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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/06/2009 (Ud. 25/03/2009), Sentenza n. 25965
DIRITTO URBANISTICO - Interventi precari - Natura - Disciplina urbanistica
vigente - Temporaneità della destinazione - Uso contingente e limitato nel tempo
- Necessità - Tipologia dei materiali usati per il manufatto - Ininfluenza.
In materia edilizia la natura precaria di un manufatto ai fini della sua non
sottoposizione al preventivo rilascio del permesso di costruire non può essere
desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera
dall'utilizzatore, né dal dato che si tratti di un manufatto smontabile e non
infisso al suolo ma deve riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale
dell'opera stessa ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, con la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto
alla cessazione dell'uso (Cass. pen. sez. III 21/03/2006, n.20189). Pres.
Onorato, Est. Marmo, Ric. Bisulca ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 22/06/2009 (Ud. 25/03/2009), Sentenza n. 25965
DIRITTO URBANISTICO - Sicilia sanatoria speciale - Art. 18 c.4, L. R. Sicilia
n. 4/2003 - Effetto estintivo del reato edilizio - Esclusione - Permesso di
costruire in sanatoria - Artt. 13 e 22 L. n. 47/1985. In materia edilizia la
speciale sanatoria prevista dall'art. 18 comma quarto della Legge Regionale
Sicilia 16 aprile 2003, n. 4 per taluni interventi edilizi (norma che consente
il recupero abitativo dei sottotetti, delle pertinenze, dei locali accessori e
dei seminterrati degli edifici esistenti, previa concessione edilizia, anche
tacitamente assentita o denuncia di inizio attività) è inidonea a produrre
l'effetto estintivo del reato edilizio, in quanto tale effetto consegue
unicamente al rilascio della concessione o permesso di costruire, in sanatoria,
ai sensi del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio
1985, n. 47, (Cass. pen. sez. III sent. 15/02/2008, n. 11132). Pres. Onorato,
Est. Marmo, Ric. Bisulca ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
22/06/2009 (Ud. 25/03/2009), Sentenza n. 25965
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Lettura alternativa delle risultanze probatorie
- Motivo di ricorso per cassazione - Esclusione - L. n. 46/2006. In tema di
motivi di ricorso per cassazione, pur dopo la novella codicistica introdotta con
la legge n. 46 del 2006 non hanno rilevanza le censure che si limitino ad
offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il
sindacato della Corte di Cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera
legittimità (Cass. pen. sez VI sent. 3/10/2006, n. 36546). Pres. Onorato, Est.
Marmo, Ric. Bisulca ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
22/06/2009 (Ud. 25/03/2009), Sentenza n. 25965
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UDIENZA 25.03.2009
SENTENZA N. 00710/2009
REG. GENERALE n.035463/2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Pierluigi Onorato Presidente
Dott. Ciro Petti Consigliere
Dott. Alfredo Teresi Consigliere
Dott. Mario Gentile Consigliere
Dott. Margherita Marmo Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BISULCA ANNA MARIA N. IL
01/04/1924
2) CATALANO GIUSEPPE N. IL 29/01/1959
avverso SENTENZA del 10/06/2008
CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere MARMO MARGHERITA
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore dott. Izzo
Gioacchino
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 10 giugno 2008 la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza pronunciata il 21 maggio 2007, con la quale il Tribunale di Palermo aveva dichiarato Anna Maria Bisulca e Giuseppe Catalano colpevoli:
A) del reato previsto e punito dagli artt. 110 c.p. e 20 lettera b) della legge n. 47 del 1985, (ora recepiti dagli artt. 29 e 44 lettera B del DPR n. 380 del 2001), per avere, in concorso tra loro, la prima nella qualità di proprietaria dell'immobile e committente delle opere, l'altro nella qualità di direttore dei lavori, in un preesistente edificio sito a Palermo in via Trapani 8, eseguito, in assenza della prescritta concessione edilizia opere edilizie comportanti trasformazione del territorio e precisamente la realizzazione di un volume abusivo in corrispondenza della copertura a terrazza dell'immobile, mediante la demolizione del preesistente solaio di calpestio in cemento e la realizzazione di un tetto in legno a doppia falda e
B)
del reato previsto e punito dagli artt. 110 c.p. e art. 4 e 14 della legge n.
1086 del 5 novembre 1971, (ora recepiti dagli artt. 65 e 72 del DPR n. 380 del
2001) per avere, in concorso tra loro e nelle rispettive qualità sopra indicate,
realizzato e demolito le strutture in conglomerato cementizio descritte nel capo
a) senza previa denuncia dei lavori all' Ufficio del Genio civile, (reati
commessi a Palermo fino a gennaio 2004 (data del verbale di sopralluogo) e,
concesse ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, li aveva
condannati alla pena di quattro mesi di arresto e cinquemila euro di ammenda
ciascuno, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena,
ordinando il dissequestro e la restituzione all'avente diritto delle opere
sequestrate, ordinando la demolizione delle opere abusive e condannando gli
imputati, in solido, al risarcimento, in favore della parte civile costituita,
dei danni da liquidarsi in separata sede civile, respingendo l'istanza di
condanna degli imputati al pagamento di una provvisionale.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati chiedendo
l'annullamento dell'impugnata sentenza per i motivi che saranno nel prosieguo
analiticamente esaminati
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti
lamentano la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla legge regionale Siciliana n. 4 del 2003.
Deducono gli imputati che i giudici di merito avevano ritenuto sussistente la
loro colpevolezza senza considerare che le opere realizzate consistevano in
strutture precarie facilmente rimuovibili e quindi non soggette al rilascio di
concessione edilizia da parte del Comune, così come previsto dall'art. 20 della
legge regionale n. 4 del 2003.
Deducono i ricorrenti che il Catalano, nella qualità di direttore dei lavori,
aveva comunicato al Comune di Palermo, settore edilizia privata, con nota del 28
agosto 2003 allegata agli atti, le opere che avrebbe realizzato ed il Comune
aveva risposto che l'istanza era accoglibile invitandolo a produrre idonea
documentazione fotografica al termine dei lavori.
Come risultava dal verbale di sopralluogo del 16 gennaio 2004 i verbalizzanti
avevano accertato l'esecuzione delle opere corrispondenti a quelle autorizzate .
Inoltre sulla natura precaria di detta opera, ovvero sulla sua agevole
rimovibilità, aveva fornito ampie delucidazioni lo stesso Catalano, il quale
aveva descritto l'opera come realizzata in struttura amovibile con pareti
laterali in vetro, con travi di copertura amovibili in quanto appoggiate a delle
mensole di ferro, senza che tali circostanze di fatto fossero smentite da
alcuno. Viceversa, proprio a causa della natura precaria delle opere, il Comune
di Palermo aveva assentito le opere come conformi all'art. 20 della legge
regionale citata.
Il motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
Come ha precisato questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 15
febbraio 2008, n. 11132, rv 239072) " in materia edilizia la speciale sanatoria
prevista dall'art. 18 comma quarto della Legge Regionale Sicilia 16 aprile 2003,
n. 4 per taluni interventi edilizi ( norma che consente il recupero abitativo
dei sottotetti, delle pertinenze, dei locali accessori e dei seminterrati degli
edifici esistenti, previa concessione edilizia, anche tacitamente assentita o
denuncia di inizio attività) è inidonea a produrre l'effetto estintivo del reato
edilizio, in quanto tale effetto consegue unicamente al rilascio della
concessione o permesso di costruire, in sanatoria, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47".
Per quel che attiene alla dedotta natura precaria dell'opera trova applicazione
il principio affermato da questa Corte ( v. per tutte Cass. pen. sez. III sent.
21 marzo 2006, n. 20189, rv 234325) secondo cui "in materia edilizia la natura
precaria di un manufatto ai fini della sua non sottoposizione al preventivo
rilascio del permesso di costruire non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore, né dal dato
che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo ma deve
riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale dell'opera stessa ad un
uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con
la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto alla cessazione dell'uso".
La sentenza impugnata ha in proposito adeguatamente ed esaustivamente motivato,
conformemente all'enunciato principio di diritto rilevando che dalla deposizione
del teste Domenico Costa, tecnico in servizio presso l'Ufficio edilizia privata
del Comune di Palermo, risultava che l'intervento eseguito non poteva
considerarsi alla stregua di una veranda amovibile e precaria destinata a fini
specifici e contingenti, in quanto si trattava di un nuovo ambiente a quote
diverse con aumento di volumetria e cubatura.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'illogicità e la contraddittorietà
della motivazione (violazione dell'art. 606 lettera e c.p.p.) rispetto al
contenuto degli atti processuali.
Risultava infatti dagli atti processuali che, per quanto attiene al solaio in
legno e quello di calpestio della terrazza, con richiesta del 4 febbraio 2004 e
allegata relazione tecnica, il Catalano, nella qualità di direttore dei lavori,
aveva espressamente richiesto, a norma dell'art. 13 della legge n. 47 del 1985,
l'autorizzazione edilizia per il rifacimento dei solai in quanto gli stessi
erano malandati. L'impugnata sentenza, con motivazione illogica e
contraddittoria, aveva invece basato la motivazione della condanna sulle
affermazioni dell'architetto Domenico Costa, senza valutare la produzione
documentale e senza un esame critico tra la suddetta deposizione e le
affermazioni dell'imputato sulla legittimità delle opere.
Inoltre, secondo i ricorrenti, la Corte di Appello aveva omesso di motivare
sulla circostanza che le medesime opere indicate dagli imputati ( cfr
comunicazione del 28 agosto 2008 ex art. 20 della legge regionale n. del 2003
accolta dal Comune di Palermo) erano state considerate dal Comune di Palermo
come opere suscettibili di concessione edilizia.
Altro elemento di illogicità della sentenza impugnata era da evincersi con
riferimento alla situazione dei solai in legno e cemento armato descritti nel
capo di imputazione, in quanto era stata ritenuta sussistente la penale
responsabilità di essi imputati nonostante che agli atti del processo vi fosse
la nota del settore edilizia privata ( nota prot. 75558 del 9 marzo 2006) che
attestava invece la natura di opere realizzate in conformità agli strumenti
urbanistici e non soggette a concessione, bensì a semplice comunicazione.
Rileva il Collegio che anche tale motivo è palesemente infondato.
In primo luogo i ricorrenti contestano le valutazioni di fatto, sorrette da
adeguata motivazione, eseguite dalla Carte di Appello con riferimento alle
risultanze probatorie in atti.
Trova in proposito applicazione il principio affermato da consolidata
giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte cass. pen. sez VI sent. 3 ottobre
2006, n. 36546) secondo cui " in tema di motivi di ricorso per cassazione, pur
dopo la novella codicistica introdotta con la legge n. 46 del 2006 non hanno
rilevanza le censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle
risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di Cassazione si
risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimità".
Per quel che attiene agli specifici rilievi dei ricorrenti circa la
condonabilità dell'opera con riferimento alla legge della Regione Sicilia, trova
applicazione il consolidato principio affermato da questa Corte nella sentenza
della terza sezione penale 15 febbraio 2008, n. 11132, rv 239072 sopra citata
circa la non estensibilità della sanatoria speciale prevista dall'art. 18 comma
quarto della Legge Regionale Sicilia 16 aprile 2003 n. 4 al reato edilizio.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione della
sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei
reati contestati.
Anche il terzo motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
Non è infatti in contestazione il fatto che la Bisulca sia proprietaria
dell'immobile e committente delle opere abusive e che il Catalano sia il
direttore dei lavori e non vi sono specifici rilievi in ordine alla sussistenza
dell'elemento psicologico dei reati contestati che configurano contravvenzioni
punibili a titolo di colpa.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione in ordine
alla condanna al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile.
Deducono il ricorrenti che la sentenza era illogica e contraddittoria, in quanto
dalle risultane processuali era emerso che i danni lamentati dalla parte civile
non erano riconducibili esclusivamente alla realizzazione delle opere in
oggetto, ma avrebbero potuto avere altre cause.
Anche il quarto motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
In ordine ad analogo rilievo sollevato con i motivi di appello la Corte di
merito ha infatti adeguatamente motivato con valutazioni in fatto insindacabili
in questa sede di legittimità, rilevando che dall'esame del complesso delle
risultanze processuali era emersa l'esistenza di un nesso eziologico e temporale
tra l'esecuzione dell'intervento edilizio abusivo ed i danni lamentati dalla
Forte che erano risultati temporalmente e casualmente collegati alla
realizzazione dei lavori edili sul muretto posto a confine tra le due proprietà.
Va quindi dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna dei
ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali e ciascuno della
sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende nella misura che si
reputa congrua di € 1.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali e
singolarmente della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in Roma il 25 marzo 2009.
Deposito in Cancelleria il 22 giugno 2009.
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