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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 04/03/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 9850
RIFIUTI - Deposito incontrollato - Art. 51, c.2°, D. Lgs n. 22/97
oggi art. 256, c.2°, D. Lgs n. 152/06 - Fattispecie. L'art. 51, comma secondo, del D. Lgs
n. 22/97 ed attualmente dall'art. 256, comma secondo, del D. Lgs n. 152/06,
espressamente prevedono la fattispecie sanzionata penalmente del deposito
incontrollato dei rifiuti, nella cui nozione rientra inequivocabilmente il
mancato rispetto delle prescrizioni previste dalla legge per il deposito stesso.
Fattispecie: attività non autorizzata di raccolta e smaltimento di rifiuti
pericolosi, costituiti da oli esausti. Pres. Onorato, Est. Lombardi, Ric. Rossi
Alfieri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 04/03/2009 (Ud. 29/01/2009),
Sentenza n. 9850
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Deposito controllato e temporaneo -
Presupposti - Mancanza - Smaltimento illecito dei rifiuti - Reato di abbandono e
deposito incontrollato - Configurabilità - Art. 6 lett. m) D. Lgs n. 22/97 -
Art. 51, c.2°, D. Lgs n. 22/97 oggi art. 256, c.2°, D. Lgs n. 152/06. In
materia di gestione dei rifiuti, per potersi configurare l'ipotesi del deposito
controllato e temporaneo, di cui all', occorre il rispetto delle condizioni
dettate dal citato articolo, ed in particolare il raggruppamento dei rifiuti
deve avvenire nel luogo di produzione e con l'osservanza dei tempi di giacenza,
in relazione alla natura ed alla quantità del rifiuto. In mancanza si configura
il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, sanzionato dall'art.
51, comma 2, del citato decreto n. 22/97, (oggi art. 256, comma secondo, D. Lgs
n. 152/06 e s.m.) ovvero di smaltimento illecito dei rifiuti stessi. Pres.
Onorato, Est. Lombardi, Ric. Rossi Alfieri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 04/03/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 9850
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Inammissibilità dell'impugnazione - Sussistenza
di cause di non punibilità - Preclusione - Art. 581 c.p.p. - Art. 129 c.p.p..
L’inammissibilità dell'impugnazione, qualunque ne sia la causa, e cioè
originaria, per la mancanza nell'atto di impugnazione dei requisiti prescritti
dall'art. 581 c.p.p. (Cass. sez. un. 11.11.1994, Cresci) o derivante
dall'enunciazione di motivi non consentiti e dalla enunciazione di violazioni di
legge non dedotte con i motivi di appello (Cass. sez. un. 30.6.1999, Piepoli) o,
infine, derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso che ricorre
nella fattispecie in esame (Cass. sez. un. 22.11.2000, De Luca), preclude
l'esame della sussistenza di cause di non punibilità, ai sensi dell'art. 129
c.p.p.. Pres. Onorato, Est. Lombardi, Ric. Rossi Alfieri. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 04/03/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 9850
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UDIENZA 29.01.2009
SENTENZA N. 242
REG. GENERALE n.28841/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Pierluigi Onorato Presidente
Dott. Alfredo Teresi Consigliere
Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere
Dott. Guicla Immacolata Mulliri Consigliere
Dott. Luigi Marini Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dall'Avv. Franco Perfetti, difensore di fiducia di Rossi
Alfieri Lino, n. a Massa il 10.6.1954, avverso la sentenza in data 18.3.2008
della Corte di Appello di Genova, con la quale, a conferma di quella del
Tribunale di Massa in data 24.3.2006, venne condannato alla pena di mesi quattro
di arresto ed € 18.000,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui all'art.
51, comma primo lett. b), in relazione all'art. 6 lett m) n. 2 e 4, del D.Lgs n.
22/97.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria
Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Francesco Salzano,
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di Rossi Alfieri Lino in ordine al reato di cui
all'art. 51, comma primo lett. b), in relazione all'art. 6 lett. m) n. 2) e 4),
del D. Lgs n. 22/97, ascrittogli perché, quale legale rappresentante ed
amministratore della società Cavatori Lavagnina Csrl, effettuava attività non
autorizzata di raccolta e smaltimento di rifiuti pericolosi, costituiti da oli
esausti.
I giudici di merito hanno accertato in punto di fatto che gli oli esausti
utilizzati dall'azienda erano stati tenuti in deposito per oltre un anno, e
precisamente dal 30.8.2001 al 25.3.2004, in quanto detti oli non erano stati
ritirati dalla società Vi.Ve. alla quale era stato conferito dal Comune di
Carrara l'incarico di ritirare gli oli esausti dalle imprese produttive della
zona.
La corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante
aveva dedotto la carenza dell'elemento soggettivo del reato, sostenendo che la
responsabilità del mancato ritiro dell'olio era da attribuire alla Vi.Ve., che
non vi aveva provveduto malgrado richieste e solleciti, e che, in ogni caso,
l'olio era stato stoccato in una vasca sicura.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la
denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed
errata applicazione dell'art. 43 c.p..
Si deduce, in sintesi, che la sentenza impugnata ha fatto coincidere l'elemento
soggettivo della colpa dell'imputato con la stessa inosservanza di legge
ascrittagli, non avendo i giudici di merito tenuto conto del fatto che obbligata
alla raccolta degli oli esausti era la società Vi.Ve e che l'imputato aveva
variamente provveduto a sollecitarla; che, peraltro, l'imputato non avrebbe
potuto effettuare altri adempimenti, essendogli in ogni caso inibito di
provvedere direttamente al trasporto dell’olio.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata
applicazione dell’art. 51, comma prima lett. b), in relazione all'art. 6 lett.
m) n. 2) e 4), del D. Lgs n. 22/97.
Premesso che gli oli di cui si tratta erano stati prodotti della stessa società
Cavatori Lavagnina, che aveva provveduto a raggrupparli nel luogo di produzione
in attesa del conferimento alla ditta addetta alla raccolta degli stessi, si
deduce che l'inosservanza delle prescrizioni di cui all'art. 6 lett. m) del D.
Lgs n. 22/97 non integra la condotta prevista e sanzionata penalmente dall'art.
51, comma primo, del medesimo decreto legislativo; che, infatti, nessun dato
testuale conforta l’assunto che il deposito temporaneo si trasformi, per effetto
della sua irregolarità, nelle ipotesi contravvenzionali della raccolta,
trasporto, recupero smaltimento ed intermediazione di rifiuti in mancanza delle
prescritte autorizzazioni.
Si aggiunge che nella specie erano state osservate tutte le altre prescrizioni
afferenti alla conservazione degli oli che erano stati depositati in una vasca
metallica protetta; che il decreto Ronchi non prevede alcuna sanzione per il
mancato rispetto delle condizioni di cui all'art. 6 lett. m) e che il deposito
temporaneo costituisce un'attività diversa dallo stoccaggio per il quale occorre
un'apposita autorizzazione; che, inoltre, il deposito temporaneo non può essere
equiparato al deposito incontrollato, che deve ravvisarsi solo allorché il
deposito sia effettuato in un luogo diverso da quello di produzione dei rifiuti
e che negli altri casi non è ravvisabile un concreto pericolo per l'ambiente. Si
osserva, infine, che l'assenza di sanzioni per la irregolarità di cui si tratta
non può indurre ad una applicazione analogica in malam partem della norma
e che solo il deposito temporaneo ed irregolare di rifiuti pericolosi risulta
sanzionato, peraltro con la sola pena pecuniaria amministrativa.
Con l'ultimo mezzo di annullamento si denuncia mancanza o manifesta illogicità
della motivazione della sentenza, deducendosi che la corte territoriale ha
omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale in appello per consentire all'imputato di dimostrare la sua
mancanza di colpa, avendo provveduto a sollecitare ripetutamente la Vi.Ve perché
provvedesse allo smaltimento dei rifiuti in questione.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo motivo di gravame costituisce mera reiterazione delle giustificazioni
in ordine alla commissione del fatto già prospettate dinanzi ai giudici di
merito e ritenute infondate con motivazione assolutamente esaustiva ed immune da
vizi logici ed è, pertanto, inammissibile.
Nella sentenza impugnata si è, infatti, osservato che l'imputato non ha affatto
dimostrato di avere posto in essere tutto quanto era in suo potere per
ottemperare alla norma.
In particolare la corte territoriale ha affermato che non è stata affatto
fornita prova di sollecitazioni certe, effettuate per iscritto, nei confronti
della ditta Vi.Ve, ma solo l'esistenza di qualche telefonata, peraltro priva di
indicazioni che consentissero di accertare la data dei solleciti ed il loro
contenuto.
Sicché è stata correttamente ritenuta la sussistenza dell'elemento psicologico
del reato, costituito anche dalla mera colpa, sulla base del rilevato
accertamento di fatto.
Il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato.
L'indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte è assolutamente consolidato
nell'affermare che per potersi configurare l'ipotesi del deposito controllato e
temporaneo di rifiuti, di cui all'art. 6 lett. m) del D. Lgs 5 febbraio 1997 n.
22, occorre il rispetto delle condizioni dettate dal citato articolo, ed in
particolare il raggruppamento dei rifiuti deve avvenire nel luogo di produzione
e con l'osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura ed alla
quantità del rifiuto.
In mancanza si configura il reato di abbandono e deposito incontrollato di
rifiuti, sanzionato dall'art. 51, comma 2, del citato decreto n. 22, ovvero di
smaltimento illecito dei rifiuti stessi. (cfr. sez. III, 200220780, Brustia, RV
221883; conf. sez. III, 200309057, Costa, RV 224172; sez. III, 200421024, Eoli,
RV 229225)
Pertanto, l'inosservanza delle prescrizioni di cui all'art. 6, in presenza delle
quali è esclusivamente consentito procedere alla raccolta e deposito di rifiuti
in assenza della prescritta autorizzazione, non è affatto priva di sanzione.
L'art. 51, comma secondo, del D. Lgs n. 22/97 ed attualmente dall'art. 256,
comma secondo, del D. Lgs n. 152/06, infatti, espressamente prevedono la
fattispecie sanzionata penalmente del deposito incontrollato dei rifiuti, nella
cui nozione rientra inequivocabilmente il mancato rispetto delle prescrizioni
previste dalla legge per il deposito stesso.
Inoltre la sentenza impugnata ha puntualmente osservato che la fattispecie
penale in questione costituisce reato di pericolo, per la cui configurazione non
occorre il concreto accertamento della effettiva esistenza di un nocumento, sia
pure potenziale, per l’ambiente.
E', infine, manifestamente infondato l'ultimo motivo di gravame.
E' noto che il giudice di appello procede alla rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale, ex art. 603, prima comma, c.p.p., solo allorché ritenga di non
poter decidere allo stato degli atti.
Orbene, emerge chiaramente dalla motivazione della pronuncia della corte
territoriale l'inesistenza di detta condizione necessaria per l'accoglimento
della richiesta dell'appellante.
Peraltro, la richiesta formulata sul punto nei motivi di gravame si palesa del
tutto generica in relazione alle argomentazioni sulle quali è stata fondata
l'affermazione di colpevolezza dell'imputato, sicché la sentenza impugnata
risulta adeguatamente motivata sulla superfluità di tale mezzo istruttorio, in
quanto inidoneo, per la genericità della sua formulazione, a conferire certezza
in ordine alla tempestività e adeguatezza delle sollecitazioni che l'appellante
assumeva di avere effettuato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art.
606, ultimo comma, c.p.p..
L’inammissibilità dell'impugnazione, qualunque ne sia la causa, e cioè
originaria, per la mancanza nell'atto di impugnazione dei requisiti prescritti
dall'art. 581 c.p.p. (sez. un. 11.11.1994, Cresci) o derivante dall'enunciazione
di motivi non consentiti e dalla enunciazione di violazioni di legge non dedotte
con i motivi di appello (sez. un. 30.6.1999, Piepoli) o, infine, derivante dalla
manifesta infondatezza dei motivi di ricorso che ricorre nella fattispecie in
esame (sez. un. 22.11.2000, De Luca), preclude l'esame della sussistenza di
cause di non punibilità, ai sensi dell'art. 129 c.p.p..
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e di una somma alla cassa della ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché della somma di € 1.000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 29.1.2009.
Deposito in cancelleria il 04/03/2009.
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