qualità del prodotto alimentare, essendo essenziale che il consumatore non sia indotto in errore e portato a considerare, erroneamente, che il prodotto abbia un’origine, una provenienza o una qualità diverse da quelle che ha realmente (v., in tal senso, sentenze 6/07/1995, causa C-470/93, Mars; nonché 13/01/2000, causa C-220/98, Estée Lauder). Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07

DIRITTO AGRARIO - Prodotti agricoli ed alimentari - Denominazioni generiche - Rilevanza - Etichettatura atta ad indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto alimentare - Artt. 3, n. l, e 13, n. 3, reg. n. 2081/92 mod. dal reg. n. 2796/2000. Gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, che non è registrata come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta, può essere legittimamente utilizzata a condizione che l’etichettatura del prodotto così denominato non induca in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Per valutare se ciò si verifichi, i giudici nazionali possono prendere in considerazione la durata dell’uso della denominazione. L’eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è invece rilevante a tale proposito. Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07

DIRITTO AGRARIO - Etichettatura dei prodotti agricoli ed alimentari - Domanda di registrazione come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta - Funzione e limiti - Artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, reg. n. 2081/92 - Reg. n. 2796/2000 - Direttiva 2000/13/CE. Gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 20 dicembre 2000, n. 2796, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, la quale sia oggetto di una domanda di registrazione come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta ai sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere considerata generica in attesa dell’eventuale trasmissione alla Commissione delle Comunità europee, da parte delle autorità nazionali, della domanda di registrazione. La genericità di una denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere presunta fintantoché la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda di registrazione della denominazione, respingendola, se del caso, per la ragione specifica che detta denominazione è divenuta generica. Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07

DIRITTO PROCESSUALE COMUNITARIO - Pronuncia pregiudiziale - Valutazione - Giudice nazionale - Competenza - Limiti - Art. 234 CE. Nell’ambito del procedimento previsto dall’art. 234 CE, in linea di principio spetta ai giudici nazionali, cui è sottoposta la controversia, valutare sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopongono alla Corte. Tuttavia, quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale, in particolare qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta da quest’ultimo non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale e non risponde quindi ad una necessità oggettiva per la soluzione di detta controversia (v., in particolare, sentenze 15 giugno 1999, causa C-421/97, Tarantik, Racc. pag. I-3633, punto 33, e 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air Liquide Industries Belgium, Racc. pag. I-5293, punto 24). Pres. Lenaerts - Rel. Malenovský - Grandi Salumifici Italiani SpA c. Regione Emilia-Romagna. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10/09/2009, Sentenza C-446/07


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CORTE DI GIUSTIZIA

delle Comunità Europee,


SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

10 settembre 2009 (*)

«Direttiva 2000/13/CE - Etichettatura dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale - Etichettatura atta ad indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto alimentare - Denominazioni generiche ai sensi dell’art. 3 del regolamento (CEE) n. 2081/92 - Rilevanza»



Nel procedimento C-446/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale civile di Modena, con decisione 26 settembre 2007, pervenuta in cancelleria il 1° ottobre 2007, nella causa

Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della Cavazzuti e figli SpA, ora Grandi Salumifici Italiani SpA,

contro

Regione Emilia-Romagna,

con l’intervento di:

Associazione fra Produttori per la Tutela del «Salame Felino»,


LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. T. von Danwitz, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis e J. Malenovský (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 dicembre 2008,

considerate le osservazioni presentate:

- per il sig. Severi e la Grandi Salumifici Italiani SpA, dagli avv.ti G. Forte e C. Marinuzzi;

- per la Regione Emilia-Romagna, dall’avv. G. Puliatti;

- per l’Associazione fra Produttori per la Tutela del «Salame Felino», dagli avv.ti S. Magelli e A. Ballestrazzi;

- per il governo ellenico, dai sigg. I. Chalkia e V. Kondolaimos nonché dalla sig.ra M. Tassopoulou, in qualità di agenti;

- per il governo italiano, dal sig. R. Adam, in qualità di agente, assistito dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;

- per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. Cattabriga e dal sig. B. Doherty, in qualità di agenti;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 maggio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza


1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29), degli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1), nonché dell’art. 15, n. 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della Grandi Salumifici Italiani SpA (in prosieguo: la «GSI»), già Cavazzuti e figli SpA, e la Regione Emilia-Romagna in merito all’etichettatura di salami e salamini che la GSI commercializza con la denominazione «Salame tipo Felino».

Contesto normativo

La normativa comunitaria

La direttiva 2000/13

3 Il quarto ‘considerando’ della direttiva 2000/13 così enuncia:

«La presente direttiva ha lo scopo di stabilire le norme comunitarie di carattere generale ed orizzontale applicabili a tutti i prodotti alimentari immessi in commercio».

4 Ai sensi del sesto ‘considerando’ della direttiva 2000/13:

«Qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e tutelare i consumatori».

5 L’ottavo ‘considerando’ di tale medesima direttiva è formulato nei termini seguenti:

«Un’etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci».

6 L’art. 1 della direttiva 2000/13 dispone quanto segue:

«1. La presente direttiva riguarda l’etichettatura dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa pubblicità.

(...)

3. Ai sensi della presente direttiva s’intende per:

a) etichettatura: le menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli riferentisi ad un prodotto alimentare e figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartello, etichetta, anello o fascetta che accompagni tale prodotto alimentare o che ad esso si riferisca;

(…)».

7 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone quanto segue:

«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento;

(…)

3. I divieti o le limitazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 valgono anche per:

a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o l’aspetto conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il materiale utilizzato per l’imballaggio, il modo in cui sono disposti e l’ambiente nel quale sono esposti;

b) la pubblicità».

8 L’art. 3, n. 1, della citata direttiva contiene un elenco tassativo di indicazioni che debbono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei prodotti alimentari. Il punto 7 di tale disposizione prescrive l’apposizione del nome o della ragione sociale e dell’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità, mentre il punto 8 prescrive l’indicazione del luogo d’origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare.

9 A tenore dell’art. 5 della direttiva 2000/13:

«1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista per tale prodotto dalle disposizioni comunitarie ad esso applicabili.

a) In mancanza di disposizioni comunitarie, la denominazione di vendita è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività.

In assenza di queste ultime, la denominazione di vendita è costituita dal nome sancito dagli usi dello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività o da una descrizione del prodotto alimentare e, all’occorrenza, della sua utilizzazione, che sia sufficientemente precisa da consentire all’acquirente di conoscerne l’effettiva natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso.

(…)».

Il regolamento n. 2081/92

10 Anche se il giudice nazionale fa riferimento, nella sua ordinanza di rinvio, al regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 93, pag. 12), che abroga il regolamento n. 2081/92, emerge dai fatti della causa principale che tale regolamento n. 510/2006 non è applicabile a detta controversia. Si deve, invece, applicare, tenuto conto della data in cui la Cavazzuti e figli SpA è stata sanzionata dalla polizia italiana, il regolamento n. 2081/92 come modificato dal regolamento (CE) 20 dicembre 2000, n. 2796 (GU L 324, pag. 26; in prosieguo: il «regolamento n. 2081/92 modificato»).

11 Il regolamento n. 2081/92 modificato stabilisce norme per la protezione delle denominazioni di origine (DOP) e delle indicazioni geografiche (IGP) dei prodotti agricoli ed alimentari. Tale protezione, concessa qualora esista un collegamento tra le caratteristiche del prodotto o del bene e la sua origine geografica, è ottenuta secondo una procedura comunitaria di registrazione.

12 Il quarto ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato enuncia che, «data la diversità dei prodotti immessi sul mercato e il numero elevato di informazioni fornite al riguardo il consumatore deve disporre, per operare una scelta ottimale, di informazioni chiare e sintetiche che forniscano esattamente l’origine del prodotto».

13 Il quinto ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato è formulato come segue:

«considerando che in relazione all’etichettatura i prodotti agricoli e alimentari sono soggetti alle norme generali fissate dalla Comunità e segnatamente all’osservanza della direttiva [2000/13]; che, tenuto conto della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di disposizioni particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica».

14 Ai sensi del settimo ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato «un quadro normativo comunitario recante un regime di protezione favorirà la diffusione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine poiché garantirà, tramite un’impostazione più [uniforme], condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che beneficiano di siffatte diciture, ciò che farà aumentare la credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori».

15 In forza dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2081/92 modificato, quest’ultimo si applica senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie particolari.

16 L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2081/92 modificato dispone:

«Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.

Ai fini del presente regolamento, si intende per “denominazione divenuta generica” il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare.

Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

- della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

- della situazione esistente in altri Stati membri,

- delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.

Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7, venga respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione è divenuta generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».

17 L’art. 5 del regolamento n. 2081/92 modificato illustra la procedura che lo Stato membro deve seguire qualora venga inoltrata una domanda di registrazione. Il n. 5 di detto art. 5 così prevede:

«Lo Stato membro verifica che la domanda sia giustificata e, qualora ritenga che i requisiti del presente regolamento siano soddisfatti, trasmette alla Commissione la domanda (...)

Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla denominazione così trasmessa una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della trasmissione; (…)

La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla data in cui è adottata una decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento (…)

(…)».

18 L’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato prevede che «[l]e denominazioni protette non possono diventare generiche».

La normativa nazionale

19 Ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, che recepisce le disposizioni dell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i), della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU L 33, pag. 1), le quali sono ormai contenute nell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i), della direttiva 2000/13, con cui è stata abrogata e sostituita la direttiva 79/112 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 109/92»):

«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione sono destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore. Esse devono essere effettuate in modo da:

a) non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso;

(…)».

Causa principale e questioni pregiudiziali

20 La GSI, la cui sede sociale è situata a Modena, produce e vende salami e salamini.

21 Il 12 dicembre 2002, la polizia municipale di Milano contestava al sig. Severi, a suo nome nonché in qualità di legale rappresentante di tale società, la violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92 concernente l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, in ragione del fatto che detta società aveva immesso in commercio un salame prodotto a Modena sulla cui etichetta compare la denominazione «Salame tipo Felino».

22 Il verbale di accertamento d’infrazione indica, da un lato, che sull’etichetta oggetto della causa principale la parola «tipo» appare in caratteri grafici talmente piccoli da renderla di nessuna evidenza e, dall’altro, che dalle ulteriori indicazioni presenti in etichetta possono ricavarsi unicamente gli ingredienti nonché nome e sede della ditta produttrice, ma nessun elemento ulteriore figura circa il luogo di produzione, o il fatto che questo coincida con la sede della ditta produttrice. Il verbale conclude che, alla luce di tali elementi, l’etichetta del prodotto può indurre in errore il consumatore sull’origine e la provenienza del salame, poiché non consente una chiara e corretta identificazione della provenienza del prodotto, intesa come il luogo ove la carne è stata trattata e confezionata. La denominazione «Salame tipo Felino» evoca, infatti, un metodo di produzione tradizionale e un luogo di produzione - il territorio del comune di Felino, situato in Emilia-Romagna, in provincia di Parma - e ciò non corrisponde ai fatti di cui alla causa principale, dato che in essa si controverte di un alimento prodotto a Modena, altro capoluogo di provincia situato nella stessa regione, l’Emilia-Romagna.

23 Sulla base delle constatazioni contenute nel verbale della polizia municipale di Milano, il 16 maggio 2006 la Regione Emilia-Romagna irrogava al sig. Severi una sanzione amministrativa dell’importo di EUR 3 108,33 per violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92.

24 Nella sua decisione, con cui avalla l’interpretazione della polizia municipale, la Regione Emilia-Romagna riteneva che la denominazione «Salame Felino» indicasse un prodotto genuino e tipico, caratteristico del territorio del comune di Felino. Dato che le caratteristiche attribuite al Salame Felino non potrebbero essere riconosciute a tutti gli insaccati confezionati a partire da una ricetta simile ma provenienti da altre zone, o prodotti con metodi «industriali», non è sufficiente aggiungere la menzione «tipo» per escludere ogni rischio di confusione nel consumatore. L’etichetta controversa nella causa principale potrebbe dunque indurre il consumatore in errore circa il luogo di produzione dell’alimento di cui trattasi, non consentendo, quindi, a detto consumatore di operare una scelta di acquisto in piena consapevolezza.

25 Il sig. Severi impugnava la sanzione del 16 maggio 2006 dinanzi al Tribunale civile di Modena. A sostegno del suo ricorso egli affermava che l’art. 2 della direttiva 2000/13, recepito dall’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92, volto a stabilire modalità di etichettatura dei prodotti alimentari che non inducano in errore il consumatore sull’origine e la provenienza degli stessi, dovesse essere interpretato in combinato disposto con altre disposizioni comunitarie, e segnatamente con il regolamento n. 2081/92 modificato. Infatti, poiché la direttiva 2000/13 non contiene alcuna definizione delle nozioni di origine e provenienza, il contenuto di tali nozioni si dovrebbe evincere dal regolamento n. 2081/92 modificato.

26 La Regione Emilia-Romagna respingeva tali argomenti invocando il carattere autonomo dell’art. 2 della direttiva 2000/13, la cui interpretazione non necessiterebbe alcun riferimento al regolamento n. 2081/92 modificato e che si applicherebbe ad ogni caso di discordanza tra il luogo indicato in etichetta e quello di effettiva produzione, indipendentemente dalla circostanza che la denominazione d’origine interessata sia protetta o meno.

27 L’argomento della Regione Emilia-Romagna, fondato sull’autonomia dell’art. 2 della direttiva 2000/13, non veniva considerato convincente dal Tribunale civile di Modena. Accogliendo la tesi del ricorrente nella causa principale, detto Tribunale riteneva infatti che il concetto di origine e provenienza non potesse essere limitato al luogo inteso come stabilimento di produzione, ma dovesse fondarsi sulle aspettative che il consumatore conferisce al toponimo in ordine al tipo di prodotto e alle sue caratteristiche qualitative. Al fine di stabilire se l’etichettatura del prodotto di cui trattasi dovesse essere considerato ingannevole, il giudice del rinvio reputava necessario definire giuridicamente la denominazione «Salame Felino». Esso considerava del pari necessario accertare se con tale denominazione ci si riferisse ad una ricetta o ad una tipologia di prodotto e essa fosse quindi generica, ovvero se essa si riferisse a qualità, caratteristiche, reputazione dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine e costituisse pertanto una vera e propria denominazione di origine ai sensi del regolamento n. 2081/92 modificato.

28 Inoltre, in ragione del fatto che esiste un marchio collettivo avente ad oggetto la menzione «Salame Felino», il giudice del rinvio riteneva necessaria una valutazione del rapporto reciproco tra tale marchio e la denominazione utilizzata in buona fede per più di dieci anni da operatori aventi sede al di fuori del territorio del comune di Felino.

29 Alla luce di quanto suesposto, il Tribunale civile di Modena sospendeva il giudizio in corso e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1. Se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento n. 510/2006) in riferimento all’art. 2 del decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la quale vi sia stato in sede nazionale un “rigetto” o comunque un blocco dell’inoltro della richiesta alla Commissione europea di registrazione come denominazione d’origine protetta (DOP) o indicazione d’origine protetta (IGP) ai sensi dei citati regolamenti, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui pendono gli effetti del suddetto “rigetto” o “blocco”;

2. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento n. 510/2006) in riferimento all’art. 2 del decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativo di un luogo non registrata come DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, possa essere legittimamente utilizzata nel mercato europeo dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2081/92 (ora regolamento n. 510/2006) e nel periodo successivo a tale entrata in vigore;

3. se l’art. 15, n. 2, della [direttiva 89/104] debba essere interpretato nel senso che al soggetto titolare di un marchio collettivo di prodotto alimentare, contenente un riferimento geografico, non è consentito impedire ai produttori di un prodotto, avente le stesse caratteristiche, di designarlo con una denominazione simile a quella contenuta nel marchio collettivo, qualora detti produttori abbiano usato tale denominazione in buona fede, in modo costante per un tempo molto anteriore alla data di registrazione del suddetto marchio collettivo».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

30 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una denominazione geografica, per la quale una richiesta di registrazione come DOP o IGP sia stata respinta o comunque bloccata a livello nazionale, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui restano pendenti gli effetti di tale rigetto o blocco.

31 In via preliminare occorre rammentare che tale prima questione, la cui ricevibilità è contestata sia dal governo italiano sia dalla Commissione, è originata dall’argomento sollevato dalla GSI nell’ambito del ricorso da essa proposto avverso la sanzione irrogatale per la violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92.

32 A sostegno del suo ricorso volto a constatare che l’etichettatura dei salami da essa commercializzati con la denominazione «Salame tipo Felino» non è ingannevole ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92, la GSI ha sviluppato un argomento in due parti.

33 La GSI ha fatto valere, anzitutto, che l’etichettatura oggetto della causa principale non può essere considerata ingannevole poiché la denominazione «Salame tipo Felino» è da considerarsi generica ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato. La GSI illustra, inoltre, che la denominazione «Salame tipo Felino» era da considerarsi generica in quanto, peraltro, una domanda di registrazione della denominazione «Salame Felino» come IGP era stata inoltrata da due associazioni di produttori locali e, al momento dell’irrogazione della sanzione oggetto della causa principale, ancora non era stata presa una decisione su tale domanda.

34 Il giudice del rinvio ha ritenuto pacifico il primo elemento dell’argomento della GSI e ha deferito alla Corte, di conseguenza, solo la seconda parte dell’argomento, oggetto della prima questione.

35 Tuttavia, sia il governo italiano sia la Commissione contestano la premessa secondo la quale la genericità della denominazione «Salame tipo Felino», ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato, inciderebbe sulla valutazione dell’ingannevolezza dell’etichetta, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13. Essi sostengono che la questione proposta, relativa al valore giuridico della denominazione stessa, è irricevibile per mancanza di collegamento con la controversia principale, che verte sull’ingannevolezza dell’etichetta dei prodotti così denominati.

36 Prima di entrare nel merito della questione sottoposta, conviene dunque pronunciarsi sulla ricevibilità della stessa.

Sulla ricevibilità della questione

37 Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito del procedimento previsto dall’art. 234 CE, in linea di principio spetta ai giudici nazionali, cui è sottoposta la controversia, valutare sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopongono alla Corte. Tuttavia, quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale, in particolare qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta da quest’ultimo non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale e non risponde quindi ad una necessità oggettiva per la soluzione di detta controversia (v., in particolare, sentenze 15 giugno 1999, causa C-421/97, Tarantik, Racc. pag. I-3633, punto 33, e 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air Liquide Industries Belgium, Racc. pag. I-5293, punto 24).

38 Si deve sicuramente evidenziare che la genericità di una denominazione, ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato, non può escludere a priori l’eventuale ingannevolezza, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13, dell’etichettatura dei prodotti che recano tale denominazione. Come sottolineato dall’avvocato generale, ai paragrafi 53 e 54 delle sue conclusioni, vi sono circostanze in cui un consumatore può ben essere indotto in errore dall’uso di una denominazione generica nell’etichettatura di un prodotto, relativamente alle caratteristiche intrinseche di quest’ultimo. Così, il fatto che l’utilizzo da parte di un produttore di una denominazione generica, non protetta per definizione, non violi il regolamento n. 2081/92 modificato, non implica che l’interesse dei consumatori, tutelato dalla direttiva 2000/13, sia necessariamente garantito.

39 Nondimeno, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano dalla Commissione, il valore giuridico della denominazione, segnatamente la sua eventuale genericità, costituisce uno degli elementi che, senza essere di per sé determinante, può essere utilmente preso in considerazione nella valutazione dell’ingannevolezza dell’etichetta.

40 Infatti, la Commissione, per determinare se una denominazione sia generica, deve considerare una serie di fattori, e in particolare, in forza dell’art. 3 del regolamento n. 2081/92 modificato, «la situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo». Dal suo canto, anche il giudice del rinvio dovrà tener conto di tali fattori per determinare se l’etichetta del prodotto interessato sia idonea a indurre in errore il consumatore, ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13.

41 Ne consegue che è rilevante che il giudice del rinvio, nell’ambito della valutazione che dovrà effettuare sul carattere potenzialmente ingannevole dell’etichettatura del prodotto di cui trattasi nella causa principale, determini se la denominazione controversa sia o meno generica.

42 Emerge da quanto precede che la questione sottoposta non è manifestamente irrilevante ai fini della decisione della causa principale e che essa è, pertanto, ricevibile.

Nel merito

43 In via preliminare, si deve rilevare che la prima questione, come risulta dalla decisione di rinvio, si riferisce a due circostanze. Da un lato, la denominazione «Salame Felino» sarebbe stata oggetto di una domanda di registrazione come DOP o IGP ai sensi del regolamento n. 2081/92 modificato, e, dall’altro, l’inoltro di tale domanda alla Commissione sarebbe poi stato respinto o per lo meno bloccato dalle autorità italiane.

44 Emerge dalla lettura congiunta delle disposizioni dell’art. 5, nn. 4 e 5, dell’art. 6, nn. 2-5, e dell’art. 3, n. 1, ultimo comma, del regolamento n. 2081/92 modificato, che solo la Commissione è, in ultima analisi, competente a decidere sulle domande di registrazione inoltratele dalle autorità nazionali, accordando la protezione richiesta o, al contrario, rifiutando la registrazione oggetto della domanda in ragione, se del caso, della genericità della denominazione trattata. Pertanto, la circostanza che la domanda di registrazione sia stata respinta o bloccata dalle autorità nazionali, nonché le cause di un tale rigetto o blocco, non possono in alcun modo influenzare la soluzione della questione proposta.

45 Ciò posto, il giudice del rinvio, facendo riferimento alle disposizioni dell’art. 3, n. 1, e dell’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato, chiede, in sostanza, se si possa eventualmente configurare una presunzione di genericità della denominazione dal momento dell’inoltro della domanda di registrazione, e prima della decisione della Commissione, che valga almeno per il periodo che intercorre tra la data di tale inoltro e la data dell’eventuale trasmissione della domanda alla Commissione da parte delle autorità nazionali.

46 A tale proposito il giudice del rinvio, nel riferirsi all’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato, sembra interrogarsi sulla questione se l’interpretazione a contrario di tale disposizione non conduca a siffatta presunzione.

47 Si deve necessariamente rilevare che ciò non si verifica nel caso di specie. L’art. 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato dispone che le denominazioni (già) protette non possono diventare generiche. Da tale disposizione consegue ovviamente, a contrario, che le denominazioni non ancora protette, poiché oggetto di una domanda di registrazione, possono divenire generiche in assenza di ostacoli posti da una protezione già in vigore.

48 Tuttavia, un’interpretazione a contrario siffatta consente unicamente di dedurre la mera possibilità che la denominazione di cui trattasi divenga generica. Per contro, detta interpretazione non consente di ritenere che si debba presumere che le denominazioni non ancora protette, per le quali è stata inoltrata une domanda di registrazione, siano generiche.

49 Emerge da quanto esposto che gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato, in combinato disposto, non possono essere interpretati nel senso che una denominazione che è stata oggetto di una domanda di registrazione debba essere considerata generica in attesa dell’eventuale trasmissione della domanda di registrazione alla Commissione.

50 Tale conclusione è corroborata dal contenuto stesso della nozione di genericità, come precisato dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la denominazione di un prodotto diventa generica a seguito di un processo oggettivo, al termine del quale essa, benché contenga il riferimento al luogo geografico in cui il prodotto di cui trattasi è stato inizialmente fabbricato o commercializzato, diventa il nome comune di detto prodotto (v., in tal senso, sentenze 25 ottobre 2005, cause riunite C-465/02 e C-466/02, Germania e Danimarca/Commissione, Racc. pag. I-9115, punti 75-100, nonché 26 febbraio 2008, causa C-132/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I-957, punto 53).

51 Pertanto, la circostanza che per la denominazione oggetto della causa principale fosse stata inoltrata una domanda di registrazione deve, di per sé, essere considerata irrilevante per l’esito di siffatto processo oggettivo di volgarizzazione o di distacco tra la denominazione e il territorio.

52 Occorre inoltre rilevare che l’introduzione di una presunzione di genericità collegata all’inoltro della domanda di registrazione sarebbe contraria agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 2081/92 modificato.

53 Infatti, il sistema di registrazione delle denominazioni come DOP o IGP, introdotto dal regolamento n. 2081/92 modificato, soddisfa sia la necessità di tutela del consumatore, come sancita dal quarto ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92 modificato, sia quella di garantire condizioni di concorrenza uguali tra i produttori, come emerge dal settimo ‘considerando’ di detto regolamento. Orbene, il riconoscimento della genericità della denominazione osta, per definizione, all’attribuzione di una siffatta protezione. Così, qualora si presumesse generica, per il semplice fatto che sia stata inoltrata una domanda di registrazione, una denominazione che infine non dovesse rivelarsi tale, si rischierebbe di compromettere il conseguimento dei due obiettivi succitati. Pertanto, il riconoscimento della genericità di una denominazione non può considerarsi acquisito durante tutto il periodo che precede la decisione della Commissione sulla domanda di registrazione.

54 Alla luce delle precedenti considerazioni, la prima questione va risolta statuendo che gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, la quale sia oggetto di una domanda di registrazione come DOP o IGP ai sensi di detto regolamento, non può essere considerata generica in attesa dell’eventuale trasmissione alla Commissione, da parte delle autorità nazionali, della domanda di registrazione. La genericità di una denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92 modificato, non può essere presunta fintantoché la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda di registrazione della denominazione, respingendola, se del caso, per la ragione specifica che detta denominazione è divenuta generica.

Sulla seconda questione

55 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva 2000/13, debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo, non registrata come DOP o IGP, possa essere legittimamente utilizzata dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2081/92 nonché successivamente.

Sulla ricevibilità della questione

56 Il governo italiano e l’Associazione fra Produttori per la Tutela del «Salame Felino» sostengono che tale seconda questione è irricevibile. In particolare, tale governo solleva l’assenza di pertinenza della questione in esame con l’oggetto della controversia principale in quanto nessuna disposizione comunitaria o nazionale sull’etichettatura dei prodotti prende in considerazione la buona fede dell’operatore economico che ha immesso nel mercato un prodotto recante un’etichetta ingannevole.

57 Tuttavia, si deve constatare che un siffatto argomento, relativo al merito della questione sottoposta, non può avere alcuna incidenza sulla ricevibilità della stessa.

Nel merito

58 In via preliminare occorre rammentare, come fa l’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, che, nonostante la sussistenza di differenze tra la direttiva 2000/13 e il regolamento n. 2081/92 modificato, tanto riguardo ai loro obiettivi quanto riguardo all’ampiezza della protezione che essi accordano, l’uso di denominazioni geografiche nelle etichette di prodotti alimentari, in un caso come quello oggetto della causa principale, può rientrare contemporaneamente nell’ambito di applicazione di entrambi tali strumenti giuridici.

59 Tuttavia, nell’ambito della controversia principale, il giudice del rinvio è tenuto a pronunciarsi su un unico punto, vale a dire se, in riferimento all’art. 2 del decreto legislativo n. 109/92, che recepisce l’art. 2 della direttiva 2000/13, la società GSI abbia potuto indurre in errore il consumatore indicando, sulle etichette dei prodotti da essa commercializzati, la denominazione «Salame tipo Felino». Il giudice del rinvio si chiede dunque se la circostanza che la denominazione di cui trattasi nella causa principale - non registrata come DOP o IGP - sia utilizzata da produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo abbia un’incidenza sulla valutazione dell’ingannevolezza dell’etichettatura controversa nella causa principale.

60 A questo proposito occorre rammentare che, in linea di principio, non spetta alla Corte risolvere la questione se l’etichettatura di taluni prodotti sia tale da indurre in errore l’acquirente o il consumatore o se una certa denominazione di vendita sia eventualmente ingannevole. Tale compito spetta al giudice nazionale (v., in particolare, sentenze 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut Springenheide e Tusky, Racc. pag. I-4657, punto 30, e 12 settembre 2000, causa C-366/98, Geffroy, Racc. pag. I-6579, punti 18 e 19). Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v. sentenza Geffroy, cit., punto 20).

61 Emerge dalla giurisprudenza della Corte che, ai fini della valutazione dell’idoneità ad indurre in errore di un’indicazione che compare su un’etichetta, il giudice nazionale deve basarsi essenzialmente sull’aspettativa presunta, in riferimento a detta indicazione, di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto circa l’origine, la provenienza e la qualità del prodotto alimentare, essendo essenziale che il consumatore non sia indotto in errore e portato a considerare, erroneamente, che il prodotto abbia un’origine, una provenienza o una qualità diverse da quelle che ha realmente (v., in tal senso, sentenze 6 luglio 1995, causa C-470/93, Mars, Racc. pag. I-1923, punto 24; Gut Springenheide e Tusky, cit., punto 31, nonché 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder, Racc. pag. I-117, punto 30).

62 Tra gli elementi da prendere in considerazione per valutare il carattere potenzialmente ingannevole dell’etichetta di cui trattasi nella causa principale, la durata dell’uso di una denominazione costituisce un elemento oggettivo che potrebbe modificare le aspettative del consumatore ragionevole. Al contrario, la buona fede di un produttore o rivenditore, essendo un elemento soggettivo, non può incidere sull’impressione oggettiva suscitata nel consumatore dall’uso di una denominazione geografica in un’etichetta.

63 Alla luce di quanto precede si deve risolvere la seconda questione dichiarando che gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92 modificato, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva 2000/13, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, che non è registrata come DOP o IGP, può essere legittimamente utilizzata a condizione che l’etichettatura del prodotto così denominato non induca in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Per valutare se ciò si verifichi, i giudici nazionali possono prendere in considerazione la durata dell’uso della denominazione. L’eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è invece rilevante a tale proposito.

Sulla terza questione

64 Con la sua terza questione il giudice del rinvio intende, sostanzialmente, chiarire se, basandosi sulla direttiva 89/104, il titolare di un marchio collettivo riguardante un prodotto alimentare e contenente un riferimento geografico identico alla denominazione controversa nella causa principale possa opporsi all’uso di detta denominazione.

65 Il governo italiano sostiene che tale terza questione è irricevibile in quanto la causa dinanzi al giudice nazionale non riguarda i marchi collettivi. Detto governo fa valere che la Regione Emilia-Romagna, che ha irrogato alla GSI la sanzione oggetto della causa principale, non è essa stessa titolare di alcun marchio e neppure afferma peraltro che la GSI abbia violato un qualsivoglia marchio collettivo. Inoltre, in udienza, il governo italiano ha rammentato che il giudice del rinvio si chiedeva unicamente se l’etichetta «Salame tipo Felino», come quella apposta dalla GSI, fosse idonea ad indurre il consumatore in errore circa l’origine reale del prodotto in causa. Nonostante l’intervento nel procedimento di un’associazione di produttori locali, titolare di un marchio collettivo «Salame Felino», l’argomento dell’eventuale violazione di un marchio collettivo non sarebbe stato presentato nella causa sottoposta al giudice nazionale.

66 Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, citata al punto 37 della presente sentenza, la Corte non è competente a fornire una soluzione al giudice che l’ha adita con una questione pregiudiziale, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 234 CE, qualora le questioni sottopostele non abbiano manifestamente alcun collegamento con l’effettività o con l’oggetto della causa principale e non rispondano quindi ad una necessità oggettiva per la soluzione della controversia principale.

67 Orbene, è pacifico che il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi, nella controversia di cui è investito, unicamente sul quesito se l’etichettatura dei salami denominati «Salame tipo Felino» possa indurre in errore il consumatore e, di conseguenza, violare le disposizioni nazionali che recepiscono la direttiva 2000/13.

68 Pertanto, è manifestamente irrilevante per la soluzione della controversia principale sapere se il titolare di un marchio collettivo riguardante un prodotto alimentare e contenente un riferimento geografico identico alla denominazione controversa in via principale possa opporsi all’uso di detta denominazione e, di conseguenza, la terza questione dev’essere dichiarata irricevibile.

Sulle spese

69 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1) Gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 20 dicembre 2000, n. 2796, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, la quale sia oggetto di una domanda di registrazione come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta ai sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere considerata generica in attesa dell’eventuale trasmissione alla Commissione delle Comunità europee, da parte delle autorità nazionali, della domanda di registrazione. La genericità di una denominazione, ai sensi del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, non può essere presunta fintantoché la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda di registrazione della denominazione, respingendola, se del caso, per la ragione specifica che detta denominazione è divenuta generica.

2) Gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3, del regolamento n. 2081/92, come modificato dal regolamento n. 2796/2000, in combinato disposto con l’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, che non è registrata come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta, può essere legittimamente utilizzata a condizione che l’etichettatura del prodotto così denominato non induca in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Per valutare se ciò si verifichi, i giudici nazionali possono prendere in considerazione la durata dell’uso della denominazione. L’eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è invece rilevante a tale proposito.

Firme


 


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