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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009), Sentenza n. 15707
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissioni - Art. 674 cod. pen. e art. 844
cod. civ. - Applicabilità - Criteri. Affinché sia configurabile il reato di
cui all'art. 674 cod. pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano
astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la
puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri
fissati dalle norme speciali. Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano
arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia
contenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme
di carattere civilistico contenute nell'art. 844 cod. civ. (cfr. Sez. I,
16/06/2000, Meo; Sez. I, 24/10/2001, Tulipano; Sez. III, 23/01/2004, Pannone;
Sez. III, 19/03/2004, n. 16728, Parodi; Sez. I, 20/05/2004, Invernizzi; Sez. III,
/06/2004, Providenti; Sez. III, 10/02/2005, Montinaro; Sez. III, 21/06/2006,
Bortolato; Sez. III, 26 /10/2006, Gigante; Sez. III, 11/05/2007, Pierangeli;
nonché, con specifico riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, Sez.
I, 14/03/2002, Rinaldi; Sez. I, 12/03/2002, Pagano; Sez. I, 25/11/2003, n.
4192/04, Valenziano). Pres. Lupo, Est. Franco, Ric. Abbaneo. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009), Sentenza n. 15707
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissioni - Presunzione di legittimità -
Criterio - Art. 674 cod. pen. - Configurabilità - Presupposti. Il reato di
cui all'art. 674 cod. pen., non è configurabile nel caso in cui le emissioni
provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e
disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti
dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le
riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del
comportamento. Inoltre, per la sussistenza del reato non è sufficiente il mero
superamento dei limiti di emissione (che sono stati previsti a fini di mera
cautela) ma occorre che sia raggiunta la prova certa ed obiettiva di una
effettiva e concreta idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare
i potenziali soggetti ad esse esposti (Sez. I, 13/10/1999, n. 5592, Pareschi;
Sez. I, 14/10/1999, n. 5626, Cappellieri; Sez. I, 30/01/2002, n. 8102, Suraci;
Sez. I, 12/03/2002, n. 15717, Pagano). Pres. Lupo, Est. Franco, Ric. Abbaneo.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009), Sentenza n.
15707
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissione campi elettromagnetici -
Responsabilità dei singoli soggetti esercenti l'impianto - Accertamento in
concreto - Necessità. In materia di inquinamento elettromagnetico, la
responsabilità dei singoli soggetti esercenti l'impianto non può prescindere da
un accertamento in concreto se i valori totali di campo siano generati o meno da
impianti tutti legittimamente operanti e tutti operanti con potenza conforme a
quella prevista dai rispettivi titoli abilitativi. Solo, se i valori generali di
campo fossero eventualmente generati da impianti operanti illegittimamente o con
potenza superiore a quella assentita, occorrerebbe che l’eventuale riduzione a
conformità venisse disposta senza tener conto degli impianti operanti
illegittimamente (che dovrebbero essere disattivati) e senza tener conto delle
maggiori potenze irradiate rispetto a quelle consentite (che dovrebbero essere
ridotte). In ogni caso, la singola emittente non potrebbe essere ritenuta
responsabile penalmente di campi generati da impianti illegittimi o di potenza
superiore a quella assentita, a meno che non sussista la prova di una volontà
consapevole del soggetto di concorrere con gli impianti illegali nella creazione
di un campo complessivo che ecceda i limiti. Pres. Lupo, Est. Franco, Ric.
Abbaneo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009),
Sentenza n. 15707
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissione campi elettromagnetici che nel loro
complesso superino i limiti di cautela - Piani di risanamento - Legittimità.
In materia di emissioni campi elettromagnetici, emerge, dalla normativa
speciale, che la diffusione da parte di emittenti che rispettino singolarmente i
limiti loro imposti di campi che nel loro complesso superino i limiti di
cautela, determina l’avvio dei piani di risanamento, l’inosservanza delle cui
prescrizioni è sanzionata in via amministrativa. Pres. Lupo, Est. Franco, Ric.
Abbaneo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009),
Sentenza n. 15707
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissione campi elettromagnetici - Reato di
cui all'art. 674 c.p. - Configurabilità - Presupposti. L'emissione di onde
elettromagnetiche può rientrare nell'ambito dell'art. 674 cod. pen., ma il reato
è configurabile soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato
il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti
dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e
concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte,
ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a
seguito di un accertamento da compiersi in concreto di un effettivo pericolo
oggettivo, e non meramente soggettivo (Cass. Sez. III, 13.5.2008, n. 36845,
Tucci). Pres. Lupo, Est. Franco, Ric. Abbaneo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 09/01/2009), Sentenza n. 15707
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - URBANISTICA ED EDILIZIA - ELETTROSMOG - Emissione
campi elettromagnetici - Piano regionale di risanamento o delocalizzazione
Poteri della P.A.. L’autorità amministrativa ha tutti i poteri e le
possibilità per coordinare e regolare le modalità di trasmissione di tutti gli
impianti televisivi e radiofonici che operano in una determinata località, anche
in assenza di un piano regionale di risanamento o delocalizzazione, in quanto le
singole emittenti debbono essere munite dei decreti di concessione del ministero
delle comunicazioni (ora ministero dello sviluppo economico), i quali devono
contenere l’analitica esposizione di tutti i parametri tecnico operativi. Pres.
Lupo, Est. Franco, Ric. Abbaneo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
15/04/2009 (Ud. 09/01/2009), Sentenza n. 15707
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Responsabilità penale - Configurabilità -
Emissione di onde elettromagnetiche - Art. 674 C.P - Responsabilità oggettiva in
campo penale - Limiti - Cooperazione colposa - Concorso di persone nel reato -
Presupposti - Fattispecie. Il nostro ordinamento giuridico prescrive che la
responsabilità penale è personale in conseguenza di dolo o colpa, e non prevede
alcun caso di responsabilità penale obiettiva. Nella specie, appare contra "ius"
attribuire ai singoli soggetti che gestiscono impianti una sorta di
responsabilità oggettiva in campo penale per il fatto che gli impianti, nel loro
complesso, provocano la emissione di onde, che solo per effetto della loro
sinergia superano i limiti prefissati. A meno che ... fosse ipotizzabile un
concorso fra i vari soggetti, e cioè una consapevole volontà di concorrere con
gli altri al superamento dei limiti suddetti o, comunque, una sorta di
cooperazione colposa. Il che presupporrebbe una esplicita previsione normativa,
che vada al di là della semplice fattispecie contravvenzionale ... di cui
all'art. 674 C.P., a nulla rilevando che, in caso di compresenza di più sorgenti
generatrici di campi elettromagnetici che concorrano al superamento dei limiti
di esposizione, sia prevista (si veda la tabella C allegata al D.M. 10.9.1998 n.
381) una "riduzione a conformità" secondo certe formule matematiche. Invero è
evidente che tali prescrizioni ... non possono che avere rilievo esclusivamente
ai fini della irrogabilità delle sanzioni amministrative e non possono avere
l'effetto di personalizzare una responsabilità, che si configura essenzialmente
come oggettiva» (Cass. Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102, Suraci). In ogni caso,
anche a prescindere da queste considerazioni, il concorso di persone nel reato
presuppone condotte poste in essere di comune accordo, ossia una volontà
consapevole di concorrere con altri al superamento dei limiti. Pres. Pres. Lupo,
Est. Franco, Ric. Abbaneo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud.
09/01/2009), Sentenza n. 15707
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UDIENZA 09.01.2009
SENTENZA N.42
REG. GENERALE n. 36172/2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill. mi Signori
Dott. Ernesto LUPO Presidente
Dott. Agostino CORDOVA Consigliere
Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
Dott.ssa Margherita MARMO Consigliere
Dott.ssa Guicla Immacolata MùLLIRI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Abbaneo Filomena, legale rappresentante di Incremento
Finanziario srl e gestore dell'emittente TV Capital;
avverso l'ordinanza emessa il 23 giugno 2008 dal tribunale del riesame di
Pescara;
udita nella udienza in camera di consiglio del 9 gennaio 2009 la relazione fatta
dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Vittorio Meloni, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della ordinanza
impugnata;
Svolgimento del processo
Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Pescara confermò il
decreto del Gip di Pescara in data 21 aprile 2008 di sequestro preventivo degli
impianti radiotelevisivi e delle relative apparecchiature accessorie site in
zona San Silvestro di Pescara, tra cui quello gestito dall'attuale ricorrente,
in relazione al reato di cui all'art. 674 cod. pen. per l'emissione di onde
elettromagnetiche.
Osservò, tra l'altro, il tribunale:
- che l'art. 674 cod. pen. è astrattamente applicabile anche alla ipotesi di
emissione di onde elettromagnetiche;
- che nella specie l'emittente in questione aveva contribuito al superamento dei
valori limite, perché le analisi effettuate dall'ARTA avevano indicato
l'emittente stessa tra quelle da ridurre a conformità;
- che era irrilevante la circostanza che il valore di emissione singolarmente
prodotto dalla emittente in questione non superasse i limiti di legge, perché
con la imputazione provvisoria era stato contestato ai titolari di tutte le
emittenti di produrre in concorso ed in cooperazione tra loro onde
elettromagnetiche superiori ai limiti di legge;
- che peraltro tale tematica involge l'elemento soggettivo del reato che deve
essere approfondito in sede di merito, mentre l'attuale ricorrente era
sicuramente a conoscenza della problematica insorta da tempo nella zona di San
Silvestro;
- che non vi era motivo per ritenere che alcuna delle emittenti interessate
esercitasse abusivamente o in violazione della autorizzazione;
- che vi era anche l'attitudine ad offendere o molestare le persone perché le
onde elettromagnetiche, qualora siano superiori ai limiti di legge, presentano
di per se stesse una potenzialità dannosa per la salute, perché altrimenti non
si spiegherebbe la previsione di un limite normativo;
- che dunque il superamento del limite pone una presunzione "ex lege" in
ordine alla effettività del pericolo;
- che in ogni caso, anche volendo seguire la diversa interpretazione secondo cui
non si tratta di reato di pericolo astratto, l'accertamento di un pericolo
concreto non ha alcun rilievo nella adozione di un sequestro preventivo, per la
quale è sufficiente la astratta sussumibilità del fatto nella fattispecie di
reato contestata;
- che sussiste anche il "periculum in mora" perché, benché all'emittente
fosse stato notificato fin dal 2003 l'avvio del procedimento di irrogazione
della sanzione amministrativa, le emissioni erano risultate superiori al valore
ritenuto conforme dall'ARTA.
L'indagata propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità perché
l'udienza di riesame si è svolta sebbene non fosse stato dato avviso
all'indagata.
2) vizio assoluto di motivazione perché il tribunale non ha risposto alle
eccezioni sollevate con l'istanza in ordine alla mancanza del "fumus" e
delle esigenze cautelari, con cui si evidenziava che i verbalizzanti, in sede di
sequestro, avevano dato atto che i valori di campo elettromagnetico generati
dall'impianto rientravano tra quelli ritenuti auspicabili per pervenire a un
campo totale non inquinante; con la conseguenza che nulla giustificava la
permanenza del sequestro.
3) erronea applicazione dell'art. 674 cod. pen. e carenza del "fumus" del
reato; erronea applicazione degli artt. 321 e 125 cod. proc. pen. e carenza del
"fumus" del reato e vizio assoluto di motivazione sul punto. Osserva che
il tribunale del riesame ha ritenuto che il reato di cui all'art. 674 cod. pen.
sia un reato di pericolo astratto o presunto e quindi non ha motivato sulla
presenza di una effettiva situazione di pericolo. Si tratta di un assunto
erroneo perché l'art. 674 prevede un reato di pericolo concreto. Dallo stesso
fatto che per il solo superamento dei limiti sono previste sanzioni
amministrative deriva che di per sé il superamento può non integrare il reato.
4) violazione di legge penale e processuale per carenza del "fumus" del
reato; insussistenza del preteso esonero dell'obbligo di motivazione e mancanza
assoluta della stessa. Lamenta che erroneamente il tribunale ha ritenuto
irrilevante in sede cautelare la questione sulla natura di reato di pericolo
astratto o concreto sostenendo quindi la tesi che in sede cautelare ogni
pericolo sarebbe presunto, e che in tale sede i reati di pericolo concreto vanno
trattati come reati di pericolo presunto. Al contrario, la motivazione era
necessaria perché attinente ad un punto essenziale, mentre la sua mancanza
determina nullità.
Invero, in sede di riesame di misura reale la fattispecie deve essere
rappresentata in tutti i suoi elementi, perché è su tale rappresentazione che
avviene il controllo del riesame. Tanto più che nel processo non si è evocato
alcun pericolo effettivo.
5) erronea applicazione dell'art. 674 cod. pen. perché nella condotta del
gettare cose non può rientrare l'emissione di onde elettromagnetiche, a meno di
non effettuare una inammissibile applicazione analogica della norma penale.
6) erronea applicazione degli artt. 674, 110, 113 cod. pen., 125 cod. proc. pen.
perché concorso di persone e cooperazione colposa richiedono un concerto di
volontà. Osserva che il tribunale ha riconosciuto che le emissioni della
emittente del ricorrente sono sotto la soglia e quindi conformi alla norma. Ma
ha ritenuto irrilevante questa circostanza perché con la imputazione provvisoria
è stato contestato il concorso e la cooperazione tra tutte le emittenti le cui
emissioni globalmente supererebbero i limiti. Sennonché sia il concorso di
persone nel reato sia la cooperazione colposa presuppongono condotte poste in
essere di comune accordo, mentre né nel decreto né nell'ordinanza non vi è
alcuna enunciazione di un così inverosimile accordo che sarebbe intercorso tra i
rappresentanti di decine di emittenti, pubbliche e private, nazionali e locali,
ciascuna delle quali dotata di un proprio impianto di diffusione. Vi è quindi
vizio assoluto di motivazione sul punto.
7) erronea applicazione degli artt. 674 e 51 cod. pen. (perché la concessione
ministeriale alla radiodiffusione attribuisce il potere-dovere di
radiodiffondere nel rispetto delle prescrizioni dell'atto concessorio) nonché
delle leggi 223/90, 422/93, 112/04, d. lgs. 177/05. Osserva che per legge esiste
un centro unico decisionale sulle modalità di trasmissione di tutti gli
impianti, pubblici e privati, televisivi e radiofonici, esistenti in zona, ed è
costituito dal ministero delle comunicazioni che ha rilasciato alle singole
emittenti i decreti di concessione, i quali per legge contengono analitica
esposizione di tutti i parametri tecnico-operativi. Né il decreto né l'ordinanza
enunciano alcuna violazione delle concessioni ministeriali. L'esercizio
dell'impianto nel rispetto della concessione non può costituire reato perché la
concessione attribuisce un diritto ed impone anche il dovere di rispettare la
volontà dell'ente concedente.
8) erronea applicazione degli artt. 41 e 43 cod. pen. (nesso eziologico, colpa)
e dell'art. 125 cod. proc. pen. (l'evento di reato consegue a condotta
colpevole; l'omessa adozione del piano di risanamento ex l. 36/01 è tale, se
legata eziologicamente al conseguente inquinamento elettromagnetico). Osserva
che la legge 36/01 attribuisce alle regioni, in coordinamento col ministero
competente, di adottare, in riferimento ai siti per i quali il livello
complessivo delle emissioni superi la soglia di cautela, piani di
delocalizzazione o di risanamento che possono prevedere anche interventi sugli
impianti. Né il decreto né l'ordinanza hanno dato conto di alcuna violazione del
piano di risanamento, e ciò per la ragione che esso non è mai stato adottato
dalla regione Abruzzo. Anzi, l'ordinanza impugnata afferma espressamente che il
sequestro è finalizzato alla cessazione della attività fino alla adozione del
programmato piano di risanamento. Si verifica quindi che la regione Abruzzo ed
il ministero restano esenti da censura mentre vengono colpite le emittenti per
non aver attuato un piano che non c'è. Sembra invece che l'omessa adozione del
piano di risanamento possa costituire condotta colposa dei funzionari pubblici
preposti, in sé sufficiente a cagionare l'evento.
9) erronea applicazione degli artt. 674 cod. pen. e 125 cod. proc. pen.;
concorso di cause indipendenti; omessa enunciazione, omessa motivazione o
motivazione apparente. Osserva che se anche le onde elettromagnetiche possono
rientrare nella nozione di cose, è erroneo ritenere cosa il campo
elettromagnetico, che è invece l'effetto combinato della pluralità delle
emissioni di onde esistenti in un certo sito. In ogni caso ad essere gettato non
è il campo, ma le onde che concorrono a determinarlo. Occorre quindi sempre
verificare la significatività e rimproverabilità dell'apporto individuale nella
formazione del campo. Potrebbe quindi esserci un campo elettromagnetico
inquinato e uno o più apporti a questo campo non censurabili, perché rientranti
nei limiti di legge. La contestazione quindi avrebbe dovuto essere formulata in
termini di concorso di cause colpose indipendenti, per poi investigare la
conformità delle singole emissioni ai parametri di concessione. Sul punto manca
qualsiasi motivazione. E l'unica motivazione è meramente apparente laddove fa
riferimento ad una ordinanza del sindaco, in quanto spetta al giudice penale
enunciare il profilo di responsabilità non potendo certo lo stesso essere
determinato sulla base della ordinanza di un sindaco.
10) erronea applicazione dell'art. 674 cod. pen. nonché della l.36/01 e del d.m.
381/98. Ricorda che i limiti di esposizione e i limiti di cautela sono fissati
nel d.m. 381/98, mentre è demandato alle regioni l'adozione di piani di
risanamento a spese dei titolari degli impianti, stabilendo le relative
modalità. Inoltre, dall'art. 15 della l. 36/01, che stabilisce le sanzioni
amministrative salvo che il fatto non costituisca reato, emerge chiaramente che
il reato non può consistere nel solo superamento dei limiti, già sanzionato in
via amministrativa. Del resto, il superamento dei limiti da parte del complesso
delle emittenti non è guardato dal legislatore come indice di pericolosità per
la popolazione, perché altrimenti si sarebbe ordinata la immediata
disattivazione di tutti gli impianti e non si sarebbe invece previsto un
adeguamento graduale entro il termine di 24 mesi. Nella specie quindi non può
ravvisarsi un pericolo e nemmeno potrebbe ravvisarsi un illecito amministrativo,
perché gli impianti preesistenti devono essere oggetto di piani di risanamento,
fino alla cui adozione non sono previsti interventi ad iniziativa delle singole
emittenti.
11) erronea applicazione degli artt. 674 e 43 cod. pen. e 125 cod. proc. pen.
perché se il campo elettromagnetico totale ha superato i limiti tutte le
emittenti hanno concorso a causare l'evento. Però una condotta è penalmente
censurabile quando sia anche antigiuridica e colpevole. Erroneamente il
tribunale del riesame ha ritenuto che la questione sullo elemento psicologico
del reato sia riservata al giudizio di merito, perché se così fosse ne
deriverebbe lo stesso trattamento cautelare ai reati dolosi e a quelli colposi e
persino l'adozione di misure cautelari in mancanza di colpevolezza. E' poi
meramente apparente la motivazione secondo cui il dolo si evincerebbe dalla
consapevolezza che il sito è pieno di emittenti perché un sito inquinato non si
riduce riducendo il numero delle emittenti, ma adeguando tutte le emittenti a
determinati parametri.
12) carenza delle esigenze cautelari e vizio assoluto di motivazione. Osserva
che con l'istanza di riesame aveva evidenziato che il valore ritenuto conforme
dall'ARTA non si era tradotto in istruzioni operative e non era mai stato
notificato alla ricorrente. Il tribunale non motiva sul punto e sottolinea
invece l'esorbitanza del campo elettromagnetico rispetto a quello auspicabile
sulla base di un calcolo successivo nel tempo, e mai notificato alla ricorrente.
Motivi della decisione
Gran parte delle questioni sollevate con il ricorso sono già state esaminate e
decise da questa Sezione con la sentenza 13.5.2008, n. 36845, Tucci, con
soluzioni che il Collegio condivide e che ritiene dunque di confermare,
rinviando a tale sentenza per una motivazione più approfondita.
Con la decisione richiamata, si è innanzitutto stabilito che è giuridicamente
possibile e corretta una interpretazione che inquadri il fenomeno della
emissione e della propagazione di onde elettromagnetiche nella fattispecie
dell'art. 674 cod. pen., perché tale inquadramento costituisce il risultato di
una mera interpretazione estensiva della disposizione e non di una (non
consentita in campo penale) applicazione analogica.
Ed infatti, sebbene la tesi contraria si poggi su argomentazioni dotate
anch'esse di una certa solidità, deve preferirsi la soluzione ermeneutica della
configurabilità del reato di cui all'art. 674 cod. pen., dal momento che nulla
osta a che il termine «cosa», già di per sé ampiamente generico ed idoneo ad
esprimere una pluralità di significati, comprenda anche le energie, che sono
pacificamente dotate, al pari delle "res qui tangi possunt", di fisicità
e di materialità e che dunque, sia per la loro attitudine ad essere misurate,
percepite ed utilizzate sia per la loro individualità fisica, ben possono essere
considerate «cose». D'altra parte, già l'art. 624, comma 2, cod. pen. stabilisce
che, agli effetti della legge penale, si considera «cosa mobile» anche l'energia
elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico. L'ampiezza della
clausola porta a ritenere che la previsione normativa non sia limitata ai soli
reati contro il patrimonio, ed a tale estensione non è di ostacolo il fatto che,
in alcune specifiche disposizioni penali, la parola «cosa» possa essere riferita
alle sole cose materiali, "quae tangi possunt". Del resto, le onde
elettromagnetiche sono sicuramente suscettibili di valutazione economica. Va
inoltre considerato che la giurisprudenza civile ha da tempo affermato il
principio che è esperibile la tutela possessoria con riguardo alle onde
elettromagnetiche di cui si avvalgono le emittenti radiotelevisive, in quanto
dette onde costituiscono una forma di energia materiale e quantificabile, da
considerarsi pertanto come un bene mobile economico, che può essere utilizzato
direttamente dalla azienda produttrice e può essere anche ceduto a terzi. Si
tratta poi di una cosa che è suscettibile di essere, come tale, anche gettata,
dal momento che il verbo «gettare», usato dal legislatore per descrivere la
materialità della condotta prevista dall'art. 674 cod. pen., ha anch'esso in
italiano un significato ampio, e non indica soltanto l'azione di lanciare
qualcosa in qualche luogo, ma anche quella del mandar fuori, emettere,
espellere, che ben può ricomprendere il fenomeno della emissione e propagazione
delle onde elettromagnetiche.
Quindi, tenendo conto non solo del significato proprio delle singole parole, ma
anche di quello derivante dalla loro connessione deve ritenersi che
l'espressione «gettare una cosa» può essere di per sé idonea ad includere anche
l'azione di chi emette o propaga onde elettromagnetiche.
La decisione citata ha poi evidenziato che da una corretta interpretazione della
disposizione di cui all'art. 674 cod. pen. nel suo insieme e nelle sue
connessioni con la legislazione speciale, non può allo stato ricavarsi una
volontà oggettiva ed attuale del legislatore nel senso che esso abbia inteso
sottoporre il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche esclusivamente
ad una disciplina speciale, diversa da quella relativa al «getto pericoloso di
cose».
Si è invero innanzitutto precisato che l'espressione «nei casi non consentiti
dalla legge» (contenuta nella seconda parte dell'art. 674 cod. pen. in relazione
alla ipotesi di emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti ad offendere o
imbrattare o molestare persone) costituisce una precisa indicazione della
necessità che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore
socialmente utile e per tale motivo prevista e disciplinata, per potersi
configurare il reato l'emissione avvenga in violazione delle norme o
prescrizioni di settore che regolano la specifica attività. La norma contiene
infatti una sorta di presunzione di legittimità, ai fini penali, delle emissioni
di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in
materia. Pertanto, perché sia configurabile il reato di cui all'art. 674 cod.
pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee
ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la puntuale e specifica
dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri fissati dalle norme
speciali. Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano arrecato concretamente
offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia contenute nei limiti di
legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di carattere civilistico
contenute nell'art. 844 cod. civ. (cfr. Sez. I, 16 giugno 2000, Meo, m. 216621;
Sez. I, 24 ottobre 2001, Tulipano, m. 220.678; Sez. III, 23 gennaio 2004,
Pannone, m. 228010; Sez. III, 19 marzo 2004, n. 16728, Parodi; Sez. I, 20 maggio
2004, Invernizzi, m. 229170; Sez. III, 18 giugno 2004, Providenti, m. 229619;
Sez. III, 10 febbraio 2005, Montinaro, m. 230982; Sez. III, 21 giugno 2006,
Bortolato, m. 235056; Sez. III, 26 ottobre 2006, Gigante; Sez. III, 11 maggio
2007, Pierangeli, m. 236682; nonché, con specifico riferimento alla emissione di
onde elettromagnetiche, Sez. I, 14 marzo 2002, Rinaldi, m. 221.653; Sez. I, 12
marzo 2002, Pagano, m. 221.362; Sez. I, 25 novembre 2003, n. 4192/04, Valenziano,
non massimata).
Il reato di cui all'art. 674 cod. pen., dunque, non è configurabile nel caso in
cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una
attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute
nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti
amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di
legittimità del comportamento.
Ora, sulla base di una interpretazione adeguatrice (che eviti una disciplina
manifestamente irrazionale ed una palesemente ingiustificata disparità di
trattamento, dato che l'elemento che caratterizza e giustifica la previsione
speciale è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile e quindi
disciplinata, e non già dalla natura dell'oggetto dell'emissione) deve ritenersi
che il principio appena richiamato non si applichi esclusivamente alle emissioni
di gas, vapori o fumo, ma anche all'ipotesi di emissione di onde
elettromagnetiche. E ciò innanzitutto perché deve ritenersi che l'art. 674 cod.
pen. preveda in realtà un unico ed unitario reato, nel quale la seconda ipotesi
non è altro che una specificazione della prima ipotesi, caratterizzata non tanto
dal particolare oggetto dell'emissione (gas, vapori, fumo) quanto piuttosto
dalla circostanza che è possibile che l'attività pericolosa (l'emissione),
essendo socialmente utile, sia disciplinata dalla legge o da un provvedimento
dell'autorità, e che in tal caso il reato è configurabile esclusivamente quando
essa non sia consentita, ossia quando siano superati i limiti previsti per la
specifica attività. In ogni caso, anche ritenendo che le due ipotesi di cui
all'art. 674 cod. pen. siano distinte e separate, alla fattispecie della
emissione di onde elettromagnetiche ben può applicarsi, in via analogica, il
principio, desumibile dalla seconda ipotesi, secondo cui il comportamento deve
presumersi legittimo ed il reato non sussiste quando si tratta di attività
regolamentata e non siano superati i limiti tabellari. Si tratterebbe infatti di
analogia "in bonam partem", e quindi non vietata, e di cui sussistono i
presupposti di applicabilità, in quanto la qualità comune ad entrambe le ipotesi
(attività regolamentata e non superamento dei limiti) costituisce la ragione
sufficiente per cui al caso regolato è stata data quella disciplina.
In conclusione, anche nel caso di emissione di onde elettromagnetiche, il
presupposto necessario perché sia eventualmente integrato il reato di cui
all'art. 674 cod. pen. è comunque quello del superamento da parte della singola
emittente dei limiti previsti dalle specifiche norme di settore, mentre deve
invece escludersi ogni illiceità penale qualora le immissioni si siano mantenute
nei limiti fissati dalla normativa vigente e qualora il soggetto si sia adeguato
alle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi o concessori che lo
riguardano.
Come è noto, i parametri normativi di riferimento sono attualmente stabiliti dal
D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381; dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, il quale ha
abrogato il precedente d.p.c.m. 23 aprile 1992 (recante Limiti massimi di
esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale
nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno); e dal
d.P.C.M. 8 luglio 2003 (recante Fissazione dei limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della
popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz).
La normativa speciale prevede dei «limiti di esposizione» e dei «valori di
attenzione». In particolare, i «limiti di esposizione» sono intesi come «valori
efficaci», ossia i valori di immissione, definiti ai fini della tutela della
salute da effetti acuti, che non devono essere superati in alcuna condizione di
esposizione; mentre i «valori di attenzione» rappresentano misure di cautela e
sono i valori che non devono essere superati negli ambienti abitativi,
scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate, ed in particolare sono
predisposti «a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili
effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi
generati alle suddette frequenze all'interno di edifici adibiti a permanenze non
inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano
fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i
lastrici solari» (art. 3 legge 22 febbraio 2001, n. 36; art. 3 del secondo dei
suddetti d.p.c.m. 8 luglio 2003).
Per l'eventuale integrazione della contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen.,
è dunque in ogni caso necessario che sia oggettivamente provato, con le
prescritte modalità, il superamento dei suddetti limiti di esposizione o dei
valori di attenzione.
Peraltro, va anche ricordato che il legislatore, con la legge 22 febbraio 2001,
n. 36, ha posto una specifica disciplina di settore, contenente una completa
regolamentazione del fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche, con la
previsione di un severo ed articolato apparato sanzionatorio amministrativo,
anche per il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione
oltre che per la violazione delle altre regale. Analogamente a quanto già
avvenuto in materia di inquinamento atmosferico (v. Sez. III, 23 gennaio 2004,
n. 9757, Pannone; Sez. III, 21 giugno 2006, n. 33971, Bortolato), la volontà del
legislatore è stata chiaramente quella di privilegiare, anche nella tutela della
salute contro i pericoli derivanti dalla creazione di campi elettromagnetici, il
ruolo della pubblica amministrazione, limitando il potere di intervento del
giudice penale rispetto a quello in precedenza riconosciutogli da alcuni
orientamenti giurisprudenziali. Non può tuttavia ritenersi che la oggettiva
attuale volontà del legislatore sia anche quella di escludere del tutto
l'applicabilità dell'art. 674 cod. pen. L'art. 15 della citata legge n. 36/2001,
ha introdotto un articolato apparato sanzionatorio amministrativo, ed in
particolare ha sanzionato rigorosamente le emissioni elettromagnetiche eccedenti
i limiti fissati dall'autorità, stabilendo, al comma 1, che «salvo che il fatto
costituisca reato, chiunque nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente o di
un impianto che genera campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici superi i
limiti di esposizione ed i valori di attenzione di cui ai decreti del Presidente
del Consiglio dei ministri previsti dall'articolo 4, comma 2, e ai decreti
previsti dall'articolo 16 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da lire 2 milioni a lire 600 milioni (da € 1.032 ad € 309.874)».
Con la stessa sanzione è punito chi ha in corso di attuazione piani di
risanamento e non rispetti i tempi e i limiti ivi previsti, mentre il successivo
comma 2 sanziona la violazione delle misure di tutela previste dall'art. 5,
primo comma. Il comma 3 dispone poi che, salvo che il fatto costituisca reato,
le sanzioni di cui ai commi 1 e 2 sono irrogate dalle autorità competenti, sulla
base degli accertamenti effettuati dalle autorità abilitate ai controlli ai
sensi dell'art. 14; mentre il comma 4 stabilisce che, in caso di inosservanza
delle prescrizioni previste dall'autorizzazione, dalla concessione o dalla
licenza per l'installazione e l'esercizio degli impianti disciplinati dalla
legge, si applica la sanzione della sospensione, da due a quattro mesi, degli
atti autorizzatori suddetti, e la loro revoca in caso di nuova infrazione.
Ora, con la decisione in precedenza richiamata, si è osservato che è possibile
ammettere, in via interpretativa, una coesistenza tra contravvenzione
codicistica ed apparato sanzionatorio speciale, soprattutto perché l'art. 674
cod. pen. deve essere configurato come un reato di pericolo concreto e non già
come un reato di pericolo astratto.
Secondo la tesi seguita anche dalla ordinanza impugnata, invero, sarebbe
sufficiente il solo superamento dei limiti tabellari per dar luogo ad una
possibilità di offesa o di molestia alle persone, se non altro sotto il profilo
del turbamento per il timore di possibili conseguenze negative derivanti da tale
superamento. Si tratterebbe quindi di reato di mero pericolo, essendo
sufficiente la mera attitudine ad offendere o molestare beni primari delle
persone, come quello della salute. E sarebbe stato lo stesso legislatore, con la
legge n. 36 del 2001, ad avere riconosciuto che l'esposizione a determinati
livelli di campi elettromagnetici possa costituire un pericolo per le persone,
anche a prescindere dal fatto che lo stato attuale della scienza non ha ancora
accertato la nocività delle onde elettromagnetiche, anche se non la ha esclusa.
Vi sarebbe quindi una presunzione "ex lege" in ordine alla effettività
del pericolo di nocività delle emissioni, che dovrebbe ritenersi sussistente per
il solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente
in materia.
Sennonché, se così fosse, ne dovrebbe derivare l'automatica esclusione
dell'applicabilità delle sanzioni amministrative, dal momento che l'art. 15,
comma 1, cit. stabilisce che il superamento dei limiti di esposizione o dei
valori di attenzione è punito con le sanzioni ivi previste «salvo che il fatto
costituisca reato». E' però evidente come non possa presumersi che il
legislatore abbia voluto punire con (pesanti) sanzioni amministrative il
superamento dei limiti ed, al tempo stesso, abbia voluto escludere qualsiasi
spazio per l'applicabilità di tali sanzioni. Dovrebbe quindi interpretarsi
l'attuale ed oggettiva volontà del legislatore nel senso della esclusione
dell'emissione di onde elettromagnetiche dall'ambito di operatività dell'art.
674 cod. pen. e della loro sottoposizione esclusivamente alla disciplina
speciale (salvo che il fatto integri reati diversi). Del resto, anche qualora
fosse possibile - al di là della clausola di riserva contenuta nell'art. 15 cit.
e del principio generale fissato dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n.
689 - un concorso di norme e la contemporanea applicabilità della sanzione
penale e di quelle amministrative, non potrebbe presumersi razionalmente una
volontà del legislatore che configura un articolato sistema di illeciti
amministrativi con le relative rilevanti sanzioni per lo stesso identico fatto
che il medesimo legislatore vuole (continuare a) sanzionare penalmente con
l'art. 674 cod. pen.
Pertanto, in tanto può ritenersi che l'emissione delle onde elettromagnetiche
rientri anche nell'art. 674 cod. pen., in quanto si ritenga che illecito penale
ed illecito amministrativo si differenzino almeno per un qualche aspetto, ossia
che la fattispecie penale richieda, per la sua integrazione, la presenza almeno
di un qualche elemento ulteriore e diverso rispetto all'illecito amministrativo,
e cioè rispetto al solo superamento dei limiti tabellari.
Deve quindi seguirsi il diverso e maggioritario orientamento - del resto più
conforme non solo alla oggettiva ed attuale volontà del legislatore, ma anche al
principio di necessaria offensività della fattispecie penale - secondo cui per
la sussistenza del reato non è sufficiente il mero superamento dei limiti di
emissione (che sono stati previsti a fini di mera cautela) ma occorre che sia
raggiunta la prova certa ed obiettiva di una effettiva e concreta idoneità delle
onde elettromagnetiche a ledere o molestare i potenziali soggetti ad esse
esposti (Sez. I, 13 ottobre 1999, n. 5592, Pareschi; Sez. I, 14 ottobre 1999, n.
5626, Cappellieri; Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102, Suraci; Sez. I, 12 marzo
2002, n. 15717, Pagano).
In conclusione, il principio di diritto affermato dalla citata sent. Sez. III,
13.5.2008, n. 36845, Tucci, è che l'emissione di onde elettromagnetiche può
rientrare nell'ambito dell'art. 674 cod. pen., ma il reato è configurabile
soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento
dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme
speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità
delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in
astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un
accertamento da compiersi in concreto di un effettivo pericolo oggettivo, e non
meramente soggettivo.
Ora, l'ordinanza impugnata sembrerebbe avere formalmente aderito ai suddetti
principi di diritto (laddove afferma preliminarmente che per configurare il
reato non è sufficiente il solo superamento dei limiti di tollerabilità
necessitando anche l'attitudine ad offendere o molestare le persone), ma nella
sostanza li ha poi disattesi sotto diversi profili.
Innanzitutto, essa ha aderito alla tesi del reato di pericolo astratto,
affermando che le emissioni di onde elettromagnetiche sarebbero idonee a porre
in pericolo la salute delle persone per il solo fatto di superare i limiti di
legge, ossia che, sulla base della legge n. 36/2001, il solo superamento dei
limiti porrebbe una presunzione "ex lege" in ordine alla effettività del
pericolo. Sennonché, come si è dianzi evidenziato, si tratta invece di reato di
pericolo concreto, per la cui sussistenza non è sufficiente il solo superamento
dei limiti di emissione, ma occorre la prova certa ed obiettiva di una effettiva
e concreta idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare i
potenziali soggetti ad esse esposti. Sull'esistenza nel caso di specie almeno
del "fumus" di tale concreta ed effettiva idoneità lesiva, manca
qualsiasi motivazione.
L'ordinanza impugnata peraltro afferma che, anche aderendo alla tesi del reato
di pericolo concreto, un effettivo accertamento della concreta idoneità lesiva
delle emissioni sarebbe necessario soltanto in sede di cognizione ai fini di una
eventuale sentenza di condanna e non anche ai fini della adozione di un decreto
di sequestro preventivo, per la cui adozione sarebbe sufficiente solo la
sussistenza del "fumus commissi delicti", ossia la astratta sussumibilità
del fatto nella fattispecie di reato ipotizzata. Ora - a parte che quest'ultima
affermazione è stata negli ultimi anni superata e precisata da innumerevoli
decisioni di questa Corte, le quali hanno specificato che non è sufficiente tale
sussumibilità astratta, occorrendo invece che, sulla base di tutti gli elementi
evidenziati dalle parti, sia in concreto sussistente il "fumus" del reato
- la tesi secondo cui l'esistenza di un pericolo concreto sarebbe irrilevante in
sede cautelare non può evidentemente essere condivisa. Basta in proposito il
rilievo che la presenza di una concreta ed effettiva idoneità a ledere i
soggetti esposti rappresenta un elemento costitutivo del reato, e quindi non
può, nemmeno in sede cautelare, affermarsi sussistente il "fumus" del
reato se non si dimostra, con adeguata motivazione, sussistente quanto meno il
"fumus" anche di questo elemento, ossia di una concreta ed effettiva
idoneità lesiva.
Ma ancor prima l'ordinanza impugnata è totalmente carente di motivazione anche
sull'accertamento di un effettivo superamento dei limiti tabellari da parte
dell'attuale ricorrente. Il tribunale del riesame ha invero ritenuto che tale
accertamento, con riferimento alle emissioni riconducibili specificamente
all'attuale ricorrente, sarebbe irrilevante in quanto il reato sarebbe
ugualmente configurabile, anche qualora i limiti non fossero stati superati,
perché comunque i limiti erano stati superati dal complesso delle onde
elettromagnetiche emesse dalla totalità delle emittenti esistenti nel sito di
San Silvestro, e perché all'indagata era stato contestato appunto di avere,
unitamente ai titolari delle altre emittenti, prodotto, in concorso o in
cooperazione tra loro, onde elettromagnetiche superiori ai limiti di legge.
Anche questa opinione non può però essere condivisa.
Innanzitutto, invero, va ricordato il principio che il reato di cui all'art. 674
cod. pen. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una
attività regolarmente autorizzata o da una attività, prevista e disciplinata da
atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di
settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui
rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento. Nella specie
è pacifico che la ricorrente svolgeva una attività regolarmente autorizzata da
specifici provvedimenti amministrativi e comunque una attività prevista e
disciplinata da atti normativi speciali, contenenti precise prescrizioni circa i
limiti di emissione. Ne deriva che se la ricorrente non avesse violato le
prescrizioni o superato i limiti fissati dalle disposizioni normative o dagli
specifici provvedimenti autorizzativi, il suo comportamento avrebbe dovuto
essere qualificato come penalmente lecito e l'eventuale idoneità delle emissioni
ad arrecare offesa o molestia non sarebbe stata di per sé sufficiente ad
integrare il reato, nemmeno sotto il profilo del "fumus". Era quindi
indispensabile in proposito uno specifico accertamento, sorretto da adeguata
motivazione.
Né, nel caso di specie, il "fumus" del reato può ritenersi sussistente
sotto il profilo di un concorso o di una cooperazione colposa tra la ricorrente
ed i titolari degli altri impianti esistenti nel sito di San Silvestro.
Va invero ricordato che in un caso del tutto simile (ossia di superamento dei
limiti del campo complessivo frutto della compresenza nello stesso posto di
numerose emittenti) questa Corte ha affermato (Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102,
Suraci) che «il nostro ordinamento giuridico prescrive che la responsabilità
penale è personale in conseguenza di dolo o colpa, e non prevede alcun caso di
responsabilità penale obiettiva. Appare quindi contra "ius" attribuire ai
singoli soggetti che gestivano gli impianti una sorta di responsabilità
oggettiva in campo penale per il fatto che i predetti impianti, nel loro
complesso, provocavano la emissione di onde, che solo per effetto della loro
sinergia superavano i limiti prefissati. A meno che ... fosse ipotizzabile un
concorso fra i vari soggetti, e cioè una consapevole volontà di concorrere con
gli altri al superamento dei limiti suddetti o, comunque, una sorta di
cooperazione colposa. Il che presupporrebbe una esplicita previsione normativa,
che andasse al di là della semplice fattispecie contravvenzionale ... di cui
all'art. 674 C.P., a nulla rilevando che, in caso di compresenza di più sorgenti
generatrici di campi elettromagnetici che concorrano al superamento dei limiti
di esposizione, sia prevista (si veda la tabella C allegata al D.M. 10.9.1998 n.
381) una "riduzione a conformità" secondo certe formule matematiche. Invero è
evidente che tali prescrizioni ... non possono che avere rilievo esclusivamente
ai fini della irrogabilità delle sanzioni amministrative e non possono avere
l'effetto di personalizzare una responsabilità, che si configura essenzialmente
come oggettiva».
In ogni caso, anche a prescindere da queste considerazioni, il concorso di
persone nel reato presuppone condotte poste in essere di comune accordo, ossia
una volontà consapevole di concorrere con altri al superamento dei limiti. Ora,
sull'esistenza nel caso di specie di tale accordo o di tale consapevole volontà
nella ordinanza impugnata vi è assoluta carenza di motivazione.
Del resto, manca nella ordinanza impugnata qualsiasi motivazione anche in ordine
ad una eventuale configurabilità di una cooperazione colposa o di un concorso di
cause colpose indipendenti, non tanto sotto il profilo del nesso di causalità
quanto piuttosto sotto quello della colpa della singola emittente. Invero, in
tema di cooperazione nel delitto colposo, perché la condotta di ciascun
concorrente risulti rilevante ai sensi dell'art. 113 cod. pen. occorre che essa,
singolarmente considerata, violi la regola di cautela, e che tra le condotte
medesime esista un legame psicologico (Sez. IV, 10.3.2005, Budano, m. 232611),
mentre è raffigurabile il concorso di cause colpose indipendenti nell'ipotesi in
cui più soggetti contribuiscono colposamente a cagionare l'evento, senza la
consapevolezza di contribuire alla condotta altrui (Sez. IV, 30.3.2004,
Casciotti, m. 230280). In entrambe le ipotesi, dunque, è necessario che la
condotta del singolo soggetto sia qualificabile come colposa. Nel caso in esame,
per le ragioni dianzi indicate, la condotta dell'indagata in tanto avrebbe
potuto ritenersi colposa in quanto le sue emissioni avessero superato i limiti
previsti dagli specifici provvedimenti amministrativi o dalle leggi speciali,
mentre qualora le emissioni si fossero mantenute al di sotto di detti limiti il
comportamento avrebbe dovuto considerarsi come lecito e quindi non colposo. E'
pertanto totalmente mancante anche la motivazione sulla sussistenza del "fumus"
di una cooperazione colposa o di un concorso di cause colpose indipendenti.
E sotto questo profilo è inconferente l'affermazione della ordinanza impugnata
secondo cui in sede cautelare non occorrerebbe accertare la sussistenza
dell'elemento psicologico del reato. Non occorre qui affrontare questo tema
perché anche l'orientamento giurisprudenziale che ritiene estranea all'adozione
della misura cautelare la verifica della sussistenza dell'elemento psicologico,
precisa che occorre pur sempre il "fumus" della presenza di un reato che
risulti sussistere in concreto (Sez. 1, 4.4.2006, Bonura, m. 234212), mentre il
mancato superamento da parte della singola emittente dei limiti previsti dalla
legge o dal provvedimento amministrativo implica la mancanza di un elemento
costitutivo del reato, più che dell'elemento psicologico dello stesso. E ciò
senza tener conto che proprio in tema di emissioni radiotelevisive da parte di
soggetti concessionari ed in relazione al reato di danneggiamento, questa Corte
ha ritenuto che «per l'affermazione, sia pure in sede cautelare, della
sussistenza del fatto-reato oggetto dell'imputazione provvisoria, non è
sufficiente il mero dato oggettivo dell'interferenza sui segnali irradiati da
altra emittente nella stessa zona di frequenza, perché esso può essere effetto
di una molteplicità di fattori specie quando le interferenze si abbiano a
verificare in una cosiddetta "zona di confine" tra diverse emittenze; occorre
infatti la verifica dell'elemento psicologico, che consiste nella coscienza e
volontà di distruggere o deteriorare la cosa altrui, e cioè, nella specie, nella
volontà e nella consapevolezza di danneggiare l'energia prodotta dalle onde
radioelettriche di altra emittente» (Sez. II, 27.10.2005, n. 45877, Federico, m.
232783).
D'altra parte, va anche ricordato che la fattispecie della esistenza di campi
elettromagnetici che nel loro complesso superino i limiti legali pur quando le
singole emissioni si mantengono al di sotto dei limiti stessi, era già stata
prevista e disciplinata dal legislatore nell'art. 1, comma 6, lett. a), n. 25
della legge 31 luglio 1997, n. 249, che ha attribuito all'Autorità per le
Garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare sui tetti di radiofrequenze
compatibili con la salute umana e verificare che tali tetti, anche per effetto
congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, stabilendo
altresì che il rispetto di tali indici rappresenta condizione obbligatoria per
le licenze o le concessioni all'installazione di apparati con emissioni
elettromagnetiche.
Il d.m. 10 settembre 1998, n. 381 (emanato in attuazione di detta legge),
prevede poi, all'art. 3, i limiti di esposizione, ed all'art. 4, le misure di
cautela e gli obiettivi di qualità, stabilendo all'art. 5 che "nella zone
abitative... o nelle zone comunque accessibili alla popolazione ove sono
superati i limiti fissati al precedente articolo 3 e all'articolo 4, comma 2,
devono essere attuate azioni di risanamento a carico dei titolari degli
impianti. Le modalità ed i tempi di esecuzione per le azioni di risanamento sono
prescritte dalle Regioni e Province autonome ...», anche in collaborazione con
l'Autorità per le Garanzie nella comunicazioni, mentre la riduzione a conformità
va effettuata con le modalità riportate nell'allegato C.
La legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, che ha per oggetto
gli impianti, i sistemi e le apparecchiature che possano comportare
l'esposizione dei lavoratori e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, ed in particolare
gli elettrodotti e gli impianti radioelettrici compresi gli impianti per
telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione), ha poi attribuito
alle regioni, in coordinamento con il competente ministero, il potere di
adottare, in riferimento ai siti nei quali il livello complessivo delle
emissioni supera le soglie di cautela, piani di risanamento, con onere a carico
dei titolari degli impianti, piani che possono prevedere anche la
delocalizzazione degli impianti ed interventi tecnico-operativi sugli stessi
(art. 9). Come si è già ricordato, l'art. 15 stabilisce poi le sanzioni per chi,
nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente o di un impianto che genera campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici superi i limiti di esposizione ed i
valori di attenzione; nonché per chi ha in corso di attuazione piani di
risanamento, qualora non rispetti i limiti ed i tempi ivi previsti; e per chi
non osservi le prescrizioni previste, ai fini della tutela dell'ambiente e della
salute, dall'autorizzazione, dalla concessione o dalla licenza per
l'installazione e l'esercizio degli impianti.
Quindi - per quanto concerne più specificamente gli impianti di radiodiffusione
sonora e televisiva - è intervenuta, quale disciplina speciale, la legge 20
marzo 2001, n. 66, di conversione del decreto legge 23 gennaio 2001, n. 5
(recante disposizioni urgenti per il risanamento di impianti radiotelevisivi),
la quale ha previsto, con la modifica al testo dell'art. 2, comma 1, che «in
attesa dell'attuazione dei piani di assegnazione delle frequenze di cui
all'articolo 1, gli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva, che
superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti e i valori
stabiliti in attuazione dell'articolo 1, comma 6, lettera a), n. 15), della
legge 31 luglio 1997, n. 249, sono trasferiti, con onere a carico del titolare
dell'impianto, su iniziativa delle regioni e delle province autonome, nei siti
individuati dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in
tecnica analogica e dai predetti piani e, fino alla loro adozione, nei siti
indicati dalle regioni e dalle province autonome, purché ritenuti idonei sotto
l'aspetto radioelettrico dal Ministero delle comunicazioni, che dispone il
trasferimento e, decorsi inutilmente centoventi giorni, d'intesa con il
Ministero dell'ambiente, disattiva gli impianti fino al trasferimento». Il comma
2, del medesimo art. 2, prevede che «Le azioni di risanamento previste
dall'articolo 5 del decreto del Ministro dell'ambiente 10 settembre 1998, n.
381, sono disposte dalle regioni e dalle province autonome a carico dei titolari
degli impianti. I soggetti che non ottemperano all'ordine di riduzione a
conformità, nei termini e con le modalità ivi previsti, sono puniti con la
sanzione amministrativa pecuniaria, con esclusione del pagamento in misura
ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, da lire 50
milioni a lire 300 milioni, irrogata dalle regioni e dalle province autonome. In
caso di reiterazione della violazione, il Ministro dell'ambiente, fatte salve le
disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e di cui
all'articolo 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, di concerto con il Ministro
della sanità e con il Ministro delle comunicazioni, dispone, anche su
segnalazione delle regioni e delle province autonome, la disattivazione degli
impianti, alla quale provvedono i competenti organi del Ministero delle
comunicazioni, fino all'esecuzione delle azioni di risanamento».
Infine, l'art. 28 del d. lgs. 31 luglio 2005, n, 177 (Testo unico della
radiotelevisione) ha stabilito, al comma 1, che «il repertorio dei siti di cui
al piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione
televisiva in tecnica analogica resta utilizzabile ai fini della riallocazione
degli impianti che superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti
e i valori stabiliti ai sensi dell'articolo 4 della legge 22 febbraio 2001, n.
36», ed al comma 7, che «In attesa dell'attuazione dei piani di assegnazione
delle frequenze per la radiodiffusione sonora e televisiva in tecnica digitale e
sonora in tecnica analogica, gli impianti di radiodiffusione sonora e
televisiva, che superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti di
cui al comma 1, sono trasferiti, con onere a carico del titolare dell'impianto,
su iniziativa delle regioni e delle province autonome, nei siti individuati dal
piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica analogica
e dai predetti piani e, fino alla loro adozione, nei siti indicati dalle regioni
e dalle province autonome, purché ritenuti idonei, sotto l'aspetto
radioelettrico dal Ministero, che dispone il trasferimento e, decorsi
inutilmente centoventi giorni, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, disattiva gli impianti fino al trasferimento».
Emerge quindi dalla normativa speciale che la creazione, da parte di emittenti
che rispettino singolarmente i limiti loro imposti, di campi che nel loro
complesso superino i limiti di cautela, determina l'avvio dei piani di
risanamento, l'inosservanza delle cui prescrizioni è (pesantemente) sanzionata
in via amministrativa.
Nella ordinanza impugnata, da un lato, si dà atto che la regione Abruzzo non ha
ancora adottato alcun piano di delocalizzazione o di risanamento ma, dall'altro
lato, manca poi qualsiasi motivazione sulle ragioni per le quali sarebbe
configurabile una responsabilità penale a carico dell'indagata (qualora si sia
mantenuta nei limiti previsti dalle disposizioni normative e dai provvedimenti
autorizzativi e concessori che la riguardano) per non aver rispettato le
previsioni di un piano che ancora non esiste.
D'altra parte, va anche considerato, che anche in assenza di un piano regionale
di risanamento o delocalizzazione, l'autorità amministrativa ha tutti i poteri e
le possibilità per coordinare e regolare le modalità di trasmissione di tutti
gli impianti televisivi e radiofonici che operano in una determinata località,
in quanto le singole emittenti debbono essere munite dei decreti di concessione
del ministero delle comunicazioni (ora ministero dello sviluppo economico), i
quali devono contenere l'analitica esposizione di tutti i parametri tecnico
operativi. Nella specie l'ordinanza impugnata non ipotizza né che la ricorrente
trasmettesse in assenza del provvedimento di concessione né che avesse violato
le prescrizioni ivi contenute.
Inoltre, la procedura prevista dal d.m. 381/1998 e dai successivi d.p.c.m. 8
luglio 2003, oltre che dalle leggi speciali, prevede la previa verifica di tutti
gli impianti esistenti in sito e delle loro condizioni tecnico operative,
eventualmente riportando quelli difformi alle condizioni di concessione e
disattivando quelli abusivi; l'individuazione degli impianti che di per sé soli
sono inquinanti per riportarli nei limiti massimi di campo di 6 V/m;
l'individuazione poi di tutti quelli che apportano un contributo superiore
all'1% del campo consentito ed il calcolo della riduzione di potenza da operare
a tutti gli impianti, in proporzione alla potenza originaria, fino al
raggiungimento del campo totale consentito; ovvero in alternativa l'imposizione
del trasferimento in altro sito più idoneo all'attività di radiodiffusione.
Esattamente quindi alcuni degli indagati hanno osservato che in ogni caso la
responsabilità dei singoli soggetti non poteva prescindere da un accertamento in
concreto - dal tribunale del riesame ritenuto invece irrilevante - se i valori
totali di campo erano generati o meno da impianti tutti legittimamente operanti
e tutti operanti con potenza conforme a quella prevista dai rispettivi titoli
abilitativi. Ed infatti, se i valori generali di campo fossero eventualmente
generati da impianti operanti illegittimamente o con potenza superiore a quella
assentita, occorrerebbe comunque che l'eventuale riduzione a conformità venisse
disposta senza tener conto degli impianti operanti illegittimamente (che
dovrebbero essere disattivati) e senza tener conto delle maggiori potenze
irradiate rispetto a quelle consentite (che dovrebbero essere ridotte). In ogni
caso, la singola emittente non potrebbe essere ritenuta responsabile penalmente
di campi generati da impianti illegittimi o di potenza superiore a quella
assentita, a meno che non sussista la prova - su cui nella specie manca
qualsiasi motivazione - di una volontà consapevole del soggetto di concorrere
con gli impianti illegali nella creazione di un campo complessivo che ecceda i
limiti. Né potrebbe ritenersi che un tale accertamento non sia necessario in
fase cautelare, essendo sempre richiesta la prova del "fumus" della
presenza degli elementi costitutivi del reato e quindi anche del nesso di
causalità.
In conclusione, l'ordinanza impugnata è totalmente carente di motivazione sulla
sussistenza del "fumus" degli elementi costitutivi del reato ipotizzato,
ed in particolare sul superamento dei limiti previsti dalle leggi speciali e dai
provvedimenti amministrativi concernenti l'emittente dell'indagata, nonché
sull'esistenza di una prova certa ed obiettiva di una effettiva e concreta
idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare i potenziali soggetti
ad esse esposti o a produrre nocumento certo per la salute dei medesimi.
L'ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio al tribunale di
Pescara. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. In particolare
l'annullamento con rinvio assorbe la censura relativa al mancato avviso
all'indagata dell'udienza dinanzi al tribunale del riesame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Pescara.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio
2009.
Deposito in Cancelleria il 15/04/2009
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