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CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 233
ACQUA - Acque superficiali, marine e sotterranee - Art. 73, c. 2, d.lgs. n.
152/2006 - Previsione degli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di
cui al comma 1 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non
è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art.
117 Cost., dell’art. 73, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, il quale, indica gli
strumenti attraverso i quali raggiungere, nell’ambito della tutela delle acque
superficiali, marine e sotterranee, gli obiettivi di cui al comma 1. La
previsione di strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di tutela
ambientale è formulata infatti a livello generale, organizzativo, al fine di
assicurare standard omogenei sul territorio nazionale, in ordine alle modalità
di conseguimento degli obiettivi. Il carattere generale, unitario, non
interferente su specifiche realtà territoriali, si ritrova nella disposizione di
chiusura della norma (comma 3), in cui si prevede che «il perseguimento delle
finalità e l’utilizzo degli strumenti contribuiscono a proteggere le acque
territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali
in materia». Del resto, nella materia ambientale, di potestà legislativa
esclusiva, lo Stato non si limita a porre principi (come nelle materie di
legislazione concorrente): il fatto che tale competenza statale non escluda la
concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, nell’esercizio delle
loro competenze in tema di tutela della salute e di governo del territorio, non
comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi, allorquando individui
l’esigenza di interventi di questa natura, a stabilire solo norme di principio
(sentenze n. 62 del 2005, n. 12 e n. 61 del 2009). Pres. Amirante, Est.
Finocchiaro - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche c.
presidente del Consiglio dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 233
ACQUA - Art. 75, c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Modifica degli allegati alla Parte III per dare attuazione alle direttive comunitarie - Strumento - Decreto ministeriale - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale ,per violazione degli articoli 117 e 118 Cost., dell’art. 75, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui stabilisce che, con decreto dei Ministri competenti, si modifichino gli Allegati alla Parte III dello stesso decreto legislativo, per dare attuazione alle direttive comunitarie per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche tecniche delle direttive, recepite nella Parte III. Nelle materie di potestà legislativa esclusiva, quale è quella di tutela dell’ambiente, lo Stato ha infatti il potere di dare attuazione alle direttive comunitarie, in particolare riguardo all’assolvimento di obblighi comunitari generali per tutto il territorio dello Stato (sentenza n. 412 del 2001, in materia di disciplina degli scarichi). Riguardo al possibile contenuto esecutivo e di dettaglio delle modifiche, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, lo Stato non si limita a dettare norme di principio, anche riguardo alle funzioni amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n. 88 del 2009 e n. 62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell’ambiente (sentenza n. 401 del 2007). Gli allegati alla Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, inoltre, danno attuazione alla Parte II dello stesso decreto legislativo, che si muove nella materia ambientale, pur se i correttivi da inserire, demandati a decreti ministeriali, riguardino modalità di ordine esecutivo e caratteristiche tecniche per le quali si impone una disciplina unitaria a carattere nazionale. A parte il fatto che il potere di emanare regolamenti nelle materie di competenza statale esclusiva, di cui al sesto comma dell’art. 117 Cost., discende direttamente dalla Costituzione (sentenza n. 401 del 2007), sono sussistenti ragioni di unitarietà ed uniformità ordinamentali tali da richiedere l’allocazione a livello statale delle funzioni amministrative in materia, tanto più che la fissazione delle modalità tecniche generali era assegnata allo Stato già dagli artt. 80 e 88 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Pres. Amirante, Est. Finocchiaro - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 233
ACQUA - INFORMAZIONE AMBIENTALE - Art. 75, c. 5 d.lgs. n. 152/2006 - Divulgazione dello stato di qualità delle acque - Regioni - D.lgs. n. 195/2005 - Rispetto dell’autonomia regionale - Intesa con la conferenza permanente - Questione di legittimità costituzionale - Infondantezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 119 Cost., dell’art. 75, c. 5 del d.lgs. n. 152/2006. La norma riguarda la divulgazione, da parte delle Regioni, delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e la trasmissione al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) dei dati conoscitivi e delle informazioni relative all’attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006, e di quelli prescritti dalla disciplina comunitaria. Tali obblighi vanno inquadrati, quanto al primo, nell’ambito della normativa in tema di informazione ambientale, che grava sulla pubblica amministrazione, ed è disciplinato dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale; il secondo rimette le informazioni sullo stato di attuazione della Parte III del Codice dell’ambiente al coordinamento esercitato dallo Stato, non in quanto titolare della potestà legislativa esclusiva in materia ambientale, bensì nell’ambito della tutela del diritto di accesso del pubblico ai documenti amministrativi, riguardo ai quali lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni, ma la cui attuazione compete a tutti gli organi di amministrazione (sentenza n. 399 del 2006). Il rispetto dell’autonomia delle Regioni, senza dubbio necessario anche sotto il profilo della provvista di mezzi finanziari per fronteggiare nuovi oneri, è assicurato dalla previsione circa l’attuazione di tale forma di collaborazione previa intesa con gli enti interessati o con gli organismi rappresentativi degli stessi (sentenza n. 408 del 1998). E’ il caso della norma in esame, che demanda le modalità di diffusione e di trasmissione dei dati e delle informazioni ad un decreto ministeriale adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano: il decreto, avendo ad oggetto gli aspetti organizzativi, ben potrà regolare i costi delle operazioni. Pres. Amirante, Est. Finocchiaro - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 233
ACQUA - Acque marine costiere e salmastre - Molluschicoltura - Intesa Regioni /Ministero delle politiche agricole e forestali - Principio di leale collaborazione - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost, dell’art. 87 de d.lgs. n. 152/2006, ove prevede l’intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali nella designazione, da parte delle Regioni, delle acque marine costiere e salmastre richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo di banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura commestibili per l’uomo. La norma, nell’ambito del Capo II della Sezione II, dedicato alle acque a specifica destinazione, ha ad oggetto le acque marine e costiere, ed è per questo che, a differenza delle acque dolci interne, che hanno un preciso collegamento al bacino territoriale di riferimento, in cui si configura la competenza regionale, coinvolgono interessi cui sovrintendono organi statali. La molluschicoltura deve a sua volta essere ascritta all’ambito materiale della pesca, di competenza legislativa residuale delle Regioni. Concorrono, però, con essa anche competenze statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell’ecosistema e competenze concorrenti (sentenza n. 213 del 2006: tutela della salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione delle imprese per il settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e integrativa, governo del territorio). Occorre applicare il principio di leale collaborazione, postulandosi la necessità di intese a livello attuativo, nell’individuazione degli ambienti marini in cui tutelare le popolazioni naturali di molluschi e garantire la buona qualità dei prodotti della molluschicoltura. La questione non è fondata neanche con riferimento all’art. 76 Cost. Se la designazione, nell’ambito delle acque marine costiere e salmastre, di quelle da tutelare, anche ai fini del miglioramento dei prodotti della molluschicoltura (con formulazione normativa anche testualmente coincidente con il nuovo art. 87 del d.lgs. n. 152 del 2006), era attribuita alle Regioni dall’abrogato art. 14 del d.lgs. n. 152 del 1999, il compito del Codice dell’ambiente è proprio quello del «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie», e tra queste (lettera b), la «tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche» (cfr. legge delega n. 308/2004). Pres. Amirante, Est. Finocchiaro - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 233
SENTENZA N. 233
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. da 73 a 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Toscana,
Piemonte, Liguria e Marche, con ricorsi notificati l'8, il 13, il 12-21 ed il
12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 14, il 15, il 16 ed il 21
giugno 2006, ed iscritti ai nn. 68, 69, 70, 74 e 79 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché
gli atti di intervento dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Alfio
Finocchiaro;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia
Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione Piemonte,
Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Gustavo Visentini per la Regione
Marche, Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus, e l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri l'8 giugno
2006, la Regione Calabria (reg. ric. n. 68 del 2006) ha chiesto a questa Corte
di dichiarare l'illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che ha
violato le competenze regionali, sotto molteplici aspetti.
Le censure riguardano, tra l'altro, il settore della «Tutela delle acque
dall'inquinamento», oggetto della Sezione II della Parte III del decreto
legislativo.
Nell'ambito di questa sezione la Regione Calabria censura, in riferimento
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, l'art. 73, nel quale si
individuano gli obiettivi da perseguire nella disciplina generale per la tutela
delle acque superficiali, marine e sotterranee, riproponendo le considerazioni
svolte in altra parte del ricorso, sulla difesa del suolo, in merito alla
riconducibilità della disciplina delle acque a diverse materie, tra le quali
sarebbe prevalente e comprensiva quella del “governo del territorio”.
Non mancando, peraltro, richiami alla “tutela dell'ambiente” (segnatamente con
riferimento alle lettere a), b) e f), ed alla “tutela della salute” (in tal
senso, rilevano soprattutto le lettere b), d) ed e), in via gradata
sussisterebbe una concorrenza di competenze che coinvolgerebbe le tre materie
indicate.
Se anche si adottasse la prospettiva della sussistenza di una concorrenza di
competenze, l'enunciazione degli strumenti potrebbe, al più, essere inquadrata
nell'ambito della determinazione di standards di tutela (ciò che appare,
peraltro, assai problematico), con il che il comma 2 non potrebbe comunque
essere considerato immune da vizi, giacché, ove non sia ravvisabile la sicura
prevalenza di un complesso normativo rispetto agli altri, atto a rendere
dominante la relativa competenza legislativa, la redazione di contenuti
normativi richiede la previa intesa con i rappresentanti delle Regioni.
Altra norma censurata è l'art. 75, comma 1, lettera b), secondo la quale le
Regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti
nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle
attribuzioni statali.
Tale disposizione è ispirata ad una concezione del riparto di competenze
inconciliabile con il mutato assetto costituzionale, dal momento che ignora come
le funzioni normative delle Regioni e le funzioni amministrative degli enti
locali non possono mai essere “determinate”, stanti le clausole di cui all'art.
117, quarto comma, ed all'art. 118, primo comma, Cost., e muove dalla errata
tendenza dello Stato a restare l'ente cui spettano le competenze generali.
Analoghi rilievi riguardano l'art. 87, il cui comma 1, disponendo che «le
Regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali,
designano, nell'ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di
banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle
richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo
degli stessi e per contribuire alla buona qualità dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo», riproduce l'art. 14,
comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla
tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE
concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva
91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai
nitrati provenienti da fonti agricole), in cui, però, non era prevista l'intesa
con il Ministro delle politiche agricole e forestali. Trattandosi di competenza
già interamente trasferita alle Regioni (l'art. 1, comma 8, della legge 15
dicembre 2004, n. 308, impone al legislatore delegato il rispetto delle
competenze attribuite alle Regioni dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112), appare evidente che lo Stato non può surrettiziamente riappropriarsene
attraverso un atto di codeterminazione, di cui non si rinviene alcuna
giustificazione, né sul piano funzionale né su quello del sistema costituzionale
di ripartizione delle competenze.
La Regione censura altresì l'art. 75, comma 4 - nella parte in cui stabilisce
che, con decreto dei Ministri competenti, si provvede alla modifica degli
Allegati alla Parte III dello stesso decreto legislativo, per dare attuazione
alle direttive comunitarie per le parti in cui queste modifichino modalità
esecutive e caratteristiche tecniche delle direttive, recepite nella Parte III,
secondo quanto previsto dall'art. 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 -
ritenendolo in contrasto con l'art. 117, quinto comma, Cost., dato che
attribuisce ad organi statali il compito di attuare normative comunitarie di
modifica di modalità esecutive di altre direttive, incidenti su aspetti di
dettaglio, attività che non può che spettare alle Regioni; nonché con l'art.
117, sesto comma, Cost., attribuendosi un potere regolamentare a organi statali
in ambito diverso da quelli individuati dall'art. 117, secondo comma, Cost.
Subordinatamente, poi, l'attribuzione ai Ministri del potere di emanare decreti
violerebbe il principio di leale collaborazione, attesa l'importanza che i
decreti ministeriali possono assumere, tale da richiedere l'intervento di
istanze rappresentative delle Regioni ed enti locali nel procedimento di
formazione.
1.1. - Nell'imminenza dell'udienza la Regione Calabria ha depositato memoria.
Per quanto è oggetto della Sezione II della Parte III, la Regione si richiama
semplicemente ai motivi di ricorso proposti, non essendo state le norme di tale
sezione, oggetto delle censure, modificate dalla legislazione successiva
(decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284, recante «Disposizioni correttive e
integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia
ambientale», e decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante «Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale»).
2. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 21
giugno 2006, la Regione Toscana (reg. ric. n. 69 del 2006) ha chiesto a questa
Corte la declaratoria di incostituzionalità di una serie di disposizioni del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione sotto molteplici aspetti delle competenze
regionali.
Le censure riguardano, tra l'altro, il settore della «Tutela delle acque
dall'inquinamento», oggetto della Sezione II della Parte III.
In tale ambito, appare lesivo delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite l'art. 75, comma 5, per violazione dell'art. 119 Cost. La disposizione
impone alle Regioni di assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni
sullo stato di qualità delle acque nonché di trasmettere al Dipartimento tutela
delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per
i servizi tecnici (APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relativi
all'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006, e quelli prescritti dalla disciplina
comunitaria, secondo le modalità che verranno indicate con decreto del Ministro
dell'ambiente, di concerto con i Ministri competenti, d'intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni.
Al fine di ottemperare agli obblighi imposti dalla disposizione in esame, le
Regioni devono necessariamente attivare, con oneri rilevanti a proprio carico,
azioni dirette ad effettuare una serie di indagini conoscitive sullo «stato di
qualità delle acque», nonché azioni dirette al monitoraggio e alla elaborazione
dei dati e delle informazioni acquisite, al fine di poter evidenziare, come
richiesto dalla norma, il livello di attuazione dello stesso d.lgs. n. 152 del
2006, nonché il rispetto degli obblighi di derivazione comunitaria. Tali
obblighi informativi non appaiono collegati a funzioni proprie delle Regioni,
bensì risultano esplicazione della potestà legislativa riconosciuta allo Stato
dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
L'acquisizione delle informazioni è infatti finalizzata a consentire un
controllo da parte dello Stato sul rispetto degli standard di tutela ambientali
imposti dallo stesso e dalla Comunità europea, controllo che rappresenta il
diretto corollario di quello che è il nucleo essenziale della materia “tutela
ambientale”. Se è vero che detta materia è “trasversale” e consente, comunque,
alle Regioni di curare i propri interessi funzionalmente collegati con quelli
ambientali, è anche vero che l'attività di rilevazione dei dati e delle
informazioni richieste rappresenta esplicazione del potere statale di
controllare il rispetto degli standard di tutela uniformi, individuati al fine
di garantire le esigenze di protezione e tutela dell'ambiente.
L'onerosità dei compiti di rilevamento, positivamente assunti dalla Regione
ricorrente in attuazione del principio di leale collaborazione, non è assistita
dall'individuazione, da parte del legislatore statale, delle risorse necessarie
a farvi fronte, in palese violazione dell'art. 119 Cost., secondo cui le Regioni
hanno «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di
risorse autonome (secondo comma).
Sul presupposto che per la svolgimento delle funzioni loro attribuite, Regioni
ed enti locali si avvalgono di tributi ed entrate proprie, da essi stabiliti
secondo principi di coordinamento della finanza pubblica, compartecipazione al
gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio e accesso al fondo
perequativo per i territori con minore capacità fiscale, il quinto comma dispone
che «per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni lo
Stato destina risorse aggiuntive» a favore di Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni.
Ne consegue che, qualora lo Stato imponga ad enti locali (nella specie le
Regioni) di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni, deve contestualmente indicare i mezzi finanziari per farvi fronte. In
mancanza, verrebbe vanificata l'essenza stessa dell'autonomia finanziaria
riconosciuta alle Regioni dalla Costituzione, dovendo le stesse distogliere le
entrate destinate a coprire le funzioni pubbliche loro attribuite per
fronteggiare gli oneri derivanti dalle funzioni diverse ed ulteriori ad esse
attribuite dal legislatore statale.
Altra norma censurata è l'art. 77, comma 5, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost. e del principio di leale cooperazione.
La disposizione in esame prevede che la designazione di un corpo idrico
artificiale o fortemente modificato e le relative motivazioni siano
esplicitamente menzionate nei piani di bacino (di emanazione statale). La
disposizione appare poco chiara, in particolare sul significato da attribuire al
termine “designazione”. In una prima accezione, sembrerebbe ricondursi al
legislatore statale «l'individuazione del corpo idrico artificiale o fortemente
modificato» attraverso lo strumento del piano di bacino; in una seconda
accezione, il piano di bacino si limiterebbe a riportare un elenco dei corpi
idrici o fortemente modificati, la cui designazione sarebbe, invece, demandata
all'ambito regionale.
I commi successivi riconoscono competenze in capo alle Regioni, tali da far
propendere per la seconda interpretazione (il comma 6 prevede che le Regioni
possano motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che
presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello stato di
“buono”; il comma 7 prevede che le Regioni possano stabilire obiettivi di
qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorrano
alcune particolari condizioni), tuttavia la norma appare, nella sostanza,
ambigua. L'interpretazione secondo la quale la designazione del corpo idrico
compete allo Stato porterebbe in capo allo stesso un'attività strettamente
finalizzata a politiche di uso del territorio, per loro stessa natura
riconducibili alla materia del “governo del territorio”, riservata dall'art.
117, comma terzo, Cost., alla legislazione concorrente.
Anche volendo configurare un'avocazione da parte dello Stato, per esigenze di
unitarietà, delle funzioni amministrative di competenza delle Regioni, la norma
non si sottrarrebbe a censure di illegittimità costituzionale: l'assunzione in
sussidiarietà, quale deroga al sistema di competenze disegnato dalla
Costituzione, deve infatti sottostare al principio di leale collaborazione, che
impone che la funzione venga amministrata attraverso accordi ed intese con le
Regioni. Detto principio non trova riconoscimento nella norma impugnata, dal
momento che la designazione del corpo idrico non è subordinata ad intese con i
livelli regionali, ma, al contrario, è ricondotta unilateralmente nell'ambito
della competenza statale.
Viene, inoltre, censurato l'art. 87, comma 1, per violazione degli artt. 117 e
118 Cost.
La disposizione prevede che le Regioni, d'intesa con il Ministero delle
politiche agricole e forestali, designino, nell'ambito delle acque marine
costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento,
per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona
qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per
l'uomo.
La norma, avendo la duplice finalità di assicurare che le acque marine e
salmastre, sede di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi,
rispondano ai requisiti di qualità richiamati dal successivo art. 88, e di
assicurare la buona qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente
commestibili per l'uomo, coinvolge interessi diversi, affidati ora alla tutela
del legislatore statale (tutela dell'ambiente), ora alla legislazione
concorrente (tutela della salute), ora alla legislazione residuale delle Regioni
(agricoltura).
Il nucleo centrale della materia “agricoltura” è individuabile nella produzione
di vegetali ed animali destinati all'alimentazione, quindi non sembra
compatibile, con il riparto delle competenze delineato dal Titolo V della Parte
II della Costituzione, la subordinazione della designazione regionale delle
acque marine ai fini della molluschicoltura ad un'intesa con i livelli statali.
La competenza regionale esclusiva nella materia dell'agricoltura è altresì
incompatibile in riferimento alle materie riconducibili alla legislazione
concorrente (tutela della salute e dell'alimentazione), laddove compete allo
Stato la sola fissazione dei principi fondamentali e non anche determinazioni di
dettaglio, quale è invece quella di designazione delle acque che ottemperano ai
requisiti di qualità (indicati come standard uniformi dallo Stato) e che
possono, pertanto, essere destinate alla molluschicoltura, in quanto disciplina
operativa e di dettaglio, il cui esercizio è riconducibile all'ambito regionale.
Neppure sembrano invocabili i principi di sussidiarietà ed adeguatezza di cui
all'art. 118, primo comma, Cost., nella loro attitudine ascensionale, in base ai
quali lo Stato può riservare a sé funzioni amministrative (e conseguentemente
legislative) in deroga al riparto delle competenze individuato dal Titolo V
della Parte II della Costituzione, difettando le condizioni di proporzionalità e
ragionevolezza, giacché, pur contemplando la norma una concertazione tra livello
regionale e statale, non è ravvisabile un ragionevole fondamento tale da
giustificare l'esigenza di un esercizio unitario della stessa, soprattutto
tenendo conto del contesto normativo in cui la norma è collocata; tanto più che
l'art. 84, comma 1, in riferimento alla designazione (regionale) «delle acque
dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei
pesci», riserva allo Stato la sola individuazione dei requisiti cui le acque
devono rispondere (requisiti riportati nella Tabella 1/B dell'allegato 2 alla
Parte III del decreto medesimo), ma affida la designazione delle stesse alle
Regioni, senza subordinarne l'esercizio ad intese con i livelli statali.
Va evidenziato, infine, che l'art. 87 modifica l'art. 14 del d.lgs. n. 152 del
1999 (normativa che viene abrogata dal decreto legislativo oggetto di
impugnazione), che, in un quadro costituzionale in cui le competenze regionali
erano indubbiamente inferiori a quelle desumibili dall'attuale 117 Cost., non
subordinava l'esercizio della funzione regionale ad intese con i livelli
statali.
2.1. - Nel giudizio promosso dalla Regione Toscana si è costituito il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, che illustra le ragioni per cui le doglianze della Regione dovranno
essere disattese.
Relativamente alla tutela delle acque dall'inquinamento, la difesa erariale
replica alle censure relative all'art. 75, comma 5, sulla divulgazione delle
informazioni sullo stato di qualità delle acque, assumendo che tale obbligo è di
diretta derivazione comunitaria. Il riordino delle funzioni comporta il
necessario trasferimento delle risorse nell'ambito delle varie materie
considerate dal legislatore delegato, e le informazioni possono essere acquisite
e diffuse con mezzi a basso costo (indicatori biologici invece che chimici,
internet in luogo di pubblicazione a stampa).
La doglianza in ordine all'individuazione dei corpi idrici artificiali o
fortemente modificati (art. 77, comma 5) sarebbe inammissibile per genericità e
indeterminatezza, oltre che per il fatto che i criteri di individuazione non
possono che essere omogenei su tutto il territorio nazionale.
Riguardo all'art. 87, comma 1 - che prevede la designazione, da parte delle
Regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali, delle
acque marine costiere e salmastre richiedenti protezione e miglioramento per
consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi - la doglianza non sarebbe
fondata, poiché l'intesa con il Ministro si pone solo nella prima fase di
individuazione, restando affidata alla competenza regionale l'integrazione e la
modifica in via ordinaria degli elenchi.
2.2. - Nel giudizio ha presentato atto di intervento ad adiuvandum
l'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus,
la quale, poste alcune premesse sulla legislazione italiana in materia
ambientale e sull'esercizio della delega legislativa, passa ad esaminare le
questioni di legittimità delle norme denunciate dalla Regione ricorrente, senza
tuttavia svolgere considerazioni in merito alle specifiche disposizioni in tema
di tutela delle acque dall'inquinamento.
2.3. - Nell'imminenza dell'udienza, la Regione Toscana ha depositato memoria,
limitandosi, per quanto riguarda le censure proposte avverso le disposizione
contenute nella Sez. II della Parte III, a richiamare i motivi di ricorso già
proposti.
3. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 27
giugno 2006, la Regione Piemonte (reg. ric. n. 70 del 2006) ha chiesto a questa
Corte la declaratoria di incostituzionalità di una serie di disposizioni del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione di vari parametri costituzionali (artt.
3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.).
Le censure riguardano, tra l'altro, gli artt. da 73 a 140 del citato d.lgs. n.
152 del 2006, che attengono alla tutela delle acque dell'inquinamento anche
sotto l'aspetto degli strumenti pianificatori e gestionali. La ramificata
interrelazione con gli ambiti del governo del territorio e di gestione dei vari
settori di attività antropiche, investe ambiti di competenza concorrente o
rimessa alle Regioni e parimenti della tutela della salute. Valgono le
considerazioni di ordine generale sulla pretermissione del contributo di Regioni
e Province autonome nell'elaborazione delle norme del d.lgs. n. 152 del 2006, ad
inficiare le validità del corpus normativo nel suo complesso, al di là della
specificazione delle questioni attinenti a norme determinate.
Rispetto al quadro legislativo già operante, si riscontrano significative
innovazioni, non giustificate da esigenze di coordinamento ed anzi apportatrici
di elementi di contraddizione ed incoerenza ed improntate ad un accentramento di
compiti, anche di limitata gestione, nella sede ministeriale, determinandosi
compressione del ruolo delle Regioni e delle autonomie locali. Il principio
dell'unitarietà fonda la competenza statale ove siano ravvisabili esigenze di
uniformità e omogeneità strategica, con la definizione di standard, pur sempre
con il contemperamento delle procedure di leale collaborazione e intesa per la
codeterminazione dei contenuti interessanti anche l'ambito di competenza
regionale.
3.1. - Nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte, si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o infondatezza
della questione.
Hanno poi spiegato intervento la Società Italiana Centrali Termoelettriche -
SICET S.r.l., la Biomasse Italia S.p.a., la Ital Green Energy S.r.l., la E.T.A.
- Energie tecnologie ambiente S.p.a., senza svolgere considerazioni direttamente
attinenti al tema in oggetto.
4. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 13
giugno 2006, la Regione Liguria (reg. ric. n. 74 del 2006) ha chiesto a questa
Corte la declaratoria d'illegittimità costituzionale di una serie di
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, che avrebbero violato le competenze
regionali sotto molteplici aspetti.
Le censure riguardano, tra l'altro, il settore della «Tutela delle acque
dall'inquinamento», oggetto della Sezione II della Parte III del decreto
legislativo.
L'art. 74 reca le definizioni rilevanti nella materia, e tra queste il comma 1,
lettera ff), definisce “scarico” qualsiasi immissione di acque reflue in acque
superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente
dalla natura inquinante, e pur sottoposta a preventivo trattamento di
depurazione. In questo modo, l'immissione non deve più essere «diretta tramite
condotta».
Sono stati così modificati il concetto di “scarico”, quale risultante dall'art.
2, comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 152 del 1999, e la sua distinguibilità
dal concetto di “rifiuto”, viceversa costituito da reflui di cui il detentore si
disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, con avvio allo smaltimento,
trattamento o depurazione a mezzo di trasporto comunque non canalizzato. La
norma in esame, dunque, rimette in discussione il difficile rapporto tra
normativa sulle acque e normativa sui rifiuti, limitando in sostanza
l'applicazione di questa - i rifiuti liquidi sono in tal modo sottratti alla
normativa sui rifiuti e assimilati agli scarichi idrici: l'art. 8 del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui
rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva
94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), esclude dal proprio
ambito di applicazione le acque di scarico - e riducendo i controlli sui casi di
introduzione di sostanze nei corpi ricettori in assenza di condotta.
Tale innovazione, oltre ad essere irragionevole (con violazione dell'art. 3 Cost.),
contrasterebbe con la legge delega, sia per il fatto stesso di essere
un'innovazione (il Governo aveva meri compiti di «riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie») sia
perché diminuisce la tutela dell'ambiente e della salute (mentre l'art. 1, comma
8, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004 pone come principio direttivo
la garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità
dell'ambiente, della protezione della salute umana).
Ne consegue una menomazione della posizione regionale, in primo luogo perché è
il territorio stesso della Regione che viene danneggiato dal fatto che i rifiuti
liquidi siano sottratti alla normativa sui rifiuti e assimilati agli scarichi
idrici, con conseguente lesione della posizione regionale di rappresentante
generale degli interessi della popolazione stanziata su quel territorio; in
secondo luogo, l'attività legislativa ed amministrativa che la Regione svolge
nella materia in questione (di pacifica competenza regionale) risente
dell'illegittimità delle norme statali di base, perché quell'attività è
costretta a svolgersi in un quadro illegittimo, con conseguente rischio di
illegittimità derivata. Infine, la diminuita tutela dell'ambiente aggrava i
compiti che la Regione e gli enti locali devono svolgere per far fronte ai
possibili danni, per cui la palese violazione dell'art. 76 (e dell'art. 3) Cost.
si traduce in una lesione dell'autonomia amministrativa e finanziaria della
Regione e degli enti locali.
L'art. 74, comma 1, lettera h), introduce nella definizione di acque reflue
industriali il criterio “qualitativo” in sostituzione di quello della
“provenienza” di cui all'art. 2, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 152 del
1999. Ciò costituisce un oggettivo passo indietro nella tutela delle acque
dall'inquinamento, tale da determinare gravi complicazioni applicative. Inoltre,
la nuova norma non rispetta neppure la definizione prevista dall'art. 2 della
direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane. E' dunque
ravvisabile violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., del principio di
ragionevolezza e, per le stesse ragioni sopra esposte, dell'art. 76 della
Costituzione. Attraverso tali violazioni, la norma lede le prerogative
regionali, per le ragioni esposte in relazione all'art. 74, comma 1, lettera ff).
L'art. 74, comma 1, lettera n), innova la definizione di agglomerato di cui
all'art. 2, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 1999, facendo riferimento
alle attività produttive (invece che alle attività economiche) e all'imprecisato
concetto di “fognatura dinamica”. Anche tale norma risulta di difficile
applicazione, con conseguente pregiudizio per la tutela dell'ambiente, e inoltre
è in contrasto con la definizione di agglomerato stabilita dall'art. 2 della
direttiva 91/271/CEE. Essa, dunque, violerebbe (per le ragioni viste nel punto
precedente) gli artt. 3, 76, e 117, primo comma, Cost., arrecando lesione alle
prerogative regionali in materia di competenza della Regione.
L'art. 74, comma 1, lettera oo), e comma 2, lettera qq), fornisce due
definizioni di «valore limite di emissione»; la seconda è conforme a quella
fornita dall'art. 2, n. 40, della direttiva 2000/60/CE, mentre la lettera oo)
aggiunge, irragionevolmente, una seconda e diversa definizione, che determina
incertezza del diritto e difficoltà interpretative ed applicative: tale norma,
dunque, risulta in contrasto con gli artt. 117, primo comma, Cost., e, in quanto
la difficoltà applicativa si possa tradurre in una diminuita tutela
dell'ambiente, con la legge delega e con l'art. 76 Cost. (per le ragioni viste
in precedenza). Tali violazioni pregiudicano la tutela del territorio regionale
e l'efficienza dell'azione regionale di tutela ambientale, per cui, per le
ragioni sopra viste, si traducono in una lesione della competenza regionale.
L'art. 74, comma 2, lettera ee), definisce “sostanze pericolose” le «sostanze o
gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o
gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe». Come è evidente,
la norma dà una definizione di sostanze pericolose così generica da risultare
fuorviante e di nessuna utilità sotto il profilo applicativo. E' vero che tale
definizione corrisponde a quella di cui all'art. 2, n. 29, della direttiva
2000/60/CE, ma compito del legislatore nazionale è appunto quello di integrare
le norme delle direttive e renderle applicabili. Ciò non è avvenuto per il
concetto di “sostanze pericolose”, e le difficoltà applicative su questo punto
pregiudicano, come è facilmente intuibile, la migliore tutela dell'ambiente; né
tale pregiudizio è interamente superabile in virtù degli elenchi di sostanze
nocive che, a vari fini, sono previsti da singoli atti normativi statali, perché
la tutela dell'ambiente necessita di una precisa definizione generale, al fine,
ad esempio, di far fronte alle nuove sostanze pericolose. Anche in questo caso,
dunque, sarebbero violati l'art. 3 Cost. e, in virtù della diminuita tutela
dell'ambiente, l'art. 76 Cost., con pregiudizio sull'attività regionale in
materia (per le ragioni viste in precedenza).
4.1. - Nel giudizio promosso dalla Regione Liguria ha presentato atto di
intervento ad adiuvandum l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus.
4.2. - Nell'imminenza dell'udienza la Regione Liguria ha depositato memoria. Per
quanto riguarda l'art. 74, da essa impugnato, la Regione dà atto della modifica
legislativa intervenuta (con il d.lgs. n. 4 del 2008), che ha radicalmente
modificato tale norma, conseguendone il venir meno dell'interesse ad impugnare,
per le singole disposizioni oggetto di modifica [comma 1, lettere ff), h), n)
(limitatamente alla parte della fognatura dinamica), e oo)], sicché la stessa
ricorrente, con delibera n. 460 del 16 aprile 2009, ha deciso la rinuncia al
ricorso. Restano i motivi concernenti le definizioni di “agglomerato” (comma 1,
lettera n), e di “sostanze pericolose” (comma 2, lettera ee). Pur essendo
intervenuto di recente il decreto legislativo 16 marzo 2009, n. 30, per
l'attuazione della direttiva 2006/118/CE in tema di tutela delle acque
sotterranee dall'inquinamento, le disposizioni tuttora censurate non hanno
subito modificazioni, onde permangono le censure mosse dalla Regione sulle
definizioni dell'art. 74 del d.lgs. n. 152 del 2006, non modificate dal d.lgs.
n. 4 del 2008.
5. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 23
giugno 2006, la Regione Marche (reg. ric. n. 79 del 2006) ha chiesto a questa
Corte la declaratoria di illegittimità costituzionale di una serie di
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere violato le competenze
regionali sotto molteplici aspetti.
Le censure riguardano, tra l'altro, il settore della «Tutela delle acque
dall'inquinamento», oggetto della Sezione II della Parte III.
In tale ambito, appare lesivo delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite l'art. 75, comma 5, per violazione dell'art. 119 Cost.: la
disposizione pone a carico della Regione una serie di obblighi di informazione
sullo stato di qualità delle acque, nonché l'obbligo di trasmettere al
«Dipartimento tutela acque interne e marine» i dati conoscitivi e le
informazioni relative all'attuazione dello stesso decreto legislativo. Questi
obblighi informativi presuppongono una attività di rilevazione e monitoraggio
delle acque indubbiamente costosa che, riconducibile alla materia della tutela
dell'ambiente, è demandata dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello
Stato, dove nella sostanza le Regioni agiscono come meri «bracci operativi dello
Stato». Con la disposizione in esame, invece, sono stati attribuiti alle Regioni
compiti e funzioni che non sono loro propri, senza che sia stata loro
riconosciuta la destinazione di specifiche ed aggiuntive risorse finanziarie.
L'art. 77, comma 5, appare illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
e del principio di leale cooperazione.
La norma dispone che «la designazione di un corpo idrico artificiale o
fortemente modificato e la relativa motivazione siano esplicitamente menzionate
nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni». Di seguito il comma 5
riconosce alle Regioni la possibilità di definire un corpo idrico artificiale o
fortemente modificato in presenza delle condizioni individuate nella norma
medesima (lettere a e b).
Non è escluso che «l'individuazione del corpo idrico artificiale o fortemente
modificato» sia effettuata dallo Stato. Se così fosse, si ricondurrebbe in capo
allo stesso un'attività finalizzata a politiche di «governo del territorio»,
come tali riservate, dall'art. 117, terzo comma, Cost., alla legislazione
concorrente Stato-Regione, e rispetto alla quale compete allo Stato la sola
fissazione dei principi fondamentali.
L'art. 87, comma 1, appare illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.
La disposizione prevede che le Regioni, d'intesa con il Ministero delle
politiche agricole e forestali, designino, nell'ambito delle acque marine
costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento
per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona
qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per
l'uomo.
La finalità della disposizione - assicurare la qualità dei prodotti commestibili
- porta a ritenere che la norma incida su diversi interessi ora di competenza
della legislazione statale (tutela dell'ambiente), ora della legislazione
concorrente (tutela della salute), ora della legislazione residuale delle
Regioni (agricoltura).
La materia dell'agricoltura comprende tutto ciò che «ha a che fare con le
produzioni di vegetali ed animali destinati all'alimentazione». Questa
impostazione, nel caso di specie, risulta anche confermata dall'individuazione
del Ministero delle politiche agricole e forestali quale Ministro competente
all'intesa. Ne consegue l'illegittimità costituzionale di una previsione che
impone la necessaria intesa tra le Regioni e il Ministero delle politiche
agricole e forestali in una materia riconducibile alla competenza residuale
delle Regioni.
5.1. - Nel giudizio ha presentato atto di intervento ad adiuvandum
l'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus,
la quale, poste alcune premesse sulla legislazione italiana in materia
ambientale, e sull'esercizio della delega legislativa, passa ad esaminare le
questioni di legittimità delle norme denunciate dalla Regione ricorrente, senza
tuttavia svolgere considerazioni in merito alle specifiche disposizioni in tema
di tutela delle acque dall'inquinamento.
5.2. - Nell'imminenza dell'udienza la Regione Marche ha depositato memoria.
Riguardo alle norme da essa impugnate e contenute nella Sezione II della Parte
III, essa insiste per l'accoglimento delle questioni proposte.
Relativamente all'art. 75, comma 5, resterebbe l'attualità della questione,
giacché, pur essendo nel frattempo intervenuto il decreto legislativo 30 maggio
2008, n. 116 (Attuazione della direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione della
qualità delle acque di balneazione e abrogazione della direttiva 76/160/CEE),
che ha dato attuazione alla direttiva 2006/7/CE sulla gestione delle acque di
balneazione, l'ambito di applicazione di quest'ultima normativa è solo in
piccola parte sovrapponibile con l'oggetto del d.lgs. n. 152 del 2006, dato che
riguarda specificamente l'ambito delle acque superficiali oggetto di
balneazione, mentre la Sezione II della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 si
riferisce alla tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee. Per quanto
concerne l'obbligo di informazione ambientale, il decreto legislativo 19 agosto
2005, n. 195 (Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico
all'informazione ambientale), ne fa carico alle varie autorità pubbliche, e tra
queste alle Regioni, che devono dare la massima diffusione possibile e
trasmettere al Ministero i dati che risultino già nella loro disponibilità.
La norma impugnata, però, per il suo generico riferimento alla «più ampia
divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle acque», e
soprattutto alla trasmissione dei dati conoscitivi «sull'attuazione della Parte
III del d.lgs. n. 152 del 2006», implica l'attribuzione alla Regione di
specifici e ulteriori compiti di monitoraggio e rilevazione, non sostenuti dalla
destinazione di risorse aggiuntive di cui l'art. 119, quinto comma, Cost., che
fa carico allo Stato ove si tratti di perseguire scopi diversi dal normale
esercizio delle funzioni.
Con riferimento all'art. 77, comma 5, anch'esso solo marginalmente interessato
dal d.lgs. n. 116 del 2008, che si riferisce alla “designazione” di corpo idrico
artificiale o fortemente modificato, si rileva nella memoria che, pur vertendosi
in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, è riscontrabile
un'intrinseca e forte incidenza in ambiti legislativi regionali (governo del
territorio, infrastrutture, agricoltura, sviluppo socio-economico): ambiti in
cui lo Stato non ha il potere di allocare funzioni amministrative, senza il
rispetto dei principi di sussidiarietà e adeguatezza richiesti dall'art. 118
Cost., con l'accentramento di una funzione per la quale risultano più che
adeguati i livelli di governo regionale.
La finalità dell'art. 87, comma 1, anch'essa solo marginalmente interessata dal
d.lgs. n. 116 del 2008, è quella di assicurare la qualità di prodotti
commestibili, tant'è vero che è coinvolto non il Ministero dell'ambiente, ma
quello delle politiche agricole e forestali. Pur se nella disciplina concorrono
aspetti ambientali, il principio della prevalenza comporta la riconduzione della
disciplina ad ambiti materiali come agricoltura, pesca, acquacoltura, di potestà
legislativa residuale delle Regioni. In tale prospettiva è illegittima la
previsione dell'intesa con un organo statale, in relazione ad una funzione
amministrativa allocata in capo alle Regioni, intesa che, in caso di disaccordo,
condizionerebbe addirittura l'an della funzione legislativa. La giurisprudenza
della Corte costituzionale - che, in materia di pesca, data la complessità e
polivalenza della attività, ha stabilito la necessità di momenti di reciproco
coinvolgimento istituzionale e coordinamento dei livelli di governo - non toglie
che, per il principio di sussidiarietà e adeguatezza, debba essere prima
individuato il livello di governo ottimale per l'attribuzione della funzione,
potendo individuarsi solo in un secondo tempo idonee modalità collaborative.
L'allocazione delle funzioni amministrative, nello spirito dell'art. 118 Cost.,
tende a favorire i livelli più vicini al cittadino. Se, per esigenze unitarie,
la funzione debba essere allocata a livello superiore, occorre garantire uno
strumento di coinvolgimento partecipativo dei livelli di governo inferiori: è il
caso in cui, in forza della sussidiarietà, la funzione sia stata attribuita allo
Stato.
Ove invece la funzione sia stata allocata a livello inferiore (come nel caso di
specie, in cui è la Regione a designare gli ambiti marini per la vita dei
molluschi), mancano per definizione le esigenze unitarie, ed evidentemente non
sussiste alcuna istanza collaborativa a livello statale. Se vi fossero state
esigenze unitarie, la funzione avrebbe dovuto essere attribuita allo Stato.
Considerato in diritto
1. - Con ricorsi notificati al Presidente del Consiglio dei ministri le Regioni
Calabria (reg. ric. n. 68 del 2006), Toscana (reg. ric. n. 69 del 2006),
Piemonte (reg. ric. n. 70 del 2006), Liguria (reg. ric. n. 74 del 2006) e Marche
(reg. ric. n. 79 del 2006), hanno chiesto a questa Corte, fra l'altro, la
declaratoria di illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni in
materia di «Tutela delle acque dall'inquinamento», oggetto della Sezione II
della Parte III del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), per violazione delle competenze regionali, sotto molteplici
aspetti.
In particolare, la Regione Calabria ha impugnato gli articoli 73, nella sua
interezza, 73, comma 2, 75, comma 1, lettera b), 75, comma 4, e 87, comma 1; la
Regione Toscana gli articoli 75, comma 5, 77, comma 5, e 87, comma 1; la Regione
Piemonte l'intera Sezione II della Parte III del citato decreto legislativo; la
Regione Liguria gli articoli 74, comma 1, lettere h), n), ff) e oo), e comma 2,
lettere qq) ed ee); la Regione Marche gli articoli 75, comma 5, 77, comma 5, e
87, comma 1.
Stante la loro connessione oggettiva, i suddetti ricorsi devono essere riuniti
per essere decisi con unica pronuncia.
2. - Riservata ad altre pronunce la decisione delle ulteriori questioni di
legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, va dichiarato
inammissibile l'intervento in giudizio sia dell'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) sia della Società Italiana Centrali
Termoelettriche - SICET S.r.l., in conformità all'orientamento della
giurisprudenza costituzionale secondo cui il giudizio di legittimità
costituzionale in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti titolari
di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i
mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte
ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte
in via incidentale» (ex plurimis, sentenza n. 405 del 2008).
3. - Dal momento che varie Regioni hanno impugnato le medesime norme, è
opportuno esaminare le doglianze nella successione numerica cui si riferiscono.
4. - La Regione Piemonte dubita della legittimità costituzionale delle
disposizioni della Sezione II della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 nella
parte in cui - regolando la tutela delle acque dall'inquinamento anche sotto
l'aspetto degli strumenti pianificatori e gestionali e recando significative
innovazioni non giustificate da esigenze di coordinamento, ed anzi apportatrici
di elementi di contraddizione e incoerenza, con accentramento di compiti, in un
settore che presenta ramificate interrelazioni con gli ambiti del “governo del
territorio” e di gestione dei vari settori di attività antropiche di competenza
concorrente, segnatamente della “tutela della salute” - violano i principi di
leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione,
sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione, anche con
riferimento a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali (artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.).
La censura è inammissibile per la sua genericità: la Regione, all'impugnazione
di alcune norme specifiche (artt. 91, 96, 104, 113, 116, 117, 121) fa precedere
alcune considerazioni atte a formulare un'autonoma impugnazione della Sezione II
nel suo complesso, senza riferimento, però, ad alcun aspetto dispositivo della
disciplina.
5. - La Regione Calabria deduce l'illegittimità costituzionale - per violazione
delle prerogative regionali in ambiti di legislazione concorrente di cui
all'art. 117, terzo comma, Cost., e del principio di leale collaborazione -
dell'art. 73 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, nel quale si individuano gli
obiettivi da perseguire nella disciplina generale per la tutela delle acque
superficiali, marine e sotterranee: secondo la ricorrente, la disciplina delle
acque è riconducibile ad un insieme di materie di diversa natura, tra le quali
sarebbe prevalente la materia del “governo del territorio” (si vedano, in
particolare, le lettere a), c), d) ed e).
La censura è generica e non evidenzia, nel complessivo contenuto della norma
censurata, che si articola in otto previsioni (lettere da a ad h), gli aspetti
specifici nei quali potrebbe cogliersi la violazione delle prerogative
regionali.
6. - La Regione Calabria censura, inoltre, l'art. 73, comma 2, che,
nell'indicare gli strumenti attraverso i quali raggiungere, nell'ambito della
tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, gli obiettivi di cui al
comma 1, violerebbe le prerogative regionali nella materia di legislazione
concorrente del “governo del territorio”, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.,
poiché, per definizione, gli strumenti non attengono a norme di principio; o, in
subordine, ove si configurasse una concorrenza di competenze, con determinazione
statale di livelli di tutela, ometterebbe di prevedere che la redazione di
siffatti contenuti normativi venga operata previa intesa con i rappresentanti
delle Regioni, in violazione del principio di leale collaborazione.
La censura non è fondata.
La previsione di strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di tutela
ambientale è formulata a livello generale, organizzativo, al fine di assicurare
standard omogenei sul territorio nazionale, in ordine alle modalità di
conseguimento degli obiettivi. Il carattere generale, unitario, non interferente
su specifiche realtà territoriali, si ritrova nella disposizione di chiusura
della norma (comma 3), in cui si prevede che «il perseguimento delle finalità e
l'utilizzo degli strumenti contribuiscono a proteggere le acque territoriali e
marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia».
Del resto, nella materia ambientale, di potestà legislativa esclusiva, lo Stato
non si limita a porre principi (come nelle materie di legislazione concorrente):
il fatto che tale competenza statale non escluda la concomitante possibilità per
le Regioni di intervenire, nell'esercizio delle loro competenze in tema di
tutela della salute e di governo del territorio, non comporta che lo Stato debba
necessariamente limitarsi, allorquando individui l'esigenza di interventi di
questa natura, a stabilire solo norme di principio (sentenze n. 62 del 2005, n.
12 e n. 61 del 2009).
7. - La Regione Liguria ha impugnato l'art. 74, comma 1, lettere h), n), ff) e
oo), e comma 2, lettere qq) ed ee), per violazione del principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., dell'art. 76 Cost., per contrasto con la
legge delega, e dell'art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con la
normativa comunitaria.
Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, la predetta Regione ha
rinunciato alle impugnazioni proposte avverso l'art. 74, comma 1, lettere h),
n), ff) e oo).
La formale rinuncia, in relazione ai motivi concernenti disposizioni modificate,
produce, in assenza di accettazione dello Stato, la cessazione della materia del
contendere (ordinanze n. 53 del 2009 e n. 345 del 2006), ammettendo
esplicitamente la stessa Regione essere venuto meno in parte qua l'interesse al
ricorso. Non risulta, peraltro, che le norme modificate abbiano avuto attuazione
nel territorio regionale.
Le censure residue investono:
- l'art. 74, comma 1, lettera n), che modificherebbe la definizione di
agglomerato di cui all'art. 2, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 1999,
e, inoltre, sarebbe in contrasto con la definizione di agglomerato stabilita
dall'art. 2 della direttiva 91/271/CEE. La norma, dunque, si porrebbe in
contrasto con gli artt. 3, 76, e 117, primo comma, Cost., arrecando lesione alle
prerogative regionali riferite al proprio territorio;
- l'art. 74, comma 2, lettera ee), che definisce “sostanze pericolose” le
«sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre
sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe»; le
definizioni violerebbero l'art. 3 Cost. per irragionevolezza e, derivandone una
diminuzione della tutela ambientale, in contrasto con il principio di
salvaguardia della qualità dell'ambiente adottato dalla legge delega,
violerebbero anche l'art. 76 Cost., con conseguente pregiudizio delle condizioni
del territorio e aggravamento dell'attività regionale in materia.
Si legge nella premessa del decreto legislativo correttivo che lo stesso è stato
emanato nell'esercizio del potere previsto dalla legge delega 15 dicembre 2004,
n. 308: in particolare, tale potere si fonda sull'art. 1, comma 6, che consente
l'emanazione di disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 152 del
2006, entro due anni dalla data della sua entrata in vigore.
Le censure sollevate della Regione Liguria, che investono le definizioni
legislative impiegate dalla disposizione di settore, da “agglomerato” a
“sostanze pericolose e tossiche”, attengono al merito della disciplina, per le
ricadute che la definizione dei concetti determina sulla tutela delle condizioni
ambientali prodotte dalle possibili fonti di inquinamento. La Regione ne denota
profili di irragionevolezza e inidoneità ai fini del miglioramento dello stato
delle acque, sindacando le scelte strategiche che lo Stato manifesta attraverso
tali definizioni e pronosticando un peggioramento delle condizioni di tutela
dell'ambiente. La critica si muove, in sostanza, sul terreno
dell'irragionevolezza delle scelte di merito cui le definizioni statali
preludono e dell'eccesso di delega, che tuttavia non ridonda sulle competenze
regionali, giacché rimane nella sfera di una verifica generale di rispondenza
dei mutamenti strategici di tutela cui le definizioni preludono, rispetto ai
limiti imposti ad una legislazione diretta al semplice riordino. Le questioni,
dunque, appaiono inammissibili nella parte in cui invocano la violazione degli
artt. 3 e 76 Cost.
La Regione Liguria invoca genericamente una «menomazione della posizione
regionale»: in primo luogo, perché è il territorio stesso della Regione che
verrebbe danneggiato dal fatto che i rifiuti liquidi siano sottratti alla
normativa sui rifiuti e assimilati agli scarichi idrici, con conseguente lesione
della posizione della Regione medesima di rappresentante generale degli
interessi della popolazione stanziata su quel territorio; in secondo luogo,
perché l'attività legislativa ed amministrativa che la Regione svolge nella
materia in questione (pacificamente di sua competenza) verrebbe condizionata
dalla illegittimità delle norme statali di base; infine, perché la diminuita
tutela dell'ambiente aggraverebbe i compiti che la Regione e gli enti locali
devono svolgere per far fronte ai possibili danni, conseguendone la lesione
dell'autonomia amministrativa e finanziaria della Regione e degli enti locali.
Non sembra che dette indicazioni, che valgono come riferimento ai parametri
costituzionali per tutte le questioni sollevate, possano essere ricondotte
all'ambito della questione delle competenze: la ricorrente si pone come ente
esponenziale delle esigenze di salubrità ambientale sul proprio territorio, di
cui paventa una diminuzione delle difese dalle condizioni di inquinamento, che
la nuova impostazione concettuale delle definizioni statali determinerebbe. Ma
questo vale a discutere le scelte di merito dello Stato, nell'esercizio delle
sue prerogative di fissazione dei livelli in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, mentre nulla ha a che vedere con le competenze regionali in
materia, che attengono al possibile perseguimento, nell'esercizio delle
competenze proprie, di finalità di tutela ambientale, ma pur sempre entro i
limiti stabiliti dalla legislazione statale (ex plurimis: sentenze n. 104
del 2008; n. 32 del 2006; n. 307 del 2003).
La compromissione di riflesso che la Regione Liguria lamenta, per via
dell'illegittimità della normativa statale che si rifletterebbe sull'attività
legislativa e amministrativa e dell'aggravio degli oneri finanziari sul bilancio
regionale per rimediare ai guasti di una strategia statale errata, non sembra
qualificabile come lesione delle prerogative legislative e amministrative
riconosciute alla Regione dalla Carta costituzionale, ma, ancora una volta, come
sindacato sulle scelte di merito dello Stato in materia ambientale e, dunque,
come tentativo di interferenza nella sfera legislativa di competenza esclusiva
dello Stato.
Il ricorso della Regione Liguria, relativamente alle questioni per le quali non
vi è stata rinuncia, concernenti le definizioni in materia di inquinamento, di
cui all'art. 74 del Codice dell'ambiente, è, pertanto, inammissibile.
8. - La Regione Calabria ha impugnato l'art. 75, comma 1, lettera b), il quale -
stabilendo che nelle materie disciplinate dalla Sezione II della Parte III dello
stesso decreto legislativo, le Regioni e gli enti locali esercitano le funzioni
e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente
determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali - mostra di considerare lo
Stato come ente cui spettano le competenze generali, sicché quelle delle Regioni
sussisterebbero solo in quanto «determinate» da legge statale, con conseguente
violazione della potestà legislativa esclusiva e amministrativa regionale, di
cui agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost.
La questione è inammissibile per genericità delle doglianze (sentenza n. 50 del
2005), ove si rifletta sulla neutralità dell'espressione normativa, che fa salve
le competenze regionali e statali, nelle loro possibili reciproche implicazioni:
per di più, nella materia ambientale, la prerogativa statale di dettare livelli
di disciplina unitaria e uniforme, cui le Regioni debbono sottostare, giustifica
la clausola di salvezza delle attribuzioni statali.
9. - La stessa Regione Calabria censura l'art. 75, comma 4, nella parte in cui
stabilisce che, con decreto dei Ministri competenti, si modifichino gli Allegati
alla Parte III dello stesso decreto legislativo, per dare attuazione alle
direttive comunitarie per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive
e caratteristiche tecniche delle direttive, recepite nella Parte III. La norma
attribuirebbe ad organi statali il compito di attuare normative comunitarie di
modifica di modalità esecutive, incidenti su aspetti di dettaglio, e un potere
regolamentare in materia non di competenza esclusiva dello Stato, con violazione
degli artt. 117, commi quinto e sesto, e 118 Cost.; o, in subordine, attesa
l'importanza che i decreti ministeriali possono assumere, nella parte in cui
omette di prevedere, nel procedimento di formazione, l'intervento di istanze
rappresentative delle Regioni ed enti locali, per violazione del principio di
leale collaborazione.
La questione non è fondata.
Nelle materie di potestà legislativa esclusiva, quale è quella di tutela
dell'ambiente, lo Stato ha il potere di dare attuazione alle direttive
comunitarie (sentenza n. 399 del 2006), in particolare riguardo all'assolvimento
di obblighi comunitari generali per tutto il territorio dello Stato (sentenza n.
412 del 2001, in materia di disciplina degli scarichi).
Riguardo al possibile contenuto esecutivo e di dettaglio delle modifiche, si può
osservare, in generale, che nella materia della tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, lo Stato non si limita a dettare norme di principio, anche
riguardo alle funzioni amministrative, la cui attribuzione può essere disposta
in base ai criteri generali dettati dall'art. 118, primo comma, Cost. (sentenze
n. 88 del 2009 e n. 62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina
dell'ambiente (sentenza n. 401 del 2007).
Gli allegati alla Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, inoltre, danno
attuazione alla Parte II dello stesso decreto legislativo, che si muove nella
materia ambientale, pur se i correttivi da inserire, demandati a decreti
ministeriali, riguardino modalità di ordine esecutivo e caratteristiche tecniche
per le quali si impone una disciplina unitaria a carattere nazionale. A parte il
fatto che il potere di emanare regolamenti nelle materie di competenza statale
esclusiva, di cui al sesto comma dell'art. 117 Cost., discende direttamente
dalla Costituzione (sentenza n. 401 del 2007), sono sussistenti ragioni di
unitarietà ed uniformità ordinamentali tali da richiedere l'allocazione a
livello statale delle funzioni amministrative in materia, tanto più che la
fissazione delle modalità tecniche generali era assegnata allo Stato già dagli
artt. 80 e 88 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
10. - La Regione Toscana e la Regione Marche dubitano della legittimità
costituzionale dell'art. 75, comma 5. Tale disposizione prevede che le Regioni
debbano porre in essere azioni dirette all'acquisizione di informazioni
finalizzate al controllo e monitoraggio sullo stato di qualità delle acque ed
alla trasmissione al Dipartimento tutela acque interne e marine dell'APAT
(Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) dei dati
conoscitivi relativi all'attuazione dello stesso decreto legislativo, nonché di
quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo modalità da indicare con
decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri competenti,
d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni:
omettendo di destinare le risorse aggiuntive che occorrono a coprire gli oneri
conseguenti all'espletamento delle azioni necessarie, la norma violerebbe
l'autonomia finanziaria delle Regioni riconosciuta dall'art. 119 Cost.
La questione non è fondata.
Essa riguarda la divulgazione, da parte delle Regioni, delle informazioni sullo
stato di qualità delle acque e la trasmissione al Dipartimento tutela delle
acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i
servizi tecnici (APAT) dei dati conoscitivi e delle informazioni relative
all'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006, e di quelli prescritti dalla
disciplina comunitaria. Va osservato che tali obblighi vanno inquadrati, quanto
al primo, nell'ambito della normativa in tema di informazione ambientale, che
grava sulla pubblica amministrazione, ed è disciplinato dal decreto legislativo
19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, sull'accesso
del pubblico all'informazione ambientale; il secondo rimette le informazioni
sullo stato di attuazione della Parte III del Codice dell'ambiente al
coordinamento esercitato dallo Stato, non in quanto titolare della potestà
legislativa esclusiva in materia ambientale, bensì nell'ambito della tutela del
diritto di accesso del pubblico ai documenti amministrativi, riguardo ai quali
lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni, ma la cui attuazione
compete a tutti gli organi di amministrazione (sentenza n. 399 del 2006).
Le Regioni ricorrenti non si dolgono di dover rendere le informazioni
prescritte, ma sollevano la questione della ricaduta degli oneri economici sul
loro bilancio, senza alcuna deduzione sull'attribuzione delle competenze.
Va osservato, in primo luogo, che alla raccolta sistematica, alla elaborazione
dati e informazioni a livello locale, gli enti sono già tenuti in base alla
normativa sopra citata (vedi, in particolare, l'art. 11 del d.lgs. n. 195 del
2005), atteso anche il carattere tecnico del coordinamento esercitato dall'APAT
(così la sentenza n. 356 del 1994). I sistemi di diffusione e di trasmissione
dei dati e delle informazioni sono stabiliti con decreto ministeriale adottato
d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e
le Province autonome di Trento e Bolzano, in armonia con il principio della
leale collaborazione, tenendo conto del coinvolgimento, nell'attività di
informazione e nella rilevazione statistica, di organi sia a livello centrale
che a livello locale (sentenza n. 42 del 2006).
La necessità di risorse aggiuntive è postulata dall'art. 119 Cost. per
perseguire scopi ulteriori rispetto al normale svolgimento di funzioni e tali da
comportare rilevanti aggravi di spesa (sentenza n. 145 del 2008), circostanza
non allegata, peraltro, dai ricorsi in esame.
La questione è da risolvere in base al principio enunciato dalla Corte per
l'ipotesi in cui lo Stato si avvalga di uffici regionali: il rispetto
dell'autonomia delle Regioni, senza dubbio necessario anche sotto il profilo
della provvista di mezzi finanziari per fronteggiare nuovi oneri, è assicurato
dalla previsione circa l'attuazione di tale forma di collaborazione previa
intesa con gli enti interessati o con gli organismi rappresentativi degli stessi
(sentenza n. 408 del 1998). E' proprio il caso della norma denunciata, che, come
sopra rilevato, demanda le modalità di diffusione e di trasmissione dei dati e
delle informazioni ad un decreto ministeriale adottato d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano: il decreto, avendo ad oggetto gli aspetti
organizzativi, ben potrà regolare i costi delle operazioni.
11. - La Regione Toscana e la Regione Marche dubitano della legittimità
costituzionale dell'art. 77, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, che, qualora
dovesse attribuire allo Stato la “designazione” del corpo idrico artificiale o
fortemente modificato, violerebbe le attribuzioni regionali in materia di
“governo del territorio” di cui agli artt. 117 e 118 Cost. o, in subordine,
secondo la sola Regione Toscana - configurando un'avocazione da parte dello
Stato, per esigenze di unitarietà, delle funzioni amministrative di competenza
delle Regioni, nella parte in cui omette di prevedere che la funzione venga
amministrata attraverso accordi ed intese con le Regioni - violerebbe il
principio di leale collaborazione.
Il ricorso è inammissibile, perché le Regioni hanno sollevato la questione in
termini ipotetici.
12. - Le Regioni Calabria, Toscana e Marche dubitano della legittimità dell'art.
87, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove prevede l'intesa con il Ministero
delle politiche agricole e forestali nella designazione, da parte delle Regioni,
delle acque marine costiere e salmastre richiedenti protezione e miglioramento
per consentire la vita e lo sviluppo di banchi e di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, per contribuire alla buona qualità dei prodotti
della molluschicoltura commestibili per l'uomo.
Secondo la Regione Calabria, la disposizione violerebbe gli artt. 76, 117 e 118
Cost., trattandosi di competenza già interamente trasferita alle Regioni.
Per la Regione Toscana e la Regione Marche la norma violerebbe la potestà
legislativa regionale esclusiva in materia di “agricoltura”, di cui all'art.
117, quarto comma, Cost., o, in subordine, secondo la sola Regione Toscana, la
potestà amministrativa regionale, di cui all'art. 118, primo comma, Cost.,
finalizzata ad un esercizio unitario della funzioni amministrative in materie di
competenza concorrente (“tutela della salute e dell'alimentazione”).
Le ricorrenti deducono che si tratta di competenza già interamente trasferita
alle Regioni con l'art. 14 d.lgs. n. 152 del 1999, che viene abrogato dal
decreto legislativo oggetto di impugnazione (art. 175), imponendo invece l'art.
1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004 il rispetto delle competenze
attribuite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del 1998, e in virtù della prevalenza
della materia “agricoltura”. Anche ove si ravvisi interferenza di materie
concorrenti (tutela della salute e dell'alimentazione) - argomentano Toscana e
Marche - allo Stato competerebbe la sola fissazione dei principi fondamentali e
non anche determinazioni di dettaglio. Difettano inoltre le condizioni di
proporzionalità e ragionevolezza per un'attrazione in sussidiarietà, giacché,
pur contemplando la norma una concertazione tra livello regionale e statale, non
è ravvisabile un ragionevole fondamento tale da giustificare l'esigenza di un
esercizio unitario della stessa, anche attesa la diversa disciplina riguardo
alle acque dolci, in cui la “designazione” è regionale in via esclusiva.
Aggiunge la Regione Marche in memoria che, ove la funzione sia stata allocata a
livello inferiore, mancano per definizione le esigenze unitarie e non sussiste
alcuna istanza collaborativa del livello statale: se vi fossero state esigenze
unitarie, la funzione avrebbe dovuto essere attribuita allo Stato.
La questione non è fondata.
Si osserva che l'art. 87, nell'ambito del Capo II della Sezione II, dedicato
alle acque a specifica destinazione, ha ad oggetto le acque marine e costiere,
ed è per questo che, a differenza delle acque dolci interne, che hanno un
preciso collegamento al bacino territoriale di riferimento, in cui si configura
la competenza regionale, coinvolgono interessi cui sovrintendono organi statali:
questo dovrebbe spiegare, semmai, le ragioni per le quali è prevista l'intesa
con l'organo statale.
La molluschicoltura deve essere ascritta all'ambito materiale della pesca, come
si desume dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 26 maggio 2004 n. 153
(Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima): «la
pesca marittima è l'attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi
acquatici in mare». La disciplina è, dunque, estranea alla materia
dell'agricoltura, come pure è da escludere che sia riconducibile sic et
simpliciter alla materia dell'ambiente (limitato all'aspetto dell'introduzione
di specie animali, anche acquatiche, a fini di ripopolamento: sentenza n. 30 del
2009). La pesca è materia di competenza legislativa residuale delle Regioni
(sentenza n. 81 del 2007). Concorrono, però, con essa anche competenze statali,
connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell'ecosistema e
competenze concorrenti (sentenza n. 213 del 2006: tutela della salute,
alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l'estero, ricerca
scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione delle imprese per il
settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e integrativa,
governo del territorio). Occorre applicare il principio di leale collaborazione,
postulandosi la necessità di intese a livello attuativo, nell'individuazione
degli ambienti marini in cui tutelare le popolazioni naturali di molluschi e
garantire la buona qualità dei prodotti della molluschicoltura.
E' evidente dalla stessa disciplina in esame che la concorrenza della pesca con
la competenza statale non riguarda la materia ambientale, come evidenziato dal
fatto che l'intesa è prevista con il Ministero delle politiche agricole e
forestali, e non con quello dell'ambiente. L'intervento statale è concepito
dall'art. 87, comma 1, come fine ultimo, per garantire la buona qualità dei
molluschi commestibili. La stessa «attività amministrativa legata alla vigilanza
e controllo sulla pesca marittima, è esercitata dal Ministero delle politiche
agricole e forestali che si avvale del Corpo delle capitanerie di porto, e dalle
Regioni, province e comuni, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 118
della Costituzione» (art. 7 del d.lgs. n. 153 del 2004). Peraltro, la necessità
di meccanismi di leale collaborazione nello svolgimento dell'attività
amministrativa inerente al settore della pesca e dell'acquacoltura è confermata
dall'art. 21 del d.lgs. 26 maggio 2004 n. 154 (Modernizzazione del settore pesca
e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n.
38), in tema di modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, «in
considerazione delle specifiche esigenze di unitarietà della regolamentazione
del settore dell'economia ittica, del principio di leale collaborazione tra lo
Stato e le regioni e dei princìpi di cui all'articolo 118, primo comma, della
Costituzione». Ulteriori strumenti di collaborazione sono previsti dal decreto
legislativo 4 agosto 2008 n. 148 (Attuazione della direttiva 2006/88/CE relativa
alle condizioni di polizia sanitaria applicabili alle specie animali d'acquacoltura
e ai relativi prodotti, nonché alla prevenzione di talune malattie degli animali
acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie). La concorrenza
significativa con la materia “pesca” è dunque quella della “tutela
dell'alimentazione”, di potestà legislativa concorrente: ciò che giustifica la
collaborazione della Regione con lo Stato, quindi con il competente Ministero
delle politiche agricole e forestali.
L'art. 87, comma 1, è censurato dalla Regione Calabria anche sotto il profilo
della violazione dell'art. 76 Cost., trattandosi di competenza già interamente
trasferita alle Regioni (l'art. 14 del d.lgs. n. 152 del 1999, che viene
abrogato dal decreto legislativo oggetto di impugnazione, prevedeva la
competenza regionale nella designazione delle acque idonee alla vita dei
molluschi, senza contemplare l'intesa con organi dello Stato): l'art. 1, comma
8, della legge delega impone al legislatore delegato il rispetto delle
competenze già attribuite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del 1998, e, quindi, si
prospetta il vizio di eccesso di delega.
La censura è ammissibile, per la possibilità delle Regioni di invocare parametri
diversi da quelli del Titolo V della Parte II della Costituzione, purché la
violazione ridondi a pregiudizio delle competenze regionali. E la violazione dei
criteri e principi della legge delega ben può sortire questo effetto, ove la
delega sia finalizzata al riordino delle competenze, sicché la modifica
procedurale, penalizzante per la Regione, rispetto ad una sistemazione
precedente, potrebbe essere illegittima.
La disposizione censurata, tuttavia, al contrario di quanto opinato dalle
ricorrenti, non comporta un ridimensionamento del ruolo regionale rispetto alle
norme di riparto vigenti in materia, giacché «la determinazione dei criteri
generali per il monitoraggio e il controllo della fascia costiera finalizzati in
particolare a definire la qualità delle acque costiere, l'idoneità alla
balneazione, nonché l'idoneità alla molluschicoltura e sfruttamento dei banchi
naturali di bivalvi» rientrava già tra i compiti di rilievo nazionale, di cui
all'art. 80, lettera q), del d.lgs. n. 112 del 1998, il cui rispetto è posto
come criterio direttivo dalla legge delega (art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004). E se la designazione, nell'àmbito delle acque marine costiere e
salmastre, di quelle da tutelare, anche ai fini del miglioramento dei prodotti
della molluschicoltura (con formulazione normativa anche testualmente
coincidente con il nuovo art. 87 del d.lgs. n. 152 del 2006), era attribuita
alle Regioni dall'abrogato art. 14 del d.lgs. n. 152 del 1999, il compito del
Codice dell'ambiente è proprio quello del «riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie», e
tra queste (lettera b), la «tutela delle acque dall'inquinamento e gestione
delle risorse idriche».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte,
Liguria e Marche;
dichiara inammissibile l'intervento, spiegato nei giudizi indicati in epigrafe,
dalla Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) -
Onlus, e da Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche -
SICET S.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente
S.p.a.;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 74, comma 1, lettera h), lettera n)
(limitatamente alla parte relativa alla fognatura dinamica), lettera ff) e
lettera oo), del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento
agli artt. 3, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Liguria
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. da
73 a 140 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli
artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione
Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73
del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all'art. 117,
terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 74,
comma 1, lettera n), e comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n. 152 del
2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, primo comma, della
Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75,
comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in
riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77,
comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli
artt. 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla
Regione Toscana e dalla Regione Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73,
comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75,
comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli
artt. 117, commi quinto e sesto, e 118 della Costituzione e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75,
comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento
all'art. 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana e dalla Regione Marche
con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 87,
comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli
artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria, in riferimento
all'art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Marche, in
riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, della
Costituzione, dalla Regione Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 15 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 5 maggio 2009
ORDINANZA
Considerato che il presente giudizio
di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, è configurato come
svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, in
quanto avente ad oggetto questioni di competenza normativa, fermi restando, per
i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni
soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn.
405 del 2008 e 469 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento
spiegato nei giudizi indicati in epigrafe dalla Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature - Onlus e da Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana
Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A.
Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.
F.to: Francesco Amirante, Presidente
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