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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. I, 27/01/2009 (Ud. 04/12/2008), Sentenza n. 3712
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Cose di interesse storico ed artistico - Tutela - Artt. 61, 31
e 32 L. n. 1089/1939 - Prelazione dello Stato. L'esigenza di conservare e
garantire la fruizione da parte della collettività delle cose di interesse
storico ed artistico, 31 e 3 che siano state sottoposte a notifica ai sensi
dell'art. 3 della legge 1 giugno 1939 n. 1089 giustifica per tali beni, nel
rispetto dell'art. 3 della Costituzione, l'adozione di particolari misure di
tutela che si realizzano attraverso poteri della pubblica amministrazione e
vincoli per i privati differenziati dai poteri e vincoli operanti per altre
categorie di beni, seppur gravati da limiti connessi la perseguimento
dell'interesse pubblico, in particolare per l'istituto della prelazione storico
- artistica di cui agli artt. 61, 31 e 32 della legge n. 1089 del 1939, con
riguardo alle ipotesi di alienazioni operate contro i divieti stabiliti dalla
legge. Pres. Silvestri, Est. Corradini, Ric. MaJ. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
I,
27/01/2009 (Ud. 04/12/2008), Sentenza n. 3712
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Beni vincolati - Alienazioni, convenzioni e atti giuridici in
genere posi in essere al di fuori delle procedure di cui alla l. n.
1089/1939 - Nullità - Buona fede dell'acquirente o esistenza di un primo
acquisto a titolo originario (acquisto all'asta) - Irrilevanza. L'art. 61
della legge n. 1089/1939 dichiara nulli di pieno diritto "le alienazioni, le
convenzioni e gli atti giuridici in genere aventi ad oggetto beni vincolati" con
ciò ponendo un divieto assoluto non solo di alienazione ma anche di consegna dei
beni del patrimonio artistico, appartenenti in Italia in gran parte ad enti
morali cui si riferisce la sezione prima del capo terzo della legge citata, al
di fuori delle procedure previste dalla legge con riguardo alla denuncia imposta
affinchè lo stato possa esercitare il diritto di prelazione ed al divieto di
consegna nel termine previsto per l'esercizio di tale diritto, con conseguente
nullità assoluta non solo della prima "alienazione" ma anche di quelle
successive, indipendentemente dalla buona fede dell'acquirente. Ne consegue che
l'acquirente finale del bene appartenente al patrimonio artistico dello stato
non può invocare la buona fede ovvero la esistenza di un primo acquisto a titolo
originario ( quale l'acquisto all'asta del bene ) poiché tutti gli atti
giuridici di acquisto di tali beni sono nulli, se non sono state esperite le
procedure di legge. Pres.
Silvestri, Est. Corradini, Ric. MaJ. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
I,
27/01/2009 (Ud. 04/12/2008), Sentenza n. 3712
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UDIENZA 04.12.2008
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Penale
Omissis
Motivi della decisione
Con ordinanza in data 3.4.2008 il GIP del Tribunale di Firenze ha revocato il
precedente provvedimento 9.1.2008 con cui era stato revocata la confisca
dell'opera d'arte denominata Polittico Mormino, attribuito al pittore bolognese
Antonio Rimpatta, già appartenente ad un'Opera Pia del IV Gruppo di Napoli, che
era stata disposta con il decreto 5.8.1995 del GIP della Pretura Circondariale
di Firenze in sede di definizione del procedimento penale aperto nei confronti
del Maj ed in seguito archiviato.
Il Polittico Mormino era stato acquistato da un privato nel 1977 a seguito di
una espropriazione mobiliare promossa dalla Esattoria Comunale di Napoli e
successivamente, dopo alcuni passaggi, era pervenuto al Maj e quindi era entrato
in possesso di tale Poma Arnaldo residente in Svizzera; rientrato in Italia per
esigenze di restauro, il Polittico era stato oggetto di una contestazione fra
privati ed in tale ambito era iniziato, su denuncia del Maj, il procedimento
penale per appropriazione indebita a carico del terzo, poi esteso al Maj e
concluso con la archiviazione per il Maj per prescrizione e per il terzo per
insussistenza delle condizioni previste dall'art. 10 del C.P., con contestuale
confisca dell'opera di rilevante valore artistico che era già stata consegnata,
nel 1992, alla Sovrintendenza per i beni storici ed artistici di Firenze la
quale aveva provveduto ad importanti opere di restauro con fondi pubblici.
Il provvedimento di confisca era stato impugnato con ricorso per cassazione,
però la Corte di Cassazione, sezione seconda, con sentenza n. 1968 del 2001,
aveva dichiarato inammissibile il ricorso rilevando che il provvedimento di
confisca adottato contestualmente alla archiviazione non era ricorribile bensì
soltanto impugnabile con incidente di esecuzione.
Il Maj attivava quindi l'incidente di esecuzione ed il giudice dell'esecuzione
inizialmente disponeva la restituzione del Polittico al Maj revocando la
confisca, ma, nella immediatezza della comunicazione del provvedimento alla
Amministrazione dei Beni Culturali, che deteneva il dipinto, tale
Amministrazione, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, proponeva opposizione,
qualificata come un nuovo incidente di esecuzione poiché la Amministrazione non
era mai stata parte dei precedenti procedimenti, a seguito del quale è stato
emesso il provvedimento 3.4.2008 con cui è stata confermata la confisca e
rigettata la richiesta del Maj di restituzione dell'opera in base al rilievo
che, trattandosi di bene di rilevante valore artistico, la sua alienazione
sarebbe stata preclusa stante l'espresso divieto degli artt. 1 e 23 della legge
n. 1089 del 1939, mentre la nullità dell'atto iniziale di disposizione aveva
investito tutti gli atti successivi e risultava opponibile anche ai terzi
acquirenti di buona fede.
Contro tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la difesa del Maj
lamentando con tre separati motivi:
violazione e falsa applicazione degli artt. 263, comma 3, c.p.p. e 400 e segg.
c.p.c. poiché il giudice dell'esecuzione penale aveva deciso una controversia
sulla proprietà di un bene che era di esclusiva competenza del giudice civile il
quale la aveva comunque già risolta con sentenza del Tribunale civile di Firenze
30.11.2006, passata in giudicato l'8.4.2007, nella causa promossa dal Maj nei
confronti del Poma che aveva affermato che il Polittico era di proprietà del Maj,
mentre il terzo ( nella specie il Ministero ) avrebbe potuto proporre
opposizione di terzo contro tale sentenza a norma dell'art. 404 c.p.c., non
spettando al giudice penale mettere nel nulla il giudicato civile;
violazione dell'art. 61 della legge 1.6.1939 n. 1089, nonché degli artt. 1153 e
2009 c. c. per avere il provvedimento impugnato applicato il principio di
nullità "di pieno diritto" di cui alla sentenza della Corte di Cassazione civile
n. 4260 del 1992, in una vicenda circolatoria di beni non assimilabile al caso
di cui alla citata sentenza, che vedeva a monte la presenza di una vendita
pubblica promossa dalla stessa Pubblica Amministrazione (Comune di Napoli, che
era stato consapevole promotore della vendita ai pubblici incanti del Polittico
e di altri beni mobili di un'Opera Pia per debiti fiscali, senza previa
autorizzazione dell'allora Ministero della Pubblica Istruzione e la prelazione
statale nell'acquisto) ed a valle il giudicato civile che ne attribuiva la
proprietà al Maj; violazione dell'art. 648 C.P.P., nonché contraddittorietà ed
illogicità della motivazione ed abnormità della ordinanza impugnata poiché aveva
revocato il precedente provvedimento che aveva disposto la restituzione del
polittico al Maj dopo che era divenuto irrevocabile per difetto di impugnazione
ed in contrasto con la regola di cui all'art. 263, comma 3, c.p.p. per cui il
giudice penale, al quale è richiesta la restituzione delle cose sequestrate, se
sorge questione sulla proprietà, rimette la controversia al giudice civile.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Hanno presentato successive memorie difensive l'Avvocatura dello Stato
nell'interesse
del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali e la difesa di Angelo Maj che ha
replicato alle conclusioni del Procuratore Generale.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, occorre premettere che il giudice dell'esecuzione non ha
risolto la controversia civile fra privati in ordine alla proprietà del
polittico bensì ha deciso l'incidente di esecuzione sulla validità e permanenza
della confisca penale disposta in sede di cognizione ( con il provvedimento
penale di archiviazione del procedimento che aveva interessato il Maj ed altri )
e contestata in sede esecutiva.
L'art. 263, comma 3, c.p.p., che riguarda il procedimento per la restituzione
delle cose sequestrate, è nella specie richiamato impropriamente dal ricorrente
( così come è stato impropriamente utilizzato nel corso del primo incidente di
esecuzione ) poiché il polittico, inizialmente sequestrato, è stato confiscato
con il provvedimento del 5.8.1995, per cui non si trattava in sede esecutiva di
stabilire la proprietà del bene sequestrato di cui vi era dubbio sulla
appartenenza e che, in quanto tale, non avendo il giudice della cognizione
provveduto sulla sua sorte finale, doveva essere restituito all'avente diritto,
bensì se sussistessero o meno i presupposti per la confisca che la Corte di
Cassazione, con la sentenza n. 1968 del 2001, trattandosi di confisca disposta
in sede di archiviazione del procedimento penale, aveva ritenuto impugnabile con
incidente di esecuzione e non invece ricorribile immediatamente.
In tale ambito va inquadrato l'incidente di esecuzione promosso dal Maj per
ottenere la revoca della confisca, la cui competenza spettava indubitabilmente
al giudice penale quanto alla contestazione dei presupposti che non erano
collegati alla pretesa appropriazione del Polittico Mormino da parte del Poma ai
danni del Maj, bensì alla qualità di bene che, a norma della legge n. 1089 del
1939 concernente la tutela delle cose di interesse storico ed artistico, non
poteva essere alienato se non previa autorizzazione del Ministero per la
pubblica istruzione e tanto meno poteva essere esportato all'estero senza le
dovute autorizzazioni.
E' del tutto pacifico che, se in sede esecutiva viene dedotto che i beni già
confiscati appartengono a terzi estranei al reato ovvero che si è al di fuori
delle ipotesi di confisca obbligatoria o facoltativa previste dall'art. 240 C.P.
( e ciò anche in ipotesi di confisca speciale, quale ad esempio quella prevista
dall'art. 2-ter della l. n. 575 del 1965 ), il giudice dell'esecuzione deve
disporre che tutti i terzi interessati siano citati nel giudizio di esecuzione,
i quali comunque possono intervenire nel procedimento e possono, anche con
l'assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio le proprie
deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della
decisione sulla confisca. La consolidata giurisprudenza di questa Corte
riconosce inoltre che il terzo che rivendichi la legittima titolarità del bene
confiscato o altro diritto reale, chiedendone la restituzione, può proporre
anche autonomo incidente di esecuzione quando non abbia partecipato al
procedimento di applicazione della misura patrimoniale, nel quale può svolgere
le deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della
decisione sulla confisca (Cass., Sez. VI, 18 settembre 2002, Diana; Sez. I, 20
ottobre 1997, Cifuni, rv. 208927).
Con riferimento alla confisca regolata dall'art. 240 c.p. e da altre leggi
speciali, le Sezioni Unite Penali hanno stabilito pure che la tutela dei diritti
dei terzi non può essere circoscritta alla proprietà ma assiste anche i diritti
reali di godimento e di garanzia, che sopravvivono, quindi, al provvedimento
ablatorio di confisca (Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, Comit Leasing s.p.a. in
proc. Longarini, rv. 199174; Sez. Un., 28 aprile 1999, Bacherotti ed altri).
Nell'identica direzione è orientata la giurisprudenza civile di questa Corte in
materia di confisca amministrativa, anch'essa connotata dalla funzione
preventiva e repressiva di illeciti (Cass. civ., Sez. Un., 30 maggio 1989, n.
2635).
Deve, dunque, affermarsi che la salvaguardia del preminente interesse pubblico
alla confisca di un bene non può giustificare, in linea di massima ed al di
fuori di specifiche disposizioni, il sacrificio inflitto al terzo di buona fede,
titolare di un diritto reale sullo stesso, dovendo considerarsi la sua posizione
"protetta dal principio della tutela dell'affidamento incolpevole, che permea di
sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico" (Corte cost., 10 gennaio 1997, n. 1):
con la conseguenza che l'unica sede in cui può verificarsi la tutela della buona
fede del terzo - se sussistente e se rilevante - è costituita dal procedimento
di cognizione penale ovvero dall'incidente di esecuzione, qualora il terzo non
sia stato posto in condizione di partecipare al procedimento nel quale è stata
disposta la misura della confisca ovvero, come nel caso in esame, la stessa
parte (il Maj ) non ha avuto nel giudizio di cognizione la possibilità di
impugnazione, avendo il giudice della impugnazione ( la Corte di Cassazione con
la sentenza 1968 del 2001 ) ritenuto che la impugnazione fosse riservata, stante
la particolarità della sede (decreto di archiviazione), al giudice
dell'esecuzione.
L'incidente di esecuzione, proposto dal Maj al limitato fine di fare valere la
insussistenza dei presupposti per la confisca del polittico ed in particolare la
propria buona fede, onde ottenerne la revoca, costituiva in conseguenza
specifica materia di competenza del giudice penale ed in particolare del giudice
dell'esecuzione penale, a norma dell'art. 676 c.p.p. ( che riconosce il potere
di fare valere la insussistenza dei presupposti della confisca sia al terzo
rimasto estraneo al procedimento penale conclusosi con la confisca, posto che il
terzo non può impugnare la sentenza per il capo relativo alla misura
patrimoniale, sia anche al soggetto coinvolto nel procedimento penale conclusosi
con una pronuncia diversa da quella di condanna, posto che il giudice
dell'esecuzione non può ordinare la restituzione delle cose già confiscate al
condannato a causa della preclusione del giudicato (v. per tutte Cass.
20.4.2000, El Yamini; Cass. 22.4.1999, Colonna ), al di fuori della previsione
dell'art. 263 C.P.P. che riguarda i diversi casi di contestazione della
proprietà della cosa sequestrata estranei alla ipotesi di confisca obbligatoria.
Ma era nel contempo consentito anche alla Amministrazione statale ( a cui favore
era stato devoluto il bene confiscato con il provvedimento di archiviazione del
1995 e che ne aveva avuto la disponibilità fin dal 1992, provvedendo nel
contempo ad opere di restauro con rilevanti spese), una volta venuta a
conoscenza del provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione a favore del Maj
nell'ambito di un procedimento di esecuzione penale di cui non aveva avuto
alcuna conoscenza, poiché né la parte né il giudice avevano provveduto alla sua
citazione, promuovere incidente di esecuzione per fare valere la inopponibilità
di tale pronuncia nei suoi confronti. L'incidente di esecuzione è infatti il
rimedio previsto dalla legge per fare valere le contestazioni in merito alla
confisca ed alla restituzione del bene in sede esecutiva ( v. Cass. 20.5.1992,
Zolkon, rv. 190872; 14.12.1992, De Maria ) ed è stato il rimedio azionato dal
Ministero e correttamente qualificato dal giudice dell'esecuzione perché
esperito da un soggetto che non era stato chiamato e non aveva avuto modo di
partecipare al precedente incidente di esecuzione promosso dal Maj.
La tesi del ricorrente, per cui il Ministero avrebbe dovuto proporre opposizione
civile di terzo ex art. 404 c.p.c. alla sentenza civile pronunciata nella causa
promossa dal Maj nei confronti del Poma per fare valere il suo preteso diritto
di proprietà nei confronti del Maj vittorioso in quella causa contro il Poma, è
ugualmente destituita di fondamento in quanto Ministero non era titolare di una
situazione incompatibile con quella accertata fra Maj e Poma nella causa civile
( v. Cass. un. Civili 13.2.2003 n. 1997 ), bensì il soggetto a cui favore era
stato devoluto il bene di rilevante interesse artistico prima sequestrato e poi
confiscato e che ne aveva la disponibilità fin dal 1992, come tale
disinteressato rispetto alla pretesa appropriazione indebita di cui il Maj aveva
accusato il Poma per fatti ampiamente superati dalla misura di sicurezza emessa
nel procedimento penale.
Rispetto al giudicato civile fra i due soggetti privati che si contendevano il
bene di rilevante valore artistico il giudice dell'esecuzione si è posto come il
giudice della confisca penale, al quale non interessava stabilire se il bene
negli anni pregressi fosse stato sottratto da Tizio a Caio, bensì se la confisca
fosse stata emessa legittimamente o meno, indipendentemente dalle pregresse
vicende che avevano coinvolto i diversi soggetti entrati in possesso di quel
bene. L'oggetto della pronuncia del giudice dell'esecuzione va infatti
identificato nell'accertamento degli esatti confini del provvedimento di
confisca attraverso la determinazione dell'eventuale esistenza di diritti
eventuali di terzi idonei a porre nel nulla la devoluzione a favore dello stato
ed in tale ambito, come già osservato, appariva irrilevante sia il giudicato
civile intervenuto fra Maj e Poma sia la precedente pronuncia del giudice
dell'esecuzione nel procedimento per incidente esecuzione nel cuoi ambito non
era stato chiamato e non era intervenuto il Ministero che pure aveva la
disponibilità del bene ed a cui favore era stato devoluto, nell'ambito del
procedimento penale di cognizione, fin dal 1992.
Il primo motivo di ricorso è quindi infondato.
Neppure il secondo motivo merita accoglimento.
Il ricorrente non contesta il principio, di cui ha fatto applicazione il
provvedimento impugnato, discendente dall'orientamento giurisprudenziale
consolidato della Corte di Cassazione (v. Cass. sez. civile l. r n. 4260 del
1992), rafforzato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 269 del 1995,
per cui la esigenza di conservare e garantire la fruizione da parte della
collettività delle cose di interesse storico ed artistico che siano state
sottoposte a notifica ai sensi dell'art. 3 della legge 1 giugno 1939 n. 1089
giustifica per tali beni, nel rispetto dell'art. 3 della Costituzione,
l'adozione di particolari misure di tutela che si realizzano attraverso poteri
della pubblica amministrazione e vincoli per i privati differenziati dai poteri
e vincoli operanti per altre categorie di beni, seppur gravati da limiti
connessi la perseguimento dell'interesse pubblico, in particolare per l'istituto
della prelazione storico - artistica di cui agli artt. 61, 31 e 32 della legge
n. 1089 del 1939, con riguardo alle ipotesi di alienazioni operate contro i
divieti stabiliti dalla legge. Contesta invece che tale orientamento sia
applicabile nella specie poiché l'acquisto originario della proprietà da parte
del primo privato non era discendente da un atto di compravendita bensì da un
acquisto ai pubblici incanti oltretutto per richiesta del Comune, e cioè di un
ente pubblico, per il pagamento di debiti di natura tributaria dell'Opera Pia
che era proprietaria del bene, ma tale rilievo non modifica la soluzione.
L'art. 61 della legge citata dichiara nulli di pieno diritto" le alienazioni, le
convenzioni e gli atti giuridici in genere aventi ad oggetto beni vincolati" con
ciò ponendo un divieto assoluto non solo di alienazione ma anche di consegna dei
beni del patrimonio artistico, appartenenti in Italia in gran parte ad enti
morali cui si riferisce la sezione prima del capo terzo della legge citata, al
di fuori delle procedure previste dalla legge con riguardo alla denuncia imposta
affinchè lo stato possa esercitare il diritto di prelazione ed al divieto di
consegna nel termine previsto per l'esercizio di tale diritto, con conseguente
nullità assoluta non solo della prima "alienazione" ma anche di quelle
successive, indipendentemente dalla buona fede dell'acquirente. Orbene la
limitazione del divieto previsto dalla legge soltanto agli atti di
compravendita, proposta dal ricorrente, cozza, prima ancora che con la ratio,
con la stessa lettera della legge che dichiara la nullità di pieno diritto di
tutti gli atti giuridici in genere attraverso cui si trasferisce la proprietà,
senza esclusione alcuna e cioè senza riguardo alle forme ed alle modalità di
trasferimento della proprietà, con conseguente inapplicabilità della regola
generale di cui all'art. 1153 c.c. tutte le volte in cui il primo acquisto sia
avvenuto in violazione delle procedure di legge.
Ne consegue che l'acquirente finale del bene appartenente al patrimonio
artistico dello stato ( cosa che non è in contestazione nel caso in esame ) non
può invocare la buona fede ovvero la esistenza di un primo acquisto a titolo
originario ( quale l'acquisto all'asta del bene ) poiché tutti gli atti
giuridici di acquisto di tali beni sono nulli, se non sono state esperite le
procedure di legge, come espressamente disposto dalla norma citata, che, proprio
in base alla interpretazione del precedente giurisprudenziale citato, ha voluto
evitare, con espressioni addirittura enfatiche, l'aggiramento del divieto
legislativo attraverso atti giuridici di qualsiasi tipo che consentissero al
terzo di invocare la propria buona fede qualora, al momento dell'acquisto, non
si fosse accertato della esistenza della previa autorizzazione ministeriale alla
alienazione.
Al terzo motivo è già stata data sostanziale risposta con le pregresse
argomentazioni. Si può solo aggiungere che la ordinanza impugnata, laddove ha
revocato il precedente provvedimento che aveva disposto la restituzione del
polittico al Maj, non si è posta in violazione dell'art. 648 c.p.p.. che, pur se
in effetti espressione di un principio di carattere generale applicabile anche
ai provvedimenti diversi dalle sentenze, peraltro vale soltanto fra le parti in
causa e, per i procedimenti di esecuzione ( così come, ad esempio, per quelli
cautelari ), "rebus sic stantibus" ( art. 662, comma 2, c.p.p. ); per cui
un terzo, non partecipante al precedente incidente di esecuzione, può presentare
un autonomo incidente di esecuzione quando il provvedimento lo pregiudichi.
Nella specie l'ordinanza che aveva deciso il primo incidente di esecuzione era
"tamquaam non esset" per la posizione del Ministero che non era stato
chiamato a parteciparvi benché fosse il soggetto a cui favore era stata disposta
la confisca. Non si può quindi parlare di irrevocabilità del primo provvedimento
poiché non era opponibile al soggetto che non vi aveva partecipato e che non
avrebbe avuto titolo per impugnarlo per cassazione mentre il rimedio proposto
dal Ministero è stato correttamente qualificato come incidente di esecuzione
promosso dal soggetto interessato per fare valere i suoi diritti sulla cosa
confiscata.
Quanto infine al contenuto della memoria depositata dalla difesa del Maj in data
26.11.2008 è solo il caso di rilevare che il riferimento alle leggi doganali è
superato ed assorbito dalla impostazione del provvedimento impugnato che in
effetti appare assorbente.
Il ricorso deve essere in definitiva respinto perché infondato sotto tutti i
profili addotti con i consequenziali provvedimenti in punto di spese ( art. 616
C.P.P. ).
P. Q. M.
LA CORTE
PRIMA SEZIONE PENALE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2008.
Deposito in Cancelleria il 27/01/2009
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