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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE
Civile, Sez. III,
25/02/2009, Sentenza n.
4493
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE -
Giudizio di equità del giudice di pace - Risarcimento del danno non patrimoniale
- Valori della persona umana costituzionalmente protetti - Prova del pregiudizio
subito - Art. 2059 c.c.. Nel giudizio di equità del giudice di pace, venendo
in rilievo l'equità cd. formativa o sostitutiva della norma di diritto
sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non
patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 c.c.,
sia pure nell'interpretazione costituzionalmente corretta di tale disposizione.
Ne consegue che il giudice di pace, nell'ambito del solo giudizio d'equità, può
disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi
determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della
persona umana costituzionalmente protetti, sempre che il danneggiato abbia
allegato e provato (anche attraverso presunzioni) il pregiudizio subito, essendo
da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una conseguenza
automatica dell'illecito (Cass. civ., Sez. III, 27/07/2006, n. 17144). Pres.
Fantacchiotti - Rel. Ambrosio. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 25
febbraio 2009, Sentenza n. 4493
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Le sentenze di equità del giudice di pace -
Ricorso in cassazione - Presupposti e limiti - Sistema delle garanzie
giurisdizionali. Le sentenze del giudice di pace, pronunciate secondo equità
nelle controversie di valore non superiore a quello indicato nel comma 2
dell'art. 113 c.p.c. sono ricorribili per cassazione (se pronunciate prima
dell'entrata in vigore del d.lgs. 2-2-2006 n. 40) per violazione delle norme
processuali ai sensi dell'art. 360 co. 1, nn. 1, 2 e 4 c.p.c. (in quest'ultimo
caso anche con riferimento alle ipotesi di inesistenza della motivazione),
nonché ai sensi del n. 5 dell'art. 360 citato, quando l'enunciazione del
criterio di equità adottato sia inficiata da un vizio che, attenendo ad un punto
decisivo della controversia, si risolva in un'ipotesi di mera apparenza, ovvero
in un'ipotesi di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione
(Cass. civ., Sez. Unite, 15/10/1999); mentre, a seguito della sentenza n. 206
del 2004 della Corte costituzionale, la censura di violazione della legge
sostanziale ai sensi del n. 3 del cit. art. 360 è consentita soltanto in caso di
inosservanza o falsa applicazione della costituzione e delle norme comunitarie
(di rango superiore a quelle ordinarie) e dei principi informatori della
materia. Rientra tra questi la norma dell'art. 2697 c.c., regolante la
distribuzione dell'onere della prova tra le parti, la quale, sebbene collocata
nel codice sostanziale, costituisce principio informatore del sistema delle
garanzie giurisdizionali (Cass. civ. sez. III 27-7-2006, n. 17144).
L'attenuazione della rigida applicazione delle regole di diritto, che è propria
del giudizio di equità, non può, infatti, spingersi, senza porsi in contrasto
con gli artt. 3 e 24 Cost., sino ad escludere l'onere probatorio a carico della
parte istante, operando solo nel senso di ridurre, anche sensibilmente, - il
grado di persuasività degli elementi addotti necessari per l'accoglimento della
domanda (Cass. civ., Sez. I, 24/08/1998, n. 8397; nello stesso senso Cass. civ.
sez. II 16-5-2006, n. 11413).Pres. Fantacchiotti - Rel. Ambrosio. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 25 febbraio 2009, Sentenza n. 4493
DIRITTO SANITARIO - Clinica veterinaria - Trasfusione di sangue - Conseguente
morte dell’animale - Responsabilità - Sussistenza - Presupposti - Risarcimento
del danno non patrimoniale - Art. 2059 c.c.. - Art. 113 c.p.c.. Fattispecie.
Sussiste la responsabilità della clinica veterinaria, in forza del contratto di
prestazione d'opera professionale inter partes eseguito con imperizia e
negligenza, con conseguente titolo dell'attore al risarcimento del danno morale
ai sensi dell'art. 2059 c.c.. Fattispecie: risarcimento del danno non
patrimoniale, equitativamente determinato ai sensi dell'art. 113 c.p.c., dovuto
per la perdita di un animale (gatto) a causa di una trasfusione di sangue che ne
ha determinato la morte. Pres. Fantacchiotti - Rel. Ambrosio. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 25 febbraio 2009, Sentenza n. 4493
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UDIENZA 25.03.2009
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Civile
Composta dagli Ill.mi Signori
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
Svolgimento del processo
1.1. Con sentenza in data 18/30-9-2004, il giudice di pace di Roma -
pronunciando sulla domanda proposta dalla Clinica nei confronti di xxx per il
pagamento della somma di € 534,53 a titolo di corrispettivo di prestazioni
sanitarie effettuate al gatto di proprietà del convenuto, nonché sulle domande
di restituzione e risarcimento del danno proposte in via riconvenzionale dall'xxx
rigettava la domanda attrice, ritenendola infondata e non provata; accoglieva
quella riconvenzionale, condannando la Clinica alla restituzione della «somma di
€ 100,00 versata dal convenuto al momento dell'ammissione nella clinica del
gatto, nonché al pagamento della somma di € 516,46 per danno morale conseguente
al decesso del gatto, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannava
l'attrice al pagamento delle spese processuali.
In motivazione il giudice di pace osservava che l'attrice non aveva assolto
l'onere della prova a suo carico in ordine alle prestazioni che sosteneva di
avere effettuato nel corso della degenza del gatto, precisando che l'unica
prestazione che risultava eseguita era una trasfusione dì sangue, prelevato
senza i preventivi accertamenti sulle condizioni del gatto donatore, deceduto
dopo alcuni giorni dal prelievo, perché affetto da una malattia ematica. Anche
il gatto del convenuto era peggiorato a distanza di pochi giorni da quella
trasfusione che ne aveva determinato la morte; donde la responsabilità della
clinica in forza del contratto di prestazione d'opera professionale inter
partes, eseguito con imperizia e negligenza, con conseguente titolo
dell'attore al risarcimento del danno morale ai sensi dell'art. 2059 c.c., per
la perdita dell'animale, equitativamente determinato ai sensi dell'art. 113
c.p.c..
1.2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Clinica
svolgendo due motivi.
Ha resistito depositando controricorso, con cui ha eccepito la tardività del
ricorso per cassazione.
Motivi della decisione
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di
diritto ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione al capo della decisione
che ha rigettato la domanda principale di pagamento. La ricorrente lamenta che
sia stata violata la norma di cui all'art. 2697 c.c., giacché - contrariamente a
quanto ritenuto dal giudice di pace - risultava assolto l'onere gravante su
parte attrice dell'avvenuto conferimento dell'incarico (questo potendo desumersi
dalla stessa circostanza dell'affidamento del gatto alla clinica da parte del
proprietario) e dell'effettivo espletamento delle prestazioni sanitarie (avuto
riguardo al tenore della prova testimoniale e alla documentazione prodotta in
fotocopia in assenza di formale disconoscimento).
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt.
2236 e 2059 c.c. in relazione al capo della sentenza che ha accolto la domanda
riconvenzionale di risarcimento danno. In particolare la ricorrente assume che
non e provata l'esistenza di un nesso causale tra la morte del gatto e la
pretesa negligenza della clinica, non potendo a tal fine rilevare la deposizione
di una testimone, peraltro in buona parte de relato, priva delle
necessarie conoscenze; in ogni caso il richiamo all'art. 2236 cc.. sarebbe
errato non ravvisandosi nel caso specifico gli estremi del dolo o della colpa
grave; né potrebbe riconoscersi il risarcimento ai sensi dell'art. 2059 c.c. non
risultando individuato nel comportamento dei sanitari una fattispecie penalmente
rilevante.
3.1. Va premesso che è infondata l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità
del ricorso. L'atto di impugnazione risulta, infatti, inviato a mezzo del
servizio postale in data 14-11-2005 e, quindi, entro il termine di cui all'art.
327 c.p.c. (avuto riguardo alla sospensione dei termini per il periodo feriale),
dal momento che la sentenza impugnata risulta depositata in data 30-9-2004. Si
rammenta che, a mente del comma 3 dell'art. 149 c.p.c. la notifica si
perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico
all'ufficiale giudiziario.
3.2. Prima di passare all'esame dei motivi di ricorso va ribadito che le
sentenze del giudice di pace, pronunciate secondo equità nelle controversie di
valore non superiore a quello indicato nel comma 2 dell'art. 113 c.p.c. sono
ricorribili per cassazione (se pronunciate - come quella all'esame - prima
dell'entrata in vigore del d.lgs. 2-2-2006 n. 40) per violazione delle norme
processuali ai sensi dell'art. 360 co. 1, nn. 1, 2 e 4 c.p.c. (in quest'ultimo
caso anche con riferimento alle ipotesi di inesistenza della motivazione),
nonché ai sensi del n. 5 dell'art. 360 citato, quando l'enunciazione del
criterio di equità adottato sia inficiata da un vizio che, attenendo ad un punto
decisivo della controversia, si risolva in un'ipotesi di mera apparenza, ovvero
in un'ipotesi di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione
(Cass. civ., Sez. Unite, 15/10/1999, riv.716); mentre, a seguito della sentenza
n. 206 del 2004 della Corte costituzionale, la censura di violazione della legge
sostanziale ai sensi del n. 3 del cit. art. 360 è consentita soltanto in caso di
inosservanza o falsa applicazione della costituzione e delle norme comunitarie
(di rango superiore a quelle ordinarie) e dei principi informatori della
materia. Rientra tra questi la norma dell'art. 2697 cod. civ., regolante la
distribuzione dell'onere della prova tra le parti, la quale, sebbene collocata
nel codice sostanziale, costituisce principio informatore del sistema delle
garanzie giurisdizionali (Cass. civ. sez. III 27-7-2006, n. 17144).
L'attenuazione della rigida applicazione delle regole di diritto, che è propria
del giudizio di equità, non può, infatti, spingersi, senza porsi in contrasto
con gli artt. 3 e 24 Cost., sino ad escludere l'onere probatorio a carico della
parte istante, operando solo nel senso di ridurre, anche sensibilmente, - il
grado di persuasività degli elementi addotti necessari per l'accoglimento della
domanda (Cass. civ., Sez. I, 24/08/1998, n. 8397; nello stesso senso Cass. civ.
sez. II 16-5-2006, n. 11413).
3.2. Ciò precisato, si osserva che il primo motivo, con cui sì deduce
l'inosservanza dell'art. 2697 c.c., ancorché ammissibile, è infondato.
Innanzitutto - contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente - il giudice di
pace non ha affatto escluso che sia stato acquisita la prova del rapporto
Inter partes (costituendo, anzi, questo il titolo della ritenuta
responsabilità della Clinica nei confronti dell'xxx né ha invertito l'onere
della prova tra le parti, ma ha, piuttosto, ritenuto che non fosse stata fornita
(dall'attrice, su cui incombeva il relativo onere) la prova dell'esatto
adempimento della prestazione dell'opera professionale dì cui reclamava il
pagamento, segnatamente evidenziando come la clinica Veterinaria avesse prodotto
solo una fotocopia della prima pagina della cartella clinica e come da questo
documento monco non fosse dato desumere quali fossero le prestazioni
effettivamente rese (ad esclusione della trasfusione) e, nel contempo,
rimarcando plurimi elementi (emergenti non solo dalle dichiarazioni; del
convenuto e della sua ragazza, ma anche dalla deposizione della proprietaria del
gatto «donatore») deponenti nel senso che la prestazione venne malamente
eseguita.
In realtà la ricorrente, con il motivo all'esame, (così come, del resto, con il
secondo motivo, per la parte in cui contesta che vi sia la prova del nesso
causale tra la trasfusione e la morte del gatto di proprietà del convenuto)
tenta di suggerire, anche attraverso l'inammissibile richiamo a dati
extratestuali, una valutazione dei fatti divergente da quella affermata, con
apprezzamento immune da vizi logici, dal giudice del merito; il che non è
consentito, trattandosi di un accertamento di fatto, che si sottrae al sindacato
della Cassazione.
3.4. Per il resto le censure del ricorrente denunciano violazione delle norme
ordinarie e sono, quindi, inammissibili.
Merita in ogni caso puntualizzare, quanto alla dedotta violazione dell'art. 2236
c.c., che (pone) la limitazione di responsabilità professionale ai soli casi di
dolo o colpa grave attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di
problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell'imprudenza e
della negligenza. Nel caso di specie è stata, per l'appunto, individuata una
specifica negligenza, per non essere stata la trasfusione preceduta dai
preventivi accertamenti sulla qualità del sangue utilizzato per la trasfusione.
Infine, quanto alla risarcibilità del danno morale, va ribadito che nel giudizio
di equità del giudice di pace, venendo in rilievo l'equità cosiddetta formativa
o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione del
risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge,
fissata dall'art. 2059 del codice civile, sia pure nell'interpretazione
costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il giudice di
pace, nell'ambito del solo giudizio d'equità, può disporre il risarcimento del
danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli
attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente
protetti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso
presunzioni) il pregiudizio subito, essendo da escludere che il danno non
patrimoniale rappresenti una conseguenza automatica dell'illecito (Cass. civ.,
Sez. III, 27/07/2006, n. 17144); il che, nella specie, non è neppure contestato.
Conclusivamente il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di cassazione liquidate in € 400,00, di cui € 100,00 per spese,
oltre spese generali e accessori di legge.
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