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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI, 19/03/2009 (Ud. 12/02/2009), Sentenza n. 12147
ACQUE - Distribuzione acqua potabile potenzialmente pregiudizievole per la
salute pubblica - Provvedimenti contingibili ed urgenti - Rifiuto di atti
d'ufficio - Art. 328, c. 1°, cod. pen. - Configurabilità - Art. 19, c. 4°,
D.Lgs. n. 31/2001 - Illecito amministrativo - Esclusione. La condotta inerte
del sindaco di un comune il quale, a fronte di una situazione potenzialmente
pregiudizievole per la salute pubblica in relazione all’assenza dei requisiti
previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo, ometta di
adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti
autorità sanitarie, i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad
eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione
speciale in materia, integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui
all’art. 328, comma primo, cod. pen., e non l’illecito amministrativo previsto
dall’art. 19, comma quarto, del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, (che disciplina
la materia della distribuzione di acqua potabile in attuazione della direttiva
CEE 98/83 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano). Pres. De
Roberto, Est. Matera, Ric. Sodano. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI,
19/03/2009 (Ud. 12/02/2009), Sentenza n. 12147
INQUINAMENTO IDRICO - Acque destinate al consumo umano - Distribuzione di
acqua potabile - Requisiti minimi - Superamento dei parametri - Potenziale
pericolo per la salute umana - Provvedimenti cautelativi - Adozione - Obbligo -
D. L.vo n. 31/2001 - Direttiva CEE 98\83 CE. Il decreto legislativo n.
31\2001, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in
attuazione della direttiva CEE 98\83 CE sulla qualità delle acque destinate al
consumo umano, stabilisce una serie di rigorosi parametri al fine di garantire
la salubrità e la pulizia delle acque, preoccupandosi di fissare una serie di
requisiti minimi. Nel caso di superamento di tali parametri, fissati a norma
dell'allegato 1, è previsto che l'azienda unità sanitaria locale interessata
proponga all'"autorità d'ambito", e quindi al Sindaco, l'adozione degli
eventuali provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica. In
particolare, l'art. 10 comma 2 dispone che "sia che si verifichi, sia che non si
verifichi un superamento dei valori di parametro, qualora la fornitura di acque
destinate al consumo umano rappresenti un potenziale pericolo per la salute
umana, l'azienda unità sanitaria locale informa l'autorità d'ambito, affinché la
fornitura sia vietata o sia limitato l'uso delle acque ovvero siano adottati
altri idonei provvedimenti a tutela della salute, tenendo canto dei rischi per
la salute umana che sarebbero provocati da un'interruzione
dell'approvvigionamento o da un uso limitato delle acque destinate al consumo
umano". Pres. De Roberto, Est. Matera, Ric. Sodano.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI, 19/03/2009 (Ud. 12/02/2009), Sentenza
n. 12147
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - INQUINAMENTO IDRICO - Tutela della salute
pubblica - Rifiuto di atti d’ufficio - Art. 328 c. 1° c.p. - Natura - Reato di
pericolo - Art. 444 c.p. - Fattispecie. Il reato di cui all'art. 328 comma
primo c.p. è un reato di pericolo, che si perfeziona ogni qual volta venga
denegato un atto non ritardabile, incidente su beni di valore primario tutelati
dall'ordinamento, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa
derivarne (Cass. Sez. 6, 19-9-2008 n. 38386; Cass. Sez. 6, 4-7-2006 n. 34066).
Nella specie, è immune da vizi logici e giuridici, il giudizio espresso dai
giudici di merito, secondo cui la mancanza di una concreta pericolosità delle
acque, risultante dall'accertamento ex post compiuto dal perito, può rilevare
esclusivamente ai fini dell'imputazione di cui all'art. 444 c.p. (per la quale,
infatti, il prevenuto è stato assolto), ma non vale di per sé ad elidere la
potenziale pericolosità delle stesse acque, rivelata dai risultati delle analisi
all'epoca compiute, e il conseguente dovere, per le autorità preposte per legge
alla tutela della salute pubblica, di intervenire senza ritardo e in modo
adeguato onde rimuovere le cause dell'inquinamento. Pres. De Roberto, Est.
Matera, Ric. Sodano. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI, 19/03/2009 (Ud.
12/02/2009), Sentenza n. 12147
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UDIENZA 12.02.2009
SENTENZA N. 12147
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. VI Penale
(Omissis)
FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo ha
confermato la sentenza in data 15-4-2005, con la quale il Tribunale di Agrigento
ha dichiarato Sodano Calogero colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv., 328
c.p. (perché, nella qualità di Sindaco del Comune di Agrigento dal 25-11-1993 al
13-3-2001 e di gestore del servizio di acquedotto di detto Comune, essendogli
stata comunicata in più occasioni l'assenza dei requisiti previsti per la
potabilità dell'acqua erogata per il consumo umano, indebitamente ometteva di
adottare i necessari provvedimenti cautelari, contingibili e urgenti proposti
dall'autorità sanitaria per impedire l'ulteriore erogazione e per adeguare la
qualità dell'acqua in modo di garantire la salute pubblica e prevenire il
possibile insorgere di malattie) e, concesse le attenuanti generiche, lo ha
condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione, oltre
al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Legambiente,
da liquidarsi in separata sede. Con la stessa sentenza, l'imputato è stato
condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali sostenute dalla parte
civile.
La Corte di Appello, nel motivare la sua decisione, ha dato atto delle carenze
strutturali del sistema di erogazione delle acque nel periodo considerato e
dell'inadeguatezza del sistema di clorazione adottato, garantito manualmente
mediante l'opera di un operaio privo di un titolo specifico; e ha ritenuto che
la protratta inerzia del Sodano, sia sotto il profilo del mancato esercizio del
potere di ordinare la sospensione della distribuzione dell'acqua, sia sotto il
profilo della mancata adozione di misure concrete idonee ad eliminare il rischio
del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia,
ripetutamente sollecitati dalle autorità sanitarie competenti, si traduce in una
sostanziale risposta negativa, tale da integrate gli estremi del reato di cui
all'art. 328 comma 1 c.p.
Ricorre il Sodano, a mezzo del suo difensore, lamentando l'erronea applicazione
degli artt. 328 c.p. e 19 d.lgs. 31\2001 e la mancanza e manifesta illogicità
della motivazione, emergente dal testo del provvedimento impugnato. Deduce, in
particolare, che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto integrato il reato
di rifiuto di atti di ufficio, in quanto la vicenda in esame andava
correttamente inquadrata nell'ambito della normativa speciale dettata, in
materia di erogazione delle acque destinate al consumo umano, dal d.lgs.
31\2001, il quale all'art. 19 comma 4 considera come mero illecito
amministrativo la violazione delle prescrizioni in esso contemplate. Sostiene,
inoltre, che la sentenza impugnata risulta motivata in modo illogico nella parte
in cui ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 328 c.p. con riferimento
al primo addebito mosso all'imputato (il non avere interrotto l'erogazione
dell'acqua), non avendo la Corte di Appello tenuto conto del fatto che la
disposta perizia ha escluso che le acque distribuite per il consumo umano
fossero dannose per la salute pubblica e che, pertanto, appariva legittima la
scelta del Sindaco di non interrompere la distribuzione dell'acqua, dato
l'inestimabile danno che sarebbe derivato alla cittadinanza da tale
interruzione. Quanto al secondo addebito contestato (il non aver adeguato la
qualità dell'acqua in maniera tale da garantire la salute pubblica e prevenire
il possibile insorgere di malattie ed infermità), secondo il ricorrente, la
Corte distrettuale non ha tenuto conto del fatto che nessun rimprovero può
essere mosso nei confronti al Sindaco in relazione alla mancata installazione di
cloratori automatici, come suggerita dagli organi sanitari in sostituzione della
clorazione manuale, avendo il Consiglio Comunale, con delibera del 24-8-1998,
bocciato l'emendamento proposto dalla Giunta presieduta dal Sodano per
l'acquisto di tali cloratori.
Il difensore della parte civile Legambiente ha depositato memoria, con la quale
ha chiesto il rigetto del ricorso.
DIRITTO
2) Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato. La Corte di
Appello ha accertato, in punto di fatto:
- che nel periodo di tempo in contestazione le acque della città di Agrigento
destinate al consumo umano erano interessate da un grave fenomeno di
inquinamento, evidenziato dall'esito delle analisi condotte dal laboratorio di
Igiene e Profilassi sui campioni di acqua settimanalmente prelevati dagli
Ispettori di Igiene;
- che i numerosi referti negativi acquisiti agli atti erano accompagnati dal
contestuale invito alle competenti autorità comunali a sospendere l'erogazione
idrica e a programmare gli interventi atti ad eliminare gli inconvenienti
segnalati, al fine di garantire la potabilità delle acque;
- che il grave fenomeno di inquinamento trovava la sua origine in una carenza
strutturale del sistema di erogazione delle acque, a causa sia dell'eccessiva
vetustà e della presenza di rotture nella rete idrica di distribuzione che della
discontinuità nella erogazione dell' acqua;
- che in quel periodo il Comune si avvaleva di un sistema inadeguato di
clorazione, garantito manualmente ad opera di un solo operaio, privo di un
titolo specifico, il quale in una lettera risalente al 1998, facendo riferimento
ad una ispezione dei NAS presso alcuni serbatoi comunali, aveva chiesto la
revoca del suo incarico, lamentando "di essere stato lasciato solo senza
responsabili sul posto di lavoro che controllassero il mio operato" e rilevando
di non potere più "assumere responsabilità superiori alla qualifica rivestita";
richiesta che, tuttavia, era rimasta inevasa;
- che, in un simile quadro di gravi carenze strutturali del servizio idrico e di
inadeguatezza del sistema di clorazione, il Sodano, durante gli anni in cui ha
rivestito la qualità di Sindaco, a fronte della reiterata trasmissione di
referti negativi da parte delle autorità sanitarie, in molti casi accompagnate
da esplicite richieste di sospensione della erogazione e di programmazione di
interventi atti ad eliminare tali inconvenienti, e delle ripetute segnalazioni
da parte dei referenti di igiene pubblica per un più organico intervento
risolutivo del problema della qualità delle acque, non ha adottato alcun
provvedimento (ad eccezione di cinque limitate occasioni, tutte riferibili ad un
ridotto periodo temporale, compreso tra il dicembre 1997 e l'ottobre 1998).
2) Alla stregua di tali emergenze fattuali, correttamente la Corte di Appello ha
ravvisato nella condotta del prevenuto gli estremi integrativi del reato di cui
all'art. 328 comma 1 c.p.
Non par dubbio, infatti, che la protratta inerzia del ricorrente, il quale, a
fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica,
quale emergeva dalle molteplici segnalazioni trasmessegli, non si è avvalso del
potere di ordinare la sospensione della distribuzione dell'acqua ed ha omesso di
adottare le misure idonee ad eliminare il rischio del superamento dei parametri
stabiliti dalla legislazione speciale in materia, ripetutamente ed espressamente
richiestegli dalle competenti autorità sanitarie, si è tradotta in un indebito
rifiuto di atti di ufficio che, per ragioni di igiene e sanità, dovevano essere
compiuti senza ritardo.
3) Non ha pregio, invero, l'assunto difensivo, secondo cui, in base al principio
di specialità, la condotta omissiva addebitata al prevenuto, da inquadrare
nell'ambito della normativa speciale sull'erogazione delle acque regolata dal
d.lgs. n. 31\2001, non integrerebbe il reato di rifiuto di atti di ufficio,
bensì l'illecito amministrativo previsto dall'art. 19 del citato decreto
legislativo.
La Corte di Appello ha disatteso tale tesi, rilevando che l’art. 19 comma 4 del
d.lgs. 31\2001 (il quale sanziona "l'inosservanza delle prescrizione imposte, ai
sensi degli articoli 5, comma 3, e 10, commi 1 e 2, con i provvedimenti adottati
dalle competenti autorità") è applicabile solo nel caso in cui, essendo state
regolarmente avviate le procedure previste dagli artt. 5 comma 3 e 10 commi 1 e
2 del menzionato decreto, il soggetto agente operi in difformità alle
prescrizioni imposte con i provvedimenti adottati, e non anche nel caso,
ricorrente nella fattispecie in esame, in cui l'omissione riguardi l'adozione
stessa di detti provvedimenti.
La motivazione resa sul punto, pur essendo sostanzialmente corretta, necessita
di ulteriori specificazioni, ai sensi dell'art. 619 n. 1 c.p.p.
Come è stato evidenziato dal giudice del gravame, il decreto legislativo n.
31\2001, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in
attuazione della direttiva CEE 98\83 CE sulla qualità delle acque destinate al
consumo umano, stabilisce una serie di rigorosi parametri al fine di garantire
la salubrità e la pulizia delle acque, preoccupandosi di fissare una serie di
requisiti minimi. Nel caso di superamento di tali parametri, fissati a norma
dell'allegato 1, è previsto che l'azienda unità sanitaria locale interessata
proponga all' "autorità d'ambito", e quindi al Sindaco, l'adozione degli
eventuali provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica (analoga
previsione, peraltro, era contenuta anche nelle disposizioni anteriormente
vigenti, in virtù delle quali erano state trasmesse all'odierno imputato, nella
sua qualità di Sindaco di Agrigento, gli esiti sfavorevoli delle analisi
condotte sui campioni di acqua prelevati dai vigili sanitari, con la contestuale
richiesta di adozione dei provvedimenti necessari all'immediato ripristino della
qualità delle acque erogate). In particolare, l'art. 10 comma 2 dispone che "sia
che si verifichi, sia che non si verifichi un superamento dei valori di
parametro, qualora la fornitura di acque destinate al consumo umano rappresenti
un potenziale pericolo per la salute umana, l'azienda unità sanitaria locale
informa l'autorità d'ambito, affinché la fornitura sia vietata o sia limitato
l'uso delle acque ovvero siano adottati altri idonei provvedimenti a tutela
della salute, tenendo canto dei rischi per la salute umana che sarebbero
provocati da un'interruzione dell'approvvigionamento o da un uso limitato delle
acque destinate al consumo umano".
Ciò posto, appare evidente che l'art. 19 comma 4, nel sanzionare l'inosservanza
delle prescrizioni imposte con provvedimenti adottati dalle competenti autorità,
presuppone concreto esercizio di un'attività provvedimentale ad opera
dell'autorità a tanto abilitata, e considera come illecito amministrativo la
mancata osservanza delle relative prescrizioni da parte dei soggetti tenuti a
darvi esecuzione. Esula, al contrario, dall'ambito di operatività della predetta
norma, la condotta del Sindaco (al quale, come rilevato nell'impugnata sentenza,
sia in base alla normativa statale che a quella della Regione Sicilia compete il
potere-dovere di adottare provvedimenti decisori di carattere contingibile e
urgente in materia di sanità pubblica) il quale, come nel caso in esame, abbia
omesso di adottare i provvedimenti necessari per scongiurare potenziali pericoli
per la salute umana; condotta che, al contrario, in presenza dei presupposti
richiesti dall'art. 328 comma 1 c.p., può ben concretare gli estremi del reato
di rifiuto di atti di ufficio.
4) Risulta altresì destituito di fondamento l'ulteriore argomento addotto dal
ricorrente, secondo cui, avendo il perito escluso che le acque distribuite per
il consumo umano fossero pericolose per la salute pubblica, doveva ritenersi
pienamente legittima la scelta del Sindaco di non interrompere l'erogazione
delle acque.
Si osserva, al riguardo, che il reato di cui all'art. 328 comma primo c.p. è un
reato di pericolo, che si perfeziona ogni qual volta venga denegato un atto non
ritardabile, incidente su beni di valore primario tutelati dall'ordinamento,
indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne (Cass. Sez. 6,
19-9-2008 n. 38386; Cass. Sez. 6, 4-7-2006 n. 34066). Appare immune dai
denunciati vizi logici e giuridici, pertanto, il giudizio espresso dai giudici
di merito, secondo cui la mancanza di una concreta pericolosità delle acque,
risultante dall'accertamento ex post compiuto dal perito, può rilevare
esclusivamente ai fini dell'imputazione di cui all'art. 444 c.p. (per la quale,
infatti, il prevenuto è stato assolto), ma non vale di per sé ad elidere la
potenziale pericolosità delle stesse acque, rivelata dai risultati delle analisi
all'epoca compiute, e il conseguente dovere, per le autorità preposte per legge
alla tutela della salute pubblica, di intervenire senza ritardo e in modo
adeguato onde rimuovere le cause dell'inquinamento.
Quanto al rilievo svolto dallo stesso ricorrente per sostenere la legittimità
della scelta del Sindaco di non interrompere la distribuzione dell'acqua, in
ragione del danno che sarebbe potuto derivare alla popolazione da tale misura,
lo stesso, oltre ad introdurre una questione inammissibile in questa sede, in
quanto non dedotta con l'atto di appello, appare frutto di una valutazione
postuma di contrapposti interessi, che avrebbe dovuto essere eventualmente
esteriorizzata dall'imputato in atti formali (che non risultano essere stati
emessi) all'epoca dei fatti, onde giustificare la mancata adozione dei
provvedimenti cautelativi sollecitati dalle autorità sanitarie.
4) Le deduzioni svolte nell'ultima parte del ricorso per sostenere la non
addebitabilità al Sodano della mancata installazione di cloratori automatici,
come suggerita dagli organi sanitari in sostituzione della clorazione manuale,
sono inammissibili, risolvendosi nella richiesta di una rivisitazione degli atti
e di una diversa valutazione delle risultanze processuali, esulanti dal
sindacato di legittimità riservato a questa Corte. E' appena il caso di
segnalare, peraltro, che l'assunto del ricorrente, secondo cui, all'epoca dei
fatti, la Giunta Municipale presieduta dal Sodano avrebbe proposto un
emendamento per l'acquisto dei cloratori automatici, risulta contraddetto
dall'affermazione, contenuta nell'atto di appello, secondo cui l'emendamento in
parola era stato proposto da un consigliere di opposizione.
5) Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Lo stesso ricorrente, inoltre, va condannato al rimborso delle spese sostenute
nel presente grado dalla costituita parte civile Legambiente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Condanna altresì il ricorrente a rimborsare alla parte civile
Legambiente le spese del grado, che liquida in complessivi euro 2.500,00, di cui
500,00 per spese, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 12/02/2009.
Deposito in Cancelleria il 19/03/2009.
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