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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 07/05/2009 (Ud. 24/03/2009), Sentenza n. 19075
DIRITTO URBANISTICO - Violazione di sigilli - Responsabilità del custode -
Presupposti - Reato urbanistico - D.P.R. n. 380/2001.
Qualora sia riscontrata la violazione di sigilli, senza che il custode abbia
avvertito dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia
opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo
stesso dimostri di essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso
fortuito o per forza maggiore. Nella specie, il proprietario/custode è stato
ritenuto responsabile del reato per avere avuto la disponibilità di fatto
dell'immobile (di sua proprietà) e, dopo il sequestro preventivo, affidato alla
sua custodia, sicché logicamente è stato osservato che non è individuabile alcun
soggetto diverso, che abbia avuto interesse e possibilità materiale di eseguire
i lavori abusivi. Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Santoro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 07/05/2009 (Ud. 24/03/2009), Sentenza n. 19075
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Apposizione dei sigilli - Funzione - Custode
giudiziario - Responsabilità - Configurabilità - Presupposti - Art. 349 cod. pen..
In linea generale, con l'apposizione dei sigilli, si attua una custodia
meramente simbolica mediante la quale si manifesta la volontà dello Stato di
assicurare cose, mobili o immobili, contro ogni atto di disposizione di persone
non autorizzate. Pertanto, il fatto costitutivo del reato di cui all'art. 349
cod. pen. consiste in qualsiasi atto che renda vana la predetta volontà e di
esso risponde, "da solo o in concorso con altri, il custode giudiziario della
cosa sottoposta a sequestro, il quale ha il dovere giuridico di impedire che il
fatto si verifichi. In tal caso, si verte in ipotesi di responsabilità personale
diretta, non oggettiva, e incombe sul custode l'onere della prova degli
eventuali caso fortuito o forza maggiore, quali cause impeditive dell'esercizio
del dovere di vigilanza e custodia (Cass. sezione III, n. 2989/2000, Capogna).
Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Santoro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 07/05/2009 (Ud. 24/03/2009), Sentenza n. 19075
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Principio della responsabilità penale - Nozione.
Il principio della responsabilità penale comporta che un soggetto può essere
ritenuto autore nel reato solo se ha dato un contributo causale, a livello
ideativo preparatorio o esecutivo, alla commissione del fatto criminoso o anche
se ha dato un apporto causale qualificato di ordine psicologico alla commissione
del fatto. Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Santoro. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 07/05/2009 (Ud. 24/03/2009), Sentenza n. 19075
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Difensore - Legittimo impedimento a comparire
all'udienza - Presupposti - Impossibilità di avvalersi di un sostituto - Art.
102 cod. proc. pen. - Impedimento assoluto - Giurisprudenza. La concomitanza
dell'impegno professionale assunto dal difensore in un altro procedimento può
essere riconosciuto quale legittimo impedimento a comparire all'udienza, quando
il difensore dimostri non solo l'esistenza dell'impegno, ma anche le ragioni che
rendono indispensabile l'espletamento delle funzioni difensive in tale
procedimento: tali ragioni debbono essere correlate alla particolarità
dell'attività da presenziare, alla mancanza od assenza di un altro condifensore
ed all'impossibilità di avvalersi di un sostituto - ai sensi dell'art. 102 cod.
proc. pen. - sia nel procedimento al quale il difensore intende partecipare, sia
in quello del quale si chiede il rinvio per assoluta impossibilità a comparire
(Cassazione Sezione VI, n. 48530/2003, 18/11/2003 - 18/12/2003, Levante).
Inoltre, il c.d. legittimo impedimento del difensore, previsto come causa di
rinvio del dibattimento deve comportare l'assoluta impossibilità a comparire,
sicché la concomitanza di altri impegni professionali non costituisce
impedimento assoluto, determinando solo delle scelte da parte del professionista
che può attuarle anche avvalendosi della facoltà di designare un sostituto. Ne
consegue che, dinanzi a una richiesta di rinvio motivata dalla contemporaneità
di altri impegni professionali, il giudice ha il potere-dovere di bilanciare le
esigenze della difesa con quelle di affermazione del diritto e della giustizia,
potendo prevalere l'interesse pubblico all'immediata trattazione del
procedimento per ragioni obiettive, come l'imminente scadenza del termine di
prescrizione del reato o di custodia cautelare, la natura dei fatti oggetto del
procedimento e altri" (Cassazione Sezione I n. 5978/2000, 13/03/2000 -
22/05/2000, Sgobba). Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Santoro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 07/05/2009 (Ud. 24/03/2009), Sentenza n. 19075
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UDIENZA 24.03.2009
SENTENZA N. 664
REG. GENERALE n.31879/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Pierluigi ONORATO Presidente
Dott. Ciro PETTI Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
rel.
Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
Dott. Guicla MÚLLIRI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Santoro Antonio, nato a San Cipriano d'Aversa il
26.09.1939, avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Napoli in
data 31.01.2008 che ha determinato in anni 1 mesi 6 di reclusione e €. 350 di
multa la pena inflittagli nel giudizio di primo grado per i reati di cui agli
art. 349 cod. pen.; 44 lettera b); 64, 71, 65, 72 d.P.R. n. 380/2001;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
Sentito il PM nella persona del PG dott. Alfredo Montagna, che ha chiesto
dichiarasi inammissibile il ricorso;
osserva
Con sentenza in data 31.01.2008 la Corte d'Appello di Napoli determinava in anni
1 mesi 6 di reclusione e €. 350 di multa la pena inflitta a Santoro Antonio nel
giudizio di primo grado per avere violato i sigilli apposti su un manufatto
abusivo; per avere eseguito opere edilizie senza permesso di costruire violando
norme sul conglomerato cementizio armato.
Proponeva ricorso per cassazione l'imputato eccependo la nullità della sentenza
per il mancato riconoscimento dell'impedimento del difensore di fiducia,
prontamente comunicato, di presenziare al dibattimento per concomitante impegno
presso altro ufficio giudiziario e denunciando mancanza di motivazione sulla
conferma dell'affermazione di responsabilità perché egli non era l'esecutore
dell'opera abusiva, ma solo il proprietario del terreno sulla quale la stessa
insisteva, né aveva violato i sigilli, nonché sull'omessa declaratoria di
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante e, infine,
sulla riduzione della pena.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
L'eccezione procedurale è manifestamente infondata.
Ha affermato questa Corte che "la concomitanza dell'impegno professionale
assunto dal difensore in un altro procedimento può essere riconosciuto quale
legittimo impedimento a comparire all'udienza, quando il difensore dimostri non
solo l'esistenza dell'impegno, ma anche le ragioni che rendono indispensabile
l'espletamento delle funzioni difensive in tale procedimento: tali ragioni
debbono essere correlate alla particolarità dell'attività da presenziare, alla
mancanza od assenza di un altro condifensore ed all'impossibilità di avvalersi di
un sostituto - ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen.-sia nel procedimento al
quale il difensore intende partecipare, sia in quello del quale si chiede il
rinvio per assoluta impossibilità a comparire" (Cassazione Sezione VI, n.
48530/2003, 18/11/2003 - 18/12/2003, Levante, RV. 228598) e che "il legittimo
impedimento del difensore, previsto come causa di rinvio del dibattimento deve
comportare l'assoluta impossibilità a comparire, sicché la concomitanza di altri
impegni professionali non costituisce impedimento assoluto, determinando solo
delle scelte da parte del professionista che può attuarle anche avvalendosi
della facoltà di designare un sostituto. Ne consegue che, dinanzi a una
richiesta di rinvio motivata dalla contemporaneità di altri impegni
professionali, il giudice ha il potere-dovere di bilanciare le esigenze della
difesa con quelle di affermazione del diritto e della giustizia, potendo
prevalere l'interesse pubblico all'immediata trattazione del procedimento per
ragioni obiettive, come l'imminente scadenza del termine di prescrizione del
reato o di custodia cautelare, la natura dei fatti oggetto del procedimento e
altri" (Cassazione Sezione I n. 5978/2000, 13/03/2000 - 22/05/2000, Sgobba, RN.
216014).
Nella specie, il difensore ha segnalato soltanto di essere impegnato in altra
sede giudiziaria senza dimostrare le ragioni che rendevano indispensabile
l'espletamento delle funzioni difensive in altro procedimento, sicché, non
avendo lo stesso neppure documentato l'impossibilità di designare un proprio
sostituto, il Tribunale correttamente ha escluso la sussistenza del legittimo
impedimento a comparire mancando i requisiti della tempestività della
segnalazione [effettuata all'udienza di trattazione del giudizio d'appello];
della specificazione delle ragioni della scelta adottata e della giustificazione
della mancata designazione di un sostituto.
Sull'affermazione di responsabilità il ricorso non è puntuale perché censura con
argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione
fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici,
essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato e
confutata ogni obiezione difensiva.
Ha puntualizzato questa Corte [RV. 166001] che, con l'apposizione dei sigilli,
si attua una custodia meramente simbolica mediante la quale si manifesta la
volontà dello Stato di assicurare cose, mobili o immobili, contro ogni atto di
disposizione di persone non autorizzate.
Pertanto, il fatto costitutivo del reato di cui all'art. 349 cod. pen. consiste
in qualsiasi atto che renda vana la predetta volontà e di esso risponde, "da
solo o in concorso con altri, il custode giudiziario della cosa sottoposta a
sequestro, il quale [ha] il dovere giuridico di impedire che il fatto si verific[hi].
In tal caso si verte in ipotesi di responsabilità personale diretta, non
oggettiva, e incombe sul custode l'onere della prova degli eventuali caso
fortuito o forza maggiore, quali cause impeditive dell'esercizio del dovere di
vigilanza e custodia" (Cass. sezione III, n. 2989/2000, Capogna, RV: 215768).
Ne consegue che, qualora sia riscontrata la violazione di sigilli, senza che il
custode abbia avvertito dell'accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta
violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri,
tranne che lo stesso dimostri di essere stato in grado di avere conoscenza del
fatto per caso fortuito o per forza maggiore.
Non può, quindi, essere censurata la sentenza impugnata che ha ritenuto, alla
stregua di dati obiettivi, la sussistenza del reato de quo [che "si perfeziona
con qualsiasi condotta idonea a eludere l’obbligo d'immodificabilità del bene,
pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell'avvenuto sequestro, sempre che
si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene" [Cassazione
Sezione III n. 37570/2002; RV. 222557)] essendo emerso che l'imputato, pur in
presenza dei sigilli e pur consapevole di essere privo di titolo autorizzativo,
ha violato il divieto di assoluta intangibilità della cosa.
Il principio della responsabilità penale comporta che un soggetto può essere
ritenuto autore nel reato solo se ha dato un contributo causale, a livello
ideativo preparatorio o esecutivo, alla commissione del fatto criminoso o anche
se ha dato un apporto causale qualificato di ordine psicologico alla commissione
del fatto.
Con congrua motivazione l'imputato è stato ritenuto responsabile del reato per
avere avuto la disponibilità di fatto dell'immobile di sua proprietà e, dopo il
sequestro preventivo, affidato alla sua custodia, sicché logicamente è stato
osservato che non è individuabile alcun soggetto, diverso dal Santoro, che abbia
avuto interesse e possibilità materiale di eseguire i lavori abusivi.
Ne consegue che il motivo in punto di affermazione di responsabilità, che si
fonda sulle stesse argomentazioni proposte in appello e puntualmente confutate
dal giudice del gravame, è manifestamente infondato, avendo i giudici di merito
ritenuto con argomentazioni immuni da censure che l'imputato abbia commesso il
reato urbanistico.
E' fondato il motivo sulla rideterminazione della pena illegittimamente eseguita
dalla corte territoriale che ha aumentato quella inflitta dal Tribunale [anni 1
mesi 6 di reclusione €. 300 di multa] sebbene abbia concesso le circostanze
attenuanti generiche, dichiarate prevalenti dalla contestata aggravante, e
dichiarata prescritta una contravvenzione.
Pertanto può, ai sensi dell'art. 620, lettera l, c.p.p., procedersi alla
determinazione della pena stabilendola in un anno mesi quattro di reclusione €.
280 di multa [PB anni 1 mesi 2 €. 250 aumentata per la continuazione di mesi 2 e
€. 30].
PQM
La Corte annulla senza rinvio la
sentenza impugnata limitatamente alla pena che ridetermina in un anno mesi
quattro di reclusione €. 280 di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 24.03.2009.
Deposito in Cancelleria il 07/05/2009.
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