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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 29/05/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 22468
INQUINAMENTO IDRICO -
RIFIUTI - CAVE - Fango e limo - Prima pulitura mediante lavaggio - Disciplina
applicabile - Artt. 256 c.1, lett. a) e 185, c. 1, lett. b n. 4 D.L.vo n.152/06
- Art. 137 D.Lg.vo 152/06. I fanghi e di limi, derivanti dalla prima
pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo sfruttamento delle cave,
non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti, di cui
alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, in quanto l'art. 185, comma 1,
lett. b n. 4 esclude dalla disciplina in questione i rifiuti risultanti dallo
sfruttamento delle cave, tra i quali rientrano quelli risultanti dalla pulitura
effettuata sia mediante setacciatura o grigliatura sia mediante lavaggio. Ciò
non deve indurre alla conclusione di un disinteresse dell'ordinamento per le
ricadute che l'attività di lavaggio può avere sull'ambiente circostante, posto
che - in caso di eventuali modalità di trattamento del materiale che comportino
ricadute negative sulle acque fluviali interessate - la normativa a tutela delle
acque e della loro qualità può costituire punto di riferimento. Pres. Onorato,
Est. Mulliri, Ric. Pichler. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 29/05/2009
(Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 22468
INQUINAMENTO IDRICO - RIFIUTI - CAVE - Fango e limo - Natura di rifiuto - Sottoprodotto - Necessità
tecniche - Caso d’esclusione - Applicabilità della disciplina sulla tutela delle
acque - Art. 137 D.Lg.vo n. 152/06 - Artt. 183 lett. f) e 185, D.L.vo n.152/06. Quando si verte in materia di rifiuti è necessario anche la verifica in
concreto della sussistenza dei requisiti grazie ai quali, nella specie, il limo,
possa essere riconducibile alla nozione di "sottoprodotto" di cui all'art. 183
lett. f) D.L.vo n.152/06. Una volta escluso, che il materiale fangoso esula dal
ciclo estrattivo autorizzato non si vede la ragione per la quale escludere la
sua riconducibilità nell'ambito dei casi di esclusione di cui all'art. 185
D.L.vo n.152/06 come se la "prima pulitura" del materiale estratto, necessaria
per separare il materiale commerciale, debba avvenire esclusivamente mediante
setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando necessità tecniche lo
richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio... il quale costituirebbe,
a differenza della setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente
successive alla estrazione vera a propria". Tuttavia, l'attività di lavaggio può
avere ricadute sull'ambiente circostante sanzionabili ai sensi dell’art. 137
D.Lg.vo n. 152/06. Pres. Onorato, Est. Mulliri, Ric. Pichler. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 29/05/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 22468
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UDIENZA 29.01.2009
SENTENZA N. 247
REG. GENERALE n.29417/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Pierluigi ONORATO Presidente
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Alfredo Maria LOMBARDI Consigliere
Dott. Guicla I. MÚLLIRI Consigliere
Dott. Luigi MARINI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Pichler Federico, nato a Cavalese il 31.12.76 imputato
1) art. 256 D.Lg.vo 152/06
2) art. 137 co. 1 D. Lg.vo 152/06 3) art. 137 co. 11 D. Lg.vo 152/06
avverso la sentenza della Sez. dist. Tribunale di Cavalese in data 18.2.08
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guicla I.Mùlliri;
Sentito il P.G., nella persona del dr. Francesco Salzano, che ricorso;
Sentito il difensore dell'imputato avv. Natale Caputo, in sostituzione dell'avv.
Beppe Pontrelli, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso;
osserva
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - L'odierno ricorrente è legale
rappresentante di una ditta che opera nel campo della lavorazione del materiale
in pietra, terra, e terra da scavo, proveniente da attività di scavo della zona,
con conseguente produzione di ghiaia finalizzata alla commercializzazione ed
alla produzione di calcestruzzo.
Con la sentenza qui impugnata, è stato condannato in primo grado, perché
ritenuto responsabile della violazione dell'art. 256 co. 1 lett a) D.Lg.vo
152/06, per avere smaltito illecitamente rifiuti speciali non pericolosi
costituiti da fanghi di decantazione, aver aperto uno scarico sul suolo
dell'impianto di decantazione ed aver effettuato uno scarico sul suolo di acque
industriali di dilavamento dei fanghi dell'impianto di essiccazione. Il tutto
senza la sussistenza dei requisiti di legge o le prescritte autorizzazioni.
Avverso, tale condanna la difesa di Pichler aveva proposto appello ma,
versandosi in un caso di sentenza non appellabile, con provvedimento della
Corte, tale impugnazione, è stata convertita in ricorso e trasmesso per
competenza a questa S.C..
I motivi di appello erano i seguenti:
1) illogicità e contraddittorietà in relazione al primo capo di imputazione e
carenza di motivazione per le altre due.
In ordine al primo aspetto, ci si duole del fatto che il giudice di merito abbia
escluso di essere in presenza di un "sottoprodotto" sebbene si premetta che la
sua nuova definizione (come ricavabile dall'art. 183 T.U. 152/06) risulta
pacificamente accettata anche nel corso del processo ed, in concreto, non
risulta che le precedenti vendite di limo abbiano causato emissioni o impatti
ambientali dannosi. Inoltre, la difesa, nel corso del processo, ha fornito prova
dell'assenza di sostanze inquinanti nel materiale di decantazione. Al contrario,
il giudice, dopo essersi diffuso su tale definizione, correla le proprie
conclusioni all'ipotesi di emissioni in atmosfera (relativa all'ulteriore
contestazione mossa al Pichler definita con oblazione).
In relazione alle altre due imputazioni, invece, il Tribunale non avrebbe
proprio spiegato le ragioni della condanna;
2) l'attività di trattamento del limo delle vasche di decantazione non è
classificabile come "attività di gestione di rifiuti non autorizzata".
In primo luogo, si fa notare a riguardo che il concetto di "abbandono e deposito
in modo incontrollato" è incompatibile con la realtà di un deposito
funzionalmente deputato al reimpiego del limo stesso (come le fatture di vendita
stanno a testimoniare). Inoltre, il Pichler disponeva di un'autorizzazione
comunale provvisoria allo scarico del sottosuolo tramite naturale dispersione di
acque utilizzate per il lavaggio di inerti;
3) quanto precede dà motivo al ricorrente per l'ulteriore deduzione difensiva
secondo cui, in ogni caso, difetterebbe l'elemento psicologico;
4) si sostiene, poi, che i fanghi provenienti dalle vasche di decantazione non
sono rifiuti ma sottoprodotti e ciò è possibile affermare anche alla luce dei
principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea nella causa Paulin_Gratin
ove il residuo di produzione è stato qualificato come tutto ciò che "non è il
risultato direttamente ricercato nel processo di fabbricazione". Orbene, nella
specie, il cumulo di limo rinvenuto dai CC. del NOE é un residuo necessario
delle operazioni di lavaggio degli inerti da lavorare;
5) conseguentemente, non essendosi in presenza di "acque reflue industriali, non
necessitava alcuna autorizzazione ai sensi dell'at. 137 co. 1 tanto più perché
nel concreto, i CC. hanno accertato che le acque rinvenute erano di origine
meteorica;
6) infine, si contesta l'accusa del terzo capo di imputazione sul rilievo che,
non essendosi, come detto, in presenza di acque reflue industriali, si tratta di
uno scarico al suolo non vietato dalla normativa ambientale e ciò anche perché
la situazione accertata dai CC. rientra pienamente nella deroga di cui all'art.
103 co. 1 lett. d) che vieta lo scarico sul suolo e negli strati superficiali
del sottosuolo fatta eccezione per quelli di "acque provenienti dalla
lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze
minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed
inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o
instabilità dei suoli.
L'appellante/ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza
impugnata per illogicità e contraddittorietà della motivazione sul primo capo
nonché per carenza di motivazione per gli altri due ed invoca l'assoluzione con
diverse formule.
2. Motivi della decisione - Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Per quanto attiene alla contestazione di cui al capo 1) (art. 256 D.L.vo 152/06)
non si può che richiamare l'orientamento uniforme già espresso di recente da
questa stessa sezione (9.10.07, Frezza, Rv. 237955 ed 11.10.06, Doneda, Rv.
235640) con l'affermazione del principio secondo cui "i fanghi e di limi,
derivanti dalla prima pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo
sfruttamento delle cave, non rientrano nel campo di applicazione della
disciplina sui rifiuti, di cui alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, in
quanto l'art. 185, comma 1, lett. b n. 4 esclude dalla disciplina in questione i
rifiuti risultanti dallo sfruttamento delle cave, tra i quali rientrano quelli
risultanti dalla pulitura effettuata sia mediante setacciatura o grigliatura sia
mediante lavaggio".
E ciò - si è giustamente detto - non deve indurre alla conclusione di un
disinteresse dell'ordinamento per le ricadute che l'attività di lavaggio può
avere sull'ambiente circostante, posto che - in caso di eventuali modalità di
trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle acque fluviali
interessate - la normativa a tutela delle acque e della loro qualità può
costituire punto di riferimento.
Altro punto di riferimento è anche la verifica in concreto della sussistenza dei
requisiti grazie ai quali il limo possa essere riconducibile alla nozione di
"sottoprodotto" di cui all'art. 183 lett. f) stesso decreto. A tale stregua, é
di tutta evidenza per le emergenze probatorie e per quanto affermatosi in
sentenza che il limo rinvenuto dagli agenti in occasione del loro sopralluogo
era la risultante di un normale ciclo di produzione "dell'impianto di betonaggio
e un impianto di lavorazione lapideo, terra, terra da scavo proveniente da
attività di scavo della zona. Questo impianto produceva la ghiaia finalizzata
alla commercializzazione e produzione del calcestruzzo" (f. 2)
Una volta escluso, quindi, che il materiale fangoso rinvenuto esulasse dal ciclo
estrattivo autorizzato non si vede la ragione per la quale escludere la sua
riconducibilità nell'ambito dei casi di esclusione di cui all'art. 185 come se
la "prima pulitura" del materiale estratto, necessaria per separare il materiale
commerciale, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e
non possa avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano
opportuno, mediante lavaggio... il quale costituirebbe, a differenza della
setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successive alla estrazione
vera a propria" (Rv. 235640 cit).
Su questo capo, pertanto, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché
il fatto non sussiste.
In modo parzialmente diverso deve concludersi con riferimento alle altre due
imputazioni sulle quali si ravvisa una sostanziale assenza di motivazione si da
rendere tanto più incomprensibile la conclusione raggiunta in considerazione del
fatto che risulta, non solo, che il Pichler era stato autorizzato dal Comune
"allo scarico nel sottosuolo tramite naturale dispersione di acque utilizzate
per il lavaggio degli inerti” (v. doc. 2 all. ricorso) ma anche che il m.llo
Bellini (v. f. 2o verbale ud.) aveva confermato che nelle vasche si trovava
acqua di origine meteorica.
Su tali ulteriori imputazioni, pertanto, si impone un nuovo giudizio del
Tribunale per una rivalutazione delle emergenze processuali alla luce dei
rilievi appena fatti.
P.Q.M.
Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p.
annulla
la sentenza impugnata senza rinvio, in ordine al reato di cui all'art. 256 co. 2
D.Lg.vo 152/06 e, con rinvio, al Tribunale di Trento, in ordine ai residui reati
di cui all'art. 137 D.Lg.vo 152/06.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 29 gennaio 2009.
Deposito in Cancelleria il 29 maggio 2009.
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