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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE, Civile Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137



DIRITTO SANITARIO - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Fenomeno di randagismo - Risarcimento del danno - Responsabilità della ASL - Sussistenza - Ente comunale - Esclusione - Configurazione giuridica - D.lgs. n. 502/1992 - Art. 6 L.R. Puglia 3/04/1985, n. 12 - Legge-quadro 14/08/1991, n. 28 - L.R. Campania 24/11/2001, n. 16 - Fattispecie.
In seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al d.lgs. n. 502 del 1992, risulta reciso il «cordone ombelicale» fra Comuni e USL (così Corte cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per l'erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. In tale prospettiva - con riferimento ad una controversia di risarcimento danni verificatisi successivamente alla soppressione delle USL e fondata sull'omessa vigilanza sui cani randagi, affidata dall'art. 6 della L.R. 3 aprile 1985, n. 12, regione Puglia alla competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali - è stato affermato (con sentenza del 7/12/2005, n. 27001) il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dall’evento. Nella specie, il risarcimento danni conseguente al fenomeno di randagismo è regolato nell'ambito della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 28 e da leggi regionali; in particolare la legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania che ha affidato le relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell'art. 5 lett. c) della legge regionale, «attivano il servizio di accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i canili pubblici»). Ne consegue, inoltre, che la locale azienda sanitaria deve essere considerata soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli. Pres. Varrone, Rel. Ambrosio, Ric. Comune di Pozzuoli. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Giudice di pace - Giudizio di equità - Determinazione del valore della causa - Art. 113 c.p.c. - Artt. 10, 11, 12, 13, 14, 16 e 17 c.p.c.
Per determinare il valore di una causa incardinata dinanzi al giudice di pace, al fine di stabilire se debba essere decisa secondo equità, ai sensi dell'art. 113 c.p.c., in quanto non eccedente l'importo di euro 1.100,00 (in precedenza, lire 2.000.000), occorre avere riguardo alle norme che disciplinano la competenza per valore contenute negli articoli da 10 a 14 e 16, 17 c.p.c. (Cass. civ., Sez. II, 28/08/2000, n. 11203; Cass. civ., Sez. III, 22/01/2003, n. 968).Pres. Varrone, Rel. Ambrosio, Ric. Comune di Pozzuoli. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Giudice di pace - Giudizio di equità - Regole sostanziali da applicare alle controversie - Corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato - Ricorso per cassazione. Il giudizio di equità attiene alle regole sostanziali da applicare alla controversia, restando fermo l'obbligo di osservanza delle norme processuali. In particolare costituisce ius receptum che il giudizio di equità ex art. 113 co. 2 c.p.c. non può sottrarsi all'osservanza del principio di carattere processuale espresso dall'art. 112 c.p.c. non solo con riferimento alla domanda, ma anche alle eccezioni sulle quali il giudice non può pronunciarsi d'ufficio qualora si tratti di eccezioni in senso proprio. Pertanto l'inosservanza da parte del giudice del principio procedimentale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) integra un vizio della sentenza denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. civ., Sez. III, 03/09/1998, n. 8762; conf., con riguardo al giudizio di equità del conciliatore, Cass. 4/05/1992 n. 5240). Pres. Varrone, Rel. Ambrosio, Ric. Comune di Pozzuoli. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Giudice di pace - Legitimatio ad causam - Rapporto sostanziale effettiva titolarità attiva o passiva - Verifica d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio - Ricorso in cassazione - Deducibilità. Mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dal giudice di pace ai sensi dell'art. 113 co. 2 c.p.c., comportando una disamina ed una decisione attinente al merito della controversia, il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell'accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall'attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam appunto) è deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto giudice tenuto (come detto) all'osservanza delle norme processuali ed alla verifica in specie della regolare costituzione del relativo rapporto (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20/11/2003, n. 17606; Cass. civ., Sez. III, 01/03/2004, n. 4121). Pres. Varrone, Rel. Ambrosio, Ric. Comune di Pozzuoli. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137

 
 


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UDIENZA 

SENTENZA n.

REG. GENERALE n.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Civile



Composta dagli Ill.mi Signori


Omissis


ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

Omissis


Svolgimento del processo


1.1. Con sentenza in data 25-3/30-5-2005, il giudice di pace di Pozzuoli - decidendo sulla domanda proposta da V. D. L. e M. A. per il risarcimento dei danni subiti dal figlio minore A. D. L. a seguito del morso di un cane randagio, avvenuto in data xxx in una strada del comune di POZZUOLI (Na) - dichiarava la responsabilità in solido dei convenuti Comune di POZZUOLI e ASL NA2 distretto 54 in ordine alla causazione dell'evento dannoso in oggetto e, a titolo di risarcimento danni, li condannava, con riparto nella misura del 50% ciascuno, manlevando ASL NA2 per il titolo di garanzia prestato dalla R.A.S. s.p.a., a pagare in favore di V. D. L. e M. A., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale, la somma di euro 1.500,00 oltre interessi legali dall'evento al soddisfo, nonché al rimborso delle spese del giudizio.


Per quanto qui interessa il giudice di pace motivava il proprio convincimento sulla base delle seguenti considerazioni:
- nella specie ricorreva una situazione di randagismo, regolata dalla legge n. 281 del 14 agosto 1991 che demanda alle regioni di emanare proprie leggi per l'istituzione dell'anagrafe canina, per il risanamento dei canili comunali e per l'adozione di un programma per il randagismo; in particolare preposto alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente era il Servizio Sanitario delle USL, oggi ASL; - - le ASL, dopo il riordino della disciplina in materia sanitaria, erano diventate soggetti giuridici autonomi, inseriti nell'organizzazione sanitaria regionale, pur non avendo completamente reciso i legami con l'ente territoriale nel cui ambito operavano; infatti residuavano in capo al comune, ai sensi dell'art. 3 comma 14 del d.lgs. n. 502 del 1992, la definizione delle linee di indirizzo nell'ambito della programmazione regionale e la verifica dell'andamento generale dell'attività di vigilanza da parte del sindaco, il quale operava come rappresentante dell'organo territoriale e non quale ufficiale del governo; di modo che andava affermata la responsabilità del Comune di Pozzuoli accanto a quello della ASL NA2 distretto 54, nel cui ambito territoriale si era svolto l'evento dannoso.


1.2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di POZZUOLI svolgendo due motivi.


Si è costituita la R.A.S., depositando controricorso, peraltro notificato tardivamente.


Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.


Motivi della decisione



2. Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilità del controricorso della R.A.S.. Invero il ricorso introduttivo risulta notificato all'intimata compagnia di assicurazione presso il difensore costituito nel giudizio di merito (avv. Giovanni Feola) in data 13-7-2006 ed è pertanto da questa data che decorre il termine di cui all'art. 370 c. 1 c.p.c. Risulta, invece, che il controricorso è stato consegnato per la notifica all'ufficiale giudiziario in data 19-10-2006 e, quindi, successivamente alla scadenza di detto termine, pur avuto riguardo alla sospensione per il periodo feriale.


Tuttavia la resistente ha partecipato alla discussione orale in udienza.


2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 della legge regionale della Campania n. 16 del 24-11-2001 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione della legge n. 281 del 14-8-1991 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare il ricorrente Comune rileva la propria carenza di legittimazione rispetto all'azione risarcitoria, atteso che, in base alla normativa regionale della Campania, il controllo del randagismo è affidato ai servizi veterinari della ASL competente per territorio; lamenta, quindi, che la statuizione, oltre a presentare una motivazione assolutamente insufficiente, sia del tutto errata.


2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.. A tal riguardo il ricorrente lamenta che la decisione impugnata abbia deciso ultra petita, dal momento che nell'atto introduttivo del giudizio la domanda risultava limitata alla somma di euro 1.032,21 e, comunque, «secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sign. Giudice di Pace adito ai sensi dell'art. 113 c.p.c. II comma».


3. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, giacché esso propone una questione che si rivela strettamente connessa alla preliminare verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione e dei limiti del sindacato consentito in questa sede.


Invero - per quanto la condanna sia stata pronunciata per l'importo di euro 1.500,00 oltre interessi legali dall'evento al soddisfo - nella specie si versa in ipotesi di giudizio secondo equità pronunciato dal giudice di pace a norma dell'art. 113 co. 2 c.p.c.. Si rammenta, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa S.C., che per determinare il valore di una causa incardinata dinanzi al giudice di pace, al fine di stabilire se debba essere decisa secondo equità, ai sensi dell'art. 113 c.p.c., in quanto non eccedente l'importo di euro 1.100,00 (in precedenza, lire 2.000.000), occorre avere riguardo alle norme che disciplinano la competenza per valore contenute negli articoli da 10 a 14 e 16, 17 c.p.c. (ex plurimis, Cass. civ., Sez. II, 28/08/2000, n. 11203; Cass. civ., Sez. III, 22/01/2003, n. 968).


Orbene, nel caso di specie, non solo il petitum originario (cui ex art. 5 c.p.c. occorre fare riferimento ai fini della determinazione della competenza) risultava espressamente limitato alla somma di euro 1.032,21 e, comunque, alla somma da determinarsi «secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sig. Giudice di Pace adito ai sensi dell'art. 113 c.p.c. II comma», ma anche le conclusioni finali - come riportate nell'epigrafe della impugnata sentenza - confermano che la domanda era circoscritta entro il limite normativamente affidato al criterio equitativo del giudice di pace, stante l'espressa richiesta di «pagamento della somma di euro 1.100,00» e dovendo la richiesta alternativa di «quell'altra (somma) ritenuta di giustizia» intendersi riferita all'importo inferiore, altrimenti ritenuto di spettanza.


Da tale premessa deriva un duplice ordine di conseguenze. Invero - trattandosi di sentenza pronunciata prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 2-2-2006 n. 40 su una domanda espressamente contenuta entro il limite di valore di cui all'art. 113 co. 2 c.p.c. - da un lato, l'unico mezzo ordinario di impugnazione è il ricorso per cassazione, oltre che per i motivi previsti dai numeri uno e due dell'art. 360 c.p.c., anche (con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della Costituzione, delle norme comunitarie di rango superiore, dei principi generali dell'ordinamento e della legge processuale (con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 4), nonché, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia (Cass. civ., Sez. Unite, 16/03/2007, n. 6074); dall'altro lato, essendo stata la stessa sentenza emessa per un importo eccedente tale limite, avuto riguardo all'importo della sorte capitale e al cumulo degli interessi ante causam, risulta ammissibile e fondato il motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di ultrapetizione.


Valga considerare che il giudizio di equità attiene alle regole sostanziali da applicare alla controversia, restando, invece, fermo l'obbligo di osservanza delle norme processuali. In particolare costituisce ius receptum che il giudizio di equità ex art. 113 co. 2 c.p.c. non può sottrarsi all'osservanza del principio di carattere processuale espresso dall'art. 112 c.p.c. non solo con riferimento alla domanda, ma anche alle eccezioni sulle quali il giudice non può pronunciarsi d'ufficio qualora si tratti di eccezioni in senso proprio. Pertanto l'inosservanza da parte del detto giudice del principio procedimentale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) integra un vizio della sentenza denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. civ., Sez. III, 03/09/1998, n. 8762; conf., con riguardo al giudizio di equità del conciliatore, Cass. 4 maggio 1992 n. 5240).


Nella specie risulta da quanto sopra esposto che il giudice di pace ha violato la indicata regola procedimentale, non essendosi mantenuto nell'ambito della precisa richiesta della parte.


L'esposto motivo va, pertanto, accolto.


4. Le considerazioni che precedono - siccome limitate al profilo della quantificazione del danno - non esonerano dall'esame dell'altro motivo di ricorso: questo, infatti, seppure inammissibile per la parte che denuncia l'insufficienza della motivazione, può e, anzi, deve trovare ingresso in questa sede, nella misura in cui - attraverso la formale deduzione della violazione della normativa in materia di randagismo - pone in discussione, non tanto l'imputabilità concreta del fatto dedotto in giudizio, quanto piuttosto la sussistenza di una condizione, per così dire «a monte», rispetto alla trattazione del merito della causa, attinente alla legitimatio ad causam.


Si rammenta che, mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dal giudice di pace ai sensi dell'art. 113 co. 2 c.p.c., comportando una disamina ed una decisione attinente al merito della controversia, il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell'accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall'attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam appunto) è deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto giudice tenuto (come detto) all'osservanza delle norme processuali ed alla verifica in specie della regolare costituzione del relativo rapporto (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20/11/2003, n. 17606; Cass. civ., Sez. III, 01/03/2004, n. 4121).


Ciò posto, si osserva che, nella specie, si verte, secondo la prospettazione attorea, in un'ipotesi di risarcimento danni conseguente ad un fenomeno di randagismo. Trattasi di materia regolata nell'ambito della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 28 (come, peraltro, evidenziato nella stessa sentenza impugnata) da leggi regionali; in particolare la legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania ha affidato le relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell'art. 5 lett. c) della legge regionale, «attivano il servizio di accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i canili pubblici»).


Va aggiunto che l'impugnata sentenza non ha individuato una specifica responsabilità del Comune di Pozzuoli in relazione al fatto concreto, ma, piuttosto, ha fatto discendere la legittimazione del medesimo comune da un generico «legame» con la ASL operante nel territorio, desumendolo dai compiti assegnati al sindaco ex art. 3, co. 14 del d.lgs. n. 502 del 1992 «al fine di corrispondere alle esigenze sanitarie della popolazione» di definizione, nell'ambito della programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l'impostazione programmatica e di verifica dell'andamento generale dell'attività.
Senonché, in seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al d.lgs. n. 502 del 1992, risulta reciso il «cordone ombelicale» fra Comuni e USL (così Corte cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per l'erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. Ne consegue che la locale azienda sanitaria doveva essere considerata soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli.


In tale prospettiva questa stessa sezione - con riferimento ad una controversia di risarcimento danni verificatisi successivamente alla soppressione delle USL e fondata sull'omessa vigilanza sui cani randagi, affidata dall'art. 6 della L.R. 3 aprile 1985, n. 12, regione Puglia alla competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali - ha già avuto modo di affermare (con sentenza in data 7 dicembre 2005, n. 27001) il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso all'esame, secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento.


L'accoglimento anche del primo motivo e, quindi, dell'intero ricorso comporta la cassazione dell'impugnata sentenza e il rinvio della causa ad altro giudice di pace di Pozzuoli, che provvederà anche sulle spese del presente grado.


P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altro giudice di pace di Pozzuoli.


 


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