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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009), Sentenza n. 21177
URBANISTICA ED EDILIZIA - Reato di costruzione abusiva - Asservimento di terreno
per scopi edificatori - Cessione di cubatura - Efficacia al momento del rilascio
del titolo abilitativo - Conseguenze. Gli effetti derivanti dall’istituto
del c.d. “vincolo di asservimento di terreno per scopi edificatori” (o “cessione
di cubatura”), decorrono dal momento del rilascio del titolo abilitativo
edilizio, hanno carattere definitivo ed irrevocabile ed integrano una qualità
oggettiva dei terreni, producendo una minorazione permanente della loro
utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario. Ne consegue che è
preclusa la possibilità di richiedere ed assentire ulteriori interventi
eccedenti i volumi costruttivi sul fondo asservito, attesa la perdita definitiva
delle potenzialità edificatorie dell’area asservita, rendendosi configurabile il
reato edilizio anche in presenza di un titolo abilitativo erroneamente
rilasciato. Fattispecie avente ad oggetto il sequestro preventivo di un’area
interessata da attività edificatoria a seguito di rilascio di permesso di
costruire. Pres. E. Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano ed altri. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009), Sentenza n. 21177
URBANISTICA ED EDILIZIA - Istituto del c.d. “asservimento dl terreno per
scopi edificatori” (o cessione di cubatura) - Nozione - Effetti. L’istituto
del c.d. “asservimento dl terreno per scopi edificatori” (o cessione di
cubatura) consiste in un accordo tra proprietari di aree contigue, aventi la
stessa destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario di un’area
“cede” una quota di cubatura edificabile sul suo fondo per permettere all’ altro
di disporre della minima estensione di terreno richiesta per l’edificazione,
ovvero di realizzare una volumetria maggiore di quella consentita dalla
superficie del fondo di sua proprietà. Gli effetti che ne derivano hanno
carattere definitivo ed irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei
terreni e producono una minorazione permanente della loro utilizzazione da parte
di chiunque ne sia il proprietario. Pres. E. Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano
ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009),
Sentenza n. 21177
URBANISTICA ED EDILIZIA - Trasferimento di volumetria - Rilascio del permesso
di costruire - Volontà del proprietario "cedente" - Vincolo di asservimento -
Nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio - Effetti. L’efficacia
della volontà del proprietario "cedente" costituisce, all'interno del
procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire, presupposto
di tale provvedimento, così che il trasferimento di volumetria si realizza
soltanto con il rilascio finale del titolo edilizio [Cons. Stato, Sez. V,
28.6.2000, n. 3637 e Cass. civ.: 22.2.1996, n. 1352; 12.9.1998, n. 9081].
Sicché, soltanto per effetto del rilascio del provvedimento amministrativo
(licenza edilizia, concessione edilizia o permesso di costruire) si costituisce
il "vincolo di asservimento" che, senza oneri di forma pubblica o di
trascrizione, incide definitivamente sulla disciplina urbanistica ed edilizia
delle aree interessate, in quanto nel territorio comunale il titolo abilitativo
edilizio crea un nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio, che non
coincide con i confini di proprietà ed ha una consistenza indipendente rispetto
ai successivi interventi nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di
assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti realizzazioni di volumi
costruttivi sul fondo asservito, per la parte in cui esso è rimasto privo della
potenzialità edificatoria già utilizzata, dal titolare del fondo in favore del
quale ha avuto luogo l'asservimento. Pres. E. Lupo, Rel. A. Fiale, Ric.
Guardiano ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/05/2009 (Ud.
30/04/2009), Sentenza n. 21177
URBANISTICA ED EDILIZIA - Instaurazione di un autonomo e peculiare regime
urbanistico delle aree - Costituzione di un "vincolo di asservimento" - Verifica
delle ragioni - Irrilevanza. La oggettiva instaurazione di un autonomo e
peculiare regime urbanistico delle aree, per effetto della intervenuta
costituzione di un "vincolo di asservimento", rende irrilevante - alla stregua
del fondamentale principio dell'autonomia negoziale - la verifica delle ragioni
che possano avere indotto il proprietario cedente a trasferire la suscettibilità
edificatoria del proprio fondo. Pres. E. Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano ed
altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009),
Sentenza n. 21177
URBANISTICA ED EDILIZIA - DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Valutazione della
liceità di un intervento edilizio - Doveri del giudice penale - Elementi di
natura extra-penale - Atto amministrativo. Il giudice penale, nel valutare
la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne
la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai
regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione
edificatoria. Anche nei casi in cui, nella fattispecie di reato sia previsto un
atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da
parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza
ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare
l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse
sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie, l'interesse
sostanziale alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura
extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo. E'
la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro
diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta
criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (Cass., Sez. III, 21.1.1997, Volpe
ed altri). Pres. E. Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano ed altri. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009), Sentenza n. 21177
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Tribunale del riesame - Procedimenti incidentali
- Riesame di provvedimenti di sequestro - Potere conoscitivo - Assenza -
Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti. Nei
procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di
sequestro, non è ipotizzabile una "plena cognitio" del Tribunale, al
quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità
dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a
verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi
endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere
conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice
del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione
incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare
surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meriturn
causae", così da determinare una non-consentita preventiva verifica della
fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida
attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono
essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di
verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità -
di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame,
dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni
aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro. Pres. E.
Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.
III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009), Sentenza n. 21177
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Sequestro preventivo - Presupposti. In tema di
sequestro preventivo, il "periculum in mora” va inteso in senso oggettivo
come probabilità di danno futuro in conseguenza dell'effettiva disponibilità
materiale o giuridica della cosa, che può derivare non solo dalla potenzialità
della res oggetto del provvedimento cautelare di recare una lesione
all'interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità
di contribuire al perfezionamento del reato, lasciando ovviamente alla sede di
merito la possibilità di escluderlo in base alle successive risultanze. La legge
(diversamente da quanto previsto dall'art. 275 c.p.p. per le misure di cautela
personale) non impone la necessità di uniformarsi a criteri di proporzionalità
ed adeguatezza, sicché non è possibile ipotizzare diversificazioni applicative
del sequestro correlate a valutazioni di afflittività del vincolo di
indisponibilità del bene ovvero, come prospettato in ricorso, al "bilanciamento"
degli interessi cautelari con i pregiudizi derivanti agli indagati. Pres. E.
Lupo, Rel. A. Fiale, Ric. Guardiano ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.
III, 20/05/2009 (Ud. 30/04/2009), Sentenza n. 21177
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UDIENZA 30.04.2009
SENTENZA N. 661
REG. GENERALE n.3995/09
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Ernesto LUPO Presidente
Dott. Aldo FIALE Consigliere
Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
Dott. Silvio AMORESANO Consigliere
Dott.ssa Maria Silvia SENSINI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1. GUARDIANO Maria, nata a Ragusa il
22.10.1963
2. GUARDIANO Giovanni, nato a Ragusa il 16.3.1957
3. PALMA Giovambattista, nato a Castelvetrano l'11.8.1954
4. APRILE Marco, nato a Ragusa l'1.8.1971 avverso la ordinanza 7.1.2009 del
Tribunale per il riesame di Ragusa
Visti gli atti, la ordinanza impugnata ed il ricorso
Udita, in camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Gioacchino Izzo, il quale ha
concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata
Udito il difensore, Avv.to Carmelo Di Paola., il quale ha concluso chiedendo
l'accoglimento del ricorso
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Ragusa,
con ordinanza del 15.12.2008, disponeva il sequestro preventivo di un' area sita
alla via Euripide di quella città, interessata da attività edificatoria in
seguito al rilascio alla s.n.c. "EURIPIDE COSTRUZIONI di Aprile Marco &
Guardiano Giovanni" del permesso di costruire n. 364 del 29.5.2008.
Nel provvedimento applicativo della misura cautelare veniva evidenziato che:
- detto permesso di costruire era stato rilasciato benché l' area interessata
fosse stata in precedenza "asservita" per consentire l'edificazione in altri
lotti limitrofi, come risultava dalle licenze edilizie relative a quei lotti;
- in relazione a tale situazione giuridica dei fondi, il Sindaco di Ragusa - con
atto del 27.7.1978 - aveva inizialmente respinto una richiesta di titolo
abilitativo edilizio sull'area interessata, evidenziando espressamente che la
stessa era parzialmente asservita all'edificio realizzato su lotto contiguo in
forza di progetto approvato con nulla-osta dell'1.2.1968 e successiva variante.
Il ricorso giurisdizionale avverso detto diniego era stato respinto dal T.A.R.
Sicilia, Sezione di Catania, con sentenza dell'11,10.1985;
- il Comune di Ragusa, inoltre, in data 25.7.1996, aveva rilasciato
certificazione attestante tale asservimento;
- in seguito a nuova richiesta di permesso di costruire, depositata il
18.12.2006, Guardiano Maria (proprietaria del fondo) e Palma Giovambattista
(tecnico progettista e direttore dei lavori), ottemperando ad un deliberato
della Commissione edilizia comunale, avevano prodotto al Comune di Ragusa
dichiarazione di non-asservimento ad altre costruzioni, riferita anche alle
particelle 618 e 624, coincidenti con quelle che, giusta la certificazione
comunale del 25.7.1996, risultavano asservite agli edifici realizzati su aree
limitrofe;
- alla stregua di tale dichiarazione (che, nella prospettazione accusatoria,
attesterebbe un dato oggettivamente falso) era stato rilasciato il permesso di
costruire n. 346 del 29.5.2008, che veniva considerato illegittimo per essere
stata l'Amministrazione indotta in errore dai privati interessati, ipotizzandosi
i reati di cui agli artt. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001 e 48 e 479 cod.
pen. nei confronti di Guardiano Maria, Guardiano Giovanni, Palma Giovambattista
ed Aprile Marco.
Il Tribunale di Ragusa - con ordinanza del 7.1.2009 - rigettava l'istanza di
riesame depositata nell'interesse degli anzidetti indagati.
Avverso tale ordinanza di rigetto il difensore degli stessi ha proposto ricorso
per cassazione, lamentando violazione di legge (oltre a profili di vizi di
motivazione che, vertendosi in tema di cautela reale e non personale, non
possono trovare ingresso in questa sede).
Secondo la tesi difensiva:
a) Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto illegittimo il permesso di
costruire n. 364 del 29.5.2008, sull'inesatto presupposto che esso sia frutto di
una falsa rappresentazione della realtà.
Non sarebbe sussistente, infatti, o comunque non sarebbe più efficace, il
preteso "asservimento" dell'area in questione ad edifici costruiti in precedenza
su lotti contigui, posto che:
* Negli anni di realizzazione di tali edifici (1966-1968), l'attività
edificatoria nel Comune di Ragusa era soggetta solo alle norme del codice civile
e "qualunque limitazione al diritto di edificare ... non può che risultare da
una norma avente valore di legge e non da meri atti amministrativi".
* L'asservimento di cui si discute si connetterebbe all'applicazione dell'indice
plano-volumetrico previsto da un Regolamento edilizio e dall'annesso Programma
di fabbricazione soltanto adottato dal Comune il 14.12.1965, ma tali strumenti
urbanistici non erano all'epoca vigenti né operanti, poiché mai approvati ed
anzi rigettati dall'autorità regionale (solo nel 1974 era stato approvato un
primo piano regolatore generale).
Ciò sarebbe stato affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza civile
5.9.2008, n. 22541, erroneamente sminuita, nei suoi riflessi di carattere
generale, dal Tribunale del riesame.
* Né sarebbe applicabile la disciplina introdotta - per i Comuni sprovvisti di
strumento urbanistico generale - dall'art. 17 della c.d. "legge-ponte" 6.8.1967,
n. 765, atteso che detta disciplina diveniva operante (ai sensi del comma 7)
solo dopo un anno dalla sua entrata in vigore (cioè il 1° settembre 1968) e non
può perciò riferirsi alle licenze edilizie rilasciate fino al 31 agosto 1968.
b) Lo stesso Tribunale del riesame non avrebbe considerato che, nel frattempo
(con provvedimento regionale pubblicato il 21.4.2006), è stato approvato un
nuovo Piano regolatore generale del Comune di Ragusa, che ha classificato la
zona territoriale in oggetto come "lotto intercluso indicato come area bianca",
prevedendo che essa sia soggetta alle prescrizioni edificatorie fissate per le
aree limitrofe: vi sarebbe stata, quindi, l'attribuzione ex novo di una
"autonoma suscettibilità edificatoria" e le nuove scelte di assetto del
territorio, adottate in seguito ad approfondito dibattito svoltosi in sede di
formazione dello strumento urbanistico, escluderebbero che possa effettuarsi "un
ulteriore accertamento, da operare caso per caso, in funzione di un incerto e
pregresso asservimento volumetrico dovuto a precedente edificazione".
c) Non sussisterebbe il ravvisato "periculum in mora” in quanto, "a
fronte del rischio che una costruzione potenzialmente abusiva venga proseguita,
rischio relativo perchè con la eventuale sentenza di condanna ne verrebbe
imposta la demolizione, vi è quello ben maggiore del danno irreparabile che gli
indagati subiranno in caso di assoluzione perchè in tal caso nessuno li
ripagherà del tempo e degli oneri subiti".
**********
Il ricorso deve essere rigettato,
poiché infondato.
1. L'istituto del c.d. "asservimento di terreno per scopi edificatori" (o
cessione di cubatura) - al quale, secondo pacifica interpretazione
giurisprudenziale, può farsi ricorso pure in mancanza di un riconoscimento
espresso da parte di fonti normative - consiste in un accordo tra proprietari di
aree contigue, aventi la stessa destinazione urbanistica, in forza del quale il
proprietario di un'area "cede" una quota di cubatura edificabile sul suo fondo
per permettere all'altro di disporre della minima estensione di terreno
richiesta per l'edificazione, ovvero di realizzare una volumetria maggiore di
quella consentita dalla superficie del fondo di sua proprietà.
Gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed irrevocabile,
integrano una qualità oggettiva dei terreni e producono una minorazione
permanente della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.
La giurisprudenza assolutamente prevalente è orientata nel senso che la
efficacia della volontà del proprietario "cedente" costituisce, all'interno del
procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire, presupposto
di tale provvedimento, così che il trasferimento di volumetria si realizza
soltanto con il rilascio finale del titolo edilizio [vedi Cons. Stato, Sez. V,
28.6.2000, n. 3637 e Cass. civ.: 22.2.1996, n. 1352; 12.9.1998, n. 9081]. E
questo Collegio ritiene di dovere ribadire che soltanto per effetto del rilascio
del provvedimento amministrativo (licenza edilizia, concessione edilizia o
permesso di costruire) si costituisce il "vincolo di asservimento" che, senza
oneri di forma pubblica o di trascrizione, incide definitivamente sulla
disciplina urbanistica ed edilizia delle aree interessate, in quanto nel
territorio comunale il titolo abilitativo edilizio crea un nuovo lotto di
pertinenza urbanistica dell'edificio, che non coincide con i confini di
proprietà ed ha una consistenza indipendente rispetto ai successivi interventi
nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di assentire e di richiedere
ulteriori ed eccedenti realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito,
per la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità edificatoria già
utilizzata, dal titolare del fondo in favore del quale ha avuto luogo
l'asservimento.
La oggettiva instaurazione di un autonomo e peculiare regime urbanistico delle
aree, per effetto della intervenuta costituzione di un "vincolo di
asservimento", rende irrilevante - alla stregua del fondamentale principio dell'
autonomia negoziale - la verifica delle ragioni che possano avere indotto il
proprietario cedente a trasferire la suscettibilità edificatoria del proprio
fondo.
Nella specie, pertanto, non importa stabilire: a) se, al momento della
costituzione di quel vincolo, nel Comune di Ragusa vigesse o meno un regolamento
edilizio, ritualmente approvato dall'autorità competente, che fissasse un
rapporto plano-volumetrico rispetto al quale l'estensione del terreno di
proprietà del cessionario fosse insufficiente per la realizzazione dell'opera
progettata; b) ovvero se, in carenza di un qualsiasi strumento pianificatorio,
il recepimento dell'atto di disposizione negoziale si sia eventualmente
ricollegato alla opportunità di conformarsi alla disciplina [art. 41
quinquies della legge n.1150/1942], introdotta dall'art. 17 della legge n.
765/1967 ed obbligatoria solo a decorrere dal 31 agosto 1968, che, in mancanza
di piano regolatore e programma di fabbricazione, accordava un coefficiente di
edificabilità limitato: quanto all'edilizia residenziale, a un metro cubo e
mezzo per metro quadrato nelle aree ricadenti nel centro abitato e a un decimo
di metro cubo per metro quadrato nelle restanti zone del territorio comunale;
quanto all'edilizia produttiva, ad un terzo dell'area di proprietà.
Ciò che rileva è che il Comune, attraverso la costituzione di quel vincolo di
asservimento, aveva fissato una disciplina urbanistico-edilizia peculiare per le
aree interessate, non contrastante con indici edificatori territoriali posti da
strumenti di pianificazione vigenti e sicuramente consentita nell'ipotesi,
delineata dai ricorrenti, di carenza assoluta di pianificazione comunale.
Né è esatta la prospettazione, svolta in ricorso, secondo la quale la decisione
del Tribunale del riesame contrasterebbe con quanto affermato dalla II Sezione
civile di questa Corte nella sentenza n. 22541 depositata il 5.9.2008.
Legittimamente, infatti, lo stesso Tribunale non ha riconosciuto "un'efficacia
generale" a quella sentenza, poiché in essa viene affermato esclusivamente che,
in quel procedimento, coloro che avevano proposto ricorso non avevano fornito
prova contraria all'assunto di controparte secondo il quale il Regolamento
edilizio adottato dal Comune di Ragusa con delibera del 1965 mancava
dell'approvazione dell'autorità competente.
2. La possibilità di edificazione alla stregua delle disposizioni del piano
regolatore del 2006, attualmente vigente, infine - per le argomentazioni dianzi
svolte - non vale a rendere edificabili aree che già sono state prese in
considerazione, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di
fabbricabilità fondiaria, in sede di rilascio di precedenti titoli abilitativi
edilizi, dovendo ritenersi definitivamente perdute le potenzialità edificatorie
dell'area asservita per il semplice fatto che di esse si è già irreversibilmente
disposto.
3. Non si verte, nella specie, in tema di disapplicazione di atti
amministrativi.
Deve farsi opportuno riferimento, in proposito, alla decisione 21.12.1993 delle
Sezioni Unite, ric. Borgia, da cui si evince il principio secondo il quale il
giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un
intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di
legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dalla concessione edificatoria.
Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un
atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da
parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza
ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare
l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse
sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie, l'interesse
sostanziale alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura
extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.
E' la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro
diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta
criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (per un'ampia disamina della
questione si rinvia testualmente a Cass., Sez. III, 21.1.1997, Volpe ed altri).
4. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema, con le
specificazioni indicate dalle Sezioni Unite con la sentenza 29.1.1997, ric. P.M.
in proc. Bassi, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di
provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una "plena cognitio" del
Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della
legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed
a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi
endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere
conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice
del procedimento principale.
Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde
all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la
relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meriturn causae",
così da determinare una non-consentita preventiva verifica della fondatezza
dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di
competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono
essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di
verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità -
di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale del riesame, dunque, non deve instaurare un processo nel processo,
ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le
contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando
sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
Nella fattispecie in esame il Tribunale di Ragusa risulta essersi correttamente
attenuto a tali principi, dal momento che quel giudice - valutando e confutando
adeguatamente le prospettazioni difensive - ha evidenziato macroscopiche
violazioni della disciplina urbanistica ed edilizia.
L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai
giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi di segno
positivo, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le
contrarie affermazioni dei ricorrenti non valgono certo ad escludere la
configurabilità del “fumus" del reato ipotizzato.
5. In tema di sequestro preventivo, il "periculum in mora” va inteso in
senso oggettivo come probabilità di danno futuro in conseguenza dell'effettiva
disponibilità materiale o giuridica della cosa, che può derivare non solo dalla
potenzialità della res oggetto del provvedimento cautelare di recare una lesione
all'interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità
di contribuire al perfezionamento del reato, lasciando ovviamente alla sede di
merito la possibilità di escluderlo in base alle successive risultanze.
La legge (diversamente da quanto previsto dall'art. 275 c.p.p. per le misure di
cautela personale) non impone la necessità di uniformarsi a criteri di
proporzionalità ed adeguatezza, sicché non è possibile ipotizzare
diversificazioni applicative del sequestro correlate a valutazioni di
afflittività del vincolo di indisponibilità del bene ovvero, come prospettato in
ricorso, al "bilanciamento" degli interessi cautelari con i pregiudizi derivanti
agli indagati.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 30.4.2009.
Deposito in cancelleria il 20/05/2009.
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