AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE, SS. UU., 25/06/2009 (Ud. 21/04/2009), Sentenza n. 14878
DIRITTO DEMANIALE -
DIRITTO URBANISTICO - DIRITTO DELLE ACQUE - Costruzioni abusive su
golene - Violazione dell'obbligo di comunicazione di avvio del
procedimento amministrativo - Effetti che per legge debbono
intervenirvi - Distinzione se il provvedimento finale sia o meno
vincolato - Necessità - Art. 21-octies, L. n. 241/1990, aggiunto
dall'art. 14 L. n. 15/2005 - Art.7 L. n. 241/1990. Ai sensi
dell'artt. 21 octies e 7 della legge n. 241 del 1990, per i
provvedimenti di natura vincolata, l'annullabilità è esclusa nel caso
di evidenza della inidoneità dell'intervento dei soggetti ai quali è
riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; per quelli
di natura non vincolata, subordinatamente alla prova, da parte
dell'Amministrazione, che il provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso anche in caso di intervento di detti interessi (fattispecie:
ordine di demolizione (e ripristino dello stato originario dei luoghi)
di immobili occupanti un’area demaniale senza titolo, costruiti in area
esondabile con un grave pericolo per la pubblica e privata incolumità).
Pres. Vittoria, Rel. Oddo. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SS. UU., 25/06/2009 (Ud. 21/04/2009), Sentenza n. 14878
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - DIRITTO DELLE ACQUE -
DIRITTO URBANISTICO - Natura vincolata del provvedimento amministrativo
- Violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti -
Annullabilità - Esclusione - Fattispecie: demolizione di un manufatto
realizzato a meno di dieci metri di distanza dalla sponda di un corso
d'acqua - Art. 21-octies, L. n. 241/1990, aggiunto dall'art. 14 L. n.
15/2005 - Art.7 L. n. 241/1990. L'art. 21-octies, L. n. 241/1990,
aggiunto dall'art. 14 L. 11 febbraio 2005, n. 15, dispone che “Non è
annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata
del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il
provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato". In base a tale
norma, l'annullabilità di un provvedimento amministrativo per la
violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio di procedimento ai
soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi, prescritto dall'art. 7 della stessa legge - salvo il caso
in cui sussistano "ragioni di impedimento derivanti da particolari
esigenze di celerità del procedimento" - è esclusa: a) quanto ai
provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle
altre norme del procedimento, per la sola evidenza della inidoneità
dell'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad
interferire sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura
non vincolata, subordinatamente alla prova da parte
dell'amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso anche in caso di intervento di detti interessati. Nella specie,
la natura vincolata del provvedimento di demolizione di un manufatto
realizzato a meno di dieci metri di distanza dalla sponda di un corso
d'acqua, in quanto l'amministrazione non può recedere da un atto
destinato a ripristinare la legalità violata da una attività materiale
del privato ed a porre termine all'abuso, (cfr.: cass. civ., sez. un.,
sent. 1/04/2000, n. 82) e, avendo la sentenza adeguatamente argomentato
sull'evidenza dell'inutilità in concreto di un eventuale contributo
istruttorio degli intimati e sulla non prospettabilità di una loro
partecipazione al procedimento idonea ad incidere sull'emissione e sul
contenuto dei provvedimenti, non è ravvisabile il vizio denunciato nel
diniego dei giudici che gli atti potessero essere annullati per
l'omessa comunicazione dell'avvio di esso. Pres. Vittoria, Rel.
Oddo. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SS. UU., 25/06/2009 (Ud. 21/04/2009), Sentenza n. 14878
www.AmbienteDiritto.it
UDIENZA 21.04.2009
REG. GENERALE n.26884/2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SS. UU. Civile
OMISSIS
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nello Zicchieri, Catello Maio, Aldo Bendoni, Antonio Alfieri, Libero Bucciarelli,
Giorgio Guerrini, Riccardo Carloni, Alberto Cocchi, Luciana Ferri, Paola
Marcucci, Pierina Ferri, Carlo Benni, Lucia Piccioni, Vittorio Beniamini,
Alberto Pompei, Marco Marrucci, Maurizio Benni, Maurizio Chiacchiera, Agostino
Vesica, Mirella De Colombari, Aldo Tamburini, Roberto Baldini, Simonetta Loreti,
Carla Rita, Angelo Aquila, Franco Ferrari, Serafina Barla, Alberto Volpi, Sergio
Scarpari e Sonia Vargas - tutti soci dell'Associazione Pesca Sportiva Foce del
Mignone ed utenti da diversi anni di capanni situati sul lato sinistro del fiume
omonimo, realizzati in virtù di una concessione dell'arenile originariamente
rilasciata all'Associazione nel 1964 - con ricorso notificato all'A.R.DI.S. -
Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo della Regione Lazio -, al Ministero
dell'Economia e delle Finanze, alla Regione Lazio ed all'Autorità regionale per
i Bacini impugnarono il 28 dicembre 2005 davanti al Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche le ordinanze n. prot. 7647 del 19 ottobre 2005, prot., con le
quali il dirigente dell'Ufficio Territoriale dell'A.R.DI.S., "considerate che i
manufatti costruiti in area esondabile costituiscono un grave pericolo per la
pubblica e privata incolumità", aveva intimato a ciascuno di essi di demolire
nel termine di trenta giorni "i manufatti costruiti abusivamente sulle golena
ripristinando lo stato originario dei luoghi", sotto comminatoria di esecuzione
d'ufficio dei lavori di sgombero e demolizione e di denuncia per il reato di cui
all'art. 650, c.p.
Dedussero gli intimati:
- l'illegittimità dell'ordinanza derivata dai vizi di un precedente
provvedimento di demolizione, notificato il 5 luglio 2004 a1l'Associazione ed a
sua volta impugnato;
- l'incompetenza dell'A.R.DI.S. ad adottare provvedimenti repressivi di abusi
edilizi ed in materia di concessioni del demanio idrico;
- il difetto di legittimazione passiva, e, in subordine, di contraddittorio,
dovendo i provvedimenti demolitori essere assunti nei confronti dell'ente
concedente;
- l'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo;
- l' indeterminatezza dell'oggetto dei provvedimenti, non indicando le ordinanze
gli immobili da demolire e gli abusi commessi, ed il difetto di legittimazione
passiva, essendo ciascuno di essi legittimo detentore di uno soltanto dei
capanni concessi in uso all'Associazione;
- la mancata redazione e comunicazione del verbale di accertamento delle
violazioni e l'omessa preventiva notifica della diffida a demolire;
- la legittimità dei capanni, trattandosi di costruzioni realizzate talora in
epoca anteriore al 1942, la cui superficie e volumetria non erano state
modificate nel tempo, e la presentazione di domande di sanatoria degli abusi
edilizi eventualmente commessi con interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria;
- l'omessa indicazione delle ragioni di pubblico interesse che avevano
giustificato l'emanazione delle ordinanze a distanza di svariati decenni della
realizzazione dei manufatti;
- la preesistenza dei capanni ai vincoli di inedificabilità imposti dal Piano
stralcio di Assetto Idrogeologico (P.A.I.) e la previsione nel suo art. 22 della
salvaguardia degli edifici esistenti, nonché l'illegittimità del Piano ove la
norma avesse dovuto essere diversamente interpretata;
- l'assenza nelle ordinanze di una congrua motivazione sulla necessità di
tutelare la pubblica incolumità.
Si costituirono l'A.R.DI.S., lamentando l'inammissibilità e l'infondatezza del
ricorso, ed il Ministero, che eccepì il difetto di giurisdizione del giudice
adito e la carenza di legittimazione passiva.
Con sentenza del 22 giugno 2007, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
rigettò l'impugnazione.
Premesso che l'ordinanza di demolizione era motivata con l'assunto che i
manufatti erano costruiti in zona esondabile e costituivano un grave pericolo
per la pubblica e privata incolumità e che i ricorrenti occupavano un area
demaniale senza titolo legittimo, non essendo contestato che la concessione
rilasciata alla loro associazione era scaduta il 30 aprile 1979 e non era stata
rinnovata in quanto i capanni erano realizzati ad una distanza dalla sponda del
fiume inferiore a quella di 10 m., prescritta dall'art. 96, lett. f), r.d. 25
luglio 1904, n. 523, osservarono i giudici, per quello che ancora rileva, che:
- l 'impugnazione delle ordinanze di demolizione, essendo i provvedimenti
finalizzati alla tutela delle aree appartenenti al demanio idrico a salvaguardia
della pubblica e privata incolumità, rientrava nella giurisdizione devoluta al
TSAP dall'art. 143, 1° co., lett. a), r.d. n. 1775/1933;
- l'A.R.DI.S., quale ente strumentale della Regione, era competente, ai sensi
degli artt. 8, 2° co., lett. a), e 19, l.r. Lazio n. 53/1998, ad esercitare
tutte le funzioni proprie della Regione in materia di tutela di beni demaniali e
di polizia idraulica e delle acque;
la sponda sinistra del fiume Mignone, in prossimità della cui foce erano
realizzati i manufatti, era totalmente mancante di argini dimensionati alla
normale portata del fiume e priva di difesa in caso di un aumento della stessa
ed era stata inserita dalla Autorità di Bacino con l' ultimo emendamento al
P.A.I. nella fascia di pericolosità A (zone ad alta probabilità di inondazione o
che possono essere inondate con frequenza media non superiore alla trentennale);
- la natura vincolata delle ordinanze escludeva la necessità della comunicazione
ai destinatari dell'avvio del procedimento diretto alla loro emissione;
- gli intimati erano passivamente legittimati agli ordini di demolizione in
quanto occupanti senza titolo dell'area golenale di natura demaniale;
- l'onere di accertamento e di specificazione del fatto era stato soddisfatto
dalla redazione il 14 novembre 2005 di un verbale di sopralluogo della g.d.f. e
dalla indicazione nel provvedimento notificato a ciascuno degli intimati della
descrizione catastale del manufatto oggetto di demolizione e ripristino;
- nell'esercizio del potere di autotutela l'A.R.DI.S. non era tenuta a far
precedere l'ordine di demolizione da una diffida;
- l'incompatibilità dei manufatti con il regime del demanio fluviale e la
conseguente impossibilità di rilascio di qualsiasi autorizzazione o concessione
edilizia escludevano la sanabilità degli abusi;
la salvaguardia delle costruzioni già realizzate prevista dal Piano di Assetto
Idrogeologico si riferiva ai soli interventi assentibili e regolari e non era
applicabile ai manufatti realizzati in aree ad alto pericolo d'inondazione;
- il pericolo per la pubblica incolumità era sorretto dal mutamento delle
situazioni geomorfiche ed idrografiche della zona, anche per effetto
dell'elevato livello di inurbamento delle aree e delle esondazioni verificatesi
nelle zone limitrofe nell'autunno 2005, nonché dalla mancanza di argini nel lato
sinistro del fiume.
Avverso la decisione gli intimati in epigrafe hanno proposto ricorso per
cassazione con nove motivi, l'A.R.DI.S. ed il Ministero dell'Economia e delle
Finanze hanno resistito con controricorsi, formulando quest'ultimo due
contestuali motivi di ricorso incidentale condizionato, e la Regione Lazio e
l'Autorità per i Bacini non hanno svolto attività difensiva; i ricorrenti
principali e l'A.R.DI.S. hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A norma dell'art. 335, c.p.c., va
disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale
avverso la medesima sentenza.
Il ricorso principale denuncia, con il primo motivo, la nullità della sentenza
impugnata, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione
dell'art. 19, l.r. Lazio n. 53/1998, e per omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo e formula, a norma dell'art. 366-bis, c.p.c., il quesito
di diritto: "se l'art. 19, 2 comma, della legge reg. Lazio n. 53/1998
attribuisca all 'ARDIS la competenza in ordine alla adozione di atti che
dispongono la demolizione dei beni concessi in uso dall'Amministrazione
finanziaria alla Associazione Pesca Sportiva Foce del Mignone, in forza di
concessione amministrativa scaduta".
Preso atto che gli artt. 86, 1° co., e 89, 1° co., lett. f), d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112, hanno trasferito alle Regioni ed agli enti locali le funzioni
relative alla gestione dei beni del demanio idrico, ivi comprese quelle relative
alle concessioni di pertinenze idrauliche e di aree fluviali, deducono i
ricorrenti che erroneamente il TSAP ha riconosciuto all'A.R.DI.S. il potere di
esercitare in detta materia funzioni amministrative e, in particolare, di
ordinare la demolizione di manufatti oggetto di una concessione, ancorché il
rapporto concessorio si trovi in una situazione di proroga per non avere ancora
provveduto la competente autorità sulla istanza di rinnovo, giacché: l. - l'art.
19, 2° co., l.r. Lazio n. 53/1998, aveva delegato a detta Agenzia unicamente lo
svolgimento di "attività tecnico-operative connesse con le funzioni pubbliche
relative alla realizzazione, gestione e manutenzione delle opere di difesa del
suolo di competenza (della Regione) ai sensi dell'art. 8, comma 2, lettera a),
ed alla realizzazione di cui all'art. 8, comma 2, lett. c)";
- l'art. 27, 1° co., l.r. Lazio n. 3/2004 (regolamento di disciplina delle
procedure per il rilascio delle concessioni di pertinenze idrauliche, aree
fluviali, spiagge lacuali e di superfici e pertinenze dei laghi), aveva disposto
che, in presenza di abusi o violazioni delle disposizioni in materia, alla
tutela dei beni demaniali, "si procede in via amministrativa intimando, con
provvedimento del direttore del Dipartimento Territorio, da notificarsi ai
soggetti interessati, il ripristino della situazione di diritto o di fatto";
- l'ordine di demolizione dei manufatti esorbitava dall'esercizio dello jus
possidendi spettante al concedente.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP, evidenziato che gli intimati occupavano un' area golenale di proprietà
demaniale senza alcun titolo, non essendo stata rinnovata alla scadenza del 30
aprile 1979 la concessione rilasciata alla loro associazione, in quanto su di
essa erano stati realizzati manufatti ad una distanza inferiore ai 10 mt. dalla
sponda del fiume, imposta dall'art. 96, lett. f), r.d. 25 luglio 1904, n. 523, e
che le ordinanze di demolizione erano state emesse perché "i manufatti costruiti
in area esondabile costituiscono un grave pericolo per la pubblica e privata
incolumità”, ha individuato negli artt. 19, 2° co., ed 8, 2° co., lett. a), l.r.
Lazio n. 53/1998, e nell' art. 3 dello statuto dell' A.R.DI.S. un duplice
fondamento al potere da questa esercitato con 1'emissione del provvedimento
impugnato.
Il primo, desunto dall'attribuzione all'Agenzia di tutte le funzioni proprie
della Regione in tema di difesa del suolo e, quindi, anche di quella di
ripristinare la demanialità violata dagli intimati, essendo l'occupazione dell'
area golenale divenuta priva di titolo dopo il mancato rinnovo della concessione
in uso alla loro associazione per l'impossibilità del rilascio del nulla osta
idraulico.
Il secondo, tratto dallo specifico conferimento all'Agenzia delle funzioni di
polizia idraulica, previste dal r.d. n. 523/1904 e dal r.d. 9. dicembre 1937, n.
2669, e di quelle di polizia delle acque, di cui al t.u. approvato con r.d. 11
dicembre 1933, n. 1775, nelle quali è ricompresa la facoltà di ordinare la
riduzione delle cose al primitivo stato nel caso di opere realizzate in
violazione delle prescrizioni in materia, essendo finalizzato lo sgombero alla
tutela delle aree appartenenti al demanio idrico a salvaguardia della pubblica e
privata incolumità.
Le censure che il motivo rivolge al riconoscimento della competenza dell'A.R.DI.S.
ad emettere le ordinanze di demolizione muovono, invece, dal presupposto che
l'Agenzia abbia agito esclusivamente nel suo potere di tutelare il possesso
dell'area demaniale interessata dai capanni occupati dai singoli associate e non
anche di quello di ordinare la demolizione e riduzione in pristino per ragioni
di polizia idraulica in quanto i capanni costituivano un pericolo non solo per i
loro occupanti, ma anche per i terzi, potendo la loro presenza modificare il
regime delle acque durante gli eventi di piena.
Ne consegue la carenza d'interesse dei ricorrenti alla proposizione ed all'esame
della questione di competenza così come prospettata, giacché la non pertinenza
di essa al secondo concorrente fondamento ad essa riconosciuto esclude che la
verifica dei poteri di gestione dei beni demaniali attribuiti dalla Regione all'A.R.DI.S.
possa di per sé comportare l'asserita invalidità dei provvedimenti di
demolizione emessi anche per la violazione delle disposizioni disciplinanti la
polizia idraulica e la connessa tutela dell'integrità delle persone.
Con il secondo motivo, in relazione all' art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per
violazione dell' art. 36, c.c., e degli artt. 100 e 101, c.p.c., ed omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo e formula i quesiti di diritto: a) "se, in relazione al disposto
dell'art. 36 cod. civ., le ordinanze aventi ad oggetto lo sgombero di un'area
pubblica già concessa in uso ad un'Associazione regolarmente costituita e
(aventi ad oggetto) la demolizione dei manufatti presenti nell'area medesima
debbano essere adottate e notificate nei confronti dell'Associazione, e per essa
del suo legale rappresentante, ovvero se esse possono legittimamente essere
adottate nei confronti degli associati"; b) "se siano o meno violati gli artt.
100 e 101 cod. proc. civ., nel caso in cui l'autorità concedente adotti nei
confronti dei soci l'ordinanza avente ad oggetto lo sgombero di un'area pubblica
già concessa in uso ad un'associazione e la demolizione dei manufatti presenti
nell'area medesima".
Lamentano i ricorrenti che i giudici abbiano ravvisato la loro legittimazione
passiva ai provvedimenti notificati, nonostante essi fossero esclusivamente gli
utilizzatori dei capanni concessi in uso alla loro associazione ed in qualità di
occupanti senza titolo delle aree golenali non avessero "alcun titolo in ordine
alla demolizione dei beni".
Il motivo è inammissibile.
La sentenza del TSAP ha negato una proroga di fatto della concessione dell' area
demaniale all' associazione successivamente alla scadenza del suo termine, che
il motivo ha genericamente contestato con la sola contraria affermazione della
sua esistenza, ed alla automatica cessazione del rapporto concessorio e
riacquisizione dello jus possidendi da parte dell'amministrazione
concedente ha correttamente ricollegato l'infondatezza dell'eccezione dei
ricorrenti dell'esistenza di un titolo derivato ad occupare gli immobili.
Non ha, tuttavia, individuato la legittimazione degli intimati alla demolizione
soltanto nell'assenza di un titolo all'occupazione, bensì anche nella
disponibilità che essi avevano dei manufatti, ed ha ravvisato nella loro
concorrente qualità di occupanti senza titolo dell'area golenale e di
utilizzatori dei manufatti realizzati in contrasto con le norme di polizia
idraulica le condizioni necessarie e sufficienti a giustificare un loro obbligo
di porre fine alla situazione antigiuridica e l' emissione nei loro confronti
degli ordini di rimessione in pristino.
L'omessa censura del secondo argomento, oltre che quella generica del primo, sui
quali è autonomamente basato il riconoscimento della legittimazione passiva,
esclude, prima che la fondatezza, l'idoneità della doglianza che la concerne a
contestarne l 'esistenza.
Con il terzo motivo, in relazione all' art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione
dell' art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, avendo ritenuto che la natura vincolata
delle ordinanze di demolizione escludesse l'obbligo della previa comunicazione
dell' avvio dei relativi procedimenti, e formula il quesito di diritto: "se, nel
caso in cui l'Amministrazione ordini la demolizione di manufatti da essa già
concessi in uso in forza di regolare atto concessorio, debba trovare
applicazione l'art. 7 della legge 241/1990, in forza del quale la p.a.
procedente deve comunicare l'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti
del quale il provvedimento è destinato a produrre effetti".
Assumono i ricorrenti che, essendo stati i manufatti concessi in uso ad un
soggetto diverso dai destinatari degli ordini di demolizione, la partecipazione
degli intimati al procedimento ed il loro apporto collaborativo erano necessari
per l'acquisizione da parte dell'amministrazio-ne degli elementi di fatto
indispensabili al conseguimento con essi dell'interesse pubblico,
Il motivo è infondato.
L' art. 21-octies, l. n. 241/1990, aggiunto dall'art. 14 l. 11 febbraio 2005, n.
15, dispone che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata
del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio
del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto
del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato".
In base a tale norma, entrata in vigore anteriormente all'emissione delle
ordinanze impugnate, l'annullabilità di un provvedimento amministrativo per la
violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio di procedimento ai soggetti
nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti
diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, prescritto dall'art. 7
della stessa legge - salvo il caso in cui sussistano "ragioni di impedimento
derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento" - è esclusa: a)
quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle
altre norme del procedimento, per la sola evidenza della inidoneità
dell'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire
sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata,
subordinatamente alla prova da parte dell'amministrazione che il provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti
interessati.
Nella specie, la natura vincolata del provvedimento di demolizione di un
manufatto realizzato a meno di dieci metri di distanza dalla sponda di un corso
d'acqua, in quanto l'amministrazione non può recedere da un atto destinato a
ripristinare la legalità violata da una attività materiale del privato ed a
porre termine all 'abuso, è stata già condivisibilmente affermata da questa
Corte (cfr.: cass. civ., sez. un., sent. 1 aprile 2000, n. 82) e, avendo la
sentenza adeguatamente argomentato sull'evidenza dell'inutilità in concreto di
un eventuale contributo istruttorio degli intimati e sulla non prospettabilità
di una loro partecipazione al procedimento idonea ad incidere sull'emissione e
sul contenuto dei provvedimenti, non è ravvisabile il vizio denunciato nel
diniego dei giudici che gli atti potessero essere annullati per l'omessa
comunicazione dell'avvio di esso.
All'affermazione dell'infondatezza del motivo segue per il disposto dell'art.
384, c.p.c., l'affermazione del principio di diritto: "a norma dell'art.
21-octies, l. n. 241/1990, aggiunto dall'art. 14 l. 11 febbraio 2005, n. 15,
l'annullabilità di un provvedimento amministrativo per violazione dell' obbligo
di comunicazione dell'avvio di procedimento ai soggetti nei confronti dei quali
il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che
per legge debbono intervenirvi, prescritto dall'art. 7 della stessa Legge, è
esclusa: a) quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la
violazione delle altre norme del procedimento, per la sola evidenza della
inidoneità dell'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad
interferire sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura non
vincolata, subordinatamente alla prova da parte dell'amministrazione che il
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di
detti interessati."
Con il quarto motivo, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e
decisivo che "l'area su cui insistono gli immobili di cui è stata ordinata la
demolizione è stata concessa in uso alla Associazione, unitamente a detti
immobili", giacché l'A.R.DI.S. non poteva ordinare agli "occupanti senza titolo
delle aree golenali" la demolizione di manufatti che non potevano essere
considerati abusivi.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP ha esaminato e motivatamente disatteso i rilievi dei ricorrenti che, pur
in assenza di un formale provvedimento della p.a., l'occupazione delle aree
golenali e la presenza dei manufatti fosse sorretta da una proroga della
scadenza della concessione rilasciata alla loro associazione e che l'esistenza
di un titolo all'occupazione non giustificava la notifica ai ricorrenti delle
ordinanze di demolizione, e nessuna censura è stata argomentatamente rivolta
avverso l'affermazione dell'infondatezza di essi.
E' peraltro assorbente, perché vale ad escludere l'interesse al motivo, la
circostanza che la sentenza ha rimarcato, anche in questo caso senza censura dei
ricorrenti, che l'ordinanza di sgombero delle aree e di ripristino della
demanialità violata era finalizzata alla salvaguardia della pubblica e privata
incolumità, pregiudicate dalla presenza di manufatti in zona sottoposta a
rischio di inondazione e ad una distanza dal fiume che, in quanto inferiore a
quella imposta dalla legge, non aveva consentito il rinnovo della concessione,
ed ha notificato i provvedimenti agli occupanti dei capanni in applicazione non
tanto delle norme a tutela dei beni del concedente, quanto di quelle di polizia
idraulica.
Con il quinto motivo, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per
violazione dell'art. 35, 1° co, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, e per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e
decisivo dell'insussistenza nell' ordinanza della "descrizione catastale del
manufatto oggetto di demolizione e ripristino" e formula il quesito di diritto:
"se, in relazione a quanto disposto dall'art. 35, comma 1, del d.PR 380/2001, la
ordinanza con cui la P.A. procedente ordina la demolizione di pretesi abusi
edilizi debba contenere, a pena di illegittimità, la descrizione degli abusi
contestati".
Esposto che, ai sensi dell'art. 35, 1° co., cit., i provvedimenti con cui si
irrogano sanzioni edilizie ripristinatorie devono contenere una sufficiente
descrizione degli abusi riscontrati, in modo da evitare qualsiasi incertezza
nella loro identificazione, deducono i ricorrenti che,
contrariamente a quanto affermato dal giudice delle acque, le ordinanze
impugnate non riportano affatto la descrizione catastale dei singoli manufatti
oggetto dell'intimazione di demolizione e di ripristino.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza ha ritenuto soddisfatto l'onere di accertamento della esistenza dei
manufatti nell'area demaniale della redazione il 14 novembre 2005 di un verbale
di sopralluogo, nel quale la G.d.F. dava atto della presenza in serie
consecutiva di diversi fabbricati sulla foce del Mignone, e quello di
comunicazione del fatto accertato dalla descrizione catastale del capanno
oggetto dell'ordine di demolizione e ripristino riportata in ciascuno dei
provvedimenti notificati ai singoli occupanti.
L'affermazione degli intimati che "contrariamente a quanto affermato dal TSAP"
le ordinanze di demolizione "non riportano la descrizione catastale del
manufatto oggetto di demolizione e ripristino" si risolve conseguentemente, come
dagli stessi evidenziato, nella denuncia del travisamento di una circostanza
presupposta dal giudice a fondamento della sua pronuncia, che integra l'errore
di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, previsto dall'art. 395,
n. 4, c.p.c., quale motivo di revoca di una sentenza, e non un vizio della
decisione riconducibile alle previsioni dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr.: da
ultimo: cass. civ., sez. I, sent. 3 agosto 2007, n. 17057; cass. civ., sez. III,
sent. 9 gennaio 2007, n. 213).
La preclusione della prospettazione della doglianza quale motivo di cassazione
della sentenza comporta, altresì, la non pertinenza della denuncia di violazione
della norma che avrebbe dovuto essere applicata e del quesito formulato a sua
illustrazione, non avendo la sentenza fatto una applicazione dell' art. 35, 1°
co, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, diversa da quella sollecitata dai ricorrenti.
Con il sesto motivo, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per
violazione dell'art. 35, 2° co., d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, ed omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo, avendo escluso l'obbligo dell'amministrazione di fare precedere la
demolizione da una "diffida non rinnovabile" sull'erroneo presupposto che i
ricorrenti avessero "realizzato una qualche abusiva costruzione", e formula il
quesito di diritto: "se, nel caso in cui l'autorità preposta disponga a carico
dei soci dell'associazione concessionaria lo sgombero di un'area già concessa in
uso e la demolizione dei soprastanti manufatti pure oggetto di concessione,
debba o meno seguire il procedimento di cui all'art. 35 del d.P.R. n. 380 del
2001".
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP ha rigettato il corrispondente motivo di impugnazione dell' ordinanza di
demolizione, evidenziando che l'art. 35, d.p.r. n. 380/2001, concernente gli
interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti
pubblici, dispone al suo 3° co. che "resta fermo il potere di autotutela dello
Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici,
previsto dalla normativa vigente" e che nell'ambito di tale potere, che l'A.R.DI.S.
aveva in concreto esercitato, non è posto a carico dell'ente che procede al
ripristino della legalità l'onere di inviare la "diffida non rinnovabile"
prescritta dal 2° co., art. cit.
Da un lato, quindi, il motivo di ricorso è privo di attinenza, in quanto non
indica le ragioni per le quali sarebbero erronee le affermazioni della sentenza
che l'Agenzia aveva fatto legittimamente ricorso allo strumento dell'autotutela
e che nell'esercizio del relativo potere non era tenuta a fare procedere
l'ordine di demolizione da una diffida e, dall'altro, il quesito genericamente
formulato con riferimento all'applicabilità al procedimento della discipline
prevista dall 'art, 35, d.p.r. n. 380/2001, al cui terzo comma ha invece fatto
riferimento la sentenza, non è idoneo ad illustrare il fondamento del motivo di
ricorso, come prescritto dall'art. 366-bis, c.p.c.
L'inammissibilità della denuncia di violazione di legge, pur a prescindere
dall'interesse ad essa non essendo stato impugnato il concorrente esercizio dei
poteri di polizia idraulica, assorbe l'esame di quella di omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione nella ricostruzione del fattispecie alla quale la
norma violata sarebbe stata erroneamente applicata.
Con il settimo motivo, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione
degli artt, 31, 32, 33 e 44, l. 28 febbraio 1985, n. 47, e formula i quesiti di
diritto: a) "se l'art. 33 della legge n. 47 del 1985 comporti un regime di
inedificabilità assoluta nel caso in cui il vincolo di inedificabilità sia
imposto successivamente alla realizzazione dell'opera per cui è stata presentata
domanda di sanatoria ai sensi della medesima legge"; b) "se, in case di
contrasto con il vincolo di inedificabilità imposto successivamente alla
costruzione dell'opera per cui è stata presentata domanda di sanatoria ai sensi
della legge n. 47 del 1985, trovi applicazione la sospensione dei procedimenti
amministrativi prevista dall'art. 44, prima comma, della legge n. 47 cit."
Si dolgono i ricorrenti che la decisione, sul rilievo dell'inserimento dell'area
sulla quale i capanni erano edificati tra quelle sottoposte a tutela per il
pericolo d'inondazione, abbia negato che l'emissione dell'ordinanza di
demolizione fosse preclusa in pendenza della definizione delle domande di
condono da essi cautelativamente presentata, benché l'art. 22 del P.A.I., che
aveva imposto il vincolo di inedificabilità, salvaguardasse i manufatti già
esistenti alla sua adozione in data 12 dicembre 2005 e, a norma degli artt. 31 e
32, l. n. 47/1985 cit., alla sanatoria delle opere abusive ostassero unicamente
i vincoli imposti prima della loro realizzazione, potendo quelli successivi
essere derogati con il parere favorevole delle amministrazioni preposte alla
loro tutela.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP, ha negato la violazione da parte dell'A.R.DI.S. dell'art, 31 d.p.r. n.
380/2001 (interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, in
totale difformità o con variazioni essenziali), profilata per essere stati i
manufatti realizzati anteriormente al 1942 ed essere stata richiesta la
sanatoria degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguiti
dai loro occupati, ponendo in rilievo, da un lato, la legittimità dell'esercizio
del potere di autotutela di beni appartenenti al demanio successivamente alla
scadenza del termine della loro concessione in uso ad un privato e, dall'altro,
l'impossibilità del rilascio di una autorizzazione o concessione edilizia
relativamente a manufatti incompatibili con il regime del demanio fluviale e
l'operatività della salvaguardia prevista dall'art. 22 del P.A.I., soltanto agli
interventi assentibili e regolari e non anche a quelli non ancora autorizzati al
momento della approvazione del Piano e ricompresi in area soggetta ad
inondazione ed inclusa. in fascia di pericolosità A).
La prima osservazione, di per sè idonea ad escludere l'asserita preclusione
all'emissione dell'ordinanza di demolizione prevista dall'art. 44, 1. n.
47/1985, e conforme al principio già affermato da questa Corte che la
sospensione contemplata da detta norma non trova applicazione laddove
l'amministrazione pubblica agisca nei confronti dei privati per la riduzione in
pristino stato ed il rilascio di beni demaniali abusivamente occupati (cfr.:
cass. civ., sez. I, sent. 8 settembre 1995, n. 9476), non è stata censurata dai
ricorrenti e la definitività della pronuncia sul punto che ne segue esclude
l'interesse all'esame della doglianza formulata avverso la seconda.
Va osservato, in ogni caso, che, l'assoluta impossibilità del rilascio del nulla
osta idrogeologico per opere realizzate in violazione dell'art. 96, lett. f,
r.d. n. 523/1904, e del divieto posto dal P.A.I. di edificazione nella fascia di
pericolosità A) ostava a che potesse costituire impedimento all'emissione di un
provvedimento di demolizione dato per motivi di polizia idraulica la
presentazione di una domanda di sanatoria di abusi edilizi, anche senza
considerare l'evidente inidoneità della richiesta di condono di lavori di
ordinaria e straordinaria manutenzione a sospendere la demolizione di un
immobile di per sè stesso illegittimo.
Con l'ottavo motivo, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione
dell'art. 112, c.p.c., non essendosi pronunciata sulla domanda subordinata di
annullamento del P.A.I. nel caso in cui il suo articolo 22 fosse stato
interpretato nel senso che nella fascia A) dovessero essere demolite anche le
costruzioni esistenti, e formula il quesito di diritto: "se l'omessa pronuncia
sulla richiesta di annullamento di un atto presupposto di quello impugnato in
via principale, ed in relazione al quale è stato formulato uno specifico motivo
d'impugnazione, costituisca violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., e comporti
la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ."
Il motivo è inammissibile.
La censura incorre, da un lato, nella medesima carenza di interesse evidenziata
per la declaratoria di inammissibilità del settimo motivo che la precede e,
dall'altro, è illustrata da un quesito di diritto, richiesto anche nel caso di
denuncia della violazione dell'art. 112, c.p.c. (cfr.: cass. civ., sez. III, ord.
23 febbraio 2009, n. 4329), che si limita alla pura e semplice richiesta di
accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione
di legge (cfr.: cass. civ., sez. III, sent. 17 luglio 2008 n. 19769).
Con il nono motivo, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, avendo la decisione ravvisato il grave pericolo
all'incolumità pubblica e privata nelle mutate condizioni geomorfiche e
idrografiche della zona e nella mancanza di argini sul lato sinistro della foce
del fiume, benché che tali circostanze, peraltro neppure provate, non
risultassero affatto menzionate nell'ordinanza impugnata, la quale si limitava a
rilevare che i manufatti erano costruiti in area esondabile.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti, nell' impugnare le ordinanze di demolizione, emesse perché "i
manufatti costruiti in area esondabile costituiscono un grave pericolo per la
pubblica e privata incolumità" avevano denunciato che i provvedimenti, "per
quanto attiene alla asserita necessità di tutelare la pubblica incolumità, sono
illegittimi in quanto privi di motivazione, per travisamento e difetto di
istruttoria".
Non soltanto, quindi, non avevano censurato l'asserito pericolo per la privata
incolumità, ma neppure avevano contrastato l'affermazione della insistenza dei
manufatti in zona esondabile, e sulla idoneità del richiamo di tale circostanza
a giustificare il provvedimento di demolizione per il pericolo derivante alla
pubblica incolumità della presenza dei capanni il TSAP si è specificamente
pronunciato, evidenziando in più parti della sentenza: a) il mancato rinnovo
della concessione d' uso in quanto l' allocazione del capanni violava le
distanze prescritte dall' art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904, per garantire il
regolare deflusso delle acque in caso di esondazioni del fiume; b)l'inclusione
dell'area occupata nella fascia di pericolosità A); c) l'assenza di argini sul
lato sinistro della foce del fiume nel quale i manufatti erano realizzati; d) il
mutamento delle situazioni geomorfiche ed idrogeografiche della zona, anche per
effetto dell'elevato livello di inurbamento delle aree; e) le esondazioni
verificatesi nelle zone limitrofe nell'autunno 2005.
Non soltanto, quindi, la sentenza ha dato conto della presenza nei provvedimenti
di una motivazione idonea a giustificarli, ma anche della concreta esistenza del
pericolo menzionato con argomenti materialmente e ideologicamente congrui,
logicamente formulati e sorretti da precisi riscontri in fatto.
All'inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso
principale e la declaratoria di assorbimento dell'esame del ricorso incidentale,
benché con esso il ricorrente abbia riproposto la questione di giurisdizione del
TSAP già sollevata nel grado precedente (cfr.: cass. civ., sez. un. sent. 6
marzo 2009, n. 5456).
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'esame di quello,
incidentale.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che
liquida in € 5.200,00, di cui € 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva,
cpa ed altri accessori di legge, in favore dell'A.R.DI.S. ed in € 4.600.00, di
cui 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di
legge, in favore del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Così deliberato in camera di consiglio, in Roma il 21 aprile 2009.
Deposito in Cancelleria il 25 giugno 2009.
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562