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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE Sezione VI, 18 giugno 2009, (Ud. 15/04/2009), Sentenza n.25537
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Uso improprio dei bei pubblici (fattispecie: auto
blu) - Abuso d'ufficio (Art. 323 c.p.) - Peculato (Art. 314 c.p.) - Concorso
formale (Art. 81 c.p.) - Reato continuato - Configurabilità. Si configurano
i reati di abuso d’ufficio e peculato nei casi in cui si usi un bene pubblico
(nella specie auto blu) per fini personali o avulsi dall’espletamento delle
funzioni pubbliche. Pertanto, non rileva le disfunzioni o l'entità del danno in
sé, causato o causabile alla P.A., ma solo un “ingiusto” vantaggio patrimoniale
procurato dall'agente a sé o a terzi. Nella specie, il Prefetto pro tempore
della Provincia di Livorno, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso, ha disposto e consentito l'utilizzo di autovetture e personale di
servizio per scopi estranei ai compiti d'istituto, in particolare per
accompagnamenti della moglie in vari viaggi. (Conf. Cass. n.25541/2009 -
condanna un consigliere comunale per avere fatto momentaneamente uso personale
dell’auto del Comune). Pres. Milo, Rel. Cortese, Ric. Gallitto. CORTE DI
CASSAZIONE Penale, Sez. VI, 18/06/2009, (Ud. 15/04/2009), Sentenza n.25537
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Atti d'indagine preliminare - Omissione del
deposito da parte del P.M. - Inutilizzabilità degli atti - Richiesta comunque di
rinvio a giudizio - Validità. L'omissione del deposito di atti dell'indagine
preliminare da parte del P.M. comporta l'inutilizzabilità degli atti stessi, ma
non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente
decreto che dispone il giudizio (Cass. 11.012007 n. 8049). Pres. Milo, Rel.
Cortese, Ric. Gallitto. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. VI, 18/06/2009, (Ud.
15/04/2009), Sentenza n.25537
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UDIENZA 15.04.2009
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Signori
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
Fatto
Con sentenza in data 11.04.2007 il Tribunale di Livorno dichiarava Gallitto
Vincenzo colpevole di due delitti di abuso d'ufficio ex artt. 81 c.p. e 323
c.p., cosi modificata l'originaria imputazione ex art. 314 c.p., per avere, in
qualità di Prefetto della Provincia di Livorno, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, disposto e consentito l'utilizzo di autovetture e
personale di servizio per scopi estranei ai compiti d'istituto, in particolare
per accompagnamenti della moglie in vari viaggi a Montecatini Terme (capo a) e
qualche viaggio a Follonica (capo e) e, concesse le attenuanti generiche e la
attenuante ex art. 323 bis c.p., le condannava alla pena di mesi sette di
reclusione. Con la stessa sentenza il Tribunale lo assolveva invece
dall'imputazione ex art. 314 c.p., per avere, nella qualità, disposto e
consentito l'impiego di personale di servizio in lavori di rimessaggio del
proprio natante (capo f).
Su appello del P.M. e dell'imputato, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza
del 16.06.2008 dichiarava l'imputato colpevole anche del reato di cui al capo
f), riqualificato sub specie di art. 323 c.p., rideterminando la pena inflitta
in mesi nove di reclusione, e confermando nel resto la pronuncia del Tribunale.
Propone ricorso per cassazione l'imputato, denunciando:
- violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte di merito
rilevato, in relazione alle ritenute ipotesi di abuso d'ufficio, l'insussistenza
del reato e la genericità dei capi d'imputazione, per la mancata indicazione di
precise norme di legge o regolamento violate, non bastando comunque all'uopo il
riferimento al R.D. 03.04.1926 recante il regolamento sull'uso delle autovetture
di Stato;
- vizio di motivazione, in relazione alla mancata rilevazione dei presupposti
per un proscioglimento ex art. 530 cpv. c.p.p., stante l'incertezza e
insufficienza del quadro probatorio e l'irrilevanza economica e funzionale dei
presunti sporadici utilizzi di autovetture e personale di servizio;
- vizio di motivazione, in relazione all'erronea valutazione delle risultanze
processuali, inidonee a comprovare che il prevenuto abbia effettivamente
disposto o consentito l'utilizzo di autovetture e personale di servizio da parte
della moglie, essendo viceversa emerso che tanto è sporadicamente avvenuto in
tempi non precisati, senza che il Gallitto potesse neppure avvedersene, per
autonoma iniziativa di essa moglie, che si riteneva a tanto autorizzata nella
veste di Presidente Onoraria della locale sezione femminile della Croce Rossa e
che talora poneva in essere detto utilizzo per esigenze istituzionali dello
stesso Ufficio del marito;
- violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'impropria
valorizzazione della deposizione del teste Avezzù nonostante il riconosciuto
astio da lui nutrito nei confronti del prevenuto;
- vizio di motivazione, in relazione alla dedotta inidoneità, per il suo tenore
e la natura delle fonti integrativo-attuative, del R.D. 03.04.1926 a integrare
il presupposte della violazione di legge rilevante ai fini dell'abuso d'ufficio;
- violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'omessa
rilevazione dell'assenza, emergente dal materiale probatorio, del dolo
intenzionale richiesto dalla nuova formulazione del delitto di abuso d'ufficio;
- violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alle eccezioni di
incompleta produzione di atti da parte del P.M. e conseguente violazione del
diritto di difesa;
- vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta responsabilità per il capo
f), frutto di una lettura erronea e travisata delle risultanze processuali;
- in via subordinata, l'intervenuta prescrizione dei reati ascritti.
Diritto
Palesemente infondata è la doglianza relativa alla genericità dei capi
d'imputazione, stante il dettagliato tenore dei medesimi e l'ampiezza
dell'esercizio delle facoltà di difesa che l'imputato ha dispiegato riguardo
alle accuse ivi mosse.
Né efficace in contrario e ai fini della pretesa inconfigurabilità del delitto
di abuso d'ufficio appare la deduzione in ordine alla mancata indicazione di
precise norme di legge o regolamento violate. Sufficiente e pertinente allo
scopo deve infatti ritenersi il riferimento al R.D. 03.04.1926 recante il
regolamento sull'uso delle autovetture di Stato, da intendersi all'evidenza come
rivolto alle norme specificamente disciplinanti i limiti di legittimità di tale
uso (v. in particolare gli artt. 1 e 2), certamente non ignote a un Prefetto e
che ben sono state individuate dalla difesa.
Quanto alla dedotta irrilevanza economica e funzionale degli sporadici utilizzi
di autovetture e personale di servizio, si osserva che, ai fini del delitto ex
art. 323 cp., non rilevano le disfunzioni o l'entità del danno in sé per la P.A.
(su cui comunque la Corte di merito ha non illogicamente motivato), ma solo un
(ingiusto) vantaggio patrimoniale procurato dall'agente a sé o a terzi, sulla
cui sussistenza nella specie non possono nutrirsi dubbi, tenuto conto
dell'oggettivo e non irrilevante valore economico (dal punto di vista del
fruitore) del consumo di carburante, del costo di mercato dell'utilizzo del
mezzo e delle ore di impegno del personale.
Di carattere fattuale e inidonee a evidenziare vizi del percorso argomentativo
dei giudici di merito apprezzabili in questa sede sono le censure in ordine alla
pretesa incertezza e insufficienza del quadro probatorio circa l'effettività dei
“viaggi” posti in essere dalla moglie del prevenuto per esigenze esulanti dai
compiti d'ufficio e alla circostanza che il prevenuto abbia effettivamente
disposto o consentito, col dolo intenzionale richiesto dalla nuova formulazione
del delitto di abuso d'ufficio, il detto utilizzo di autovetture e personale di
servizio da parte della moglie.
Al riguardo, oltre alla argomentata ricostruzione, già fatta dal primo giudice
(e non adeguatamente contrastata da convalidate risultanze o utili deduzioni
avverse), dei viaggi e della loro estraneità ad esigenze d'ufficio, con
conseguenti inequivoche finalità di approfittamento privato, vanno richiamati i
rilievi della Corte di merito sulla conoscenza da parte del prevenuto, dei
movimenti effettuati dalla moglie con la macchina di servizio da lui fatta
predisporre e poi utilizzata dalla predetta. Tali rilievi sono basati non
illogicamente sull'assenza di elementi indicativi di criticità del rapporto
coniugale e sulla generale cognizione da parte del Gallitto (per il ruolo
rivestito, e indipendentemente da specifici momenti di rendicontazione) dei
movimenti delle autovetture disponibili, e risultano decisivamente corroborati
(anche ai fini della piena integrazione dell'elemento soggettivo)
dall'attestazione di espliciti ordini, dati dal prevenuto, di accompagnare la
consorte con l'autovettura di servizio, riveniente dalla richiamata deposizione
del teste Avezzù, sulla cui non illogica valorizzazione da parte dei giudici di
merito il ricorrente ha mosso rilievi di carattere fattuale e non apprezzabili
in questa sede.
Infondata è la doglianza relativa alla dedotta inidoneità, per il suo tenore e
la natura delle fonti integrativo-attuative, del R.D. 03.04.1926 a integrare il
presupposto della violazione di legge rilevante ai fini dell'abuso d'ufficio. Le
norme regolamentari che vengono in rilievo ai fini di causa (artt. 1 e 2) sono,
invero, sufficientemente chiare nella loro portata inibitoria, tale da renderne
oggettivamente rilevante la violazione agli effetti della fattispecie
incriminatrice in discorso.
Né la previsione, nell'art. 13 del cit. TU)., della responsabilità disciplinare
per le violazioni delle norme regolamentari può certo considerarsi preclusiva di
quella penale, ove di quest'ultima ricorrano gli estremi. Essa, infatti, non
configura una specifica ipotesi di illecito amministrativo, alternativa alla
perseguibilità penale, ma si limita a contemplare in modo generico la rilevanza
disciplinare delle contravvenzioni al regolamento, nulla disponendo sulla loro
parallela rilevanza, in presenza di tutti i presupposti di legge, agli effetti
penali.
Sulle eccezioni di incompleta produzione di atti da parte del P.M. e conseguente
violazione del diritto di difesa, si osserva che il ricorrente, richiamandosi a
una serie di eccezioni processuali sollevate sin dal giudizio di primo grado, ha
insistito sulla doglianza, lesiva a suo dire dei diritti di difesa, che non
risultano mai prodotti in causa l'esposto-denunzia contenente la “notitia
criminis" e gli atti di proroga delle indagini preliminari.
Ora, da un lato è noto che l'omissione del deposito di atti dell'indagine
preliminare da parte del P.M. comporta l'inutilizzabilità degli atti stessi, ma
non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente
decreto che dispone il giudizio (v., fra le altre, Cass. 11.012007 n. 8049);
dall'altro, va rilevato che la rilevanza, ai fini della dedotta lesione dei
diritti di difesa, delle denunciate omissioni, non è stata in alcun modo
illustrata, con riferimenti e argomenti specifici, dai ricorrente.
Le censure in ordine alla dedotta lettura erronea e travisata delle risultanze
processuali quanto al capo f) non sono tali da condurre a un immediato
proscioglimento del prevenuto nel merito e risultano pertanto irrilevanti per
quanto si dirà in ordine all'eccezione di prescrizione.
Il ricorrente ha dedotto l'intervenuta prescrizione dei reati ascritti. Tale
eccezione è fondata per quanto concerne i reati di cui ai capi E) e F) della
rubrica. Infatti, in relazione ad essi, la contestazione fa generico riferimento
al periodo dal gennaio 2001 a giugno 2003. Poiché nessuna ulteriore
specificazione è intervenuta nel corso del giudizio, la regola del “favor rei”
impone di collocare la commissione dei reati non dopo il gennaio 2001, con
conseguente maturazione del periodo massimo di prescrizione.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio
limitatamente ai reati sub E) e F), perché estinti per prescrizione, con
eliminazione della relativa pena di mesi cinque di reclusione.
Diverso è invece il discorso per quanto concerne il reato di cui al capo A).
Qui, infatti, la commissione dei fatti, secondo la argomentata ricostruzione
effettuata dal primo giudice (v. p. 6 della sentenza di primo grado), idonea a
superare anche le obiezioni difensive sollevate al riguardo, si colloca
temporalmente fra l'11.01.2002 e il 25.09.2003, onde non può ritenersi decorso
il periodo prescrizionale di sette anni e mezzo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 620 cpp., annulla senza rinvio la sentenza impugnata
limitatamente ai reati sub E) e F), perché estinti per prescrizione, ed elimina
la relativa pena di mesi cinque di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
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