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1974-9562
CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DIRITTO AMBIENTALE - D.L.vo n. 152/2006 - Delega ex L. n. 62/2005 -
Abrogazione tacita della precedente legge delega n. 308/2004 - Esclusione.
Deve escludersi che la delega contenuta nella legge n. 62 del 2005 e relativa
all’attuazione di una ampia serie di direttive comunitarie in diverse materie,
abbia tacitamente abrogato la delega precedente, conferita, invece, nella
specifica materia ambientale, dalla legge n. 308 del 2004. Inoltre, la legge
delega n. 62 del 2005 è diversa dalla legge delega n. 308 del 2004, che non
richiede solo l’attuazione del diritto comunitario, ma anche il suo
coordinamento nell’ambito della legislazione ambientale. Né si può dire che i
criteri della legge n. 62 del 2005 ne restringano la portata. Pres. Amirante,
Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio
dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DIRITTO AMBIENTALE - Materia della “tutela dell’ambiente” - Competenza legislativa esclusiva statale - Normativa regionale in materia di competenze proprie riguardanti l’utilizzazione dell’ambiente - Prevalenza della disciplina statale - Limite alla disciplina regionale - Disciplina inderogabile in pejus. In materia di rapporti fra la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente» (nella quale certamente rientra il danno ambientale) e le competenze legislative regionali in altre materie, su cui la disciplina statale ambientale può incidere, è stato precisato che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. La suddetta normativa, pertanto, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni in materie di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente e, quindi, altri interessi. Da ciò consegue che la disciplina statale di tutela dell’ambiente rappresenta un limite alla disciplina che le Regioni dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze loro proprie. Lo Stato detta quindi, in materia di tutela dell’ambiente, una disciplina inderogabile in pejus, che si impone all’autonomia delle Regioni e le vincola, anche quando esse esercitino la potestà legislativa loro riconosciuta dalla Costituzione in altre materie. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DANNO AMBIENTALE - Art. 299 , c. 2 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Inammissibilità. E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, c. 2, del Codice dell’Ambiente. La norma, in una materia nella quale non trova applicazione il principio di leale collaborazione, prevede che l’azione ministeriale debba normalmente svolgersi nel rispetto di tale principio, con ciò ampliando e non limitando le competenze delle Regioni. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23/07/2009, n. 235
DIRITTO AMBIENTALE - Tutela dell’ambiente - DANNO AMBIENTALE - Applicabilità del principio di leale collaborazione - Esclusione - Artt. 304, c. 3, 305, c. 2 e 306, c. 2 D.L.vo n. 152/2006 - Azione amministrativa di prevenzione e ripristino del danno ambientale - Attribuzione all’amministrazione statale - Ragionevolezza - Fondamento. La prevalenza della disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente sulla disciplina dettata dalle Regioni, in materie di loro competenza, in ordine all’uso o alla fruizione dell’ambiente stesso, non consente di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno ambientale, il presupposto dell’applicazione del principio di leale collaborazione, cioè la «interferenza» fra competenze legislative statali e regionali. La circostanza che lo Stato non sia obbligato ad allocare le funzioni amministrative di prevenzione e riparazione del danno ambientale secondo moduli collaborativi non esclude, peraltro, che il contenuto della scelta allocativa compiuta dal legislatore statale possa essere censurato in relazione al diverso parametro rappresentato dall’art. 118 Cost. Quest’ultimo, infatti, nel vincolare naturalmente anche le scelte allocative compiute in sede di esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato, esprime un criterio di preferenza a favore del livello amministrativo più vicino ai cittadini, al quale può derogarsi solo in presenza di esigenze di esercizio unitario, che giustifichino l’attribuzione della competenza all’amministrazione statale. Nel caso di cui agli artt. 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, del Codice dell’ambiente - i quali disciplinano l’azione amministrativa di prevenzione e ripristino del danno ambientale - la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DANNO AMBIENTALE - Art. 306, cc. 1, 2 e 5 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza - Criteri di uniformità e unitarietà. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., dell’art. 306, cc. 1, 2 e 5 del d. lgs. n. 152/2006. Con riguardo all’art. 117 Cost., infatti, va osservato che in materia di danno ambientale non può sussistere alcuna «interferenza» fra competenza legislativa statale e regionale, attesa la prevalenza della prima, finalizzata alla tutela dell’ambiente, sulla seconda, che inerisce invece all’uso e alla fruizione del bene ambiente. Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 118 Cost., deve ritenersi che la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative relative al ripristino ambientale trovi una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che lo svolgimento di esse risponda a criteri di uniformità e unitarietà. Tale scelta, pertanto, non si pone in contrasto con i principi di sussidiarietà e differenziazione dettati dall’art. 118 Cost. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DANNO AMBIENTALE - Art. 309, c. 1 D.L.vo n. 152/2006 - Prevenzione e riparazione del danno ambientale - Potere di sollecitazione dell’esercizio dei poteri ministeriali - Soggetti diversi dagli enti locali - Lesione delle prerogative regionali - Esclusione. La circostanza che il potere di sollecitazione dell’esercizio dei poteri ministeriali per la prevenzione e riparazione del danno ambientale, oltre che agli enti territoriali, sia riconosciuto anche alle «persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino» (art. 309, c. 1, d.lgs. n. 152/2006), non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle prerogative della Regione. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DANNO AMBIENTALE - Risarcimento per equivalente patrimoniale - Stato e Regioni - Legittimazione a proporre l’azione risarcitoria - Art. 311 D.L.vo n. 152/2006. In base alla disciplina del Codice dell’ambiente, è pacifico, da un lato, che il risarcimento per equivalente patrimoniale è dovuto allo Stato (le relative somme sono versate in entrata del bilancio dello Stato e confluiscono in un apposito fondo di rotazione istituito nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio) e, dall’altro lato, che le Regioni hanno diritto, oltre che di agire in giudizio in qualità di soggetti danneggiati nei beni di loro proprietà dal fatto produttivo di danno ambientale (art. 313, comma 7), anche di ricorrere al giudice amministrativo per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte dell’amministrazione statale, delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno ambientale (art. 310, comma 1). Quanto, invece, alla legittimazione delle Regioni e degli enti locali a proporre l’azione risarcitoria per danno ambientale, va osservato che l’art. 311 del d.lgs. n. 152/2006, nel regolare in termini di alternatività il rapporto fra i due strumenti (amministrativo e giurisdizionale) con i quali l’amministrazione statale può reagire al danno ambientale, non riconosce tale legittimazione, ma neppure la esclude in modo esplicito. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
DANNO AMBIENTALE - Artt. 312 e 313 D.L.vo n. 152/2006 - Ingiunzione di risarcimento al responsabile del danno - Potere ministeriale - Criteri di uniformità e unitarietà. La scelta legislativa di attribuire all’amministrazione statale, anziché alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare l’ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento (artt. 312 e 313 Codice dell’ambiente) trova una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che tale speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformità e unitarietà. Pres. Amirante, Est. Cassese - Regioni Calabria, Piemonte e Puglia c. presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 luglio 2009, n. 235
SENTENZA N. 235
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. da 299 a 318 nonché degli allegati dal I al V del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
promossi dalle Regioni Calabria, Piemonte e Puglia con ricorsi rispettivamente
notificati l'8, il 21-27 ed il 13 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10,
il 15 ed il 20 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 68, 70 e 76 del registro ricorsi
2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché
gli atti di intervento dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
nature (WWF Italia)-Onlus e della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Sabino
Cassese;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Fabio
Lorenzoni per la Regione Piemonte, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia,
Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il World Wide Fund for
nature (WWF Italia)-Onlus e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio
Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - La Regione Calabria, con ricorso n. 68 del 2006, la Regione Piemonte, con
ricorso n. 70 del 2006 e la Regione Puglia, con ricorso n. 76 del 2006, hanno
impugnato, fra l'altro, l'intero testo della parte sesta (artt. 299-318 e
allegati I-V) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale - d'ora in avanti «Codice dell'ambiente»), nonché singole
disposizioni in essa contenute, cioè, in particolare, gli artt. 299, commi 2 e
5, 300, 301, 304, 305, 306, 308, 309, comma 1, 311, 312, 313, 314 e 315, per
violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.,
nonché del principio di leale collaborazione.
1.1. - Le Regioni Calabria e Puglia hanno, altresì, chiesto la sospensione
dell'efficacia delle disposizioni impugnate, ai sensi dell'articolo 35 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall'articolo 9, comma 4, della
legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. - La Regione Calabria impugna l'intera parte sesta del Codice dell'ambiente,
con i relativi allegati, nonché, specificamente, gli artt. 299, commi 2 e 5,
304, comma 3, 305, comma 2, 306, comma 2, 309, comma 1, 311, 312 e 313.
2.1. - L'intera parte sesta del Codice dell'ambiente viene censurata dalla
Regione ricorrente per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. La
Regione Calabria asserisce, da un lato, che la direttiva 2004/35/CE, di cui le
norme contenute nella predetta parte sesta del decreto impugnato costituirebbero
attuazione, non è contemplata fra quelle per l'attuazione delle quali la legge
15 dicembre 2004, n. 308 ha conferito la delega al Governo. Dall'altro lato, la
Regione ricorrente sostiene che il decreto impugnato è stato approvato senza
rispettare alcune prescrizioni della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle
Comunità europee. Legge comunitaria 2004), che invece delega espressamente il
Governo ad attuare la direttiva 2004/35/CE. In particolare, il procedimento di
approvazione del decreto impugnato si sarebbe in primo luogo discostato, quanto
ai soggetti proponenti, dalla previsione di cui all'art. 1, comma 2, della legge
n. 62 del 2005, secondo la quale i decreti legislativi devono essere adottati
«su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le
politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per
la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia,
dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione
all'oggetto della direttiva». In secondo luogo, il decreto impugnato sarebbe
stato approvato senza rispettare l'art. 1, comma 4, della legge n. 62 del 2005,
secondo cui gli schemi di decreti legislativi devono essere «corredati della
relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto
1978, n. 468, e successive modificazioni» e su di essi deve essere «richiesto
anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili
finanziari». Infine, il decreto impugnato non avrebbe rispettato l'art. 1, comma
6, della legge n. 62 del 2005, il quale, per garantire il potere delle Regioni
di provvedere, nelle materie di loro competenza, all'attuazione degli atti
dell'Unione europea, stabilisce che i decreti legislativi, eventualmente
adottati in tali materie, recano l'esplicita indicazione della natura
sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute ed entrano in
vigore, per le Regioni nelle quali non sia ancora vigente la rispettiva
disciplina di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per
l'attuazione della normativa comunitaria, perdendo comunque efficacia a
decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata
da ciascuna Regione nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei principi
fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.
2.2. - Quanto alle censure riferite a singole disposizioni, la Regione Calabria
censura, in primo luogo, l'art. 299, comma 2, del Codice dell'ambiente, in base
al quale l'azione ministeriale, relativa all'esercizio delle funzioni e dei
compiti spettanti allo Stato in materia di tutela, prevenzione e riparazione dei
danni all'ambiente, «si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con
gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».
Secondo la ricorrente, l'espressione «normalmente», utilizzata dal legislatore,
sarebbe lesiva del principio di leale cooperazione, perché «consente di eludere
l'esigenza che pure nella disposizione viene affermata». Inoltre, lo svilimento
della posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, posti dalla
disposizione censurata sullo stesso piano di «qualsiasi soggetto di diritto
pubblico ritenuto idoneo», violerebbe gli articoli 114 e 118 della Costituzione.
2.3. - Per questo stesso motivo la Regione Calabria censura anche l'art. 309,
comma 1, del Codice dell'ambiente, che, ai fini della legittimazione a
richiedere l'intervento statale in caso di danno ambientale, equipara la
posizione delle Regioni a quella di altre «persone fisiche o giuridiche che sono
o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale».
2.4. - Ad avviso della Regione Calabria sarebbe poi illegittimo l'art. 299,
comma 5, del Codice dell'ambiente, secondo cui «il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri
dell'economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri
per le attività istruttorie volte all'accertamento del danno ambientale e per la
riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo
III della parte sesta del presente decreto. I relativi oneri sono posti a carico
del responsabile del danno». Tale disposizione violerebbe, secondo la
ricorrente, il principio di leale collaborazione, «nella parte in cui esclude
qualsiasi forma di intervento regionale nel procedimento di adozione del decreto
ministeriale di attuazione della disciplina delle attività istruttorie volte
all'accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta
per equivalente patrimoniale».
2.5. - La Regione Calabria afferma ancora l'illegittimità costituzionale degli
articoli 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, del Codice dell'ambiente.
La prima disposizione (art. 304, comma 3) attribuisce al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, in caso di minaccia imminente di danno
ambientale, la facoltà di chiedere all'operatore interessato di fornire
informazioni sulla minaccia, di ordinargli di adottare le specifiche misure di
prevenzione considerate necessarie, nonché di adottare direttamente le suddette
misure di prevenzione. La seconda disposizione (art. 305, comma 2) attribuisce
al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, nell'ipotesi in cui si
sia già verificato un danno ambientale, le facoltà: di chiedere all'operatore
interessato informazioni sul danno e sulle misure da lui adottate; di adottare,
o ordinare all'operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per
controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto
immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare
ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori
deterioramenti ai servizi; di ordinare all'operatore di prendere, o di adottare
direttamente, le misure di ripristino necessarie. La terza disposizione (art.
306, comma 2), infine, attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, a meno che questi non abbia già adottato misure urgenti in base alla
disposizione in precedenza richiamata, il potere di decidere quali misure di
ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del
completo ripristino ambientale, valutando anche l'opportunità di addivenire ad
un accordo con l'operatore interessato. Ciascuna di queste disposizioni, secondo
la Regione Calabria, violerebbe l'art. 118 Cost. e il principio di leale
collaborazione, nella parte relativa all'attribuzione al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio del «potere di ordinare interventi incidenti
direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti territoriali
interessati».
2.6. - Anche gli articoli 312 e 313 del Codice dell'ambiente sarebbero, ad
avviso della Regione Calabria, in contrasto con il principio di leale
collaborazione e con l'art. 118 Cost. Tali norme, infatti, nel disciplinare
l'istruttoria del procedimento di adozione dell'ordinanza ministeriale che
ingiunge il ripristino ambientale a coloro che siano risultati responsabili di
un fatto che abbia causato un danno ambientale, non prevedono «alcun
coinvolgimento degli enti regionali e locali».
2.7. - Infine, la Regione Calabria censura l'articolo 311 del Codice
dell'ambiente, a mente del quale «il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il
risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per
equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla
parte sesta del presente decreto». Tale disposizione, secondo la ricorrente,
confliggerebbe con gli articoli 24, 114 e 118 Cost., in quanto non riconosce
alle Regioni la legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno
ambientale, nonostante l'indubbia incidenza dell'illecito perpetrato sul loro
territorio e sulle attività che le Regioni stesse sono chiamate a disciplinare e
porre in essere.
2.8. - In prossimità dell'udienza, la Regione Calabria ha depositato una memoria
con la quale ha insistito nelle censure proposte e ha argomentato circa la loro
perdurante attualità, anche a seguito delle modifiche apportate al d.lgs. n. 152
del 2006 dopo la sua emanazione, che peraltro non hanno riguardato le previsioni
della parte sesta.
3. - La Regione Piemonte, sebbene con censure che menzionano in particolare
talune disposizioni, impugna nel suo complesso l'intera disciplina della parte
sesta del Codice dell'ambiente, deducendo la «violazione degli artt. 3, 5, 76,
97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.», nonché «dei principi di leale
collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà,
buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l'aspetto della
violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali».
3.1. - Secondo la Regione Piemonte, innanzitutto, le «notevoli innovazioni»
introdotte dal decreto impugnato non corrispondono alle indicazioni della legge
delega e, in particolare, al criterio direttivo relativo al coordinamento
normativo per «conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno
ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione delle medesime,
rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino al fine di garantire
l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del
danno, definire le modalità di quantificazione del danno». La nuova disciplina
dettata in materia dal decreto impugnato, e segnatamente quella di cui agli
articoli 308, 313, 314 e 315, è infatti caratterizzata, ad avviso della Regione
ricorrente, da uno «sforzo di specificazione e di minuto dettaglio anche
operativo» tale da produrre «limitazione e difficoltà nell'espletamento
dell'attività di prevenzione e riparazione del danno ambientale anziché
rafforzamento della stessa». Inoltre, le nuove procedure per l'attuazione degli
interventi ripristinatori o per il risarcimento per equivalente «appaiono
dirette a circoscrivere anziché ad ampliare e rafforzare strumenti, modi e tempi
dell'azione pubblica di tutela».
3.2. - In secondo luogo, la Regione Piemonte sostiene che la disciplina
impugnata, nel riservare in capo allo Stato, senza alcuna forma di
partecipazione delle amministrazioni territorialmente interessate, ogni potere
di intervento amministrativo (articoli 301, 304, 305, 306 e 308), nonché
l'azione risarcitoria (articoli 311, 312, 313, 314 e 315), esclude l'apporto
delle Regioni ed amministrazioni locali, previsto invece dalla previgente
normativa, in ordine agli interventi di prevenzione e riparazione del danno
ambientale. Ciò sarebbe in contrasto, secondo la ricorrente, oltre che con le
previsioni della legge di delega, anche con il ruolo istituzionale degli enti
territoriali e l'assetto delle loro competenze, quali risultano dagli articoli
114, 117 e 118 Cost. Risulterebbero, inoltre, violati i principi costituzionali
di sussidiarietà, adeguatezza, leale cooperazione, ragionevolezza e buon
andamento della pubblica amministrazione, atteso che la concentrazione delle
funzioni amministrative in sede ministeriale, a prescindere da ogni criterio di
rilevanza e dimensione territoriale del problema, determinerebbe, secondo la
Regione Piemonte, «difficoltà e rallentamento nell'azione pubblica di tutela
dell'ambiente».
3.3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita, per il Presidente del
Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. La difesa erariale,
nell'osservare che il cosiddetto carattere trasversale della materia ambientale
non impedisce allo Stato di stabilire regole omogenee per tutto il territorio
nazionale, ha comunque fatto riserva di depositare memorie illustrative.
4. - La Regione Puglia afferma l'illegittimità costituzionale, per contrasto con
gli articoli 76, 117 e 118 Cost., di alcune specifiche norme contenute nella
parte sesta del Codice dell'ambiente.
4.1. - In primo luogo, la Regione Puglia censura l'art. 299, comma 2, del Codice
dell'ambiente, in quanto tale norma, nel disporre che «l'azione ministeriale si
svolge normalmente in collaborazione con le Regioni, con gli enti locali e con
qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo», lascerebbe presumere
che tale collaborazione non sia obbligatoria, con ciò ponendosi in contrasto con
gli artt. 76, 117 e 118 Cost.
4.2. - In secondo luogo, la Regione Puglia impugna l'art. 299, comma 5, del
Codice dell'ambiente, in quanto tale disposizione, anche in questo caso in
contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost., demanda la definizione dei «criteri
per le attività istruttorie volte all'accertamento del danno ambientale e per la
riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale» ad un decreto
ministeriale adottato senza la previa intesa con le Regioni, che dovrebbe invece
ritenersi necessaria «in considerazione della interferenza di tale disciplina
con funzioni e compiti» svolti in materia dalle Regioni.
4.3. - In terzo luogo, ad avviso della Regione Puglia, la definizione di danno
ambientale contenuta nell'art. 300 del Codice dell'ambiente («è danno ambientale
qualsiasi deterioramento significativo o misurabile, diretto o indiretto, di una
risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima») sarebbe
eccessivamente ristretta, perché riguarderebbe soltanto «situazioni già
definitivamente compromesse», escludendo invece quelle in cui «il danno non ha
ancora assunto una decisa connotazione». Da ciò conseguirebbe, secondo la
Regione ricorrente, il rischio che siano escluse dall'azione di risarcimento
fattispecie dannose la cui valutazione potrebbe, invece, avvenire anzitempo e
tempestivamente in sede regionale, con conseguente ulteriore violazione degli
artt. 76, 117 e 118 Cost.
4.4. - Infine, la Regione Puglia afferma che l'attribuzione al Ministero
dell'ambiente - ai sensi dell'articolo 306, commi 1, 2 e 5, del Codice
dell'ambiente - di tutte le funzioni relative alle misure di ripristino
ambientale sia eccessiva e non giustificata dall'esigenza di una disciplina
uniforme su tutto il territorio nazionale. Tale attribuzione si porrebbe quindi
in contrasto sia con l'art. 117 della Costituzione, atteso che la competenza
legislativa statale in materia di danno ambientale si intreccia con quella
regionale in materia di tutela della salute, governo del territorio e
valorizzazione dei beni ambientali, sia con i principi di sussidiarietà e
differenziazione dettati dall'art. 118 Cost. e richiamati dalla legge delega,
donde una violazione anche dell'art. 76 Cost. Tali principi impongono, secondo
la Regione ricorrente, che l'attribuzione allo Stato di funzioni amministrative
avvenga sempre e comunque con la collaborazione delle Regioni interessate, le
cui prerogative sono state invece compresse dalla disposizione censurata, anche
in contrasto con le indicazioni della legge delega.
5. - Nei giudizi instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia è intervenuta
l'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus,
sostenendo la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionali sollevate
e insistendo soprattutto sugli argomenti a sostegno delle censure basate
sull'art. 76 Cost.
6. - Nel giudizio instaurato dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute la
Biomasse Italia s.p.a., la Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET
S.r.l., la Ital Green Energy S.r.l. e la E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente
S.p.a, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, non
fondato, senza peraltro svolgere alcuna argomentazione relativa specificamente
alle disposizioni della parte sesta del Codice dell'ambiente.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Calabria (ric. n. 68 del 2006), Piemonte (ric. n. 70 del 2006) e
Puglia (ric. n. 76 del 2006) hanno impugnato, fra l'altro, l'intera parte sesta
(artt. 299-318 e allegati I-V) e, in particolare, gli artt. 299, commi 2 e 5,
300, 301, 304, 305, 306, 308, 309, comma 1, 311, 312, 313, 314 e 315 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale - d'ora in avanti
«Codice dell'ambiente»), per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 114,
117, 118, 119 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
In particolare, la Regione Calabria ha impugnato l'intera parte sesta del Codice
dell'ambiente, con i relativi allegati, e, separatamente, le seguenti
disposizioni singolarmente considerate: artt. 299, commi 2 e 5, 304, comma 3,
305, comma 2, 306, comma 2, 309, comma 1, 311, 312, 313; la Regione Piemonte ha
impugnato l'intera parte sesta del Codice dell'ambiente, riferendo le censure in
particolare alle seguenti disposizioni: artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312,
313, 314 e 315; la Regione Puglia, infine, ha impugnato esclusivamente le
seguenti specifiche disposizioni del Codice dell'ambiente: artt. 299, commi 2 e
5, 300 e 306, commi 1, 2 e 5.
Le Regioni Calabria e Puglia hanno altresì chiesto la sospensione dell'efficacia
delle disposizioni impugnate.
In ragione della loro connessione oggettiva, i ricorsi devono essere riuniti per
essere decisi con una unica pronuncia.
2. - Riservata ad altre pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di
legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, occorre premettere
che questa Corte, con la sentenza n. 225 del 2009 ha ritenuto in parte
inammissibili e in parte non fondate le questioni sollevate dalle stesse Regioni
relativamente alla dedotta illegittimità costituzionale dell'intero testo del
Codice dell'ambiente.
Con la stessa sentenza - cui ci si uniforma in questa sede - sono stati,
altresì, dichiarati inammissibili gli interventi in giudizio dell'Associazione
italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus, nonché della
Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET
S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologiche
Ambiente S.p.a, in applicazione dell'orientamento della giurisprudenza
costituzionale, secondo cui il giudizio di legittimità costituzionale in via
principale si svolge «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà
legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di
tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via
incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del 2008).
3. - Ciò premesso, dal momento che varie Regioni hanno impugnato le medesime
norme, è conveniente muovere dalle censure riferite all'intera parte sesta del
Codice dell'ambiente e, poi, esaminare le ulteriori doglianze nella successione
numerica delle disposizioni cui esse si riferiscono.
4. - La Regione Calabria ha impugnato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost.,
l'intera parte sesta del Codice dell'ambiente.
4.1. - In primo luogo, la Regione Calabria sostiene che la disciplina censurata
sia attuativa di una specifica direttiva comunitaria (direttiva 2004/35/CE
«sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del
danno ambientale»), la quale non è contemplata fra quelle per la cui attuazione
è stata conferita delega al Governo da parte della legge 15 dicembre 2004, n.
308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della
legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione).
La questione è inammissibile.
La ricorrente non ha indicato una lesione delle competenze ad essa
costituzionalmente attribuite che discenda direttamente dall'asserito vizio di
eccesso di delega. Di conseguenza, la Regione non può ritenersi legittimata a
denunciare il dedotto vizio. D'altro canto, nell'obbligo di attuare tutte le
direttive comunitarie, sancito dai criteri direttivi, rientra implicitamente
anche la direttiva in questione.
4.2. - In secondo luogo, la Regione Calabria rileva che la legge 18 aprile 2005,
n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), nel delegare il
Governo all'attuazione della citata direttiva 2004/35/CE, ha previsto un
procedimento di approvazione del relativo decreto attuativo diverso da quello
prefigurato dalla legge n. 308 del 2004 e in concreto osservato per
l'approvazione del decreto legislativo che ha introdotto il censurato Codice
dell'ambiente. Quest'ultimo, di conseguenza, sarebbe, ad avviso della
ricorrente, illegittimo, in quanto adottato senza rispettare i criteri previsti
dalla delega contenuta nella legge n. 62 del 2005, che, in quanto norma
successiva, avrebbe abrogato la precedente delega contenuta nella legge n. 308
del 2004. In particolare, il decreto censurato sarebbe stato adottato senza
rispettare l'art. 1, commi 2, 4 e 6, della legge n. 62 del 2005.
La questione non è fondata.
A prescindere dalla circostanza che, anche in questo caso, la violazione dei
criteri di delega, dedotta dalla ricorrente, non si traduce in una diretta
lesione delle sue competenze, deve comunque escludersi che la delega successiva,
contenuta nella legge n. 62 del 2005 e relativa all'attuazione di una ampia
serie di direttive comunitarie in diverse materie, abbia tacitamente abrogato la
delega precedente, conferita, invece, nella specifica materia ambientale, dalla
legge n. 308 del 2004. Inoltre, la legge delega n. 62 del 2005 è diversa dalla
legge delega n. 308 del 2004, che non richiede solo l'attuazione del diritto
comunitario, ma anche il suo coordinamento nell'ambito della legislazione
ambientale. Né si può dire che i criteri della legge n. 62 del 2005 ne
restringano la portata.
5. - La Regione Piemonte ha impugnato l'intera parte sesta del decreto (anche se
le censure menzionano in particolare alcune disposizioni), per «violazione degli
artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.», nonché «dei principi di
leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione,
sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto
l'aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di
convenzioni internazionali».
5.1. - Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 3, 5, 119 e 120 Cost.,
la ricorrente non svolge alcuna argomentazione, con conseguente inammissibilità
delle questioni sollevate.
5.2. - Con riferimento alla asserita violazione dell'art. 76 Cost., ad avviso
della ricorrente, le norme censurate si porrebbero in contrasto con la legge
delega, da un lato, perché introdurrebbero una disciplina «innovativa» in
attuazione di una delega concessa a soli fini di riordino e coordinamento
normativo e, dall'altro lato, perché tale disciplina, «caratterizzata da uno
sforzo di specificazione e di minuto dettaglio», finirebbe per produrre
«limitazione e difficoltà nell'espletamento dell'attività di prevenzione e
riparazione del danno ambientale anziché rafforzamento della stessa», non
corrispondendo così alle indicazioni della legge delega e in particolare al
criterio previsto dall'art. 1, comma 9, lettera e), della legge n. 308 del 2004
(«conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale
mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime;
rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire
l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del
danno; definire le modalità di quantificazione del danno»).
La questione è inammissibile.
Innanzitutto, la ricorrente si è limitata a dedurre il vizio di eccesso di
delega, senza fornire alcuna dimostrazione in ordine alla incidenza che esso
avrebbe sulle proprie competenze costituzionalmente garantite. Inoltre, la
censura è generica, atteso che la ricorrente impugna l'intera disciplina della
parte sesta del Codice dell'ambiente senza indicare, in particolare, quali norme
della stessa, e per quali ragioni, determinerebbero una riduzione del livello di
tutela ambientale in contrasto con i principi della legge delega.
5.3. - Con riferimento, infine, agli altri parametri costituzionali
asseritamente violati, la Regione Piemonte sostiene che la disciplina censurata,
concentrando «tutta l'attività di intervento amministrativo e correlativamente
di azione risarcitoria in capo allo Stato» ed escludendo invece «l'apporto delle
Regioni e delle amministrazioni locali» in ordine agli interventi di prevenzione
e riparazione del danno ambientale, previsto dalla previgente normativa, si
porrebbe in contrasto «con le previsioni della legge delega, con il ruolo
istituzionale degli enti locali e l'assetto delle loro competenze, a norma degli
artt. 114, 117 e 118 Cost., con i principi costituzionali di sussidiarietà,
adeguatezza, leale collaborazione, ragionevolezza e buon andamento della
pubblica amministrazione, essendo altresì più che evidente che la concentrazione
in sede ministeriale di qualsiasi attività, prescindendo da ogni criterio di
rilevanza e dimensione territoriale del problema da affrontare e degli
interventi da porre in essere, non può che determinare difficoltà e
rallentamento nell'azione pubblica di tutela dell'ambiente».
La questione è inammissibile a causa della genericità delle censure prospettate.
La ricorrente impugna, infatti, una pluralità di disposizioni legislative
diverse tra loro, in relazione a molteplici parametri costituzionali, omettendo
di distinguere e precisare, con riferimento a ciascuna singola norma o gruppo
omogeneo di norme, quali siano i parametri violati e quali siano i motivi che
sorreggono le diverse censure prospettate in relazione a ciascun parametro.
6. - Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l'art. 299, comma 5, del
Codice dell'ambiente, in base al quale «il Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell'economia e
delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività
istruttorie volte all'accertamento del danno ambientale e per la riscossione
della somma dovuta per equivalente patrimoniale».
Secondo le ricorrenti, tale disposizione, nella parte in cui esclude, nel
procedimento di adozione del decreto ministeriale, «qualsiasi forma di
intervento regionale» (Regione Calabria) e, in particolare, la previa intesa, da
ritenersi invece necessaria «in considerazione della interferenza di tale
disciplina con funzioni e compiti» svolti in materia dalle Regioni (Regione
Puglia), si porrebbe in contrasto, secondo la Regione Puglia, con gli artt. 76,
117 e 118 Cost. e, secondo la Regione Calabria, con il principio di leale
collaborazione.
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 76 e 118 Cost. la questione
è inammissibile, non essendo svolta, in relazione a tali parametri, alcuna
argomentazione da parte della ricorrente.
Con riferimento, invece, alla asserita violazione dell'art. 117 Cost. e del
principio di leale collaborazione, la questione non è fondata.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire la natura dei rapporti che intercorrono
fra la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela
dell'ambiente» (nella quale certamente rientra il danno ambientale) e le
competenze legislative regionali in altre materie, su cui la disciplina statale
ambientale può incidere (sentenze n. 61 e n. 12 del 2009). Al riguardo, è stato
precisato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente [..] deve
garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre
discipline di settore». La suddetta normativa, pertanto, «rimessa in via
esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni [..] in
materie di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente e,
quindi, altri interessi». Da ciò consegue che la disciplina statale di tutela
dell'ambiente rappresenta «un limite alla disciplina che le Regioni [..] dettano
in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di
adottare norme di tutela ambientale più elevate [..]» nell'esercizio di
competenze loro proprie. Secondo tale giurisprudenza costituzionale, quindi, lo
Stato detta, in materia di tutela dell'ambiente, una disciplina inderogabile
in pejus, che si impone all'autonomia delle Regioni e le vincola, anche
quando esse esercitino la potestà legislativa loro riconosciuta dalla
Costituzione in altre materie. Tale ricostruzione del rapporto fra i due ordini
di potestà legislative in termini di «prevalenza» della disciplina ambientale
statale su quella dettata dalle Regioni in materie di loro competenza (nel senso
che la tutela dell'ambiente è un presupposto della sua fruizione) non consente
pertanto di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno
ambientale, una «interferenza» fra competenze, che invece costituisce il
presupposto dell'applicazione del principio di leale collaborazione e, quindi,
anche il fondamento delle censure in esame.
7. - Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l'art. 299, comma 2, del
Codice dell'ambiente, in base al quale «l'azione ministeriale si svolge
normalmente in collaborazione con le Regioni, con gli enti locali e con
qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».
Entrambe le ricorrenti contestano, innanzitutto, l'espressione «normalmente»,
utilizzata dal legislatore. Essa consentirebbe, infatti, «di eludere l'esigenza
che pure nella disposizione viene affermata», in violazione del principio di
leale collaborazione (Regione Calabria) e lascerebbe presumere che la
collaborazione in essa menzionata non sia obbligatoria, con ciò ponendosi in
contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost. (Regione Puglia). La sola Regione
Calabria ritiene, inoltre, che la censurata disposizione si ponga in contrasto
anche con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto essa svilirebbe la posizione
degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso piano di
«qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».
La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere
le competenze regionali.
In primo luogo, la disposizione impugnata, in una materia nella quale non trova
applicazione, per le ragioni in precedenza esplicitate (sub 6), il principio di
leale collaborazione, prevede che l'azione ministeriale debba normalmente
svolgersi nel rispetto di tale principio, con ciò ampliando e non limitando le
competenze delle Regioni. In secondo luogo, la circostanza che il principio
cooperativo, oltre che agli enti territoriali, venga riferito anche ad altri
soggetti, non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle
prerogative delle Regioni, che non ricaverebbero pertanto alcuna utilità
concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della
norma censurata.
8. - La Regione Puglia impugna l'art. 300 del Codice dell'ambiente, ritenendo
che tale disposizione, in violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost., introduca
una definizione di danno ambientale eccessivamente ristretta, in quanto riferita
soltanto a «situazioni già definitivamente compromesse» e non anche a situazioni
in cui «il danno non ha ancora assunto una decisa connotazione», con conseguente
rischio che siano escluse dall'azione di risarcimento fattispecie dannose la cui
valutazione potrebbe, invece, in sede regionale, «avvenire anzitempo e comunque
tempestivamente».
La questione è inammissibile.
La ricorrente non illustra, se non in termini del tutto generici, in che modo la
definizione, più ampia o più ristretta, di danno ambientale possa incidere
direttamente sulla sfera di competenze ad essa attribuite dalla Costituzione.
9. - La Regione Calabria ha impugnato gli artt. 304, comma 3, 305, comma 2, e
306, comma 2, del Codice dell'ambiente, i quali disciplinano l'azione
amministrativa di prevenzione e ripristino del danno ambientale, attribuendo
all'amministrazione statale, in particolare, il potere di chiedere informazioni
all'operatore, di ordinargli specifiche misure di prevenzione o ripristino,
nonché di assumere direttamente tali misure.
Ad avviso della ricorrente, tale disciplina, in quanto attribuisce al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio «il potere di ordinare interventi
incidenti direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti
territoriali interessati», violerebbe, da un lato, il principio di leale
collaborazione e, dall'altro lato, l'art. 118 Cost.
La questione non è fondata.
In primo luogo, quanto all'asserita violazione del principio di leale
collaborazione, si è già chiarito in precedenza (sub 6) che la prevalenza della
disciplina statale in materia di tutela dell'ambiente sulla disciplina dettata
dalle Regioni, in materie di loro competenza, in ordine all'uso o alla fruizione
dell'ambiente stesso, non consente di ravvisare, in particolare nella specifica
materia del danno ambientale, il presupposto dell'applicazione del principio di
leale collaborazione, cioè la «interferenza» fra competenze legislative statali
e regionali.
La circostanza che lo Stato non sia obbligato ad allocare le funzioni
amministrative di prevenzione e riparazione del danno ambientale secondo moduli
collaborativi non esclude, peraltro, che il contenuto della scelta allocativa
compiuta dal legislatore statale possa essere censurato dalla Regione ricorrente
in relazione al diverso parametro rappresentato dall'art. 118 Cost. Quest'ultimo,
infatti, nel vincolare naturalmente anche le scelte allocative compiute in sede
di esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato, esprime un
criterio di preferenza a favore del livello amministrativo più vicino ai
cittadini, al quale può derogarsi solo in presenza di esigenze di esercizio
unitario, che giustifichino l'attribuzione della competenza all'amministrazione
statale. Nel caso in esame, la scelta di attribuire all'amministrazione statale
le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione
nell'esigenza di assicurare che l'esercizio dei compiti di prevenzione e
riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà,
atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e
considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi
ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono
difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale.
10. - La Regione Puglia ha impugnato l'art. 306, commi 1, 2 e 5, del Codice
dell'ambiente, il quale, in punto di determinazione delle misure di ripristino
ambientale, prevede, in particolare, che l'operatore individui le possibili
misure e le presenti per l'approvazione al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio (comma 1), il quale individua quali misure debbano essere attuate
(comma 2), assicurando la partecipazione dei soggetti interessati (comma 5).
Secondo la Regione ricorrente, tale disciplina, nel riservare allo Stato «tutte
le funzioni riguardanti le misure di ripristino ambientale» e nel riconoscere
alla competenza statale un «ambito di operatività eccessivo e non giustificato
dall'esigenza di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale», si
porrebbe in contrasto con diversi parametri costituzionali. In primo luogo, essa
violerebbe l'art. 117 Cost., posto che «la competenza legislativa statale in
materia di danno ambientale si intreccia con la competenza regionale in tema di
tutela della salute, governo del territorio e valorizzazione dei beni
ambientali». In secondo luogo, la disciplina censurata lederebbe i principi di
sussidiarietà e differenziazione, dettati dall'art. 118 Cost., i quali
«impongono che l'attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga
sempre e comunque con la collaborazione delle Regioni interessate». Infine, le
norme impugnate si porrebbero in contrasto anche con l'art. 76 Cost., in quanto
i predetti principi di sussidiarietà e differenziazione sono richiamati anche
dalla legge delega.
La questione non è fondata.
Circa la dedotta violazione dell'art. 117 Cost., è sufficiente ribadire quanto
già affermato in precedenza (sub 6) e cioè che in materia di danno ambientale
non può sussistere alcuna «interferenza» fra competenza legislativa statale e
regionale, attesa la prevalenza della prima, finalizzata alla tutela
dell'ambiente, sulla seconda, che inerisce invece all'uso e alla fruizione del
bene ambiente. Né rileva l'asserito «ambito di operatività eccessivo» della
disciplina statale, dal momento che, vertendosi in una materia di esclusiva
competenza dello Stato, non viene in rilievo la dicotomia norme di principio -
norme di dettaglio.
Con riferimento alla asserita violazione dell'art. 118 Cost., per le ragioni in
precedenza illustrate (sub 9), deve ritenersi che la scelta di attribuire
all'amministrazione statale le funzioni amministrative relative al ripristino
ambientale trovi una ragionevole giustificazione nell'esigenza di assicurare che
lo svolgimento di esse risponda a criteri di uniformità e unitarietà.
Tale scelta, pertanto, non si pone in contrasto con i principi di sussidiarietà
e differenziazione dettati dall'art. 118 Cost., né viola la legge delega che
quei principi richiama, con conseguente infondatezza anche della questione
riferita all'art. 76 Cost.
11. - La Regione Calabria ha impugnato l'art. 309, comma 1, del Codice
dell'ambiente, secondo il quale, in particolare, le Regioni e gli enti
territoriali hanno la facoltà di presentare denunce e osservazioni volte a
sollecitare l'esercizio dei poteri ministeriali per la prevenzione e riparazione
del danno ambientale.
Secondo la ricorrente, tale disposizione, nell'attribuire la predetta facoltà,
oltre che alle Regioni e agli enti locali, anche alle «persone fisiche o
giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che
vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo
all'adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino», si
porrebbe in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto svilirebbe la
posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso
piano degli altri soggetti cui è riconosciuto un identico potere di
sollecitazione dell'intervento ministeriale.
La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere
le competenze regionali.
La circostanza che il potere di sollecitazione dell'esercizio dei poteri
ministeriali, oltre che agli enti territoriali, sia riconosciuto anche ad altri
soggetti non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle
prerogative della Regione ricorrente, la quale non ricaverebbe, pertanto, alcuna
utilità concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale
della norma censurata.
12. - La Regione Calabria ha impugnato l'art. 311 del Codice dell'ambiente, che
disciplina l'azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente
patrimoniale. Tale disposizione, in particolare, stabilisce, al comma 1, che «Il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando
l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in
forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede
ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto».
Ad avviso della ricorrente, la norma censurata, non riconoscendo alle Regioni la
legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno ambientale, nonostante
l'indubbia incidenza dell'illecito perpetrato sul loro territorio e sulle
attività che le Regioni stesse sono chiamate a disciplinare e porre in essere,
violerebbe gli artt. 24, 114 e 118 Cost.
Va preliminarmente rilevato che, in base alla disciplina del Codice
dell'ambiente, è pacifico, da un lato, che il risarcimento per equivalente
patrimoniale è comunque dovuto allo Stato (le relative somme sono versate in
entrata del bilancio dello Stato e confluiscono in un apposito fondo di
rotazione istituito nell'ambito dello stato di previsione del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio) e, dall'altro lato, che le Regioni
hanno diritto, oltre che di agire in giudizio in qualità di soggetti danneggiati
nei beni di loro proprietà dal fatto produttivo di danno ambientale (art. 313,
comma 7), anche di ricorrere al giudice amministrativo per il risarcimento del
danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte dell'amministrazione
statale, delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno
ambientale (art. 310, comma 1). Quanto, invece, alla legittimazione delle
Regioni e degli enti locali a proporre l'azione risarcitoria per danno
ambientale, va osservato che la disposizione impugnata, nel regolare in termini
di alternatività il rapporto fra i due strumenti (amministrativo e
giurisdizionale) con i quali l'amministrazione statale può reagire al danno
ambientale, non riconosce tale legittimazione, ma neppure la esclude in modo
esplicito.
A prescindere da tali circostanze, la questione deve comunque essere dichiarata
inammissibile.
Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 118 Cost., la questione è
inammissibile per inconferenza del parametro evocato. L'art. 118 Cost., infatti,
regola il riparto della funzione amministrativa fra i diversi livelli di
governo, mentre la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale, da un lato,
non costituisce una funzione amministrativa e, dall'altro lato, non risponde
alla logica del riparto, dal momento che il riconoscimento della legittimazione
dello Stato non esclude quella delle Regioni, e viceversa.
Con riferimento alla asserita lesione dell'art. 24 Cost., la questione è
inammissibile perché la ricorrente deduce la violazione di un parametro
costituzionale diverso da quelli ricavabili dal titolo V della parte seconda
della Costituzione, senza illustrare come da tale violazione possa derivare una
menomazione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.
Con riferimento, infine, alla violazione dell'art. 114 Cost., la questione è
inammissibile per genericità della censura, atteso che la ricorrente non svolge
alcuna argomentazione a sostegno dell'asserita violazione dello specifico
parametro costituzionale invocato.
13. - La Regione Calabria ha impugnato gli artt. 312 e 313 del Codice
dell'ambiente, che regolano l'ordinanza per il risarcimento del danno ambientale
e la relativa istruttoria. Le norme prevedono, in particolare, che, sulla base
di una istruttoria dettagliatamente regolata dall'art. 312, il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio possa, anziché promuovere in
giudizio l'ordinaria azione risarcitoria, adottare una ordinanza immediatamente
esecutiva che ingiunge al responsabile del danno il ripristino ambientale, a
titolo di risarcimento in forma specifica, oppure, ove questo risulti
impossibile o eccessivamente oneroso, il pagamento di una somma di denaro, a
titolo di risarcimento per equivalente.
La ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione e
dell'art. 118 Cost., in quanto le norme censurate non prevedono «alcun
coinvolgimento degli enti regionali e locali» nel procedimento per l'emanazione
dell'ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale.
La questione non è fondata.
E' sufficiente ripetere, con riferimento ad entrambi i profili di censura,
quanto in precedenza affermato: da un lato, non è rinvenibile, in tema di danno
ambientale, alcuna «interferenza» fra competenze legislative che imponga
l'applicazione dell'asseritamente violato principio di leale collaborazione (sub
6); dall'altro lato, la scelta legislativa di attribuire all'amministrazione
statale, anziché alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare
l'ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento
trova una ragionevole giustificazione nell'esigenza di assicurare che tale
speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformità e
unitarietà (sub 9).
14 - Avendo la Corte deciso il merito dei ricorsi, non vi è luogo a procedere in
ordine alle istanze di sospensione delle disposizioni impugnate, formulate dalle
ricorrenti Regioni Calabria e Puglia.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Calabria, Piemonte e Puglia;
dichiara inammissibili gli interventi rispettivamente spiegati dall'Associazione
italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus nei giudizi
instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia e dalla Biomasse Italia s.p.a., dalla
Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., dalla Ital Green
Energy S.r.l. nonché dalla E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a. nel
giudizio instaurato dalla Regione Piemonte;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'intera
parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati
proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 15 dicembre 2004,
n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione
della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione),
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'intera
parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, con particolare riferimento
agli artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312, 313, 314 e 315, proposta dalla
Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione agli artt.
3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché ai principi di leale
collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà,
buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l'aspetto della
violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299,
comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli
artt. 76 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299,
comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli
artt. 114 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria e, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia
con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 300
del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76,
117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 309,
comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli
artt. 114 e 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 311
del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 24,
114 e 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'intera
parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati
proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 18 aprile 2005, n.
62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), dalla Regione
Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299,
comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione
all'art. 117 e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e
Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 304,
comma 3; 305, comma 2, e 306, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006,
proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all'art. 118 Cost.,
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 306,
commi 1, 2 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione
agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 312
e 313 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al
principio di leale collaborazione e all'art. 118 Cost., dalla Regione Calabria
con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 15 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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