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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 03/03/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 9491
RIFIUTI - Limo - Regime giuridico - Art.185, lett.d) 1° c. d.lgs. n.152/2006 -
Attività di primo lavaggio dei materiali provenienti da escavazione. Al
regime giuridico applicabile al limo derivante dall’attività di primo lavaggio
dei materiali provenienti da escavazione, trova applicazione la disposizione
contenuta nella lett.d) del primo comma dell'art.185 del d.lgs. 3 aprile 2006,
n.152. Tale disposizione esclude che trovino applicazione le norme contenute
nella parte quarta del citato decreto, e quindi le norme in materia di rifiuti e
bonifica dei siti, con riferimento ai "rifiuti risultanti dalla prospezione,
dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave (sentenze n.5315 dell'11/10/2006; 8/02/2007, Doneda e
n.41584 del 9/10/2007 - 12/11/2007). Pres. Onorato, Est. Marini, Ric. PM in
proc. Acco ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 03/03/2009 (Ud.
29/01/2009), Sentenza n. 9491
RIFIUTI - INQUINAMENTO IDRICO - Fanghi e limi - Disciplina giuridica - Tutela
delle acque - Art.256, c. 3° d.lgs. n.152/2006 - Art.181 d.lgs. n.42/2004. I
fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava, ai sensi
della lett.d) del primo comma dell'art.185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152, non
possono essere considerati rifiuti. Tuttavia, va considerato, che l'escludere
come "rifiuto" i fanghi di primo lavaggio non comporta un disinteresse
dell'ordinamento per le ricadute che l'attività di lavaggio può avere
sull'ambiente circostante, posto che la normativa a tutela delle acque e della
loro qualità può costituire riferimento in caso di eventuali modalità di
trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle acque fluviali
interessate. Pres. Onorato, Est. Marini, Ric. PM in proc. Acco ed altro.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 03/03/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n.
9491
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UDIENZA 29.01.2009
SENTENZA N. 234
REG. GENERALE n.26586/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Onorato Pierluigi Presidente
Dott. Teresi Alfredo Consigliere
Dott. Lombardi Alfredo Maria Consigliere
Dott.a Mulliri Guicla I. Consigliere
Dott. Marini Luigi Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Pordenone
ACCO BIANCA, nata a Udine i1 23 Settembre 1951
ACCO RENZO, nato a Portogruaro il 2 Agosto 1948
Avverso la sentenza emessa in data 17 Dicembre 2007 dal Tribunale di Pordenone,
Sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, che ha dichiarato estinto il
reato contestato al capo B) della rubrica (art.181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42)
ai sensi dell'art.181, comma 1-quinquies del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, ed ha
condannato i Sigg. ACCO, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche e della diminuente per il rito, alla pena di 4.000,00 euro di ammenda
ciascuno in relazione al capo a) della rubrica (art.256, comma 1, lett.a) e
comma 2 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152).
Fatto accertato successivamente al 2 Settembre 2005.
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. FRANCESCO SALZANO, che ha
concluso per il rigetto del ricorso dei Sigg. ACCO e l'accoglimento del ricorso
del Pubblico Ministero con annullamento della sentenza con rinvio.
Udito il Difensore, Avv. MARCO ZUCCHIATTI, che ha concluso per l'accoglimento
del ricorso delle parti private, ferma la dichiarazione di non luogo a procedere
nei confronti di ACCO Renzo per morte, e il rigetto di quello del Pubblico
Ministero
RILEVA
I Sigg. ACCO, quali soci accomandatari della "Impresa Acco Unberto Sas di Acco
Umberto C." sono stati tratti a giudizio avanti il Tribunale di Pordenone,
Sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, per rispondere dei reati previsti
dall'art.256, comma terzo del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 e dall'art.181 del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 per avere senza autorizzazione effettuato scavi su
superficie di circa 3.000 mq di un terreno situato entro 150 metri dal corso
d'acqua "La Roia" ed ivi realizzato una discarica di materiale "limo", che
risultava dall'attività di lavaggio di inerti protrattasi per almeno cinque anni
e che assommava a oltre 72.000 mc.
Accolta la tempestiva richiesta degli imputati di procedere con rito abbreviato
condizionato, il Tribunale ha assunto le prove necessarie alla decisione ed ha
quindi pronunciato sentenza con cui ha ritenuto estinto il reato ambientale
contestato al capo b) per essere lo stesso estinto per avvenuta rimessione in
pristino dei luoghi ed ha condannato gli imputati, previa riqualificazione
giuridica del fatto, in relazione al reato contestato al capo a).
In particolare, il Tribunale ha ritenuto provato che il consistente accumulo di
limo fosse solo in minima parte (mc 3.500,00) destinato ad essere ceduto a
terzi, cosi potendo essere ricompreso nella nozione di "sottoprodotto" ex art.183
del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152, mentre la parte restante avrebbe dovuto subire
successiva attività di recupero mediante lavorazioni che ne avrebbero alterato
le caratteristiche merceologiche e la qualità.
Peraltro, una volta considerato che il limo vada in tal modo ricompreso
all'interno della categoria "rifiuti", il Tribunale ha ritenuto non sussistente
l'ipotesi che il suo accumulo per oltre un quinquennio abbia comportato il
sorgere di una vera e propria discarica abusiva. Muovendo dalla lettera dell'
art.2, lett.g) del d.lgs. n.36 del 2003, il Tribunale ha evidenziato che il
termine triennale quale periodo massimo dello stoccaggio dei materiali debba
essere considerato termine che consente una valutazione caso per caso e che deve
essere rapportato alle caratteristiche del caso concreto. Ebbene, la necessità
che il limo sia sottoposto ad un lungo periodo di essiccazione consente di
affermare che, una volta provata la destinazione del limo a futura e diversa
utilizzazione, anche una permanenza sul suolo per circa cinque anni non comporti
il determinarsi di una discarica. Prosegue, poi, il Tribunale, che anche qualora
non si ritenesse di accedere a tale interpretazione del dato normativo,
l'assenza di una chiara definizione del concetto di discarica all'interno del
d.lgs. 3 Aprile 2006, n.152 e le pronunce del giudice di legittimità
imporrebbero di escludere nel caso in esame l'esistenza dei presupposti del
reato contestato; ed infatti: il limo era stato stoccato per futuri impieghi; lo
stoccaggio del materiale è avvenuto all'interno del luogo di lavorazione degli
inerti; non risultano effettuati interventi strutturali per le esigenze
funzionali alla gestione dei rifiuti; non si è verificato alcun degrado
dell'area con alterazione permanente dei luoghi.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto che il fatto debba essere
più correttamente qualificato come "deposito incontrollato di rifiuti non
pericolosi", atteso il superamento dei limiti volumetrici previsti dalla legge
ed esclusa l'ipotesi di "messa in riserva" dei materiali che si verifica quando
i materiali vengano stoccati in area diversa da quella di produzione.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione sia il Pubblico
Ministero sia gli imputati.
Il Pubblico Ministero ha censurato l'interpretazione data dal Tribunale all'art.2,
lett. g) del d.lgs. n.36 del 2003. Una volta affermato che il limo deve essere
incluso tra i "rifiuti", il mancato rispetto dei limiti temporali di un anno o
di tre anni stabiliti dalla norma ora citata non può essere ritenuto privo di
valore decisivo per il solo fatto che si è in presenza di deposito non
definitivo, bensì di deposito funzionale a successivo reimpiego dei materiali.
E' evidente, infatti, che in ipotesi di deposito temporaneo la legge impone che
il materiale debba trovare destinazione entro un anno, operando il termine di
tre anni esclusivamente per il materiale stoccato al di fuori dell'area di
produzione e destinato a future attività di recupero (termine che scende ad un
anno in caso di rifiuti destinati allo smaltimento).
I Sigg. Acco tramite il Difensore hanno presentato un ricorso articolato su
plurimi motivi.
Con primo motivo lamentano violazione dell'art.606, lett.b) c.p.p. in relazione
all' art.8, comma 1, lett.b) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e all'art.185 del
d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 per avere il Tribunale erroneamente incluso il limo
tra i "rifiuti", così disattendendo l'interpretazione della legge operata dalla
stessa Corte di Cassazione con plurime decisioni, e per avere omesso di
considerare che il futuro possibile reimpiego del limo in attività industriale
rappresenta allo stato una mera eventualità, mentre è pacifico che esso è
destinato dalla società ad essere ceduto a terzi per impieghi che non comportano
alcuna sua trasformazione.
Con secondo motivo lamenta violazione dell'artt.606, lett.b) c.p.p. in relazione
all'art.5 c.p. per avere il Tribunale omesso di assolvere gli imputati per
mancanza dell'elemento soggettivo del reato.
In apertura di udienza il Difensore ha prodotto certificazione in data 12
Novembre 2008 attestante l'avvenuto decesso del Sig.ACCO Renzo in data 24
Ottobre 2008.
OSSERVA
Le contrapposte proposizioni
contenute nei ricorsi delle parti private e del Pubblico ministero impongono
alla Corte di affrontare in via preliminare il quesito se per il prodotto
definito come "limo" trovi applicazione la normativa in terra di rifiuti
contenuta nella parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152.
1. Sul punto questa Sezione si è già pronunciata sull'argomento con le sentenze
n.5315 dell'11 Ottobre 2006-8 Febbraio 2007, Doneda (rv 235640) e n.41584 del 9
Ottobre-12 Novembre 2007. Frezza (rv 237955). Quest' ultima decisione, in
particolare, ha affrontato il regime giuridico applicabile al limo derivante
dalle attività di primo lavaggio dei materiali provenienti da escavazione, ed ha
concluso che dovesse trovare applicazione la disposizione contenuta nella lett.d)
del primo comma dell'art.185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152. Tale disposizione
esclude che trovino applicazione le norme contenute nella parte quarta del
citato decreto, e quindi le norme in materia di rifiuti e bonifica dei siti, con
riferimento ai "rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal
trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
...”.
2. Osservava sul punto la decisione citata:
"...Questa Sezione della Corte di Cassazione ha in precedente occasione
riconosciuto l'applicabilità immediata delle regole contenute nell'art.185 del
d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 e la conseguente non inclusione tra i "rifiuti" del
limo proveniente a estrazione di cava.
Infatti, con decisione n.5315 del 11 ottobre 2006-8 febbraio 2007, Doneda (rv
235640) la Terza Sezione Penale ha stabilito il principio che i fanghi ed i limi
derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava non possono essere
considerati rifiuti.
La motivazione di tale sentenza afferma che l'esclusione contemplata dall'art
185 del d.lgs. n.152 del 2006 non può operare esclusivamente per la prima
setacciatura del materiale estratto, in quanto "non si vede la ragione per la
quale la ‘prima pulitura' del materiale estratto, necessaria per separare il
materiale commerciale, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o
grigliatura e non possa avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo
rendano opportuno, mediante lavaggio... il quale costituirebbe, a differenza
della setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla
estrazione vera e propria. ". La motivazione dà atto che una precedente
decisione (sentenza Terza Sezione Penale n.42949 del 29 ottobre 2002, rv 222968)
sembra giungere a conclusioni contrarie, ma osserva che quella decisione fa
riferimento non al lavaggio del materiale estratto bensì al materiale risultante
dalla demolizione della cava stessa. In ogni caso, prosegue, quella posizione
sarebbe ormai abbandonata e superata da più recenti decisioni (per tutte,
Sezione Terza Penale, sentenza n.42966 del 28 novembre 2005, Viti, rv 232243),
che, all'interno di una interpretazione restrittiva della norma che introduce
una deroga ai principi generali in materia di rifiuti, afferma che restano
esclusi dal concetto di rifiuti esclusivamente i fanghi che "derivano
direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva
lavorazione delle materie prime".
"Questa Corte ritiene di concordare con l'interpretazione che la sentenza n.5315
del 2007 ha dato dell'art.8, lett.b) del d.lgs. n.22 del 1997 e dell'art.185 del
d.lgs. n.152 del 2006, con la conseguenza che, apparendo evidente dalla sentenza
impugnata che nel caso in esame il limo veniva prodotto dall'attività di primo
lavaggio del materiale (ghiaia) estratto, deve concludersi che il ricorso è
fondato e merita accoglimento con riferimento alla contestazione che ipotizza
una violazione in materia di rifiuti.
"Va considerato, peraltro, che l'escludere che la normativa in vigore consideri
come "rifiuto" i fanghi di primo lavaggio non comporta un disinteresse
dell'ordinamento per le ricadute che l'attività di lavaggio può avere
sull'ambiente circostante, posto che la normativa a tutela delle acque e della
loro qualità può costituire riferimento in caso di eventuali modalità di
trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle acque fluviali
interessate."
3. Una volta escluso che il limo possa essere ricompreso tra i rifiuti e
affermato che la gestione di tale materiale può integrare forme diverse e
specifiche di illecito, quali la violazione ambientale contestata ai ricorrenti
e quindi estinta per le ragioni illustrate, non resta alla Corte che escludere
la sussistenza del reato residuo oggetto del ricorso oggi in esame. Con la
conseguenza che, applicato alla posizione del Sig.Renzo Acco il disposto del
comma secondo dell'art.129 c.p.p., la sentenza impugnata deve essere annullata
perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Cosi deciso in Roma il 29 Gennaio 2009
Deposito in Cancelleria il 03/03/2009
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